Le questioni della non proliferazione

Uno fra i più importanti elementi di stabilità dell’ordine internazionale risiede nel controllo e nella non proliferazione delle armi nucleari, biologiche e chimiche (NBC), e di altre armi e materiali pericolosi. Le regole per l’attuazione dei controlli sulle armi NBC sono contenute, in larga parte ma non esclusivamente, in trattati multilaterali.

Il 28 aprile 2004, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha adottato la risoluzione 1540 sulla proliferazione e sul commercio delle armi nucleari, biologiche e chimiche, che stabilisce le misure che gli Stati devono prendere per creare barriere legali all’acquisizione di armi NBC, armi radiologiche o congegni esplosivi nucleari, sia da parte di altri Stati che da parte di soggetti diversi.

Le questioni del disarmo e della non proliferazione sono analizzate sia nel Rapporto dell’High-level Panel istituito dal Segretario generale delle Nazioni Unite, sia nel Rapporto In larger freedom, presentato dal Segretario generale il 21 marzo 2005, e che riprendeva, sulla questione, le principali considerazioni e proposte del Panel.

Entrambi i Rapporti individuavano il grave pericolo costituito dall’elusione degli obblighi posti agli Stati parte del Trattato di non proliferazione nucleare, poiché un gran numero di Stati ha acquisito tecnologie nucleari civili di alto livello, che con relativa facilità potrebbero essere utilizzate per la produzione di ordigni atomici.

Quanto alle armi chimiche e biologiche, veniva rilevata la preoccupante situazione di stallo nella distruzione degli arsenali chimici, prevista dalla Convenzione di Parigi del 1993, che dovrebbe essere completata nel 2012, e veniva anche sottolineata l’ampia disponibilità di sostanze e laboratori per la costruzione di tali armi, pericolose quanto quelle nucleari.

Veniva quindi raccomandato agli Stati di ottemperare agli obblighi assunti ai sensi del Trattato di non proliferazione nucleare e di accelerare l’attuazione della Convenzione di Parigi del 1993, rafforzandone anche i meccanismi di verifica. Il problema dei controlli è ancora più importante con riferimento alla Convenzione del 1972 sull’interdizione delle armi biologiche e tossiniche, per la quale non si è raggiunto per lungo tempo alcun accordo su un meccanismo di verifica, screditando l’intero regime della Convenzione.

 

Non compare, invece, il tema del disarmo e della non proliferazione delle armi nel documento adottato dal World Summit il 15 settembre 2005, a margine della 60° sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite.

 

I principali trattati multilaterali sulla non proliferazione delle armi di distruzione di massa ratificati dall’Italia sono, in ordine cronologico:

§           il Protocollo concernente la proibizione di impiego in guerra di gas asfissianti, tossici o simili e di mezzi batteriologici  (Ginevra, 17 giugno 1925);

§           il Trattato per il bando degli esperimenti di armi nucleari nell'atmosfera, nello spazio cosmico e negli spazi subacquei (Londra-Mosca-Washington, 8 agosto 1963);

§           il Trattato di non proliferazione delle armi nucleari (TNP) (Londra-Mosca-Washington, 1° luglio 1968);

§           il Trattato per il divieto di collocamento di armi nucleari e di altre armi di distruzione di massa sui fondi marini e oceanici e nel loro sottosuolo (Londra-Mosca-Washington, 11 febbraio 1971);

§           la Convenzione sull'interdizione dello sviluppo, produzione e stoccaggio delle armi batteriologiche (biologiche) e tossiniche e sulla loro distruzione (Londra-Mosca-Washington, 10 aprile 1972);

§           la Convenzione sulla proibizione, immagazzinaggio ed uso di armi chimiche e sulla loro distruzione (Parigi, 13 gennaio 1993);

§           il Trattato sulla messa al bando totale degli esperimenti nucleari (New York, 24 settembre 1996)  non ancora in vigore[1].

 

Il Trattato di non proliferazione nucleare (firmato il 1° luglio 1968 e ratificato dall’Italia con la legge 24 aprile 1975, n. 131) è uno strumento internazionale fondamentale, i cui obiettivi sono quelli di prevenire la diffusione di armi e tecnologie nucleari, di sostenere l’uso pacifico dell’energia nucleare e di promuovere l’obiettivo del disarmo totale. Il Trattato stabilisce un sistema di salvaguardie sotto la responsabilità dell’ AIEA (Agenzia dell’ONU per l’energia nucleare), che occupa un ruolo centrale anche nel trasferimento di tecnologie per scopi pacifici previsto dal Trattato.

Il Trattato divide i Paesi che ne sono Parte in due categorie: gli Stati militarmente non nucleari e gli Stati militarmente nuclearizzati, ossia quelli che avevano fabbricato e fatto esplodere un’arma nucleare, o altro congegno nucleare esplosivo, prima del 1° gennaio 1967. Ai sensi del Trattato sono, legittimamente, potenze militarmente nucleari solo Stati Uniti, Russia, Gran Bretagna, Francia e Cina (queste ultime due però hanno aderito al trattato solo nel 1992). La Russia è succeduta all’Unione sovietica nel 1992; gli altri tre Stati ex-sovietici sul cui territorio si trovavano armamenti nucleari, ossia Bielorussia, Kazakistan e Ucraina, hanno successivamente aderito al TNP, ma con lo status di Paesi non militarmente nucleari.

Il Trattato di non proliferazione, peraltro, appare manifestamente datato, sia per quanto riguarda le condotte vietate, e più in generale gli obblighi derivanti dall’adesione, sia per quel che concerne i poteri di ispezione e di controllo dell’AIEA, che vanno disciplinati volta per volta tramite intese bilaterali con i Paesi interessati. Ciò è, in particolare, attestato dalle più recenti Conferenze di riesame del Trattato che, tuttavia, non sono sinora giunte a concreti risultati, a motivo delle divergenti posizioni espresse dalle Parti.

 

 

Nella XIV Legislatura è stata approvata la L. 31 ottobre 2003, n. 332, che ha autorizzato la ratifica del Protocollo aggiuntivo all’Accordo di verifica concluso fra l’AIEA, l’Euratom e tredici Stati della UE (ad esclusione di Francia e Regno Unito), in esecuzione di alcune disposizioni contenute nel Trattato di non proliferazione nucleare.

 

In attuazione del Trattato di non proliferazione nucleare, alcuni Stati membri dell’UE, tra cui l’Italia, hanno stipulato nel 1973 un Accordo c.d. di verifica con l’AIEA e l’Euratom, affinché le attività relative al sistema di salvaguardie nucleari imposto dal TNP fossero svolte in cooperazione tra i due sopra citati organismi internazionali. L’Euratom è infatti tenuto a presentare all’AIEA rapporti periodici sulla contabilità dei materiali nucleari presenti in tutte le installazioni situate negli Stati membri. Allo scopo di verificare l’attendibilità delle dichiarazioni rese, AIEA ed Euratom effettuano ispezioni periodiche alle quali possono partecipare anche rappresentanti dello Stato membro visitato.

Il Protocollo aggiuntivo all’Accordo di verifica, firmato in occasione della Conferenza generale dell’AIEA il 22 settembre 1998 a Vienna, si colloca nell’ambito del processo di revisione del regime di salvaguardie stabilito dal TNP, che a partire dagli anni ’90 ha iniziato ad incontrare difficoltà di applicazione. Principale obiettivo del Protocollo è infatti quello di rafforzare il sistema, rendendo disponibili all’AIEA maggiori informazioni e garantendo il diritto di accesso anche ad installazioni che dispongano di componenti utilizzabili nel ciclo del combustibile nucleare. Come per l’Accordo di verifica, con Francia e Regno Unito - unici Stati dell’Unione Europea a disporre di armamenti nucleari - AIEA ed Euratom hanno negoziato altri due distinti strumenti che vanno a completare il quadro normativo che regolamenta l’applicazione del TNP.

 

A seguito degli attentati dell’11 settembre, i paesi del G8 si sono impegnati ad impedire che terroristi, o loro fiancheggiatori, possano acquisire o sviluppare armi nucleari, chimiche o radiologiche, missili, equipaggiamenti e tecnologie, e hanno invitato tutti i paesi ad adottare una serie di misure a tal fine individuate. In questo quadro, nel Vertice G8 di Kananaskis (giugno 2002) è stata lanciata la Global Partnership contro la diffusione delle armi di distruzione di massa, con il compito di sostenere, inizialmente in Russia, progetti volti ad affrontare tale questione: nella dichiarazione sulla Global Partnership viene evidenziato il carattere prioritario di interventi quali la distruzione degli arsenali chimici, lo smantellamento dei sottomarini nucleari dismessi, lo smaltimento di materiali fissili e di scorie nucleari, nonché il reimpiego dei numerosi scienziati prima impegnati nella messa a punto di ADM, fornendo loro nuove opportunità di lavoro.

L’Italia ha dato il proprio contributo alle iniziative internazionali accennate e, in particolare per quanto riguarda la Russia, fin da prima del lancio della Global Partnership: il 1° dicembre 1993 è stato firmato con la Federazione russa un Accordo sulla cooperazione nello smantellamento delle armi nucleari soggette a riduzione, con il quale l'Italia si è assunta l’onere di finanziare l'assistenza nello smantellamento delle armi nucleari per un importo pari a 10 miliardi di lire nel triennio 1993-1995. Il 20 gennaio 2000, inoltre, è stato firmato a Mosca un Accordo italo-russo per l’assistenza italiana nella distruzione degli stock di armi chimiche: ratificato dall’Italia con la legge 17 febbraio 2001, n. 34, l’accordo è in vigore dal 14 giugno 2001. A tale ultimo Accordo, è stato poi aggiunto  un Protocollo (il 17 aprile 2003),  autorizzato alla ratifica con legge 19 luglio 2004, n. 196,  entrato in vigore il 21 dicembre 2004.

Nella XIV Legislatura, è stata inoltre autorizzata la ratifica dell'Accordo di cooperazione con la Federazione russa nel campo dello smantellamento dei sommergibili nucleari radiati dalla marina militare russa e della gestione sicura dei rifiuti radioattivi e del combustibile nucleare esaurito, fatto a Roma il 5 novembre 2003 (L. 31 luglio 2005, n. 160). L’Accordo è in vigore dal 17 novembre 2005.

       Oltre a tale ultimo Accordo, sempre il 5 novembre 2003, è stato siglato a Roma un ulteriore Accordo italo-russo per la cooperazione nella distruzione degli stock di armi chimiche nella Federazione russa, che presumibilmente dovrà essere presentato al Parlamento per l’autorizzazione alla ratifica.

La Global Partnership è stata rivista al Vertice G8 di Sea Island, negli Stati Uniti, nel 2004. Gli 8 leader hanno messo in luce la necessità di elaborare una strategia a lungo termine, in grado di affrontare il problema della proliferazione da molteplici punti di vista e che riesca ad integrare gli obiettivi troppo limitati del programma del 2002. E’ stato così annunciato un Piano d’Azione che ha fissato obiettivi più ambiziosi e contiene, tra l’altro, misure specifiche riguardanti l’Iran e la Corea del Nord.

Quanto all’Unione europea, il 12 dicembre 2003 il Consiglio europeo di Bruxelles ha adottato una Strategia contro la proliferazione delle armi di distruzione di massa, come parte di una più comprensiva Strategia europea di sicurezza. Nel documento, la proliferazione di ADM è vista come una delle minacce fondamentali alla sicurezza europea: sono quindi, tra l’altro, previsti programmi di assistenza verso Paesi terzi al fine di impedire i trasferimenti di materiali e tecnologie correlati con le ADM,  o utilizzabili per la costruzione di esse, verso Stati considerati a rischio o gruppi non statuali. E’ altresì previsto il rafforzamento della messa in sicurezza del materiale nucleare e delle relative infrastrutture, nonché più accurati controlli sulla gestione di fonti di radioattività.

 

Il caso iraniano

A partire dalla crisi petrolifera del 1973 ha inizio in Iran un ambizioso programma di ricerca nucleare, con la creazione di infrastrutture per la produzione di uranio arricchito e plutonio. I progetti avviati subirono una brusca interruzione nel 1979, a seguito della rivoluzione khomeinista, che comportò tra l’altro la sospensione dei contratti con la Germania e con la Francia. Il programma venne tuttavia ripreso dopo l’invasione irachena, con l’effettuazione di studi e ricerche su cinque reattori nucleari.  Dalle ex repubbliche sovietiche, dopo il crollo dell’URSS, gli esperti stimano siano giunte in Medio oriente 1.485 tonnellate di equipaggiamenti nucleari: dall’Ucraina, in particolare, risultano giunti in Iran nel 1992 berillio ed uranio altamente arricchito. Ma la collaborazione più significativa è quella avviata nel 1995 ed ancora in corso tra Iran e Russia. All’origine si prevedevano investimenti per 800 milioni di dollari per completare la centrale nucleare di Bushehr. Nel 2002, il ministero per l’energia atomica russo ha presentato un piano di assistenza decennale all’Iran per la costruzione di cinque reattori nucleari, tre a Bushehr e due a Ahwaz. Sulla base di tale piano è attualmente in costruzione una centrale nucleare destinata ad avvalersi di combustibile prodotto in Russia (Mosca si è impegnata nel febbraio 2005 a fornire il combustibile per un periodo di10 anni).

Oltre che dai Paesi già menzionati, i programmi nucleari iraniani sono stati sostenuti dalla Cina, dal Pakistan e, secondo alcuni, probabilmente dalla Corea del Nord. Teheran tenderebbe inoltre a frazionare le infrastrutture responsabili delle ricerche e della produzione di ordigni nucleari, al fine di evitare che un eventuale attacco (si ricordi il bombardamento israeliano del sito iracheno di Osirak nel 1981) possa vanificare tutta l’attività svolta. L’Iran ha di recente dichiarato che intende realizzare 20 centrali nucleari.

 

L’Iran ha firmato nel 1968 e ratificato nel 1970 il Trattato di non proliferazione nucleare, ma si discute se l’attuale politica nucleare dell’Iran sia in contrasto con le previsioni del Trattato, anche se l’Iran ha sempre dichiarato di puntare esclusivamente al nucleare civile.

Nel marzo del 2003, un rapporto del Direttore generale dell’AIEA (Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica), El Baradei, ha reso noto che l’Iran non aveva garantito il pieno accesso degli ispettori internazionali ad alcune infrastrutture regolarmente denunciate. Nel 2003 l’Iran ha acconsentito a firmare un protocollo addizionale al TNP per consentire agli ispettori dell’Agenzia di accertare la natura pacifica del programma nucleare e l’assenza di materiale non dichiarato. Nel marzo 2004 l’AIEA ha espresso preoccupazione per le omissioni nelle dichiarazioni dell’Iran a proposito delle sue attività in campo nucleare, oltre che per importazioni di uranio avvenute senza notifiche all’AIEA. Le ispezioni dell’AIEA, effettuate dopo molte pressioni, hanno fatto complessivamente emergere come l’Iran sia impegnato a sviluppare l’intero ciclo del combustibile, tecnologia non solo civile, ma anche alla base della realizzazione di un dispositivo nucleare militare.

Nel giugno del 2004, una risoluzione dell’AIEA ha chiesto all’Iran di sospendere l’arricchimento dell’uranio. L’Iran si è dapprima impegnato a farlo, ma poi non ha sospeso tale attività e lo stesso Parlamento di Teheran ha respinto a larga maggioranza la risoluzione dell’AIEA.

El Baradei ha dichiarato il 31 gennaio 2005 che l’Iran potrebbe avere l’arma atomica entro 2-3 anni, aggiungendo che la comunità internazionale deve lasciare all’AIEA il tempo necessario per condurre le ispezioni sul programma nucleare iraniano ed esaurire tutte le vie diplomatiche, prima di pensare ad altre opzioni.

Il 6 marzo 2006 El Baradei ha dichiarato che, durante le ispezioni degli ultimi tre anni, l’AIEA non ha potuto rilevare segni di utilizzo di materiale nucleare a favore della costruzione di armi o di altri congegni esplosivi, Tuttavia, rimangono incertezze riguardo allo scopo e alla natura del programma nucleare iraniano. El Baradei sostiene inoltre che per fugare ogni dubbio circa gli scopi pacifici del programma, l’Iran dovrebbe garantire maggiore trasparenza e fornire chiare informazioni su tutte le questioni relative al programma. Tali considerazioni erano presenti anche nella risoluzione del Consiglio dei governatori del 4 febbraio 2006 che, tra l’altro, delineava le misure che l’Iran dovrebbe adottare per chiarire le questioni in sospeso, e chiedeva al Direttore generale dell’AIEA di riferire su tutta la vicenda al Consiglio di sicurezza dell’ONU.

Il 29 marzo 2006 il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha espresso viva preoccupazione per il fatto che l’AIEA non sia stata messa nelle condizioni di poter dire una parola conclusiva sul programma nucleare iraniano, e ha chiesto all’Iran di sospendere tutte le operazioni di arricchimento dell’uranio e le attività connesse. Il Consiglio di sicurezza ha espresso la convinzione che tale sospensione e l’osservanza delle condizioni richieste contribuiranno ad una soluzione negoziata della questione, che garantisca all’Iran il diritto allo sviluppo del nucleare per scopi civili. Il Consiglio di sicurezza ha richiesto un rapporto dell’AIEA entro 30 giorni.

Il Presidente iraniano Ahmadinejad ha frattanto annunciato, l’11 aprile 2006, che l’Iran è riuscito ad arricchire uranio oltre la soglia del 3,5 per cento per uso industriale e che continuerà nel suo programma nucleare fino alla produzione in massa di uranio arricchito, ma sempre sotto la supervisione dell'AIEA. L’annuncio ha suscitato la reazione preoccupata di paesi come il Giappone e la Federazione russa che ha chiesto all’Iran di sospendere sia le attività di arricchimento dell’uranio che la ricerca.

Non va dimenticato come, secondo il diritto internazionale, nulla impedisca all’Iran di denunciare il Trattato e di sottrarsi alle relative prescrizioni.  E’ esattamente quello che il governo iraniano ha minacciato di fare nell’eventualità di un deferimento del Paese al Consiglio di sicurezza dell’ONU.

In ogni caso, le più recenti dichiarazioni di El Baradei sembrerebbero far intendere che l’AIEA ha necessità di acquisire ulteriori elementi per poter asserire con certezza che l’Iran è incorso in violazioni gravi degli obblighi internazionali. Nella recente visita a Teheran (13 aprile 2006) El Baradei ha tuttavia ribadito che l’Iran deve adottare le misure richieste, tra le quali la sospensione delle attività di arricchimento dell’uranio. Le ispezioni dell’AIEA intanto proseguono, ed è previsto che il direttore generale riferisca al Consiglio di sicurezza entro la fine di aprile.

 

All’attività dell’AIEA si è affiancata, a partire dall’ottobre del 2003, l’iniziativa dei governi di Francia, Germania e Regno Unito per indurre l’Iran a sospendere temporaneamente le attività per la produzione di uranio arricchito, a fronte di una collaborazione a livello commerciale, tecnologico, nucleare ed economico. Nel 2004 l’Unione europea ha deciso di associare al processo avviato dai tre paesi europei l’Alto rappresentante Solana. Il negoziato è sfociato nel novembre 2004 nella presentazione di un documento - condiviso dall’Iran - da parte dei tre paesi europei al Consiglio dei governatori dell’AIEA, nel quale si prevedeva la sospensione delle attività di Teheran nel settore della produzione di uranio arricchito. Il Consiglio ha conseguentemente deciso di “derubricare” l’argomento Iran dall’agenda dei suoi futuri lavori. L’intesa prevedeva, come meccanismo di gestione del negoziato, l’istituzione di un comitato direttivo con il compito di sovraintendere all’attività di tre gruppi di lavoro (nucleare, economico e commerciale, politico e di sicurezza). Va rilevato come gli Stati Uniti abbiano invece adottato da subito una linea più dura, ventilando anche il deferimento dell’Iran al Consiglio di sicurezza dell’ONU.

Nell’agosto del 2005 i negoziati in questione sono stati interrotti in seguito alla decisione unilaterale del governo iraniano di riprendere la conversione dell’uranio (un procedimento preparatorio dell’arricchimento), ritenuta dai tre paesi europei una violazione delle condizioni accettate dall’Iran nel novembre del 2004. Il 17 settembre successivo il nuovo presidente iraniano Ahmadinejad, intervenendo all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, ha ribadito che l’Iran eserciterà il suo diritto a sviluppare la tecnologia nucleare a ciclo completo.

Nelle conclusioni adottate dal Consiglio relazioni esterne dell’Unione europea del 10 aprile 2006  si esprime soddisfazione per la dichiarazione del Consiglio di sicurezza dell’ONU del 29 marzo, che rafforza il ruolo dell’AIEA ed impegna l’Iran a prendere le misure richieste dal Consiglio dei governatori dell’AIEA.

 

Il tema dello sviluppo del nucleare in Iran è stato affrontato anche nelle sedi parlamentari.

In particolare, nella seduta della Commissione esteri del 18 gennaio 2006, in risposta ad una interrogazione, il rappresentante del Governo ha chiarito la posizione dell’Italia sulla produzione di energia atomica da parte dell'Iran, ritenuta preoccupante a causa dell’ampiezza del programma e delle modalità del suo sviluppo - per lungo tempo sottratte ai controlli dell'AIEA. L'Italia si è sempre adoperata per la ricerca di una soluzione negoziata a tale problema nell'ambito del G8, dell’AIEA e dell'Unione Europea, sostenendo, tra l’altro, il coinvolgimento diretto dell'Alto Rappresentante Solana nel negoziato nucleare con l'Iran. Nella stessa risposta veniva sottolineata la particolare difficoltà della fase attuale, ulteriormente complicata dalla decisione iraniana di riprendere alcune delle attività nucleari precedentemente sospese. E’ stato anche ribadito che la lotta alla diffusione delle armi di distruzione di massa rappresenta una priorità della politica estera italiana e che, per superare la fase di stallo nel dibattito sulla non proliferazione ed il disarmo seguito agli scarsi risultati della Conferenza di Riesame del TNP del maggio 2005, l'Italia si è fatta promotrice dell'adozione di iniziative concrete per rafforzare l'autorità dell'AIEA nella sua attività di controllo del rispetto degli obblighi internazionali di non proliferazione.

Gli stessi temi erano stati affrontati precedentemente: nella seduta della Commissione esteri del 17 febbraio 2005 si sono svolte comunicazioni del Presidente sulla missione in Iran (30 gennaio-3 febbraio 2005) di una delegazione della Commissione che ha incontrato, tra l’altro, il Presidente della Commissione per la Politica estera e la sicurezza nazionale del Parlamento iraniano, Boroujerdi, il quale, riguardo ai negoziati sul nucleare con Germania, Francia e Gran Bretagna, ha dichiarato che l'Iran auspica di poter portare avanti con l'Italia gli stessi colloqui avuti con i tre paesi europei.

 

Il caso della Corea del Nord

La Corea del Nord ha sottoscritto con l’AIEA un Accordo di salvaguardia generale (Comprehensive safeguard agreement – CSA)[2] nel 1992, ma già a partire dall’anno successivo ha ripetutamente violato le clausole in esso stabilite. Nel dicembre 2002 la Corea ha deciso unilateralmente di interrompere le attività di salvaguardia imposte dal CSA e non è stato consentito all’AIEA  di effettuare nessuna verifica sul territorio. Di conseguenza, le informazioni sul programma nucleare di quel Paese sono da quel momento pervenute solo attraverso fonti non ufficiali.

Il direttore generale dell’AIEA, El Baradei, ha dichiarato davanti al Consiglio dei governatori (28 febbraio e 14 giugno 2005) che le attività nucleari della Corea, che continuano a collocarsi al di fuori dei controlli internazionali, costituiscono una seria minaccia al regime di non proliferazione. In più, le dichiarazioni secondo le quali la Corea del Nord possiederebbe armi nucleari costituiscono motivo di grande preoccupazione, e l’AIEA si è più volte dichiarata pronta a collaborare, sia con la Corea che con altri attori, affinché si trovi una soluzione che rassicuri la comunità internazionale circa la natura pacifica del programma nucleare coreano.

 



[1]     Si ricorda che, nel corso della Legislatura appena conclusa, è stata approvata la legge del 24 luglio 2003, n. 197, diretta ad assicurare continuità agli obblighi assunti con la legge 15 dicembre 1998, n. 484, con la quale l’Italia ha autorizzato la ratifica del Trattato sulla messa al bando totale degli esperimenti nucleari (CTBT).

[2]     Tutti gli Stati che non possiedono armi nucleari, parti del Trattato di non proliferazione, così come gli Stati parte di trattati regionali che creano zone denuclearizzate, devono sottoscrivere  Accordi con  l’AIEA, denominati Comprehensive safeguards agreements (CSAs). In forza di tali Accordi gli stati si impegnano ad accettare le norme di salvaguardia sul materiale nucleare impiegato per usi pacifici all’interno del proprio territorio, al fine di verificare che tale materiale non sia utilizzato per costruire armamenti: gli Accordi consentono all’AIEA di controllare che tali salvaguardie siano applicate. Risulta attualmente che in 34 Stati, fra quelli che non possiedono armi nucleari, tali accordi non siano ancora in vigore.