Federalismo fiscale - Il decreto legislativo n. 56/2000

Il lungo dibattito sul riordino della finanza regionale che ha condotto al conferimento della delega al Governo per l’introduzione del federalismo fiscale (art. 10 della legge n. 133 del 1999) era per lo più alimentato dal contrasto tra la ripetuta rivendicazione di nuove e maggiori risorse da parte delle regioni e gli altrettanto ripetuti tentativi dello Stato di contenere l’incremento della spesa statale in genere e di quella sanitaria in special modo. Il decreto legislativo n. 56/2000 fu scritto con il dichiarato obiettivo di ‘fissare’ stabilmente quel rapporto sulla base di criteri e parametri che dovevano interrompere il finanziamento della spesa storica ‘a piè di lista’, stabilizzare secondo andamenti predeterminati fabbisogno e finanziamento della sanità e delle principali funzioni delle regioni a statuto ordinario, incentivare e ‘premiare’ la partecipazione e lo sforzo fiscale di ciascuna regione riconnettendo la responsabilità di spesa alla responsabilità del prelievo.

Il decreto, senza ripercorrerne qui il dettaglio, fissa i criteri per determinare l’ammontare complessivo della spesa sanitaria corrente e di talune spese regionali finanziate precedentemente da trasferimenti erariali; determina la composizione del mix di risorse tributarie – assegnate a ciascuna regione – con le quali finanziare quella spesa; stabilisce modalità e parametri secondo i quali effettuare la perequazione interregionale in ragione delle diverse capacità fiscali di ciascuna di esse e del fabbisogno di ognuna secondo l’evoluzione prestabilita della spesa.

L’evoluzione della spesa, partendo dall’ammontare di quella determinatasi per l’anno 2000, viene rimessa al Piano sanitario nazionale e alle decisioni annuali di bilancio che, secondo le previsioni del decreto, non dovevano allontanarsi dalla evoluzione del gettito dei tributi che la finanziano.

Irap, addizionale regionale all’Irpef, aumento della compartecipazione all’accisa sulle benzine e quota dell’IVA costituiscono l’insieme delle risorse alla cui evoluzione doveva legarsi l’evoluzione della spesa regionale e, in particolar modo di quella sanitaria.

Quanto alla perequazione della capacità fiscale, il decreto, al di la della complessa formula del riparto perequativo che tiene conto di molti parametri, sceglie la perequazione ‘incompleta’, al 90 per cento, perché «attraverso l’incompleta perequazione della capacità fiscale si consentiva a tutte le regioni di trattenere una parte delle entrate proprie generate nel territorio regionale, con la conseguenza di aumentare i livelli di spesa delle regioni più ricche per portarli più vicini ai livelli della spesa pro-capite delle regioni a minore reddito»[1].

La ripartizione e la perequazione del 2001 non crearono opposizione perché fatte in base alla spesa storica, come il decreto prevedeva per attutire l’impatto del cambiamento.

Il DPCM che ha formalizzato la determinazione della quota di compartecipazione all’IVA per l’anno 2002 e la ripartizione del fondo perequativo (DPCM 14 maggio 2004) è intervenuto solo nel 2004, perché nella Conferenza Stato-regioni non era stato possibile raggiungere (tra le regioni) l’intesa richiesta dall’articolo 2, comma 4, del decreto legislativo n. 56/2000.

L’emanazione del citato DPCM ha reso numericamente evidenti gli effetti che sarebbero derivati dal progressivo abbandono del criterio della spesa storica nella ripartizione del fondo perequativo introdotto con il “federalismo fiscale”. Con il crescere della quota ripartita in base ai cosiddetti ‘parametri obiettivi’ le regioni con bassa capacità fiscale, più massicciamente dipendenti dall’ammontare della ‘perequazione’, avrebbero progressivamente perso parte dei trasferimenti che erano loro assicurati dalla invarianza della copertura della spesa storica: poco più che 98 milioni di euro nell’anno 2002, con la prima applicazione e la quota limitata al 5%; già 152 milioni di euro nell’anno successivo, quando la quota da ripartire secondo i parametri obiettivi sarebbe salita al 10%. A partire dal 2004 e sino al 2013 quella quota sarebbe aumentata del 9% annuo (19%, 28%, 37%, rispettivamente negli anni 2004, 2005 e 2006) raggiungendo nell’anno 2013 la quota massima del 100%. Nel 2013 la ‘spesa storica’ sarebbe divenuta una voce ‘per memoria’ ed il finanziamento del fabbisogno sanitario di ciascuna regione sarebbe stato assicurato integralmente secondo i ‘parametri obiettivi’. In questi la correzione della capacità fiscale effettuata fino al 90% (tramite il parametro «ß», o «coefficiente di solidarietà») avrebbe garantito la quasi totale perequazione delle basi imponibili, lasciando soltanto il 10% dello sforzo fiscale di ciascuna regione come riconoscimento ad ognuna dell’apporto di quel territorio alla solidarietà generale.

Il calcolo che deriva dalla applicazione dei ‘parametri obiettivi’ consente alle regioni che hanno basi imponibili più consistenti di recuperare parte della propria capacità fiscale ma riduce corrispettivamente e per il medesimo importo la perequazione assicurata alle altre. Questa impostazione è stato particolarmente contestato dalle regioni meridionali che avrebbero subito la maggior parte delle decurtazioni.

Le regioni Campania e Puglia hanno dunque impugnato il decreto; il Governo ha sospeso l’efficacia di quella ripartizione.

L’ulteriore passo è stato compiuto dalla Conferenza dei Presidenti delle regioni che ha avviato la definizione di una propria proposta in base alla quale ‘chiudere’ il periodo 2002-2005 e porre le basi per definire nuovi criteri della perequazione che sostengano in modo adeguato ed accettato una nuova disciplina del ‘federalismo fiscale’.

L’intesa raggiunta dalle regioni è stata formalizzata in un documento[2] che reca proposte operative per la ripartizione dei finanziamenti relativi agli anni 2002-2005; esso non reca indicazioni per gli esercizi successivi, ma i parametri proposti sono suscettibili di essere applicati anche per gli anni successivi se nel frattempo non sia raggiunto un diverso assetto del federalismo fiscale.

In primo luogo il documento della Conferenza delle regioni conferma le critiche ripetutamente mosse al DPCM 14 maggio 2004, perché «non pienamente rispettoso degli intendimenti e a volte addirittura della lettera del decreto» n. 56/2000 e perché, comunque, l’applicazione del federalismo fiscale intesa secondo le modalità cui si è rifatto il DPCM contestato produce «effetti eccessivi in termini di distribuzione delle risorse rispetto allo status quo». Per questa via talune regioni non sono più in grado di sostenere finanziariamente la spesa sanitaria.

Le proposte (richieste) avanzate in quel documento sono state tradotte in un accordo Stato-regioni, di fatto recepito, nei suoi punti principali, dalla legge finanziaria per il 2006 (legge n. 266/2005: art. 1, comma 320 e ss.)

Nella determinazione delle somme spettanti ogni anno a ciascuna regione il parametro della spesa storica decresce più gradualmente che secondo l’originaria curva del decreto legislativo n. 56/2000 e, congiuntamente, la quota di risorse che è ripartita secondo i cosiddetti ‘parametri obiettivi’ può crescere non oltre il valore nominale della cifra determinata per l’anno 2002. In particolare:

§      per l’anno 2002 la «quota di incidenza della spesa storica» (art. 7, comma 3, D.Lgs. n. 56/2000) è ridotta del 5% (come era originariamente, e secondo il DPCM 14 maggio 2004);

§      per gli anni 2003, 2004 e 2005 l’incidenza della spesa storica è ulteriormente ridotta dell’1,5% annuo. In termini cumulativi la riduzione ammonta, rispettivamente, al 6,5%, 8% e 9,5%, nella successione dei tre anni;

§      in ogni caso, dall’anno 2003 e sino alla entrata in vigore delle leggi di attuazione dell’articolo 119 della Costituzione (c.d. nuovo federalismo fiscale), la quota di finanziamento che è ripartita secondo i parametri di Tabella “A”, ferma la misura dell’1,5%, non potrà crescere più di 98 milioni di euro all’anno; quanto cioè stabilito per l’anno 2002.

Per ottenere questi risultati senza intervenire direttamente sulla complessa formula di ripartizione scritta nell’allegato “A” del decreto legislativo n. 56, quel testo viene temporaneamente ‘delegificato’; il Governo adatta quei parametri in modo da rispettare somme e limiti indicati dalla legge. Per soddisfare integralmente la richiesta di ‘sterilizzazione’ del decreto legislativo n. 56/2000, viene inoltre fissato un limite all’incremento annuo allo scostamento fra ammontare dei trasferimenti soppressi e totale delle somme assegnate dalla ripartizione effettuata ai sensi dell’articolo 7 del decreto legislativo 56/2000.

La legge finanziaria 2006 sospende infine anche l’efficacia delle disposizioni che nel decreto legislativo n. 56/2000 prevedono la determinazione e la rideterminazione successiva delle aliquote di compartecipazione regionale al gettito dell’IVA, dell’addizionale regionale all’Irpef e all’accisa sulle benzine.

 



[1]    Così Giarda P., in “L’esperienza italiana di federalismo fiscale. Una rivisitazione del decreto legislativo 56/2000”, p. 21, ma più ampiamente, pp. 16-26.

[2]    Il c.d. “Documento di Santa Trada”, dal nome della località in cui è stato approvato.