Regole per il ricorso all’indebitamento

A seguito della riforma del Titolo V della Costituzione, nel corso della XIV legislatura è sorta l’esigenza di precisare il regime di applicazione della normativa in materia indebitamento da parte di regioni ed enti locali, in considerazione del fatto che l’articolo 119, comma 6, della Costituzione prevede che le regioni, i comuni, le province e le città metropolitane possono ricorrere all’indebitamento solo per finanziare spese di investimento. La norma esclude altresì ogni garanzia dello Stato sui prestiti da essi contratti.

 

La costituzionalizzazione del principio del ricorso all’indebitamento esclusivamente per il finanziamento di investimenti ha infatti condizionato l’applicazione della normativa vigente in materia, che, pur riconoscendo tale principio (art. 10, comma 2, l. n. 281/70 per le Regioni e art. 202 del Testo unico dell’ordinamento degli enti locali - TUEL, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267) ammetteva diverse deroghe.

Le regioni sono state autorizzate a più riprese a contrarre mutui per il ripiano dei disavanzi sanitari e gli enti locali sono stati autorizzati a contrarli per il ripiano dei disavanzi di esercizio delle aziende di trasporto pubblico locale.

Per ciò che concerne specificamente gli enti locali, l’articolo 202 del TUEL, da un lato stabilisce che il ricorso all'indebitamento è ammesso “esclusivamente nelle forme previste dalle leggi vigenti in materia e per la realizzazione degli investimenti”, dall’altro prevede che gli enti locali possano ricorrere a mutui passivi anche per il finanziamento dei debiti fuori bilancio e per altre destinazioni di legge. Gli enti locali in condizioni di dissesto finanziario sono inoltre autorizzati, dalle disposizioni del Titolo VIII del TUEL, a contrarre mutui con la Cassa Depositi e prestiti per ripianare i debiti pregressi, con la contribuzione statale sul relativo onere.

 

La legge finanziaria per il 2002 (legge n. 448/2001) ha introdotto delle disposizioni volte a risolvere alcune problematiche specifiche, sorte in seguito alla riforma del Titolo V della Costituzione.

In particolare, l’articolo 27, comma 14, della legge n. 448/2001 è intervenuto a precisare il regime di applicazione delle disposizioni che disciplinano l’assunzione di mutui da parte delle regioni e degli enti locali per il ripiano dei disavanzi delle aziende di trasporto pubblico locale e per il finanziamento degli oneri derivanti dai contratti di servizio stipulati con le aziende suddette.

Ai sensi del nuovo articolo 119 della Costituzione, che consente il ricorso all’indebitamento solo per finanziare spese di investimento, è da considerarsi preclusa la possibilità per gli enti territoriali di emettere titoli di debito o contrarre mutui al fine di reperire il finanziamento per spese di natura corrente, quali si configurano, nel caso specifico, gli oneri relativi alla gestione del servizio di trasporto pubblico regionale e locale e i disavanzi che ne sono derivati.

La norma citata ha disposto che, nei casi in cui disposizioni legislative abbiano autorizzato regioni e enti locali a contrarre mutui per il ripiano dei disavanzi delle aziende di trasporto pubblico locale, detta facoltà possa essere esercitata limitatamente ai disavanzi relativi agli esercizi 2000 e precedenti (ovvero a oneri derivanti da contratti di servizio stipulati entro la data del 31 ottobre 2001). L’assunzione di mutui, cioè, deve essere finalizzata a finanziare oneri maturati in esercizi anteriori alla modifica della Costituzione, vale a dire oneri già sussistenti e accertati al momento in cui detta modifica è intervenuta.

La disciplina della facoltà di ricorrere a mutui per il finanziamento di spese correnti è affrontata anche nel successivo articolo 41, comma 4, della legge n. 448/2001, volto a precisare il regime di applicazione dell’articolo 194, comma 3, del testo unico degli enti locali, che autorizza la contrazione di mutui per la copertura dei debiti fuori bilancio.

Anche in questo caso, la possibilità di ricorrere alla contrazione di mutui per il finanziamento di spese di parte corrente derivanti dalla copertura dei debiti fuori bilancio è limitata soltanto a quelli maturati anteriormente alla data di entrata in vigore della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, recante modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione.

 

Successivamente, con la legge finanziaria per il 2003 è stata introdotta una disposizione di carattere più generale, che stabilisce la nullità degli atti e dei contratti di indebitamento degli enti locali e delle regioni per il finanziamento di spese diverse da quelle d’investimento, in violazione quindi dell’articolo 119 della Costituzione(articolo 30, comma 15, legge n. 289/2002).

Per quanto riguarda, in particolare, la situazione degli enti locali dissestati, il successivo articolo 31, comma 15, della legge n. 289/2002, come da ultimo riformulato dall’articolo 5 del D.L. n. 80 del 2004 (Disposizioni urgenti in materia di enti locali) ha disposto la disapplicazione delle disposizioni del Titolo VIII della parte II del T.U.E.L., che autorizzano l'assunzione di mutui per il risanamento dell'ente locale dissestato.

Più precisamente, la norma dispone la non applicazione delle norme del Testo unico relative all’assunzione di mutui per il risanamento degli enti dissestati, comprese quelle che prevedono l’impegno statale alla contribuzione sui relativi oneri di ammortamento, nei confronti degli enti locali che abbiano dichiarato il dissesto dopo la data di entrata in vigore della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3.

Resta comunque ferma la facoltà per tali enti, in conformità con il dettato dell’articolo 119 della Costituzione, di assumere mutui senza oneri a carico dello Stato per il finanziamento di passività correlate a spese di investimento; ovvero, per il ripiano di passività correlate a spese correnti, limitatamente alla copertura di debiti maturati anteriormente alla data di entrata in vigore della citata legge n. 3/2001, come disposto dall’articolo 41, comma 4, della legge n. 488/2001.

 

Al fine di dare interpretazione ed attuazione alla norma recata dall’articolo 119 della Costituzione, con la legge finanziaria per il 2004 (articolo 3, commi 16-21, legge n. 350/2003) sono state definite le regole per il ricorso all’indebitamento da parte delle regioni e degli enti locali, individuando, specificamente, le operazioni che costituiscono indebitamento per regioni ed enti locali agli effetti dell’applicazione dell’articolo 119, sesto comma, della Costituzione, e quali quelle che rappresentano investimenti.

La normativa trova applicazione nei confronti delle regioni a statuto ordinario, comuni, province, città metropolitane, comunità montane, comunità isolane e unioni di comuni. Rientrano nell’ambito soggettivo di applicazione della norma anche le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e Bolzano.

 

Essa si applica, inoltre, ai consorzi ai quali partecipano enti locali e alle aziende e organismi i cui rendiconti devono essere allegati al bilancio di previsione dell’ente locale, quali le aziende speciali e le istituzioni.

Sono invece escluse dall’applicazione le società di capitali costituite per l’esercizio di servizi pubblici, in considerazione del fatto che la loro gestione economica e finanziaria è retta dalla disciplina di carattere privatistico.

E’ demandata a leggi regionali la disciplina delle modalità e condizioni di indebitamento delle aziende sanitarie e ospedaliere e degli enti e organismi, in qualunque forma costituiti, dipendenti dalle regioni. Anche con riferimento a questi enti, comunque, la disciplina regionale dovrà prevedere la possibilità di ricorso all’indebitamento solo per finanziare spese di investimento.

 

Va segnalato che la normativa in questione non fornisce una definizione generale di indebitamento, ma indica, specificamente, le operazioni che si configurano come tali.

Costituiscono operazioni di indebitamento, ai sensi del comma 17 dell’art. 3 della legge n. 350/2003:

§         l’assunzione di mutui;

§         l’emissione di prestiti obbligazionari;

§         le operazioni di cartolarizzazione[1], nel caso in cui sussista almeno una delle seguenti condizioni:

a)      cartolarizzazione di flussi futuri di entrata non collegati ad una attività patrimoniale preesistente;

b)      cartolarizzazioni con corrispettivo iniziale inferiore all’85% del prezzo di mercato dell’attività oggetto di cartolarizzazione;

c)      cartolarizzazioni accompagnate da garanzie fornite dalle amministrazioni pubbliche;

d)      cartolarizzazioni di crediti vantati verso altre amministrazioni pubbliche;

§         cessioni di crediti vantati verso altre amministrazioni pubbliche.

 

La normativa precisa che non costituiscono indebitamento le operazioni che comunque non comportano risorse aggiuntive.

 

A tal fine vengono indicati due requisiti volti ad individuare le operazioni di questo tipo.

Il primo riguarda le operazioni finalizzate a superare una momentanea carenza di liquidità; in tal caso l’elemento qualificante pare doversi individuare nella brevità del termine entro cui saranno restituite le risorse acquisite con l’operazione di finanziamento.

Il secondo si riferisce alle operazioni che permettono di effettuare spese per le quali è in ogni caso prevista in bilancio un’adeguata copertura finanziaria. Il profilo decisivo qui pare essere dato dalla certezza di risorse stanziate in bilancio o comunque affluenti al bilancio dell’ente e destinate a far fronte alla spesa per la quale viene assunto il finanziamento. Quest’ultimo, pertanto, si configura come una mera anticipazione.

 

Le operazioni di indebitamento sono ammissibili soltanto per finanziare operazioni che possono essere qualificate come investimenti.

Costituiscono investimenti, ai sensi del comma 18:

§         l’acquisto, la costruzione, la ristrutturazione e la manutenzione straordinaria di fabbricati residenziali e non residenziali;

§         la costruzione, la demolizione, la ristrutturazione, il recupero e la manutenzione straordinaria di opere e impianti;

§         l’acquisto di impianti, macchinari, attrezzature tecnico-scientifiche, mezzi di trasporto e altri beni mobili ad utilizzazione pluriennale;

§         gli oneri per beni immateriali ad utilizzo pluriennale.

Nell’ambito della disciplina fiscale relativa al loro ammortamento, l’articolo 103 del TUIR, di cui al DPR n. 917/1986, indica come beni immateriali i diritti di utilizzazione di opere dell’ingegno, dei brevetti industriali, dei processi, formule e informazioni relativi ad esperienze acquisite in campo industriale, commerciale o scientifico;

§         l’acquisizione di aree, anche attraverso esproprio, e la costituzione di servitù onerose;

§         le partecipazioni azionarie e i conferimenti di capitale, rispetto ai quali sono fatti salvi i limiti previsti dagli ordinamenti degli enti interessati;

§         i trasferimenti in conto capitale, nel caso in cui siano destinati alla realizzazione di investimenti da parte di un altro soggetto appartenente al settore delle amministrazioni pubbliche;

§         i trasferimenti in conto capitale, se destinati a soggetti concessionari di lavori pubblici ovvero a soggetti operanti nel settore dei servizi pubblici (in quanto proprietari o gestori della rete o erogatori del servizio), a condizione che sia prevista la retrocessione degli investimenti all’ente committente; è compreso in questa tipologia di investimenti anche il finanziamento del soggetto concessionario di cui all’articolo 19, comma 2, della legge n. 109/94[2];

§         gli interventi contenuti in programmi generali relativi a piani urbanistici attuativi ed esecutivi, dichiarati di preminente interesse regionale, aventi finalità pubblica e volti al recupero e alla valorizzazione del territorio[3].

 

L’individuazione delle tipologie di operazioni che rappresentano investimenti è stata oggetto di critiche da parte delle regioni, in quanto ritenuta restrittiva rispetto al complesso delle spese per investimenti finanziata nei bilanci degli enti interessati. Al riguardo le regioni hanno osservato che la norma costituzionale non è rivolta ad una puntuale individuazione delle tipologie di interventi che costituiscono investimento, ma alla finalità generale di escludere il ricorso all’indebitamento per finanziare la spesa corrente.

Più specificamente, inoltre, le regioni lamentavano la mancata inclusione, nella definizione delle operazioni di investimento, dei trasferimenti per la realizzazione di investimenti in favore di soggetti diversi dalle Amministrazioni pubbliche. In sostanza, per effetto della disciplina introdotta dalla finanziaria per il 2004, non risultavano più finanziabili mediante ricorso all’indebitamento, tutte le spese relative a contributi in conto capitale in favore delle imprese e delle famiglie.

In risposta alle esigenze rilevate dalle regioni, con il D.L. n. 168/2004 (legge n. 191/2004) la normativa è stata integrata prevedendo alcune deroghe alle tipologie indicate al comma 18, per quanto concerne il finanziamento dei contributi agli investimenti a privati, entro tuttavia precisi limiti.

Si tratta in particolare dei contributi:

§         corrispondenti ad impegni assunti al 31 dicembre 2003, derivanti da obbligazioni giuridicamente perfezionate e già finanziati con ricorso all’indebitamento (risultanti in un apposito prospetto alla legge di assestamento del bilancio 2004);

§         corrispondenti ad impegni assunti nel corso dell’anno 2004, derivanti da obbligazioni giuridicamente perfezionate (risultanti dalla elencazione effettuata nei prospetti dei mutui autorizzati alla data di approvazione della legge di bilancio per l’anno 2004), escludendo ogni successiva variazione in aumento.

 

Va ricordato, infine, che il comma 19 dell’articolo 3 della legge n. 350/2003 vieta il ricorso all’indebitamento per finanziare conferimenti volti alla ricapitalizzazione di aziende o società finalizzata al ripiano di perdite. In quest’ipotesi, infatti, nonostante che l’intervento dell’ente locale assuma la forma del conferimento, esso sostanzialmente rappresenta un finanziamento a ripiano di perdite di gestione.

In proposito, specifici compiti di controllo sono affidati all’ente finanziatore, che è tenuto ad acquisire l’individuazione specifica dell’investimento da finanziare e l’indicazione che l’ultimo bilancio dell’azienda o della società partecipata non presenta una perdita di esercizio.

 

Le norme fin qui descritte, introdotte dalla legge finanziaria per il 2004, demandavano peraltro ad un decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, da adottare sentito l’ISTAT, la possibilità di modificare le tipologie di indebitamento e di investimento ivi individuate, precisando che, in ogni caso, tali variazioni dovranno conformarsi ai criteri contabili stabiliti, in ambito europeo, con riferimento al sistema europeo di contabilità nazionale (comma 20).

 

Le disposizioni introdotte dalla legge finanziaria per il 2004 sono state oggetto di ricorso presso la Corte costituzionale da parte di diverse regioni (ricorso della regione Sicilia n. 28 del 2004, ricorso della regione Sardegna n. 29 del 2004, ricorso della regione Marche n. 31 del 2004, ricorso della regione Toscana n. 32 del 2004, ricorso della regione Emilia Romagna n. 33 del 2004, ricorso della regione Umbria n. 34 del 2004, ricorso della provincia di Trento n. 35 del 2004, ricorso della regione Campania n. 37 del 2004).

Sono state tuttavia dichiarate infondate le censure sollevate in relazione ai commi 17 e 18 dell'art. 3 della legge n. 350/2003 relativamente al presupposto che spetti alla Regione, e non allo Stato, il potere di definire le nozioni di indebitamento e di investimento ai fini dell'attuazione del vincolo espresso nell'art. 119 Cost., sesto comma.

Tuttavia, con la sentenza 16-29 dicembre 2004, n. 425, la Corte costituzionale ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell’ultimo periodo del comma 17 e del comma 20 là dove attribuiscono al Ministro dell'economia e delle finanze, sentito l'ISTAT, il potere di disporre con proprio decreto modifiche alle tipologie di "indebitamento" e di "investimenti", come individuati dalla legge n. 350/2003, ai fini di cui all'art. 119 Cost., sesto comma.

 



[1]     La cartolarizzazione è una tecnica finanziaria che ha la funzione di consentire la conversione di crediti o altre attività non agevolmente negoziabili in strumenti finanziari più facilmente collocabili sui mercati. In particolare, le attività (assets) sono trasferite dal soggetto proprietario ad una o più società (c.d. società veicolo), di solito appositamente costituite, che finanziano l'acquisto delle medesime attività attraverso l’emissione di titoli o mediante finanziamenti acquisiti da terzi. Il rimborso dei titoli e dei finanziamenti è effettuato sulla base dei proventi derivanti dalla vendita delle suddette attività. Le società veicolo versano l'importo raccolto con tali operazioni, a titolo di prezzo iniziale, agli enti cedenti.

Dopo che sono state concluse le operazioni di riscossione dei crediti o di vendita delle attività oggetto di cartolarizzazione, la società veicolo corrisponde alla amministrazione pubblica, come prezzo differito, la differenza tra il ricavo netto derivante dalla gestione degli assets cartolarizzati e quanto inizialmente versato per il rimborso dei titoli e per le spese connesse. Il versamento del prezzo differito avrà luogo soltanto se la differenza sarà positiva, vale a dire soltanto se il ricavato dalla vendita delle attività supererà i costi del rimborso dei titoli o del finanziamento.

[2]     Ai sensi dell’art. 19, comma 2, della legge 109/1994, le concessioni di lavori pubblici sono contratti conclusi in forma scritta fra un imprenditore ed una amministrazione aggiudicatrice, aventi ad oggetto la progettazione definitiva, la progettazione esecutiva e l'esecuzione dei lavori pubblici, o di pubblica utilità, e di lavori ad essi strutturalmente e direttamente collegati, nonché la loro gestione funzionale ed economica. La controprestazione a favore del concessionario consiste unicamente nel diritto di gestire funzionalmente e di sfruttare economicamente tutti i lavori realizzati. Qualora necessario il soggetto concedente assicura al concessionario il perseguimento dell'equilibrio economico-finanziario degli investimenti e della connessa gestione in relazione alla qualità del servizio da prestare, anche mediante un prezzo, stabilito in sede di gara.

[3]     I piani attuativi ed esecutivi sono strumenti con cui si attuano le previsioni urbanistiche del piano regolatore generale (P.R.G.). Il P.R.G. può, infatti, trovare applicazione in modo diretto ovvero attraverso i piani attuativi ed esecutivi, nei casi previsti e sulle aree individuate dal P.R.G. Stante la natura di piani sottordinati al P.R.G., i piani attuativi ed esecutivi possono operare solo nell’ambito delle prescrizioni dello stesso P.R.G. e non possono mai contrastare con esso.

In origine i piani attuativi ed esecutivi previsti dalla legge urbanistica n. 1150/42 erano i piani particolareggiati di esecuzione (P.P.E.); successivamente sono state introdotte alcune figure di piani esecutivi tra cui si annoverano: i piani di zona (P.Z.), i piani per gli insediamenti produttivi (P.I.P.), i piani di recupero (P.R.). La legislazione regionale ha poi disciplinato la pianificazione attuativa introducendo alcuni tipi di piani identificati con termini differenti da regione a regione.