Nell’ambito delle disposizioni che disciplinano il
finanziamento delle spese di investimento degli enti
locali, contenute nel Testo Unico delle leggi sull’ordinamento degli enti
locali, di cui al D.Lgs. n. 267/2000, l’articolo 205
autorizza gli enti locali a contrarre prestiti
obbligazionari nelle forme consentite dalla legge.
La disciplina relativa alla emissione di titoli obbligazionari da parte
di enti territoriali, originariamente dettata dall’articolo 35 della legge
23 dicembre 1994, n. 724 (provvedimento collegato alla legge finanziaria per il
1995), è stata notevolmente integrata nel corso della XIV legislatura, a
partire dalla legge finanziaria per il 2002, che con l’articolo 41 ha introdotto
una serie di misure volte a garantire l'efficienza e la flessibilità degli
strumenti di finanziamento degli enti territoriali sul mercato dei capitali,
allo scopo di minimizzare il costo del debito e contenere l'esposizione ai
rischi finanziari.
Si ricorda che le disposizioni che disciplinano le
caratteristiche dei titoli
obbligazionari, i criteri e le procedure che gli enti emittenti sono tenuti
ad osservare per la raccolta del risparmio[1],
nonché l'ammontare delle commissioni di collocamento
da corrispondere agli intermediari autorizzati e i criteri di quotazione sul
mercato secondario sono contenute nell’articolo 35 della legge n. 724/1994, e
nel relativo regolamento di attuazione (D.M. tesoro 5 luglio 1996, n. 420).
La disciplina, in sostanza, consente a regioni, province,
comuni e unioni di comuni[2],
città metropolitane, comunità montane e consorzi tra enti locali di deliberare
l'emissione di prestiti obbligazionari destinati in via esclusiva al
finanziamento degli investimenti[3].
È esplicitamente previsto il divieto di finanziare spese di parte corrente.
Poiché l’elenco annuale delle opere pubbliche che s’intende realizzare
dev’essere accompagnato dai progetti preliminari (articolo 14 della legge n.
109/1994), l’emissione del prestito obbligazionario
può essere effettuata sia relativamente ad una singola opera, sia riguardo
all’intero piano annuale.
Per quanto riguarda le regioni, la legge n. 724/1994 rinvia
alla disciplina contenuta nell'articolo 10 della legge 16 maggio 1970, n. 281,
in base alla quale la facoltà di emettere titoli obbligazionari dev’essere
esercitata mediante apposita legge regionale di
autorizzazione entro precisi limiti quantitativi e contabili[4].
Occorre sottolineare che la legge
n. 724/1994 ha inteso l’emissione di prestiti obbligazionari quale forma
alternativa all’accensione di mutui per il finanziamento degli investimenti;
l’emissione è quindi subordinata a condizioni che risultano in larga parte
coincidenti con quelle previste per l’assunzione dei mutui, con particolare riferimento
alla necessità di bilanci solidi, al limite di indebitamento, alla garanzia, al
piano di ammortamento finanziario e all’utilizzazione del ricavato del
prestito. Più precisamente, l'emissione è subordinata alle seguenti condizioni:
§ che gli enti locali non si trovino in situazione di dissesto
o strutturalmente deficitaria[5];
§ che dal conto consuntivo del penultimo esercizio non risulti
un disavanzo di amministrazione;
§ che sia stato deliberato il bilancio di previsione
dell'esercizio in cui è prevista l'emissione del prestito;
§ che le regioni non abbiano proceduto al ripiano di disavanzi
di amministrazione ai sensi dell'articolo 20 del D.L. 18 gennaio 1993, n. 8
(legge 19 marzo 1993, n. 68).
È inoltre stabilito che il valore di mercato degli
investimenti dev’essere pari all'ammontare del prestito e che gli interessi
concorrono alla determinazione del limite d’indebitamento stabilito dalla
normativa vigente per le rispettive tipologie di enti
emittenti.
Il prestito deve essere pari al valore del progetto esecutivo
cui fa riferimento; ove concorrano altre fonti di finanziamento, l’emissione
obbligazionaria può essere effettuata soltanto per la
quota non coperta.
La durata del
prestito obbligazionario non può essere inferiore a 5 anni né, nel caso di unione di comuni o consorzi fra enti locali, successiva
alla prevista data di scioglimento dell'unione. In caso di fusione di comuni,
il complesso dei rapporti giuridici derivanti dall'emissione del prestito è
trasferito al nuovo ente.
Le caratteristiche
dei titoli obbligazionari emessi dagli enti locali sono:
§ obbligazioni convertibili o con warrant in azioni di società possedute dall’ente;
§ cedola fissa o variabile con cadenza trimestrale, semestrale
o annuale;
§ rendimento effettivo lordo del prestito per i sottoscrittori
non superiore al rendimento lordo dei titoli di Stato di pari durata,
maggiorato di un punto percentuale.
L’emissione dei
titoli obbligazionari dev’essere deliberata dal Consiglio dell’ente; la
delibera deve contenere tutti gli elementi relativi all’emissione
stessa: importo, durata, cedola, modalità di rimborso, piano di ammortamento,
investimento correlato. È previsto, inoltre, che i titoli debbano essere emessi
al portatore, che siano stanziabili in anticipazione presso la Banca d'Italia e
che possano essere ricevuti in pegno per anticipazioni da tutti gli enti
creditizi. Alle emissioni obbligazionarie si applicano le norme sulla gestione
cartolare dei BOT. Le emissioni sono sottoposte al benestare preventivo della
Banca d'Italia nei limiti fissati dall'articolo 129 del D.Lgs.
1° settembre 1993, n. 385.
I titoli obbligazionari possono essere quotati sui mercati
regolamentati ed essere riacquistati dall'ente emittente esclusivamente con
mezzi provenienti da economie di bilancio. L’estinzione anticipata del prestito
obbligazionario potrà avvenire esclusivamente utilizzando il ricavato di alienazioni di beni patrimoniali disponibili.
Relativamente alle emissioni in
valuta, l’articolo 2 del D.M. n. 420/1996 prescrive la copertura del rischio di
cambio mediante una corrispondente operazione di swap che trasformi, per l'emittente, l'obbligazione in valuta
estera in un'obbligazione in valuta nazionale, senza
introdurre elementi di rischio. L'operazione dovrà essere effettuata
da intermediari di provata affidabilità ed esperienza nel settore, con
riferimento anche alla valutazione loro assegnata dalle maggiori agenzie di rating.
Sulla disciplina relativa alla emissione di titoli obbligazionari da parte
di enti territoriali è intervenuto l'articolo 41 della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (legge finanziaria
per il 2002) che, al fine di contenere il costo dell’indebitamento e di
consentire la vigilanza sugli andamenti della finanza pubblica, ha conferito al
Ministero dell'economia e delle finanze una
funzione generale di coordinamento con
riferimento all'accesso al mercato dei capitali degli enti territoriali (regioni province, comuni, unioni di comuni,
città metropolitane, comunità montane e comunità isolane, consorzi tra enti
territoriali).
La disposizione contiene inoltre l’espresso riferimento a
strumenti finanziari derivati, il cui impiego viene
così ad essere previsto nella finanza degli enti locali.
La norma ha ricevuto attuazione con il decreto dei Ministri dell’economia e delle finanze e dell’interno 1°
dicembre 2003, n. 389, con il quale è stato
emanato il regolamento concernente l'accesso al mercato dei capitali da parte
degli enti territoriali.
Ulteriori precisazioni sono state
ulteriormente fornite dal Ministero dell’economia e delle finanze mediante la
circolare 27 maggio 2004.
In particolare, la circolare ha chiarito che sono sottoposte
all’applicazione delle norme del regolamento soltanto le operazioni derivate
effettuate e gli ammortamenti costituiti dagli enti territoriali successivamente alla data della sua entrata in vigore (4
febbraio 2004).
Ai fini dello svolgimento della funzione di coordinamento da parte del Ministero
dell’economia, il regolamento prevede che gli enti territoriali comunichino,
entro il giorno 15 dei mesi di febbraio, maggio, agosto e novembre di ogni anno, al Dipartimento del Tesoro del Ministero
dell'economia e delle finanze i dati relativi all'utilizzo netto di forme di
credito a breve termine presso il sistema bancario, ai mutui accesi con
soggetti esterni alla pubblica amministrazione, alle operazioni derivate
concluse e ai titoli obbligazionari emessi nonché alle operazioni di
cartolarizzazione concluse.
Il coordinamento
dell'accesso dei predetti enti ai mercati dei capitali è svolto dal
Ministero dell’economia e finanze limitatamente alle operazioni di finanziamento a medio e lungo termine o di cartolarizzazione di importo
pari o superiore a 100 milioni di euro.
A tal fine, gli enti comunicano le caratteristiche
dell'operazione in preparazione al Dipartimento del Tesoro, che entro dieci
giorni può indicare, con determinazione motivata, il momento più opportuno per
l'attuazione dell'operazione.
In mancanza, l'operazione potrà essere conclusa entro
venti giorni dalla conferma della ricezione della comunicazione, nei casi di
emissioni obbligazionarie eseguite sul mercato, e nei termini indicati dagli
enti in tutti gli altri casi. Restano escluse dalla comunicazione preventiva le
operazioni di provvista con oneri a carico del bilancio dello
Stato, per le quali si applicano le specifiche disposizioni di legge.
Nel caso di operazioni soggette al controllo del Comitato interministeriale
per il credito e il risparmio (CICR), gli emittenti invieranno i dati
simultaneamente al Dipartimento del Tesoro e al CICR, e l'eventuale formulazione
di osservazioni da parte del Dipartimento del Tesoro dovrà avere luogo prima
dell'autorizzazione rilasciata dal CICR.
Come precisato nella circolare del 27
maggio 2004, il criterio dell'attività di coordinamento dell'accesso al mercato
svolta dal Ministero è stato individuato nella finalità di evitare la
sovrapposizione di più soggetti pubblici sullo stesso segmento di mercato in un
ristretto arco temporale, che potrebbe andare a detrimento delle condizioni di
finanziamento.
Con il citato articolo 41 della
legge n. 448/2001 è stata inoltre modificata
la disciplina dell'emissione di titoli obbligazionari e della contrazione
di mutui da parte degli enti territoriali, al fine di rimuovere alcuni vincoli che sembravano aver condizionato
l'utilizzazione di tali strumenti di finanziamento[6].
In particolare, il comma 2 – diversamente da quanto indicato
dalla legislazione precedente, informata ad un sistema di ammortamento
con rimborso graduale di quote di capitale e interessi – ha previsto la
possibilità di emettere titoli
obbligazionari e di contrarre mutui con rimborso in un'unica soluzione alla scadenza (c.d. struttura bullet).
In questo caso l’ente territoriale, al momento
dell'emissione o dell'accensione, dovrà costituire un fondo di ammortamento del debito (sinking fund) reinvestibile, ovvero
concludere operazioni di swap per l'ammortamento del debito (amortizing swap), in base alle quali
l'ente s’impegna a pagare rate di ammortamento e la controparte a corrispondere
rate d’interesse più il capitale alla scadenza.
Tale disciplina è stata recentemente modificata dalla legge
finanziaria per il 2005 (legge n. 311/2004, comma 70),
la quale, attraverso una novella all'articolo 41, comma 2, primo periodo, della
legge n. 448/2001, ha eliminato la
possibilità per gli enti locali di poter contrarre
mutui con rimborso del capitale in unica soluzione alla scadenza (comma 70,
legge n. 311/2004).
Di conseguenza, gli enti locali potranno d’ora innanzi
contrarre mutui che prevedano esclusivamente il
tradizionale sistema di ammortamento con rimborso graduale di quote di capitale
e interessi
Resta pertanto ferma la sola facoltà, per gli enti locali,
di emettere titoli obbligazionari con rimborso in un'unica soluzione alla
scadenza.
Per quanto concerne, in particolare, la gestione del fondo di ammortamento del debito, la legge finanziaria per il 2005
(comma 69, legge n. 311/2004) ha integrato la disciplina prevedendo la facoltà
per gli enti locali di affidare la
gestione del fondo di ammortamento del debito previsto dall'articolo 41,
comma 2, della legge n. 448/2001 a
istituti di credito diversi dal tesoriere. Per la gestione di tale fondo,
pertanto, non si applica il principio di accentramento
di ogni deposito presso il tesoriere, stabilito dagli articoli 209, comma 3, e 211,
comma 2, del T.U. delle leggi sugli enti locali, di cui al D.Lgs. n. 267/2000.
In sostanza, la disposizione è volta a consentire agli enti
locali di costituire fondi di ammortamento presso
istituti o intermediari diversi dalle banche che svolgono il servizio di
tesoreria, le quali, specialmente se di piccola dimensione, possono non
presentare i requisiti di elevata professionalità e specializzazione richiesti
dalle operazioni in questione.
In proposito, il Ministro
dell’economia e delle finanze, nel corso dell’audizione tenuta il 21
luglio 2004 dinanzi alla Commissione Programmazione economica e bilancio
del Senato della Repubblica, in tema
di “Effetti e tecniche di controllo dei flussi di finanza pubblica in ordine all’andamento del debito con particolare
riferimento alla componente non statale”, aveva evidenziato, quale elemento di
criticità, che secondo l’attuale normativa che regola i rapporti fra gli enti
locali e i loro tesorieri, con particolare riferimento all’articolo 221 del
Testo Unico degli enti locali, non è possibile costituire fondi di ammortamento
presso istituti o intermediari diversi dalle banche tesoriere[7].
In relazione a ciò, il Ministro
faceva notare che tale divieto costituisce un elemento ostativo
all’applicazione di quanto disposto dall’articolo 2 del regolamento n.
389/2003, “in quanto la corretta e prudenziale gestione di tali fondi richiede
un livello estremamente elevato di conoscenza finanziaria e capacità gestionale
da parte degli intermediari, requisiti che non sempre le banche che svolgono il
servizio di tesoreria soddisfano. Si configura così un conflitto tra i princìpi
che ispirano la norma sul fondo di ammortamento e gli
obblighi di tesoreria degli enti che, di fatto, impedisce la costituzione di
tali fondi”. Concludeva perciò il Ministro segnalando
l’opportunità di trovare una sede legislativa adeguata per introdurre una deroga specifica alle norme sulla tesoreria,
in grado di rimediare a tale situazione conflittuale, sede che si ritrova
appunto nella disposizione introdotta dal comma 69 della legge n. 311/2004.
Relativamente alla gestione del
fondo di ammortamento, l’articolo 2 del regolamento di cui al D.M. n. 389/2003,
dispone che i contratti relativi alla gestione di un fondo per l'ammortamento del
capitale da rimborsare o, alternativamente, per la conclusione di uno swap per l'ammortamento del debito
possono essere conclusi soltanto con intermediari
contraddistinti da adeguato merito di credito, così come certificato da
agenzie di rating riconosciute a
livello internazionale.
Per i criteri d’individuazione
degli intermediari con i quali è ammissibile concludere
i contratti relativi alla gestione di un fondo o allo swap per l'ammortamento del debito, la circolare del 27 maggio 2004
precisa che il merito di credito (rating) dev’essere certificato dalle
agenzie riconosciute a livello internazionale, indicando attualmente: Standard
& Poor's, Moody's e Fitch Ratings.
Nel caso in cui i rating
attribuiti dalle agenzie siano difformi tra loro,
si deve prendere in considerazione quello più basso. Il «rating adeguato» della
controparte non dovrebbe essere inferiore a BBB/Baa/BBB. Pertanto qualora
l'intermediario subisca una riduzione al di sotto di
tale livello minimo, le posizioni accese dovranno essere chiuse al più presto.
Qualora sussista garanzia della «casa madre» della controparte, rileva il rating di essa.
Le somme accantonate
nel fondo di ammortamento possono essere investite esclusivamente in titoli
obbligazionari di enti e amministrazioni pubbliche nonché di società a partecipazione
pubblica di Stati appartenenti all'Unione europea.
La selezione degli emittenti dei
suddetti titoli dev’essere conforme allo spirito di riduzione del rischio
creditizio. Nei contratti è raccomandata la massima trasparenza sui criteri con
i quali i titoli conferiti al fondo di ammortamento
sono selezionati ed eventualmente sostituiti, attribuendo la massima attenzione
al rating. Si raccomanda altresì di
vincolare la scadenza degli investimenti alla durata del fondo di ammortamento.
Gli enti sono invitati a considerare il costo totale dell'emissione obbligazionaria sia nella forma con rimborso unico a scadenza del capitale sia nella forma «amortising», e a valutare la
relazione tra tale differenza di costo e il maggiore rischio derivante dalla costituzione
del fondo o dello swap per
l'ammortamento.
La circolare ricorda altresì che le emissioni con rimborso
unico, ancorché associate ad uno swap
di ammortamento, pesano per l'intero ammontare fino
alla scadenza ai fini delle rilevazioni del debito pubblico operate da
Eurostat.
Per quanto riguarda, specificamente, le operazioni in strumenti derivati da parte degli enti locali, la disciplina è dettata dall’articolo 3 del D.M. n. 389/2003.
In particolare, qualora le operazioni d’indebitamento siano effettuate in valute
diverse dall'euro, è prescritta la copertura del rischio di cambio mediante
«swap di tasso di cambio», definito
come «contratto tra due soggetti che assumono l'impegno di scambiarsi
regolarmente flussi di interessi e capitale espressi in due diverse valute,
secondo modalità, tempi e condizioni contrattualmente stabiliti».
Sono inoltre consentite le seguenti operazioni derivate:
a)
«swap
di tasso d’interesse» tra due soggetti che assumono l'impegno di scambiarsi
regolarmente flussi di interessi, collegati ai
principali parametri del mercato finanziario, secondo modalità, tempi e
condizioni contrattualmente stabiliti;
b)
acquisto di «forward rate agreement» in cui due parti
concordano il tasso d’interesse che l'acquirente del forward s’impegna a pagare su un capitale stabilito ad una
determinata data futura;
c)
acquisto di «cap» di tasso d’interesse in cui
l'acquirente viene garantito da aumenti del tasso d’interesse da corrispondere
oltre il livello stabilito;
d)
acquisto di «collar» di tasso d’interesse in cui
all'acquirente viene garantito un livello di tasso d’interesse da
corrispondere, oscillante all'interno di un minimo e un massimo prestabiliti;
e)
altre operazioni
derivate contenenti combinazioni di
operazioni di cui alle lettere precedenti, in grado di consentire il
passaggio da tasso fisso a variabile e viceversa al raggiungimento di un valore
limite predefinito o quando sia trascorso un periodo di tempo predeterminato;
f)
altre operazioni derivate finalizzate alla
ristrutturazione del debito, solo qualora non prevedano una scadenza posteriore
a quella associata alla sottostante passività. Dette operazioni sono consentite
ove i flussi con esse ricevuti dagli enti interessati
siano uguali a quelli pagati nella sottostante passività e non implichino, al
momento del loro perfezionamento, un profilo crescente dei valori attuali dei
singoli flussi di pagamento, ad eccezione di un eventuale sconto o premio da
regolare al momento del perfezionamento delle operazioni, non superiore all’1
per cento del nozionale della sottostante passività.
Le suddette operazioni derivate sono consentite
esclusivamente in corrispondenza di passività effettivamente dovute e possono
essere indicizzate esclusivamente a parametri
monetari di riferimento nell'area dei Paesi appartenenti al Gruppo dei
Sette più industrializzati.
Al fine di contenere l'esposizione creditizia verso le
controparti delle operazioni derivate indicate nel medesimo
articolo 3, è consentita la conclusione di contratti soltanto con intermediari contraddistinti da adeguato merito di credito, così come
certificato da agenzie di rating
riconosciute a livello internazionale. Qualora l'importo nominale delle
operazioni derivate complessivamente poste in essere
dall'ente territoriale interessato arrivi a superare i 100 milioni di euro, l'ente dovrà progressivamente tendere,
attraverso le operazioni successive all'entrata in vigore del presente decreto,
a far sì che l'importo nominale complessivo delle operazioni stipulate con ogni
singola controparte non ecceda il 25 per cento del totale delle operazioni in
essere.
Per le regioni,
la disciplina relativa all’ammortamento del debito e
alle operazioni in strumenti derivati, contenute negli articoli 2 e 3 del D.M.
n. 389/2003, si applicano fino
all'emanazione di specifiche normative regionali.
Al riguardo, va ricordato che l’articolo 1, comma 74, della
legge finanziaria per il 2005 (legge n. 311/2004) rinvia all’articolo
2 del D.M. n. 389/2003 per quanto concerne la determinazione delle
modalità di costituzione del fondo di ammortamento o
di realizzazione dell’operazione di swap,
e – in combinato disposto con il comma 71 – individua nello Stato, nelle
regioni, nelle province autonome di Trento e di Bolzano e i destinatari
dell’obbligo già previsto a questo riguardo a carico degli enti locali.
Dettagliate indicazioni sono fornite dalla circolare del 27 maggio 2004 circa le
tipologie di operazioni derivate ammesse.
In particolare, la circolare precisa che, oltre agli swap di tasso di cambio a copertura del
rischio di cambio nel caso di indebitamento in valuta,
sono ammesse quelle espressamente indicate nelle lettere da a) a d)
dell’articolo 3, comma 2, del regolamento, da intendersi nella forma «plain vanilla»[8].
In particolare, dagli swap
di tasso d’interesse di cui alla lettera a)
va esclusa qualsiasi forma di opzionalità; le lettere b), c)
e d) si riferiscono esclusivamente
all'acquisto da parte dell'ente degli strumenti ivi citati (forward rate agreement, cap o collar di tasso d’interesse). Sono impliciti
nell'acquisto del collar l'acquisto
di un cap e la contestuale vendita di
un floor, consentita unicamente al
fine di finanziare la protezione dal rialzo dei tassi d’interesse fornita
dall'acquisto del cap. Il livello del
tasso a carico dell'ente allo scattare delle soglie deve essere coerente
sia con i tassi vigenti sul mercato sia con il costo della passività
antecedente alla conclusione dell'operazione derivata.
Le “altre operazioni derivate” previste alle lettere e) e f)
devono in ogni caso essere riconducibili a combinazioni delle operazioni
indicate alle lettere da a) a d).
Il divieto di un «profilo crescente dei valori attuali»,
previsto dalla lettera f), va
riferito, nell'ambito dell'operazione derivata, ai flussi di pagamento da parte
dell'ente. Tale prescrizione è volta ad evitare operazioni derivate i cui
flussi di pagamento da parte dell'ente vengano
concentrati in prossimità della scadenza. L'eccezione dell'eventuale sconto o
premio, non superiore all'1% del nozionale della sottostante passività, è stata
prevista per consentire la ristrutturazione della passività in
presenza di condizioni di mercato diverse rispetto al momento in cui la
stessa è stata contratta. Tale sconto o premio dev’essere regolato
contestualmente alla data d’inizio (regolamento) dell'operazione derivata e si
applica esclusivamente alle indicate operazioni di ristrutturazione. Il comma 3
circoscrive al mercato monetario, vale a dire ai tassi d’interesse a breve termine, l'ambito dei parametri cui possono essere
indicizzate tutte le descritte operazioni derivate.
Non sono ammessi gli strumenti derivati che contengono leve o moltiplicatori dei parametri
finanziari (ad esempio, pagare due volte il tasso Euribor), né operazioni
derivate riferite ad altre operazioni derivate preesistenti, in base alla
considerazione che nessun derivato è configurabile come una passività.
Nel caso in cui si verifichi una variazione della passività sottostante
ad un derivato, ad esempio perché è stata rinegoziata o convertita oppure
perché ha raggiunto un ammontare inferiore a quanto inizialmente previsto, la
posizione nello strumento derivato può essere riadattata sulla base di
condizioni che non determinino una perdita per l'ente; solo nel caso in cui
l'ente ritenga di dover chiudere la posizione nello strumento derivato è
ammissibile la conclusione di un derivato uguale e di segno contrario con
un'altra controparte.
Per la determinazione del rischio di credito degli intermediari valgono le stesse regole
indicate in relazione ai fondi e agli swap d’ammortamento.
Il limite massimo del 25% ammesso per ogni singola
controparte sull'importo nominale totale delle operazioni derivate in essere,
ove superi i 100 milioni di euro, non impone la
rimodulazione delle operazioni derivate concluse prima dell’entrata in vigore
del regolamento. Di queste dovrà tuttavia tenersi conto prima
della conclusione di nuove operazioni derivate. Sono escluse dal computo di
tale limite le operazioni interamente assistite dalla garanzia su valori
mobiliari o immobiliari (collateral).
La prima operazione può essere conclusa
con una sola controparte. Con le operazioni successive l’ente
procederà ad equilibrare la propria esposizione, tendendo gradualmente
all'obiettivo del 25%. Per controparti appartenenti ad uno
stesso gruppo, il limite dev’essere riferito all'intero gruppo.
La diffusione degli strumenti finanziari derivati è fenomeno recente, che s’inquadra nell’elaborazione di
strategie finanziarie volte a permettere ai soggetti operanti sul mercato di garantirsi da rischi finanziari[9]
connessi alla loro attività o di realizzare una gestione attiva dell’indebitamento, adeguandolo all’evoluzione
delle condizioni di mercato per fruire delle opportunità derivanti dalle
oscillazioni dei tassi d’interesse.
Un accorto impiego di questi strumenti può consentire infatti di modificare
le caratteristiche del debito esistente, ristrutturandolo in maniera
conveniente e riducendo per conseguenza l’esposizione complessiva, senza
estinguerlo anticipatamente o rinegoziarne le condizioni (operazioni che
possono essere in talune circostanze onerose o impossibili).
Ad esempio, attraverso un contratto di interest rate swap è possibile ottenere
su un debito a tasso d’interesse fisso effetti corrispondenti all’applicazione
di un tasso variabile, o viceversa, ovvero mutare l’indice di riferimento per
un debito contratto a tasso d’interesse variabile, o, ancora, modificare i
tempi di pagamento degli interessi o del capitale.
L’operazione può servire per ristrutturare l’intero debito
pregresso oppure quote di esso, ad esempio per
diversificarne le caratteristiche in modo da ridurre il rischio complessivo. La diversificazione può
riferirsi a tre elementi: tipo d’indicizzazione (tasso fisso o variabile con
differenti indici); scadenza (breve, media, lunga); divisa (valuta nazionale o
estera).
Le decisioni a ciò relative si fondano su una tecnica di
gestione integrata dell’attivo e del passivo (c.d. Asset liability management) che prevede un’analisi articolata in
quattro passaggi:
1)
determinazione del rischio complessivo, mediante raccolta
dei dati sulla struttura del bilancio che individui, in un periodo pluriennale,
le conseguenze derivanti dalla scadenza delle attività e delle passività in
esso presenti;
2)
effetto di possibili variazioni dei tassi d’interesse
nel periodo considerato;
3)
confronto tra il rischio effettivo risultante dalle
analisi sub 1) e 2) con il rischio voluto, ossia il livello di
rischio che s’intende affrontare;
4)
eventuale introduzione
di strumenti finanziari volti a
ridurre l’esposizione al rischio, tenendo conto anche dei costi dei relativi contratti.
Le descritte operazioni finanziarie possono risultare per converso svantaggiose
qualora le scelte operate si fondino su un’analisi erronea.
Può infatti verificarsi che le
scelte compiute non siano corrispondenti alla struttura di attività e passività del bilancio del soggetto che le
compie, sia perché invece di diversificare la struttura del debito ne
accentuino gli squilibri, sia perché nel determinare le date per la regolazione
periodica dei flussi di pagamento non siano stati adeguatamente considerati gli
andamenti di cassa delle parti (con conseguente rischio di mancanza di
liquidità).
I rischi tipici
di queste operazioni sono il rischio legato alle variazioni di valore degli indici di
riferimento o delle attività sottostanti, e il rischio di credito.
Il primo si concreta, per i contratti di swap, in un andamento dei tassi d’interesse diverso dalle previsioni sulla cui
base è stata impostata l’operazione. Esso risulta
tanto maggiore quanto più lungo è l’orizzonte temporale del rapporto, che rende
difficile prevedere gli andamenti futuri dei tassi e, quindi, la convenienza
delle scelte da operarsi inizialmente. Per il suo contenimento possono essere
utilizzate opzioni cap
e collar, che accrescono ovviamente
il costo del contratto. Qualora l’andamento del mercato sia diverso da quello atteso, è inoltre possibile valutare la convenienza
dell’uscita da un’operazione di swap, che può realizzarsi attraverso
un’operazione di effetto contrario (reversing),
ovvero con la cessione ad un terzo (assigning)
o, infine, con mediante accordo con la controparte per porre termine al
contratto dietro pagamento del suo valore di mercato (unwinding).
Il secondo si riferisce alla possibilità d’insolvenza della controparte con cui è
stato stipulato il contratto. Esso può venire stimato
sulla base del merito di credito (rating)
di tale soggetto. Nell’esecuzione del contratto, è minore se i termini per la
regolazione dei flussi di pagamento delle due parti
coincidono (con versamento del solo differenziale). Sul complesso dei rapporti
contrattuali può venire limitato attraverso
un’opportuna diversificazione delle controparti.
Come si è visto dall’esposizione normativa precedente,
l’applicazione di queste tecniche alla finanza degli enti territoriali è assai recente, poiché in precedenza
l’indebitamento di essi consisteva in mutui contratti
con la Cassa depositi e prestiti (a tasso fisso) o con istituti bancari (a
tassi stabiliti entro i limiti massimi fissati dall’autorità di Governo).
L’esigenza di una gestione più attenta e responsabile del debito di questi
enti, con la cessazione di talune forme di sostegno a carico della
finanza statale, ha imposto la ricerca di finanziamenti a condizioni di
mercato.
In questo contesto si è sviluppato
l’impiego delle emissioni
obbligazionarie, le cui condizioni dipendono dall’andamento del mercato e
dal merito di credito degli enti emittenti, per il quale può rendersi
necessario il rilascio di un rating
da parte delle agenzie specializzate.
Nel medesimo quadro, la dottrina ha segnalato le opportunità
che potevano sorgere anche in favore degli enti locali dall’impiego di strumenti innovativi di finanza derivata,
in relazione alle caratteristiche della loro gestione
finanziaria.
In primo luogo, si è rilevato che lo sfasamento temporale
esistente tra flussi di uscita e di entrate nei loro
bilanci (a data tendenzialmente fissa i primi, con periodicità spesso irregolare
i secondi, nella forma sia dei trasferimenti statali sia delle entrate proprie)
impone una gestione indipendente di
attivo e passivo.
Inoltre si è osservato che nella gestione del passivo di
tali enti può riuscire utile diversificare la
struttura del debito, sovente concentrato in alcune categorie di tasso, con
il fine principale di renderla più flessibile, riducendo i rischi connessi
all’oscillazione, e di realizzare economie sugli interessi da pagare nel breve
periodo.
Per l’impiego di swap
a questo fine si è rilevata l’esigenza di considerare non singole posizioni
debitorie, bensì l’esposizione
complessiva dell’ente; è stata ricordata altresì la necessità di analizzare
previamente le tendenze del mercato per desumerne proiezioni di medio e lungo periodo sul
possibile andamento dei tassi, di adottare obiettivi
di copertura caratterizzati da basso livello di rischio, di verificare i risultati dell’operazione
nel corso del suo svolgimento per rimodularne le caratteristiche secondo
l’evoluzione del mercato.
Inoltre, si è richiamata l’opportunità di comparare la convenienza dell’impiego
degli strumenti finanziari derivati rispetto ad altre possibili forme di ristrutturazione del debito (estinzione o
rinegoziazione) e, comunque, le diverse condizioni offerte dagli operatori e
l’adeguatezza degli elementi dei contratti – la cui conformazione può essere
modellata in aderenza alle specifiche necessità del caso – rispetto alle
effettive esigenze dell’ente.
[1] È
opportuno sottolineare che l'indebitamento mediante titoli
degli enti territoriali si configura come
raccolta di risparmio, definita dall'articolo 11, comma 1, del testo unico
bancario (D.Lgs. n. 385/1993) come l'attività che si
esercita attraverso l'acquisizione di fondi con obbligo di restituzione sia
sotto forma di depositi sia sotto altra forma. L'elemento qualificante della
fattispecie è pertanto costituito dall'obbligo della restituzione, che vale a
distinguere la raccolta di risparmio in oggetto dalla raccolta
di risparmio cosiddetto "di rischio". Più specifico è invece il
criterio che individua la nozione di "sollecitazione del pubblico
risparmio", che presuppone un'operatività limitata ai mercati
regolamentati.
[2] Nel caso di unioni di comuni, di comunità montane e di consorzi tra enti locali è previsto l'obbligo di richiedere agli enti locali che ne fanno parte l'autorizzazione all'emissione dei prestiti obbligazionari. Le aziende speciali degli enti non rientrano nella previsione dell’articolo 35, in quanto dispongono delle facoltà di emettere propri titoli obbligazionari, ai sensi dell’articolo 27-septies del D.L. n. 786/1981 (convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1982, n. 51) e dell’articolo 45 del decreto del Presidente della Repubblica 4 ottobre 1986, n. 902.
[3] Le
obbligazioni possono essere emesse esclusivamente a fronte di un preciso
investimento chiaramente individuato, e il ricavo netto dell’emissione
dev’essere pari alla somma prevista nel quadro economico del progetto o delle
acquisizioni che si intendono effettuare. L’emissione
di titoli non può dunque essere in alcun caso operazione di acquisizione
di mezzi finanziari non finalizzati.
[4] In
base al disposto dell'articolo 10 della legge n. 281 del 1970, l'importo
complessivo delle annualità di ammortamento per
capitale e interessi dei prestiti contratti in estinzione, sommato a quello dei
mutui, non può superare il 25% dell'ammontare complessivo delle entrate
tributarie della regione (art. 9 della legge n. 181 del 1982); inoltre, la
legge regionale deve specificare l'incidenza dell'operazione sui singoli
esercizi finanziari futuri, nonché i mezzi finanziari per la copertura dei relativi
oneri. La legge regionale di autorizzazione deve
altresì disporre che l'emissione dei prestiti obbligazionari sia deliberata
dalla giunta regionale, cui spetta determinarne le condizioni e le modalità, su
parere conforme del Comitato interministeriale per il credito ed il risparmio,
ai sensi delle disposizioni vigenti.
[5]
Per gli enti locali in situazione di
dissesto finanziario, che abbiano ottenuto dal
Ministero dell’interno l’approvazione dell’ipotesi di bilancio riequilibrato,
in deroga al divieto disposto in linea generale, la disciplina prevede la
possibilità di procedere all'emissione del prestito purché:
-
gli enti abbiano
registrato un avanzo di amministrazione nei conti consuntivi relativi
all'ultimo e al penultimo esercizio precedente quello dell'emissione del
prestito;
- abbiano interamente ripianato gli eventuali disavanzi di gestione dei servizi pubblici gestiti a mezzo di aziende municipalizzate, provincializzate e speciali, nonché di eventuali disavanzi di consorzi per la quota a carico del singolo ente.
[6] In particolare, va ricordato che il comma 3 dell’art. 41 della legge n. 448/2001, abrogando il primo periodo del comma 6 dell’art. 35 della legge n. 724/1994, nonché l’art. 3 del D.M. n. 420/1996, ha eliminato l'obbligo di emissione alla pari, prima vigente per i titoli obbligazionari degli enti territoriali, riconoscendo agli enti la facoltà di emettere prestiti caratterizzati da uno scarto di emissione, e l'obbligo di trasmettere al Ministero del tesoro (ora Ministero dell'economia e delle finanze) un’apposita comunicazione.
[7] Il richiamato articolo 221 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali approvato con decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, disciplina la gestione di titoli e valori. I titoli di proprietà dell'ente, ove consentito dalla legge, sono gestiti dal tesoriere con versamento delle cedole nel conto di tesoreria alle loro rispettive scadenze. Il tesoriere provvede anche alla riscossione dei depositi effettuati da terzi per spese contrattuali, d'asta e cauzionali a garanzia degli impegni assunti, previo rilascio di apposita ricevuta, diversa dalla quietanza di tesoreria, contenente tutti gli estremi identificativi dell'operazione. Il regolamento di contabilità dell'ente locale definisce le procedure per i prelievi e per le restituzioni.
[8] Nello
swap plain vanilla una delle controparti riceve periodicamente (di
solito ogni semestre) un pagamento variabile legato ad un indice (ad es.
Libor), e paga un tasso d’interesse fisso (ad es. il rendimento di una
particolare categoria di titoli di Stato aumentato di
un differenziale).
[9] Diversamente
dai rischi puri, in cui il verificarsi dell’evento determina una perdita certa
e che possono pertanto essere coperti soltanto mediante lo strumento
assicurativo, i rischi finanziari comportano, a seconda dell’andamento
del parametro di riferimento, la possibilità di un guadagno o di una perdita:
per la loro copertura può essere quindi utilizzato uno strumento finanziario.