Indebitamento enti territoriali - Titoli Obbligazionari e derivati

Nell’ambito delle disposizioni che disciplinano il finanziamento delle spese di investimento degli enti locali, contenute nel Testo Unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al D.Lgs. n. 267/2000, l’articolo 205 autorizza gli enti locali a contrarre prestiti obbligazionari nelle forme consentite dalla legge.

La disciplina relativa alla emissione di titoli obbligazionari da parte di enti territoriali, originariamente dettata dall’articolo 35 della legge 23 dicembre 1994, n. 724 (provvedimento collegato alla legge finanziaria per il 1995), è stata notevolmente integrata nel corso della XIV legislatura, a partire dalla legge finanziaria per il 2002, che con l’articolo 41 ha introdotto una serie di misure volte a garantire l'efficienza e la flessibilità degli strumenti di finanziamento degli enti territoriali sul mercato dei capitali, allo scopo di minimizzare il costo del debito e contenere l'esposizione ai rischi finanziari.

 

Si ricorda che le disposizioni che disciplinano le caratteristiche dei titoli obbligazionari, i criteri e le procedure che gli enti emittenti sono tenuti ad osservare per la raccolta del risparmio[1], nonché l'ammontare delle commissioni di collocamento da corrispondere agli intermediari autorizzati e i criteri di quotazione sul mercato secondario sono contenute nell’articolo 35 della legge n. 724/1994, e nel relativo regolamento di attuazione (D.M. tesoro 5 luglio 1996, n. 420).

La disciplina, in sostanza, consente a regioni, province, comuni e unioni di comuni[2], città metropolitane, comunità montane e consorzi tra enti locali di deliberare l'emissione di prestiti obbligazionari destinati in via esclusiva al finanziamento degli investimenti[3]. È esplicitamente previsto il divieto di finanziare spese di parte corrente. Poiché l’elenco annuale delle opere pubbliche che s’intende realizzare dev’essere accompagnato dai progetti preliminari (articolo 14 della legge n. 109/1994), l’emissione del prestito obbligazionario può essere effettuata sia relativamente ad una singola opera, sia riguardo all’intero piano annuale.

Per quanto riguarda le regioni, la legge n. 724/1994 rinvia alla disciplina contenuta nell'articolo 10 della legge 16 maggio 1970, n. 281, in base alla quale la facoltà di emettere titoli obbligazionari dev’essere esercitata mediante apposita legge regionale di autorizzazione entro precisi limiti quantitativi e contabili[4].

Occorre sottolineare che la legge n. 724/1994 ha inteso l’emissione di prestiti obbligazionari quale forma alternativa all’accensione di mutui per il finanziamento degli investimenti; l’emissione è quindi subordinata a condizioni che risultano in larga parte coincidenti con quelle previste per l’assunzione dei mutui, con particolare riferimento alla necessità di bilanci solidi, al limite di indebitamento, alla garanzia, al piano di ammortamento finanziario e all’utilizzazione del ricavato del prestito. Più precisamente, l'emissione è subordinata alle seguenti condizioni:

§      che gli enti locali non si trovino in situazione di dissesto o strutturalmente deficitaria[5];

§      che dal conto consuntivo del penultimo esercizio non risulti un disavanzo di amministrazione;

§      che sia stato deliberato il bilancio di previsione dell'esercizio in cui è prevista l'emissione del prestito;

§      che le regioni non abbiano proceduto al ripiano di disavanzi di amministrazione ai sensi dell'articolo 20 del D.L. 18 gennaio 1993, n. 8 (legge 19 marzo 1993, n. 68).

È inoltre stabilito che il valore di mercato degli investimenti dev’essere pari all'ammontare del prestito e che gli interessi concorrono alla determinazione del limite d’indebitamento stabilito dalla normativa vigente per le rispettive tipologie di enti emittenti.

Il prestito deve essere pari al valore del progetto esecutivo cui fa riferimento; ove concorrano altre fonti di finanziamento, l’emissione obbligazionaria può essere effettuata soltanto per la quota non coperta.

La durata del prestito obbligazionario non può essere inferiore a 5 anni né, nel caso di unione di comuni o consorzi fra enti locali, successiva alla prevista data di scioglimento dell'unione. In caso di fusione di comuni, il complesso dei rapporti giuridici derivanti dall'emissione del prestito è trasferito al nuovo ente.

Le caratteristiche dei titoli obbligazionari emessi dagli enti locali sono:

§      obbligazioni convertibili o con warrant in azioni di società possedute dall’ente;

§      cedola fissa o variabile con cadenza trimestrale, semestrale o annuale;

§      rendimento effettivo lordo del prestito per i sottoscrittori non superiore al rendimento lordo dei titoli di Stato di pari durata, maggiorato di un punto percentuale.

L’emissione dei titoli obbligazionari dev’essere deliberata dal Consiglio dell’ente; la delibera deve contenere tutti gli elementi relativi all’emissione stessa: importo, durata, cedola, modalità di rimborso, piano di ammortamento, investimento correlato. È previsto, inoltre, che i titoli debbano essere emessi al portatore, che siano stanziabili in anticipazione presso la Banca d'Italia e che possano essere ricevuti in pegno per anticipazioni da tutti gli enti creditizi. Alle emissioni obbligazionarie si applicano le norme sulla gestione cartolare dei BOT. Le emissioni sono sottoposte al benestare preventivo della Banca d'Italia nei limiti fissati dall'articolo 129 del D.Lgs. 1° settembre 1993, n. 385.

I titoli obbligazionari possono essere quotati sui mercati regolamentati ed essere riacquistati dall'ente emittente esclusivamente con mezzi provenienti da economie di bilancio. L’estinzione anticipata del prestito obbligazionario potrà avvenire esclusivamente utilizzando il ricavato di alienazioni di beni patrimoniali disponibili.

Relativamente alle emissioni in valuta, l’articolo 2 del D.M. n. 420/1996 prescrive la copertura del rischio di cambio mediante una corrispondente operazione di swap che trasformi, per l'emittente, l'obbligazione in valuta estera in un'obbligazione in valuta nazionale, senza introdurre elementi di rischio. L'operazione dovrà essere effettuata da intermediari di provata affidabilità ed esperienza nel settore, con riferimento anche alla valutazione loro assegnata dalle maggiori agenzie di rating.

 

Sulla disciplina relativa alla emissione di titoli obbligazionari da parte di enti territoriali è intervenuto l'articolo 41 della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (legge finanziaria per il 2002) che, al fine di contenere il costo dell’indebitamento e di consentire la vigilanza sugli andamenti della finanza pubblica, ha conferito al Ministero dell'economia e delle finanze una funzione generale di coordinamento con riferimento all'accesso al mercato dei capitali degli enti territoriali (regioni province, comuni, unioni di comuni, città metropolitane, comunità montane e comunità isolane, consorzi tra enti territoriali).

La disposizione contiene inoltre l’espresso riferimento a strumenti finanziari derivati, il cui impiego viene così ad essere previsto nella finanza degli enti locali.

 

La norma ha ricevuto attuazione con il decreto dei Ministri dell’economia e delle finanze e dell’interno 1° dicembre 2003, n. 389, con il quale è stato emanato il regolamento concernente l'accesso al mercato dei capitali da parte degli enti territoriali.

Ulteriori precisazioni sono state ulteriormente fornite dal Ministero dell’economia e delle finanze mediante la circolare 27 maggio 2004.

In particolare, la circolare ha chiarito che sono sottoposte all’applicazione delle norme del regolamento soltanto le operazioni derivate effettuate e gli ammortamenti costituiti dagli enti territoriali successivamente alla data della sua entrata in vigore (4 febbraio 2004).

 

Ai fini dello svolgimento della funzione di coordinamento da parte del Ministero dell’economia, il regolamento prevede che gli enti territoriali comunichino, entro il giorno 15 dei mesi di febbraio, maggio, agosto e novembre di ogni anno, al Dipartimento del Tesoro del Ministero dell'economia e delle finanze i dati relativi all'utilizzo netto di forme di credito a breve termine presso il sistema bancario, ai mutui accesi con soggetti esterni alla pubblica amministrazione, alle operazioni derivate concluse e ai titoli obbligazionari emessi nonché alle operazioni di cartolarizzazione concluse.

Il coordinamento dell'accesso dei predetti enti ai mercati dei capitali è svolto dal Ministero dell’economia e finanze limitatamente alle operazioni di finanziamento a medio e lungo termine o di cartolarizzazione di importo pari o superiore a 100 milioni di euro. A tal fine, gli enti comunicano le caratteristiche dell'operazione in preparazione al Dipartimento del Tesoro, che entro dieci giorni può indicare, con determinazione motivata, il momento più opportuno per l'attuazione dell'operazione. In mancanza, l'operazione potrà essere conclusa entro venti giorni dalla conferma della ricezione della comunicazione, nei casi di emissioni obbligazionarie eseguite sul mercato, e nei termini indicati dagli enti in tutti gli altri casi. Restano escluse dalla comunicazione preventiva le operazioni di provvista con oneri a carico del bilancio dello Stato, per le quali si applicano le specifiche disposizioni di legge.

Nel caso di operazioni soggette al controllo del Comitato interministeriale per il credito e il risparmio (CICR), gli emittenti invieranno i dati simultaneamente al Dipartimento del Tesoro e al CICR, e l'eventuale formulazione di osservazioni da parte del Dipartimento del Tesoro dovrà avere luogo prima dell'autorizzazione rilasciata dal CICR.

Come precisato nella circolare del 27 maggio 2004, il criterio dell'attività di coordinamento dell'accesso al mercato svolta dal Ministero è stato individuato nella finalità di evitare la sovrapposizione di più soggetti pubblici sullo stesso segmento di mercato in un ristretto arco temporale, che potrebbe andare a detrimento delle condizioni di finanziamento.

 

Con il citato articolo 41 della legge n. 448/2001 è stata inoltre modificata la disciplina dell'emissione di titoli obbligazionari e della contrazione di mutui da parte degli enti territoriali, al fine di rimuovere alcuni vincoli che sembravano aver condizionato l'utilizzazione di tali strumenti di finanziamento[6].

In particolare, il comma 2 – diversamente da quanto indicato dalla legislazione precedente, informata ad un sistema di ammortamento con rimborso graduale di quote di capitale e interessi – ha previsto la possibilità di emettere titoli obbligazionari e di contrarre mutui con rimborso in un'unica soluzione alla scadenza (c.d. struttura bullet).

In questo caso l’ente territoriale, al momento dell'emissione o dell'accensione, dovrà costituire un fondo di ammortamento del debito (sinking fund) reinvestibile, ovvero concludere operazioni di swap per l'ammortamento del debito (amortizing swap), in base alle quali l'ente s’impegna a pagare rate di ammortamento e la controparte a corrispondere rate d’interesse più il capitale alla scadenza.

 

Tale disciplina è stata recentemente modificata dalla legge finanziaria per il 2005 (legge n. 311/2004, comma 70), la quale, attraverso una novella all'articolo 41, comma 2, primo periodo, della legge n. 448/2001, ha eliminato la possibilità per gli enti locali di poter contrarre mutui con rimborso del capitale in unica soluzione alla scadenza (comma 70, legge n. 311/2004).

Di conseguenza, gli enti locali potranno d’ora innanzi contrarre mutui che prevedano esclusivamente il tradizionale sistema di ammortamento con rimborso graduale di quote di capitale e interessi

 

Resta pertanto ferma la sola facoltà, per gli enti locali, di emettere titoli obbligazionari con rimborso in un'unica soluzione alla scadenza.

Per quanto concerne, in particolare, la gestione del fondo di ammortamento del debito, la legge finanziaria per il 2005 (comma 69, legge n. 311/2004) ha integrato la disciplina prevedendo la facoltà per gli enti locali di affidare la gestione del fondo di ammortamento del debito previsto dall'articolo 41, comma 2, della legge n. 448/2001 a istituti di credito diversi dal tesoriere. Per la gestione di tale fondo, pertanto, non si applica il principio di accentramento di ogni deposito presso il tesoriere, stabilito dagli articoli 209, comma 3, e 211, comma 2, del T.U. delle leggi sugli enti locali, di cui al D.Lgs. n. 267/2000.

In sostanza, la disposizione è volta a consentire agli enti locali di costituire fondi di ammortamento presso istituti o intermediari diversi dalle banche che svolgono il servizio di tesoreria, le quali, specialmente se di piccola dimensione, possono non presentare i requisiti di elevata professionalità e specializzazione richiesti dalle operazioni in questione.

In proposito, il Ministro dell’economia e delle finanze, nel corso dell’audizione tenuta il 21 luglio 2004 dinanzi alla Commissione Programmazione economica e bilancio del Senato della Repubblica, in tema di “Effetti e tecniche di controllo dei flussi di finanza pubblica in ordine all’andamento del debito con particolare riferimento alla componente non statale”, aveva evidenziato, quale elemento di criticità, che secondo l’attuale normativa che regola i rapporti fra gli enti locali e i loro tesorieri, con particolare riferimento all’articolo 221 del Testo Unico degli enti locali, non è possibile costituire fondi di ammortamento presso istituti o intermediari diversi dalle banche tesoriere[7].

In relazione a ciò, il Ministro faceva notare che tale divieto costituisce un elemento ostativo all’applicazione di quanto disposto dall’articolo 2 del regolamento n. 389/2003, “in quanto la corretta e prudenziale gestione di tali fondi richiede un livello estremamente elevato di conoscenza finanziaria e capacità gestionale da parte degli intermediari, requisiti che non sempre le banche che svolgono il servizio di tesoreria soddisfano. Si configura così un conflitto tra i princìpi che ispirano la norma sul fondo di ammortamento e gli obblighi di tesoreria degli enti che, di fatto, impedisce la costituzione di tali fondi”. Concludeva perciò il Ministro segnalando l’opportunità di trovare una sede legislativa adeguata per introdurre una deroga specifica alle norme sulla tesoreria, in grado di rimediare a tale situazione conflittuale, sede che si ritrova appunto nella disposizione introdotta dal comma 69 della legge n. 311/2004.

 

Relativamente alla gestione del fondo di ammortamento, l’articolo 2 del regolamento di cui al D.M. n. 389/2003, dispone che i contratti relativi alla gestione di un fondo per l'ammortamento del capitale da rimborsare o, alternativamente, per la conclusione di uno swap per l'ammortamento del debito possono essere conclusi soltanto con intermediari contraddistinti da adeguato merito di credito, così come certificato da agenzie di rating riconosciute a livello internazionale.

Per i criteri d’individuazione degli intermediari con i quali è ammissibile concludere i contratti relativi alla gestione di un fondo o allo swap per l'ammortamento del debito, la circolare del 27 maggio 2004 precisa che il merito di credito (rating) dev’essere certificato dalle agenzie riconosciute a livello internazionale, indicando attualmente: Standard & Poor's, Moody's e Fitch Ratings.

Nel caso in cui i rating attribuiti dalle agenzie siano difformi tra loro, si deve prendere in considerazione quello più basso. Il «rating adeguato» della controparte non dovrebbe essere inferiore a BBB/Baa/BBB. Pertanto qualora l'intermediario subisca una riduzione al di sotto di tale livello minimo, le posizioni accese dovranno essere chiuse al più presto. Qualora sussista garanzia della «casa madre» della controparte, rileva il rating di essa.

 

Le somme accantonate nel fondo di ammortamento possono essere investite esclusivamente in titoli obbligazionari di enti e amministrazioni pubbliche nonché di società a partecipazione pubblica di Stati appartenenti all'Unione europea.

La selezione degli emittenti dei suddetti titoli dev’essere conforme allo spirito di riduzione del rischio creditizio. Nei contratti è raccomandata la massima trasparenza sui criteri con i quali i titoli conferiti al fondo di ammortamento sono selezionati ed eventualmente sostituiti, attribuendo la massima attenzione al rating. Si raccomanda altresì di vincolare la scadenza degli investimenti alla durata del fondo di ammortamento.

Gli enti sono invitati a considerare il costo totale dell'emissione obbligazionaria sia nella forma con rimborso unico a scadenza del capitale sia nella forma «amortising», e a valutare la relazione tra tale differenza di costo e il maggiore rischio derivante dalla costituzione del fondo o dello swap per l'ammortamento.

La circolare ricorda altresì che le emissioni con rimborso unico, ancorché associate ad uno swap di ammortamento, pesano per l'intero ammontare fino alla scadenza ai fini delle rilevazioni del debito pubblico operate da Eurostat.

 

Per quanto riguarda, specificamente, le operazioni in strumenti derivati da parte degli enti locali, la disciplina è dettata dall’articolo 3 del D.M. n. 389/2003.

In particolare, qualora le operazioni d’indebitamento siano effettuate in valute diverse dall'euro, è prescritta la copertura del rischio di cambio mediante «swap di tasso di cambio», definito come «contratto tra due soggetti che assumono l'impegno di scambiarsi regolarmente flussi di interessi e capitale espressi in due diverse valute, secondo modalità, tempi e condizioni contrattualmente stabiliti».

Sono inoltre consentite le seguenti operazioni derivate:

a)      «swap di tasso d’interesse» tra due soggetti che assumono l'impegno di scambiarsi regolarmente flussi di interessi, collegati ai principali parametri del mercato finanziario, secondo modalità, tempi e condizioni contrattualmente stabiliti;

b)      acquisto di «forward rate agreement» in cui due parti concordano il tasso d’interesse che l'acquirente del forward s’impegna a pagare su un capitale stabilito ad una determinata data futura;

c)      acquisto di «cap» di tasso d’interesse in cui l'acquirente viene garantito da aumenti del tasso d’interesse da corrispondere oltre il livello stabilito;

d)      acquisto di «collar» di tasso d’interesse in cui all'acquirente viene garantito un livello di tasso d’interesse da corrispondere, oscillante all'interno di un minimo e un massimo prestabiliti;

e)      altre operazioni derivate contenenti combinazioni di operazioni di cui alle lettere precedenti, in grado di consentire il passaggio da tasso fisso a variabile e viceversa al raggiungimento di un valore limite predefinito o quando sia trascorso un periodo di tempo predeterminato;

f)        altre operazioni derivate finalizzate alla ristrutturazione del debito, solo qualora non prevedano una scadenza posteriore a quella associata alla sottostante passività. Dette operazioni sono consentite ove i flussi con esse ricevuti dagli enti interessati siano uguali a quelli pagati nella sottostante passività e non implichino, al momento del loro perfezionamento, un profilo crescente dei valori attuali dei singoli flussi di pagamento, ad eccezione di un eventuale sconto o premio da regolare al momento del perfezionamento delle operazioni, non superiore all’1 per cento del nozionale della sottostante passività.

Le suddette operazioni derivate sono consentite esclusivamente in corrispondenza di passività effettivamente dovute e possono essere indicizzate esclusivamente a parametri monetari di riferimento nell'area dei Paesi appartenenti al Gruppo dei Sette più industrializzati.

Al fine di contenere l'esposizione creditizia verso le controparti delle operazioni derivate indicate nel medesimo articolo 3, è consentita la conclusione di contratti soltanto con intermediari contraddistinti da adeguato merito di credito, così come certificato da agenzie di rating riconosciute a livello internazionale. Qualora l'importo nominale delle operazioni derivate complessivamente poste in essere dall'ente territoriale interessato arrivi a superare i 100 milioni di euro, l'ente dovrà progressivamente tendere, attraverso le operazioni successive all'entrata in vigore del presente decreto, a far sì che l'importo nominale complessivo delle operazioni stipulate con ogni singola controparte non ecceda il 25 per cento del totale delle operazioni in essere.

 

Per le regioni, la disciplina relativa all’ammortamento del debito e alle operazioni in strumenti derivati, contenute negli articoli 2 e 3 del D.M. n. 389/2003, si applicano fino all'emanazione di specifiche normative regionali.

Al riguardo, va ricordato che l’articolo 1, comma 74, della legge finanziaria per il 2005 (legge n. 311/2004) rinvia all’articolo 2 del D.M. n. 389/2003 per quanto concerne la determinazione delle modalità di costituzione del fondo di ammortamento o di realizzazione dell’operazione di swap, e – in combinato disposto con il comma 71 – individua nello Stato, nelle regioni, nelle province autonome di Trento e di Bolzano e i destinatari dell’obbligo già previsto a questo riguardo a carico degli enti locali.

 

Dettagliate indicazioni sono fornite dalla circolare del 27 maggio 2004 circa le tipologie di operazioni derivate ammesse.

In particolare, la circolare precisa che, oltre agli swap di tasso di cambio a copertura del rischio di cambio nel caso di indebitamento in valuta, sono ammesse quelle espressamente indicate nelle lettere da a) a d) dell’articolo 3, comma 2, del regolamento, da intendersi nella forma «plain vanilla»[8].

 

In particolare, dagli swap di tasso d’interesse di cui alla lettera a) va esclusa qualsiasi forma di opzionalità; le lettere b), c) e d) si riferiscono esclusivamente all'acquisto da parte dell'ente degli strumenti ivi citati (forward rate agreement, cap o collar di tasso d’interesse). Sono impliciti nell'acquisto del collar l'acquisto di un cap e la contestuale vendita di un floor, consentita unicamente al fine di finanziare la protezione dal rialzo dei tassi d’interesse fornita dall'acquisto del cap. Il livello del tasso a carico dell'ente allo scattare delle soglie deve essere coerente sia con i tassi vigenti sul mercato sia con il costo della passività antecedente alla conclusione dell'operazione derivata.

 

Le “altre operazioni derivate” previste alle lettere e) e f) devono in ogni caso essere riconducibili a combinazioni delle operazioni indicate alle lettere da a) a d).

Il divieto di un «profilo crescente dei valori attuali», previsto dalla lettera f), va riferito, nell'ambito dell'operazione derivata, ai flussi di pagamento da parte dell'ente. Tale prescrizione è volta ad evitare operazioni derivate i cui flussi di pagamento da parte dell'ente vengano concentrati in prossimità della scadenza. L'eccezione dell'eventuale sconto o premio, non superiore all'1% del nozionale della sottostante passività, è stata prevista per consentire la ristrutturazione della passività in presenza di condizioni di mercato diverse rispetto al momento in cui la stessa è stata contratta. Tale sconto o premio dev’essere regolato contestualmente alla data d’inizio (regolamento) dell'operazione derivata e si applica esclusivamente alle indicate operazioni di ristrutturazione. Il comma 3 circoscrive al mercato monetario, vale a dire ai tassi d’interesse a breve termine, l'ambito dei parametri cui possono essere indicizzate tutte le descritte operazioni derivate.

 

Non sono ammessi gli strumenti derivati che contengono leve o moltiplicatori dei parametri finanziari (ad esempio, pagare due volte il tasso Euribor), né operazioni derivate riferite ad altre operazioni derivate preesistenti, in base alla considerazione che nessun derivato è configurabile come una passività.

Nel caso in cui si verifichi una variazione della passività sottostante ad un derivato, ad esempio perché è stata rinegoziata o convertita oppure perché ha raggiunto un ammontare inferiore a quanto inizialmente previsto, la posizione nello strumento derivato può essere riadattata sulla base di condizioni che non determinino una perdita per l'ente; solo nel caso in cui l'ente ritenga di dover chiudere la posizione nello strumento derivato è ammissibile la conclusione di un derivato uguale e di segno contrario con un'altra controparte.

 

Per la determinazione del rischio di credito degli intermediari valgono le stesse regole indicate in relazione ai fondi e agli swap d’ammortamento.

 

Il limite massimo del 25% ammesso per ogni singola controparte sull'importo nominale totale delle operazioni derivate in essere, ove superi i 100 milioni di euro, non impone la rimodulazione delle operazioni derivate concluse prima dell’entrata in vigore del regolamento. Di queste dovrà tuttavia tenersi conto prima della conclusione di nuove operazioni derivate. Sono escluse dal computo di tale limite le operazioni interamente assistite dalla garanzia su valori mobiliari o immobiliari (collateral).

La prima operazione può essere conclusa con una sola controparte. Con le operazioni successive l’ente procederà ad equilibrare la propria esposizione, tendendo gradualmente all'obiettivo del 25%. Per controparti appartenenti ad uno stesso gruppo, il limite dev’essere riferito all'intero gruppo.

Motivazioni economiche del ricorso a strumenti finanziari derivati da parte degli enti locali

La diffusione degli strumenti finanziari derivati è fenomeno recente, che s’inquadra nell’elaborazione di strategie finanziarie volte a permettere ai soggetti operanti sul mercato di garantirsi da rischi finanziari[9] connessi alla loro attività o di realizzare una gestione attiva dell’indebitamento, adeguandolo all’evoluzione delle condizioni di mercato per fruire delle opportunità derivanti dalle oscillazioni dei tassi d’interesse.

Un accorto impiego di questi strumenti può consentire infatti di modificare le caratteristiche del debito esistente, ristrutturandolo in maniera conveniente e riducendo per conseguenza l’esposizione complessiva, senza estinguerlo anticipatamente o rinegoziarne le condizioni (operazioni che possono essere in talune circostanze onerose o impossibili).

Ad esempio, attraverso un contratto di interest rate swap è possibile ottenere su un debito a tasso d’interesse fisso effetti corrispondenti all’applicazione di un tasso variabile, o viceversa, ovvero mutare l’indice di riferimento per un debito contratto a tasso d’interesse variabile, o, ancora, modificare i tempi di pagamento degli interessi o del capitale.

L’operazione può servire per ristrutturare l’intero debito pregresso oppure quote di esso, ad esempio per diversificarne le caratteristiche in modo da ridurre il rischio complessivo. La diversificazione può riferirsi a tre elementi: tipo d’indicizzazione (tasso fisso o variabile con differenti indici); scadenza (breve, media, lunga); divisa (valuta nazionale o estera).

Le decisioni a ciò relative si fondano su una tecnica di gestione integrata dell’attivo e del passivo (c.d. Asset liability management) che prevede un’analisi articolata in quattro passaggi:

1)      determinazione del rischio complessivo, mediante raccolta dei dati sulla struttura del bilancio che individui, in un periodo pluriennale, le conseguenze derivanti dalla scadenza delle attività e delle passività in esso presenti;

2)      effetto di possibili variazioni dei tassi d’interesse nel periodo considerato;

3)      confronto tra il rischio effettivo risultante dalle analisi sub 1) e 2) con il rischio voluto, ossia il livello di rischio che s’intende affrontare;

4)      eventuale introduzione di strumenti finanziari volti a ridurre l’esposizione al rischio, tenendo conto anche dei costi dei relativi contratti.

 

Le descritte operazioni finanziarie possono risultare per converso svantaggiose qualora le scelte operate si fondino su un’analisi erronea.

Può infatti verificarsi che le scelte compiute non siano corrispondenti alla struttura di attività e passività del bilancio del soggetto che le compie, sia perché invece di diversificare la struttura del debito ne accentuino gli squilibri, sia perché nel determinare le date per la regolazione periodica dei flussi di pagamento non siano stati adeguatamente considerati gli andamenti di cassa delle parti (con conseguente rischio di mancanza di liquidità).

I rischi tipici di queste operazioni sono il rischio legato alle variazioni di valore degli indici di riferimento o delle attività sottostanti, e il rischio di credito.

Il primo si concreta, per i contratti di swap, in un andamento dei tassi d’interesse diverso dalle previsioni sulla cui base è stata impostata l’operazione. Esso risulta tanto maggiore quanto più lungo è l’orizzonte temporale del rapporto, che rende difficile prevedere gli andamenti futuri dei tassi e, quindi, la convenienza delle scelte da operarsi inizialmente. Per il suo contenimento possono essere utilizzate opzioni cap e collar, che accrescono ovviamente il costo del contratto. Qualora l’andamento del mercato sia diverso da quello atteso, è inoltre possibile valutare la convenienza dell’uscita da un’operazione di swap, che può realizzarsi attraverso un’operazione di effetto contrario (reversing), ovvero con la cessione ad un terzo (assigning) o, infine, con mediante accordo con la controparte per porre termine al contratto dietro pagamento del suo valore di mercato (unwinding).

Il secondo si riferisce alla possibilità d’insolvenza della controparte con cui è stato stipulato il contratto. Esso può venire stimato sulla base del merito di credito (rating) di tale soggetto. Nell’esecuzione del contratto, è minore se i termini per la regolazione dei flussi di pagamento delle due parti coincidono (con versamento del solo differenziale). Sul complesso dei rapporti contrattuali può venire limitato attraverso un’opportuna diversificazione delle controparti.

 

Come si è visto dall’esposizione normativa precedente, l’applicazione di queste tecniche alla finanza degli enti territoriali è assai recente, poiché in precedenza l’indebitamento di essi consisteva in mutui contratti con la Cassa depositi e prestiti (a tasso fisso) o con istituti bancari (a tassi stabiliti entro i limiti massimi fissati dall’autorità di Governo). L’esigenza di una gestione più attenta e responsabile del debito di questi enti, con la cessazione di talune forme di sostegno a carico della finanza statale, ha imposto la ricerca di finanziamenti a condizioni di mercato.

In questo contesto si è sviluppato l’impiego delle emissioni obbligazionarie, le cui condizioni dipendono dall’andamento del mercato e dal merito di credito degli enti emittenti, per il quale può rendersi necessario il rilascio di un rating da parte delle agenzie specializzate.

Nel medesimo quadro, la dottrina ha segnalato le opportunità che potevano sorgere anche in favore degli enti locali dall’impiego di strumenti innovativi di finanza derivata, in relazione alle caratteristiche della loro gestione finanziaria.

In primo luogo, si è rilevato che lo sfasamento temporale esistente tra flussi di uscita e di entrate nei loro bilanci (a data tendenzialmente fissa i primi, con periodicità spesso irregolare i secondi, nella forma sia dei trasferimenti statali sia delle entrate proprie) impone una gestione indipendente di attivo e passivo.

Inoltre si è osservato che nella gestione del passivo di tali enti può riuscire utile diversificare la struttura del debito, sovente concentrato in alcune categorie di tasso, con il fine principale di renderla più flessibile, riducendo i rischi connessi all’oscillazione, e di realizzare economie sugli interessi da pagare nel breve periodo.

Per l’impiego di swap a questo fine si è rilevata l’esigenza di considerare non singole posizioni debitorie, bensì l’esposizione complessiva dell’ente; è stata ricordata altresì la necessità di analizzare previamente le tendenze del mercato per desumerne proiezioni di medio e lungo periodo sul possibile andamento dei tassi, di adottare obiettivi di copertura caratterizzati da basso livello di rischio, di verificare i risultati dell’operazione nel corso del suo svolgimento per rimodularne le caratteristiche secondo l’evoluzione del mercato.

Inoltre, si è richiamata l’opportunità di comparare la convenienza dell’impiego degli strumenti finanziari derivati rispetto ad altre possibili forme di ristrutturazione del debito (estinzione o rinegoziazione) e, comunque, le diverse condizioni offerte dagli operatori e l’adeguatezza degli elementi dei contratti – la cui conformazione può essere modellata in aderenza alle specifiche necessità del caso – rispetto alle effettive esigenze dell’ente.

 



[1]     È opportuno sottolineare che l'indebitamento mediante titoli degli enti territoriali si configura come raccolta di risparmio, definita dall'articolo 11, comma 1, del testo unico bancario (D.Lgs. n. 385/1993) come l'attività che si esercita attraverso l'acquisizione di fondi con obbligo di restituzione sia sotto forma di depositi sia sotto altra forma. L'elemento qualificante della fattispecie è pertanto costituito dall'obbligo della restituzione, che vale a distinguere la raccolta di risparmio in oggetto dalla raccolta di risparmio cosiddetto "di rischio". Più specifico è invece il criterio che individua la nozione di "sollecitazione del pubblico risparmio", che presuppone un'operatività limitata ai mercati regolamentati.

[2]     Nel caso di unioni di comuni, di comunità montane e di consorzi tra enti locali è previsto l'obbligo di richiedere agli enti locali che ne fanno parte l'autorizzazione all'emissione dei prestiti obbligazionari. Le aziende speciali degli enti non rientrano nella previsione dell’articolo 35, in quanto dispongono delle facoltà di emettere propri titoli obbligazionari, ai sensi dell’articolo 27-septies del D.L. n. 786/1981 (convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1982, n. 51) e dell’articolo 45 del decreto del Presidente della Repubblica 4 ottobre 1986, n. 902.

[3]     Le obbligazioni possono essere emesse esclusivamente a fronte di un preciso investimento chiaramente individuato, e il ricavo netto dell’emissione dev’essere pari alla somma prevista nel quadro economico del progetto o delle acquisizioni che si intendono effettuare. L’emissione di titoli non può dunque essere in alcun caso operazione di acquisizione di mezzi finanziari non finalizzati.

[4]     In base al disposto dell'articolo 10 della legge n. 281 del 1970, l'importo complessivo delle annualità di ammortamento per capitale e interessi dei prestiti contratti in estinzione, sommato a quello dei mutui, non può superare il 25% dell'ammontare complessivo delle entrate tributarie della regione (art. 9 della legge n. 181 del 1982); inoltre, la legge regionale deve specificare l'incidenza dell'operazione sui singoli esercizi finanziari futuri, nonché i mezzi finanziari per la copertura dei relativi oneri. La legge regionale di autorizzazione deve altresì disporre che l'emissione dei prestiti obbligazionari sia deliberata dalla giunta regionale, cui spetta determinarne le condizioni e le modalità, su parere conforme del Comitato interministeriale per il credito ed il risparmio, ai sensi delle disposizioni vigenti.

[5]     Per gli enti locali in situazione di dissesto finanziario, che abbiano ottenuto dal Ministero dell’interno l’approvazione dell’ipotesi di bilancio riequilibrato, in deroga al divieto disposto in linea generale, la disciplina prevede la possibilità di procedere all'emissione del prestito purché:

-        gli enti abbiano registrato un avanzo di amministrazione nei conti consuntivi relativi all'ultimo e al penultimo esercizio precedente quello dell'emissione del prestito;

-        abbiano interamente ripianato gli eventuali disavanzi di gestione dei servizi pubblici gestiti a mezzo di aziende municipalizzate, provincializzate e speciali, nonché di eventuali disavanzi di consorzi per la quota a carico del singolo ente.

[6]     In particolare, va ricordato che il comma 3 dell’art. 41 della legge n. 448/2001, abrogando il primo periodo del comma 6 dell’art. 35 della legge n. 724/1994, nonché l’art. 3 del D.M. n. 420/1996, ha eliminato l'obbligo di emissione alla pari, prima vigente per i titoli obbligazionari degli enti territoriali, riconoscendo agli enti la facoltà di emettere prestiti caratterizzati da uno scarto di emissione, e l'obbligo di trasmettere al Ministero del tesoro (ora Ministero dell'economia e delle finanze) un’apposita comunicazione.

[7]     Il richiamato articolo 221 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali approvato con decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, disciplina la gestione di titoli e valori. I titoli di proprietà dell'ente, ove consentito dalla legge, sono gestiti dal tesoriere con versamento delle cedole nel conto di tesoreria alle loro rispettive scadenze. Il tesoriere provvede anche alla riscossione dei depositi effettuati da terzi per spese contrattuali, d'asta e cauzionali a garanzia degli impegni assunti, previo rilascio di apposita ricevuta, diversa dalla quietanza di tesoreria, contenente tutti gli estremi identificativi dell'operazione. Il regolamento di contabilità dell'ente locale definisce le procedure per i prelievi e per le restituzioni.

[8]     Nello swap plain vanilla una delle controparti riceve periodicamente (di solito ogni semestre) un pagamento variabile legato ad un indice (ad es. Libor), e paga un tasso d’interesse fisso (ad es. il rendimento di una particolare categoria di titoli di Stato aumentato di un differenziale).

[9]     Diversamente dai rischi puri, in cui il verificarsi dell’evento determina una perdita certa e che possono pertanto essere coperti soltanto mediante lo strumento assicurativo, i rischi finanziari comportano, a seconda dell’andamento del parametro di riferimento, la possibilità di un guadagno o di una perdita: per la loro copertura può essere quindi utilizzato uno strumento finanziario.