Danno ambientale - direttiva 2004/35/CE

La direttiva reca una disciplina del danno ambientale in termini generali e di principio (rispetto ai quadri normativi nazionali, o – per lo meno – rispetto al quadro normativo italiano, anche quello precedente alla entrata in vigore del decreto legislativo n. 152 del 2006).

La direttiva afferma che la prevenzione e la riparazione, nella misura del possibile, del danno ambientale “contribuiscono a realizzare gli obiettivi ed i principi della politica ambientale comunitaria, stabiliti nel trattato”. Dovrebbero, in particolare, essere attuate applicando il principio “chi inquina paga”, stabilito nel Trattato istitutivo della Comunità Europea, e coerentemente con il principio dello sviluppo sostenibile.

La direttiva fornisce all’art. 2 una nozione di danno ambientale, che può assumere tre diverse tipologie:

§         danno alle specie e agli habitat naturali protetti;

§         danno alle acque;

§         danno al terreno.

La nuova direttiva in materia di responsabilità ambientale trova applicazione anche in materia di gestione dei rifiuti.

La direttiva specifica, poi, che gli Stati membri possono decidere che tali operazioni non comprendono lo spargimento, per fini agricoli, di fanghi di depurazione provenienti da impianti di trattamento delle acque reflue urbane, trattati secondo una norma approvata (Allegato III, par. 1).

Uno dei principi fondamentali della direttiva dovrebbe essere quindi quello per cui l'operatore la cui attività ha causato un danno ambientale, o la minaccia imminente di tale danno, sarà considerato finanziariamente responsabile, in modo da indurre gli operatori ad adottare misure e a sviluppare pratiche atte a ridurre al minimo i rischi di danno ambientale.

Assecondando dunque il suddetto principio di prevenzione, peraltro inserito dall’Atto Unico europeo all’art. 174 del Trattato che istituisce la Comunità europea, la direttiva disciplina azioni di prevenzione (art. 5) e azioni di riparazione (art. 6).

Quanto alle azioni di riparazione, l'autorità competente richiede – infatti - che esse siano adottate dall’operatore. Se questi non si conforma agli obblighi previsti al paragrafo 1 o al paragrafo 2, lettere b), c) o d), dell’art. 6 della direttiva, se non può essere individuato o se non è tenuto a sostenere i costi a norma della direttiva stessa, l'autorità competente ha facoltà di adottare essa stessa tali misure, “qualora non le rimangano altri mezzi”.

L’art. 3 specifica inoltre un secondo principio generale, secondo cui la nuova disciplina, ferma restando la pertinente legislazione nazionale, non conferisce ai privati un diritto a essere indennizzati in seguito a un danno ambientale o a una minaccia imminente di tale danno (art. 3, par. 3).

La direttiva prevede poi all’art. 4, par. 5, oltre ad una serie di eccezioni, che essa  si applichi al danno ambientale o alla minaccia imminente di tale danno, causati da inquinamento di carattere diffuso unicamente quando sia possibile accertare un nesso causale tra il danno e le attività di singoli operatori.

L’art. 8, par. 3 e 4, prevede inoltre, in materia di costi di prevenzione e riparazione, che non sono a carico dell'operatore i costi delle azioni di prevenzione o di riparazione, se egli può provare che il danno ambientale o la minaccia imminente di tale danno sia stato causato da un terzo e si sia verificato nonostante l'esistenza di opportune misure di sicurezza; ovvero sia conseguenza dell'osservanza di un ordine o istruzione obbligatori impartiti da una autorità pubblica; ovvero qualora sia dimostrabile che il danno è stato causato da un'emissione o un evento espressamente autorizzati; ovvero da un'emissione o da un'attività o qualsiasi altro modo di utilizzazione di un prodotto nel corso di un'attività, che l'operatore dimostri non essere state considerate probabile causa di danno ambientale. In tali casi gli Stati membri adottano le misure appropriate per consentire all'operatore di recuperare i costi sostenuti.

Riguardo poi all'applicazione della direttiva stessa nel tempo, l'art. 17 stabilisce che le disposizioni in essa contenute non si applicheranno:

§         al danno causato da una emissione, un evento o un incidente verificatosi prima del 30 aprile 2007;

§         al danno verificatosi dopo la medesima data, se derivante da una specifica attività posta in essere e terminata prima di detta data;

§         al danno in relazione al quale sono passati più di 30 anni dall'emissione, evento o incidente che l’ha causato.

Un punto particolarmente delicato è quello del tipo di responsabilità (oggettiva o meno) individuata dalle norme comunitarie. In proposito, il 20° considerando della stessa direttiva dispone che “Non si dovrebbe chiedere ad un operatore di sostenere i costi di misure di prevenzione o riparazione adottate conformemente alla presente direttiva in situazioni in cui il danno in questione o la minaccia imminente di esso derivano da eventi indipendenti dalla volontà dell'operatore. Gli Stati membri possono consentire che gli operatori, di cui non è accertato il dolo o la colpa, non debbano sostenere il costo di misure di riparazione in situazioni in cui il danno in questione deriva da emissioni o eventi espressamente autorizzati o la cui natura dannosa non era nota al momento del loro verificarsi”.

Il legislatore comunitario non ha optato pertanto per un sistema basato sulla responsabilità oggettiva, ma piuttosto per un sistema articolato.

Si considerino – in proposito - l’8° e il 9° considerando della direttiva, dove si distinguono due possibili origini del danno ambientale:

§      Le attività professionali che presentano un rischio per la salute umana o l’ambiente (individuate con riferimento a specifiche normative comunitarie);

§      Le attività professionali che non sono già direttamente o indirettamente contemplate nella normativa comunitaria come comportanti un rischio reale o potenziale per la salute umana o l'ambiente.

Per questo secondo genere di attività professionali, “l'operatore sarebbe responsabile ai sensi della presente direttiva, soltanto quando vi sia il dolo o la colpa di detto operatore”

Coerentemente con questa differenziazione, l’art. 3, par. 1 della direttiva distingue due ipotesi separate e – per le attività non espressamente elencate nell’Allegato III – circoscrive il proprio ambito di applicazione alle sole ipotesi di dolo e colpa dell’operatore.

Infine, è utile riportare una serie di riferimenti – introdotti nella normativa comunitaria – a quello che può definirsi un principio generale di ragionevolezza nella disciplina del risarcimento del danno ambientale.

Nel 1° considerando: “la prevenzione e la riparazione, nella misura del possibile, del danno ambientale”. Nel 3° considerando: “riparazione del danno ambientale a costi ragionevoli per la società”, con il richiamo allo stesso “principio di proporzionalità” (art. 5 del Trattato). Nel 6° considerando :Si dovrebbe tuttavia tener conto di situazioni specifiche in cui la legislazione comunitaria o la legislazione nazionale equivalente consentono deroghe al livello di protezione stabilito per l’ambiente”. Anche all’Allegato II, il punto 1.3.3 chiarisce che “l'autorità competente può decidere di non intraprendere ulteriori misure di riparazione qualora … i costi delle misure di riparazione da adottare per raggiungere le condizioni originarie o un livello simile siano sproporzionati rispetto ai vantaggi ambientali ricercati”.

Tuttavia, tali riferimenti non escludono che gli Stati membri adottino normative più severe, come esplicitato nel 29° considerando, ove si chiarisce che la direttiva stessa “non preclude agli Stati membri di mantenere o emanare norme più severe in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale” (parallelamente, dispone in tal senso l’art. 16 della direttiva).

Interessante, infine, il 27° considerando: “Gli Stati membri dovrebbero adottare misure per incoraggiare gli operatori a munirsi di una copertura assicurativa appropriata o di altre forme di garanzia finanziaria e per favorire lo sviluppo di strumenti e mercati di copertura finanziaria onde fornire un'efficace copertura degli obblighi finanziari derivanti dalla presente direttiva”.