Ambiente e territorio – Sentenza Corte costituzionale 307/2003

La Corte costituzionale con la sentenza n. 307 del 2003 ha affrontato varie questioni di legittimità costituzionale relative a disposizioni di leggi regionali che incidono sulla materia della tutela dall’ "inquinamento elettromagnetico".

La Corte parte da una riconsiderazione di carattere generale della ripartizione della competenza legislativa tra Stato e Regioni nella materia della "tutela dell'ambiente", ribadendo quanto già affermato con le sentenze n. 407 del 2002 e 222 del 2003 (v. scheda Ambiente – Giurisprudenza costituzionale).

Viene chiarito, cioè, che la modifica al Titolo V della Costituzione, e la conseguente attribuzione allo Stato della competenza esclusiva in materia di "tutela ambientale", non comporta l'impossibilità per le Regioni di intervenire, con proprie norme, nella disciplina della materia, dato il carattere "trasversale" della tutela dell’ambiente, e quindi la sua idoneità ad abbracciare profili che possono rientrare di volta in volta anche in materie di competenza "concorrente" o "esclusiva" delle Regioni. La Corte infatti individua una serie di materie disciplinate dalle norme regionali in oggetto (tutela della salute, ordinamento della comunicazione, produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia, governo del territorio) che risultano trasversalmente collegate alla materia della "tutela ambientale" e che rientrano nella competenza legislativa concorrente delle Regioni. Pertanto, una possibilità delle regioni, in via generale e ipotetica, di legiferare anche con finalità di tutela dall’inquinamento elettromagnetico non va esclusa.

Tale ricostruzione – che ormai ha trovato conferma in tre successive pronunce - risulta fondamentale, in quanto permette alla Corte di evitare le conseguenze paradossali di una applicazione rigida e letterale della lettera s) del comma 2 dell’articolo 117, che avrebbe comportato la censura di illegittimità costituzionale nei confronti di tutte le norme regionali che abbiano finalità di tutela ambientale, laddove – viene osservato dalla dottrina – la materia in oggetto rappresenta una fra quelle in cui più fertile è stata tradizionalmente l’attività legislativa regionale.

L’esclusività della competenza legislativa statale va invece intesa come limitata a quegli aspetti della normativa di tutela ambientale che richiedono – per loro natura – un esercizio unitario.

Ora, entrando maggiormente nel merito delle questioni oggetto della sentenza, la Corte afferma che fra gli aspetti della tutela ambientale (e quindi della tutela dai campi elettromagnetici) che richiedono una disciplina unitaria su tutto il territorio nazionale rientra senz’altro “il potere di dettare standard di protezione uniformi validi in tutte le Regioni e non derogabili da queste” (punto 5.)

La Corte nella sentenza 307 procede quindi a un dettagliato esame delle prescrizioni recate dalla legge n. 36 del 2001 ("legge quadro per la protezione da esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici"), considerando tale legge pienamente conforme alle disposizioni costituzionali in materia di riparto di competenza tra Stato e Regioni, così come ricostruite nelle suddette premesse di carattere generale.

In proposito, la Corte chiarisce che il sistema complessivo delineato dalla legge-quadro prevede che sia lo Stato competente a fissare i valori-soglia in materia di emissioni elettromagnetiche, mentre le Regioni assumono un ruolo centrale nella determinazione della disciplina dell'uso del territorio in funzione della localizzazione degli impianti. Tale modello è conforme, secondo la Corte, alle previsioni costituzionali.

La fissazione di valori-soglia da parte dello Stato – competenza prevista dalla legge n. 36 - risponde all'esigenza di tutelare standard di salute minimi validi per tutto il territorio nazionale, ma anche all’esigenza di garantire lo sviluppo produttivo connesso alla distribuzione di energia e al funzionamento dei mezzi di comunicazione[1].

Alle Regioni, invece, viene riservato uno spazio maggiore di intervento laddove assumono rilievo preminente gli aspetti localizzativi degli impianti (e quindi il governo del territorio), “purché, ovviamente, criteri localizzativi e standard urbanistici rispettino le esigenze della pianificazione nazionale degli impianti e non siano, nel merito, tali da impedire od ostacolare ingiustificatamente l’insediamento degli stessi” (paragrafo 7). Infatti, la legge n. 36 provvede ad una ripartizione delle competenze che ricalca esattamente tale modello, laddove attribuisce allo Stato la fissazione dei “limiti di esposizione”, dei “valori di attenzione” e anche degli “obiettivi di qualità” (per la parte in cui questi sono espressi in valori di campo elettrico e magnetico). Gli stessi “obiettivi di qualità”, quando espressi in criteri localizzativi, standard urbanistici, prescrizioni e incentivazioni per l’utilizzo delle migliori tecnologie disponibili, vengono invece definiti dalle Regioni.

La Corte, conseguentemente, con la sentenza in commento, ha dichiarato la illegittimità costituzionale di tutte quelle disposizioni regionali che travalicano l’ambito delle competenze regionali così circoscritto.

Appare utile sottolineare il rilievo che assume, anche in questa sentenza – e in modo quindi convergente con la precedente – la considerazione delle esigenze della pianificazione nazionale degli impianti, evidentemente discendente da istanze unitarie giudicate imprescindibili o comunque non irragionevoli, e quindi in grado di prevalere anche sulla riconosciuta competenza regionale in merito agli aspetti localizzativi.

Anche siffatte argomentazioni sembrano assumere un valore generale, che travalica le infrastrutture de quo (elettrodotti, impianti di radiodiffusione e di telecomunicazioni): ancora una volta, e in misura ancora maggiore, può rilevarsi l’analogia con il decreto legislativo n. 7 del 2002.

Un secondo motivo di illegittimità riscontrato dalla Corte relativamente ad alcune delle disposizioni regionali in oggetto è quello della indeterminatezza dei poteri attribuiti alla Giunta regionale.

La Corte, infatti, pur riconoscendo che la definizione delle materie per le quali vengono attribuiti poteri alla Giunta regionale rientra nella competenza delle Regioni stesse (distanze tra edifici nell'installazione di impianti, valutazione di impatto ambientale, divieto di localizzazione degli impianti in aree vincolate), ritiene tuttavia che norme regionali che affidano a organi regionali poteri non collegati a parametri che ne delimitino l'esercizio, risultano lesive del principio di legalità sostanziale e quindi contrastano con la Costituzione.

In alcuni passaggi, inoltre, la Corte affianca alla motivazione della violazione del principio di legalità sostanziale quella relativa alla salvaguardia della possibilità da parte di tutti i cittadini di avere a disposizione un numero sufficiente di impianti di produzione di energia e di reti di telecomunicazione.

In sostanza, in alcuni casi la Corte "rafforza" la motivazione del rispetto della legalità sostanziale, chiarendo che in mancanza di un'attività della Giunta regionale legata a parametri certi, tale attività rischia di compromettere le esigenze della produzione e quindi la distribuzione sul territorio nazionale di un numero adeguato di impianti di produzione di energia e di reti di telecomunicazioni.

In conclusione, la sentenza n. 307 risulta di notevole interesse anche ai fini della ricostruzione del raccordo fra esigenze di tutela dell’ambiente ed esigenze produttive (distribuzione di energia elettrica e sussistenza di una adeguata rete di telecomunicazioni).

E’ nell’assicurare un bilanciamento fra questi due valori che la competenza dello Stato assume quel carattere di esclusività evocato dall’art. 117, comma 2, lettera s), mentre la competenza regionale in materia urbanistica e di governo del territorio (fra l’altro concorrente e non esclusiva) sembra chiamata ad articolarsi entro (e non oltre) i termini di tale bilanciamento.

 



[1] La Corte, a un certo punto (paragrafo 7) chiarisce che se i valori-soglia avessero il solo fine della tutela della salute, allora sarebbero ammissibili interventi delle Regioni che fissassero valori più rigorosi, “in coerenza con il principio, proprio anche del diritto comunitario, che ammette deroghe alla disciplina comune, in specifici territori, con effetti di maggiore protezione dei valori tutelati (cfr. sentenze n. 382 del 1999 e n. 407 del 2002)”.