Il Protocollo di Kyoto impegna i Paesi industrializzati ed i Paesi con economia in transizione a ridurre le emissioni di gas in grado di alterare l’effetto serra del pianeta entro il 2012.
Con il termine
“Protocollo di Kyoto” si intende l’accordo internazionale sottoscritto il 7
dicembre 1997 da oltre 160 paesi partecipanti alla terza sessione della
Conferenza delle Parti della Convenzione sui cambiamenti climatici (UNFCCC[1]).
Oggetto del Protocollo è uno degli aspetti del cambiamento climatico: la riduzione,
attraverso un’azione concordata a livello internazionale, delle emissioni di
gas serra.
I paesi
industrializzati (elencati nell’Annex I
del Protocollo) si impegnano a ridurre le proprie emissioni entro il 2012. Il
protocollo di Kyoto non prevede vincoli alle emissioni per tutti i paesi
firmatari (oltre 160), ma solo per quelli compresi nell’elenco riportato nell’Annex I: una lista di 39 paesi che
include i paesi OCSE e quelli con economie in transizione verso il mercato.
Tale scelta è stata operata in attuazione del principio di “responsabilità
comune ma differenziata” secondo il quale, nel controllo delle emissioni i
paesi industrializzati si fanno carico di maggiori responsabilità, in
considerazione dei bisogni di sviluppo economico dei PVS.
Obiettivo del Protocollo è la riduzione delle emissioni globali di sei gas,
ritenuti responsabili di una delle cause del riscaldamento del pianeta:
anidride carbonica (CO2), metano (CH4), ossido di azoto
(N2O), esafluoruro di zolfo (SF6), idrofluorocarburi
(HFCs) e perfluorocarburi (PFCs).
Gli impegni generali previsti dal Protocollo sono:
-
il miglioramento
dell’efficienza energetica
-
la correzione
delle imperfezioni del mercato (attraverso incentivi fiscali e sussidi)
-
la promozione
dell’agricoltura sostenibile
-
la riduzione
delle emissioni nel settore dei trasporti
-
l’informazione a
tutte le altre Parti sulle azioni intraprese (cd “comunicazioni nazionali”)
La misura complessiva
di riduzione deve essere del 5,2% rispetto ai livelli di
emissione del 1990. L’onere, tuttavia, è stato ripartito fra i Paesi dell’Annex I in maniera non uniforme, in
considerazione del grado di sviluppo industriale, del reddito, dei livelli di
efficienza energetica.
Per garantire un’attuazione flessibile del Protocollo e una riduzione di costi gravanti complessivamente sui sistemi economici dei paesi soggetti al vincolo sono stati introdotti i seguenti meccanismi flessibili:
§ l’emission trading (commercio dei diritti di emissione)[2], in base al quale i paesi soggetti al vincolo che riescano ad ottenere un surplus nella riduzione delle emissioni possono “vendere” tale surplus ad altri paesi soggetti a vincolo che - al contrario - non riescano a raggiungere gli obiettivi assegnati;
§ la joint implementation (attuazione congiunta degli obblighi individuali)[3], secondo cui gruppi di paesi soggetti a vincolo, fra quelli indicati dall’Annex I, possono collaborare per raggiungere gli obiettivi fissati accordandosi su una diversa distribuzione degli obblighi rispetto a quanto sancito dal Protocollo, purchè venga rispettato l'obbligo complessivo. A tal fine essi possono trasferire a, o acquistare da, ogni altro Paese “emission reduction units”(ERUs) realizzate attraverso specifici progetti di riduzione delle emissioni;
§
i clean development mechanisms (meccanismi per lo sviluppo pulito)[4], il cui fine è quello di
fornire assistenza alle Parti non incluse nell’Annex I negli sforzi per la riduzione delle emissioni. I privati o
i governi dei paesi dell’Annex I che
forniscono tale assistenza possono ottenere, in cambio dei risultati raggiunti nei
paesi in via di sviluppo grazie ai progetti, “certified emission reductions” (CERs) il cui ammontare viene
calcolato ai fini del raggiungimento del target.
In base all’accordo le riduzioni dovranno essere conseguite nelle seguenti misure percentuali:
Protocollo di Kyoto Impegni assunti[5] |
Riduzione (entro il 2008-2012) dei gas
serra rispetto ai livelli del 1990 |
Stati membri UE |
8% |
USA |
7% |
Giappone |
6% |
Canada |
6% |
Totale paesi Annex I |
5,2%[6] |
Il Protocollo di Kyoto riconosce all’Unione europea (che ha provveduto a ratificarlo in data 31 maggio 2002) la facoltà di ridistribuire tra i suoi Stati membri gli obiettivi ad essa imposti, a condizione che rimanga invariato il risultato finale. Con la decisione politica nota come accordo sulla ripartizione degli oneri (raggiunto nel Consiglio Ambiente del 16-17 giugno 1998) sono state fissate le seguenti percentuali di riduzione:
Austria |
-13% |
-6,5% |
|
Belgio |
-7,5% |
Lussemburgo |
-28% |
Danimarca |
-21% |
Paesi Bassi |
-6% |
Finlandia |
0% |
Portogallo |
+27% |
Francia |
0% |
Regno Unito |
-12,5% |
Germania |
-21% |
Spagna |
+15% |
Grecia |
+25% |
Svezia |
+4% |
Irlanda |
+13% |
|
|
Il protocollo è diventato vincolante a livello internazionale il 16 febbraio 2005 in seguito al deposito dello strumento di ratifica da parte della Russia, con notevole ritardo rispetto alla firma del protocollo medesimo, causato dall'uscita dal Protocollo degli USA, che rappresentano da soli il 36% delle emissioni dei Paesi industrializzati.
Si ricorda, infatti, che l’art. 24 del Protocollo ne prevede
l’entrata in vigore 90 giorni dopo la ratifica da parte di almeno 55 paesi
firmatari della Convenzione, comprendenti un numero di paesi dell’Annex I a cui sia riferibile almeno il
55% delle emissioni calcolate al 1990.
Per quanto riguarda l’Italia, la ratifica del protocollo di Kyoto è avvenuta con la legge 1° giugno 2002, n. 120, la quale reca anche una serie di disposizioni finalizzate al raggiungimento degli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra.
L’art. 2, comma 1, dispone, infatti, che il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, entro il 30 settembre 2002, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e con gli altri ministri interessati, è tenuto a presentare al CIPE un piano di azione nazionale per la riduzione dei livelli di emissione dei gas serra e l’aumento del loro assorbimento ed una relazione contenente lo stato di attuazione e la proposta di revisione della delibera CIPE n. 137 del 19 novembre 1998.
Nel medesimo comma viene previsto, inoltre, che la suddetta
relazione debba riguardare anche lo stato di attuazione dei programmi
finanziati dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio in
attuazione del decreto-legge 30 dicembre 1999, n. 500 e del D.M. ambiente 20
luglio 2000, n. 337, nonché dei programmi pilota previsti dal successivo comma
3, in cui si prevede che il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio,
entro il 30 marzo di ogni anno, individui, con proprio decreto e di concerto
con i ministri interessati e con la Conferenza unificata Stato-regioni-città, i
programmi pilota da attuare a livello nazionale ed internazionale per la
riduzione delle emissioni e l'impiego di piantagioni forestali per
l'assorbimento del carbonio[7]
e che (comma 4) entro il 30 novembre di ogni anno il Ministro dell’ambiente
trasmetta al Parlamento una relazione sulla loro attuazione.
In attuazione di tali disposizioni, il Ministero dell'Ambiente e della tutela del territorio ha provveduto ad elaborare il Piano nazionale per la riduzione delle emissioni di gas responsabili dell’effetto serra: 2003-2010[8] (per consentire all'Italia di rispettare gli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra del 6,5% entro il 2008-2012, come prevede il Protocollo di Kyoto), nonché la proposta di revisione della delibera CIPE n. 137 del 19 novembre 1998, recante le “linee guida per le politiche e misure nazionali di riduzione delle emissioni dei gas serra”.
Tali documenti, approvati
con la delibera CIPE 19 dicembre 2002,
n. 123[9], contengono, secondo
quanto previsto dalla legge di ratifica, l'individuazione delle politiche e
delle misure finalizzate al contenimento ed alla riduzione delle emissioni di
gas serra.
Nella legge di ratifica viene specificato che tali azioni devono tendere al raggiungimento dei migliori risultati in termini di riduzione delle emissioni mediante il miglioramento dell'efficienza energetica del sistema economico nazionale e un maggiore utilizzo delle fonti di energia rinnovabili, all'aumento degli assorbimenti di gas serra derivanti dalle attività e dai cambiamenti di uso del suolo e forestali, alla piena utilizzazione dei meccanismi istituiti dal Protocollo di Kyoto per la realizzazione di iniziative congiunte con gli altri Paesi industrializzati (joint implementation) e con quelli in via di sviluppo (clean development mechanism), e, infine, all’accelerazione delle iniziative di ricerca e sperimentazione per l’introduzione dell’idrogeno quale combustibile e per la realizzazione di impianti per la produzione di energie alternative pulite (biomasse, biogas, combustibile derivato dai rifiuti, impianti eolici, fotovoltaici, solari).
Per il finanziamento di tali misure è da ultimo intervenuto
l’art. 1, comma 433, della legge n. 266/2005 (finanziaria 2006), che ha
autorizzato un contributo di 100 milioni di euro per il 2006.
Nel Piano nazionale viene sottolineato che poiché le
emissioni tendenziali al 2010 corrispondono a 580 Mt di CO2
equivalenti, il “gap” da colmare a quella data sarà pari a 93 Mt di CO2
equivalenti (dato che l’obbligo imposto dal Protocollo di Kyoto di una
riduzione del 6,5% rispetto al 1990 implica che le emissioni non potranno
superare i 487 Mt CO2 equivalenti).
Si ricorda, inoltre, che prima ancora della ratifica del
Protocollo, l’VIII Commissione della Camera aveva deliberato (nella seduta del
17 luglio 2001) lo svolgimento di un’indagine conoscitiva, conclusasi il 10
luglio 2002 con l’approvazione del Doc. XVII, n. 4, che traeva origine anche dagli aspetti
problematici e dagli sviluppi emersi in ambito internazionale in merito alle
modalità di attuazione del Protocollo di Kyoto del 1997 e che era finalizzata
ad esaminare ed eventualmente definire strategie nazionali per il conseguimento
degli obiettivi definiti dal Protocollo di Kyoto.
L’uso di tale strumento è volto a raggiungere gli obiettivi del Protocollo a costi più vantaggiosi attraverso il ricorso a meccanismi di mercato. Il presupposto su cui si basa la previsione di riduzione dei costi globali è fondato sulle forti variazioni nei costi di riduzione delle emissioni fra i vari paesi e fra i vari processi industriali. Attraverso la commercializzazione dei permessi di emissione, lo stesso mercato provvederà ad allocarli nel modo più efficiente, riducendo i costi globali rispetto a meccanismi più rigidi quali la tassazione o la semplice definizione di limiti.
La piena entrata in vigore a livello internazionale dell'emission trading è prevista nel 2008 (oggi sono ancora da definire le regole[10]), ma molti governi, organizzazioni governative e società stanno conducendo prove e sperimentazioni per verificarne le modalità di funzionamento.
Un’importante iniziativa in tal senso è stata intrapresa dall’Unione europea con l’emanazione della direttiva 2003/87/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 13 ottobre 2003 che istituisce un sistema per lo scambio di quote di emissioni dei gas a effetto serra nella Comunità - denominato Emission Trading System (ETS) - al fine di promuovere la riduzione di dette emissioni secondo criteri di efficacia dei costi ed efficienza economica.
Tale direttiva, che rappresenta la prima fase attuativa del Programma europeo sul cambiamento climatico (European Climate Change Programme - ECCP) lanciato nel giugno del 2000 dalla Commissione Europea, prevede l’istituzione di un mercato delle emissioni su scala europea a partire dal 2005 da affiancare all’emission trading previsto su scala globale dal Protocollo.
La direttiva si applica alle emissioni provenienti dalle attività indicate nell'allegato I e ai gas a effetto serra elencati nell'allegato II. In particolare alle emissioni di anidride carbonica provenienti da attività di combustione energetica, produzione e trasformazione dei metalli ferrosi, lavorazione di prodotti minerari, produzione di pasta per carta, carta e cartoni.
Gli obblighi previsti per gli impianti da essa regolati sono:
1) possedere un permesso all’emissione in atmosfera di gas serra[11];
2) rendere alla fine dell’anno un numero di quote (o diritti) d’emissione pari alle emissioni di gas serra rilasciate durante l’anno[12].
Le quote d’emissioni vengono rilasciate dall’autorità nazionale competente (ANC) all’operatore di ciascun impianto regolato dalla direttiva sulla base di un piano di allocazione nazionale; ogni quota (cd. European Unit Allowance – EUA) dà diritto al rilascio di una tonnellata di biossido di carbonio equivalente.
Il piano di allocazione nazionale (redatto in conformità ai criteri previsti dall’allegato III della direttiva) prevede l’assegnazione di quote a livello d’impianto per periodi di tempo predeterminati (il primo è individuato dalla direttiva nel triennio 2005-2007, mentre i successivi nei quinquenni 2008-2012, 2013-2017, ecc).
Esso, inoltre, deve essere coerente con gli obiettivi di riduzione nazionale, con le previsioni di crescita delle emissioni, con il potenziale di abbattimento e con i principi di tutela della concorrenza.
Una volta rilasciate, le quote possono essere vendute o acquistate[13]. Tali transazioni devono poi essere registrate nell’ambito di un registro nazionale.
La restituzione delle quote d’emissione avviene attraverso il registro nazionale ed è effettuata annualmente dagli operatori degli impianti in numero pari alle emissioni reali certificate da un soggetto terzo accreditato dall’ANC.
Con la Decisione della Commissione n. 156 del 29 gennaio 2004 sono state fissate le linee guida per il monitoraggio e la comunicazione delle emissioni di gas a effetto serra ai sensi della direttiva 2003/87/CE.
Si ricorda, inoltre, che la direttiva 2004/101/CE (cd. direttiva linking) ha riconosciuto i meccanismi flessibili del Protocollo di
Kyoto (Joint Implementation e Clean Developmnet Mechanism) all’interno
dell’ETS, stabilendo la validità dei crediti di emissione (ottenuti grazie
all’attuazione di tali progetti) per rispondere agli obblighi di riduzione
delle emissioni[14].
Per quanto riguarda l’Italia, i Ministeri delle attività produttive e dell'ambiente hanno elaborato e trasmesso alla Commissione europea il 21 luglio 2004 il Piano Nazionale di Assegnazione delle quote di emissione di anidride carbonica (secondo quanto previsto dalla direttiva 2003/87/CE) che illustra i principi per l'applicazione della direttiva nel contesto energetico e industriale dell'Italia ed il metodo da utilizzare per l'assegnazione delle quote a livello di attività e di impianto.
Si ricorda che in materia è intervenuto anche il D.L. 12 novembre 2004, n. 273 (convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1 della legge 30 dicembre 2004, n. 316) recante disposizioni urgenti per l’applicazione della direttiva 2003/87/CE in materia di scambio di quote di emissione dei gas ad effetto serra nella Comunità europea, al fine di consentire – in attesa del recepimento della direttiva[15] - l’avvio a partire già dal 2005 del sistema previsto dalla direttiva stessa.
I punti salienti del decreto sono:
- l’attribuzione del ruolo di ANC al Ministero dell’ambiente fino all’avvenuto recepimento della direttiva;
- l’obbligo per i gestori di impianti ricadenti nel campo di applicazione della direttiva di presentare la richiesta di autorizzazione ad emettere gas serra entro il 30 novembre 2004 e di presentare le informazioni necessarie per permettere all’ANC di procedere all’assegnazione delle quote di emissione di CO2 entro il 30 dicembre 2004;
- l’individuazione delle modalità di comunicazione delle suddette informazioni;
-
l’individuazione delle modalità di rilascio
delle autorizzazioni ad emettere gas serra.
Successivamente, il 28
febbraio 2005, il Governo ha provveduto a trasmettere alla Commissione
europea l’integrazione del Piano
nazionale di assegnazione per il periodo 2005-2007 al fine di assicurare la
coerenza del Piano con il criterio 10 dell’allegato III della direttiva
2003/87/CE, che richiede che il Piano contenga l’elenco degli impianti regolati
dalla direttiva con i valori delle quote che il Governo intende assegnare a ciascun
impianto[16].
Con la decisione
C(2005)1527 del 25 maggio 2005 la Commissione
europea ha accolto il piano dell’Italia che assegna le quote di emissione
di CO2 agli impianti
italiani per il periodo di scambio 2005-2007, dopo che le autorità italiane
hanno accettato di ridurre il numero totale di quote da assegnare: 23 milioni
di tonnellate di CO2
in meno all’anno, pari al 9% delle quote previste inizialmente. Con tale
decisione, tuttavia, la Commissione ha richiesto all’Italia di comunicare
ulteriori informazioni sulle quote assegnate a impianti specifici e rinunciare
ad una disposizione riguardante l’adeguamento a posteriori del piano. La
versione del piano di assegnazione dell’Italia esaminata nel maggio 2005 dalla
Commissione riguardava 1.240 impianti, tutti ammessi a partecipare al sistema
di scambio, ai quali si prevedeva di assegnare quote per consentire di emettere
mediamente, ogni anno, 232,5 milioni di tonnellate di CO2 per il periodo 2005-2007.
In data 23 febbraio 2006 il Ministero dell'ambiente ha emanato il decreto DEC/RAS/074/2006, recante l'assegnazione e il rilascio delle quote di CO2 per il periodo 2005-2007 sulla base della Decisione di assegnazione delle quote di CO2 per il periodo 2005-2007 (allegata al medesimo decreto) che rappresenta la versione definitiva e revisionata del piano nazionale di assegnazione delle quote di emissione, come risultante a seguito delle integrazioni e delle prescrizioni dettate dalla Commissione europea, che individua il numero di quote complessivo, a livello di settore e di impianto, che sarà assegnato dall’ANC per l’attuazione della direttiva.
In particolare tale decisione[17] attribuisce al settore termoelettrico un tetto di 131,1 milioni di tonnellate di CO2 all'anno, e ai settori non elettrici un tetto di 94,4 milioni di tonnellate di CO2 all'anno. La riduzione delle quote, in linea con la citata decisione della Commissione europea, risulta complessivamente pari a 25,8 milioni di tonnellate di CO2 per anno.
Di seguito si riporta la tabella 1.1 della decisione ove
sono indicate le quote complessivamente assegnate nel primo triennio di
riferimento:
Alla data di chiusura della XIV legislatura non è ancora stato pubblicato il decreto legislativo volto a recepire nell’ordinamento nazionale sia la direttiva 2003/87/CE, sia la direttiva 2004/101, provvedendo, altresì, ad inglobare nel testo, al fine di predisporre un quadro normativo unitario, le disposizioni dettate dal D.L. n. 273/2004, consequenzialmente abrogato.
L’illustrazione del contenuto di tale decreto in attesa della pubblicazione in G.U. si riferisce al testo dello schema presentato alle Camere per il parere (Atto Governo n. 597).
Il campo di
applicazione del decreto (art. 2) riguarda
le emissioni:
§
provenienti
dalle attività indicate nell’allegato A;
§
relative
ai gas-serra elencati nell’allegato B.
L’articolo 4
stabilisce, a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto, l’obbligo di autorizzazione per gli
impianti rientranti nel campo di applicazione del decreto stesso, in linea con
le disposizioni del corrispondente articolo della direttiva.
Il diagramma seguente schematizza la procedura delineata dagli artt. 5 e 6 per il rilascio, da parte dell’ANC per l’attuazione della direttiva, dell’autorizzazione ad emettere gas serra:
L’articolo 8 dispone l’istituzione - senza oneri aggiuntivi a carico del bilancio dello Stato -, presso la Direzione RAS del Ministero dell’ambiente, del “Comitato nazionale di gestione e attuazione della direttiva 2003/87/CE”, cui vengono affidate le funzioni di ANC.
Si ricorda che secondo la vigente normativa recata dal DL n. 273/2004 “fino al recepimento della direttiva 2003/87/CE, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio - Direzione per la ricerca ambientale e lo sviluppo svolge le funzioni di autorità nazionale competente, avvalendosi a tale fine, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, dell'Agenzia per la protezione dell'ambiente e per i servizi tecnici e dell'Ente per le nuove tecnologie, l'energia e l'ambiente”.
Il diagramma seguente schematizza la procedura che, secondo quanto previsto dagli artt. 10 e 11 in linea con le disposizioni della direttiva, conduce dall’approvazione del PNA all’assegnazione e al successivo rilascio delle quote di emissioni ai singoli impianti:
Per quanto riguarda il controllo del sistema, l’articolo 14 prevede l’istituzione - senza oneri a carico del bilancio statale - del Registro nazionale delle emissioni e delle quote d’emissioni presso la direzione RAS del Ministero dell’ambiente, che svolge le funzioni di amministratore del registro sulla base delle disposizioni impartite dall’ANC.
Tale registro:
§ è finalizzato alla contabilizzazione delle quote di emissioni rilasciate, possedute, trasferite[18], restituite e cancellate (conformemente all’art. 19, par. 1, della direttiva);
§ annota i dati contenuti nella dichiarazione annuale delle emissioni di ciascun impianto prevista dall’art. 15, comma 5;
§
assolve le funzioni del registro nazionale
previsto dall’art. 6 della decisione n. 208/2004/CE (relativa ad un meccanismo
per monitorare le emissioni di gas a effetto serra nella Comunità e per attuare
il protocollo di Kyoto) e opera secondo le specifiche di cui al regolamento n.
2216/2004/CE (relativo ad un sistema standardizzato e sicuro di registri, che
consente di attuare il disposto dell’art. 19, par. 3, della direttiva
2003/87/CE nonché del citato articolo 6 della decisione n. 280/2004/CE).
Si ricorda,
inoltre, che l’articolo 26 prevede l’introduzione di un sistema di tariffazione, per la copertura degli oneri derivanti
dallo svolgimento, da parte dell’ANC, di una serie di operazioni, tra cui
quelle per il rilascio e l’aggiornamento delle autorizzazioni ad emettere gas
serra.
Infine l’art. 27 impartisce le disposizioni transitorie per l’attuazione della direttiva che si applicano fino all’entrata in vigore del decreto.
In particolare il comma 3 riconosce al PNA inviato alla Commissione nel luglio 2004 e successivamente integrato, la sua validità quale PNA per il primo periodo di riferimento del decreto (2005-2007).
Il comma 4, infine, stabilisce l’equipollenza delle autorizzazioni rilasciate ai sensi dell’art. 1 del
DL n. 273/2004 con quelle rilasciate
ai sensi dell’art. 4 del decreto in commento.
Del resto, il DL n. 273/2004 è stato emanato proprio al fine di consentire - in attesa del recepimento della direttiva - l’avvio a partire già dal 2005 del sistema previsto dalla direttiva stessa.
Si segnala, infine, che
anche la Banca mondiale ha
intrapreso un programma di emission
trading attraverso l’istituzione del Community
Development Carbon Fund, con il quale verranno acquistati - nei Paesi in
via di sviluppo – certificati legati alla riduzione delle emissioni di gas
serra generate da progetti selezionati e monitorati dalla Banca stessa. Secondo
alcuni, con questa operazione la Banca Mondiale “si candida a giocare un ruolo
centrale nel futuro commercio mondiale dei certificati di emissione della CO2”[19].
Tale iniziativa si affianca
ad altre analoghe[20] tra cui quella che
nell’ottobre 2003 ha portato alla stipula di un accordo tra il Ministero
dell’ambiente e la Banca Mondiale volto ad istituire l’Italian Carbon Fund per
l’acquisto di crediti di emissione da progetti che generino riduzioni di
emissioni di gas serra (compatibili con i meccanismi flessibili previsti dal
Protocollo di Kyoto e con il nuovo sistema europeo di emission trading) ed apportino benefici all’ambiente globale,
promuovendo nel contempo la diffusione di tecnologie moderne ed energia pulita
in paesi in via di sviluppo e con economie in transizione.
Tale fondo è un partenariato pubblico-privato (dal 1° gennaio 2004 il Fondo è aperto alla partecipazione di aziende private ed agenzie pubbliche italiane) amministrato dalla Banca Mondiale e dotato di un capitale iniziale di 15 milioni di dollari messi a disposizione dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio[21]. Tale impegno finanziario si affianca alla partecipazione dell’Italia al citato Community Development Carbon Fund per un importo di 7,7 milioni di dollari.
[2] Previsto dall’art. 3 del Protocollo.
[3] Prevista dall’art. 6 del Protocollo.
[4] Previsti dall’art. 12 del Protocollo.
[5] Le percentuali di responsabilità nelle emissioni globali sono le seguenti: gli Stati membri UE sono responsabili del 22,1%, gli USA del 30,3%, il Giappone del 3,7%, il Canada del 2,3%.
[6] La percentuale di riduzione globale che il Protocollo si prefigge quale obiettivo è scesa - dopo l’abbandono del negoziato da parte degli Stati Uniti - dal 5,2% al 3,8%.
[7]
I programmi pilota sono stati definiti: con il DM 3 novembre 2004 (programmi
pilota a livello nazionale), con il D.M. 2 febbraio 2005 (programmi pilota a
livello nazionale in materia di afforestazione e riforestazione) e con il D.M.
11 febbraio 2005 (programmi pilota a livello internazionale).
[8] Tale Piano è consultabile all’indirizzo internet:
www2.minambiente.it/Sito/settori_azione/pia/att/pna_c02/docs/delibera_cipe_19_12_02_n123.pdf.
[9]
Pubblicata nella G.U. n. 68 del 22 marzo 2003 e consultabile anche
all’indirizzo internet http://www2.minambiente.it/sito/settori_azione/pia/docs/deliberaCIPE_19_12_02.pdf.
[10] Si ricorda, in proposito, che nel corso della COP7 di Marrakech (2001) si è stabilito che il commercio dei permessi di emissione tra i paesi industrializzati non sia soggetto a limiti quantitativi.
[11] Tale permesso è rilasciato dall’autorità nazionale competente previa verifica da parte della stessa della capacità dell’operatore dell’impianto di monitorare nel tempo le proprie emissioni di gas serra.
[12] La mancata resa di una quota d’emissione prevede una sanzione pecuniaria di 40 Euro nel periodo 2005-2007 e di 100 Euro nei periodi successivi; le emissioni oggetto di sanzione non sono esonerate dall’obbligo di resa di quote.
[13]
Ogni anno i gestori degli impianti regolati dalla direttiva 2003/87 sono tenuti
a restituire un numero di quote corrispondenti alle emissioni reali prodotte.
L’eventuale surplus di quote (differenza positiva tra le quote assegnate ad
inizio anno e le emissioni effettivamente immesse in atmosfera) potrà essere
accantonato o venduto sul mercato, mentre il deficit potrà essere coperto
attraverso l’acquisto delle quote. Gli Stati membri dovranno quindi assicurare
la libera circolazione delle quote di emissioni all’interno della Comunità
Europea consentendo lo sviluppo effettivo del mercato europeo dei diritti di
emissione.
[14] In particolare dei CERs a partire dal 2005 e delle ERUs a partire dal 2008.
[15]
Previsto dall’art. 14 della legge 18 aprile 2005, n. 62 (legge comunitaria
2004), che ha delegato il Governo al recepimento della direttiva 2003/87 nella
legislazione nazionale entro il termine di diciotto mesi dall’entrata in vigore
della legge (vale a dire entro il 12 novembre 2006).
[16] Le successive versioni del Piano Nazionale di Assegnazione sono consultabili nel sito internet del Ministero dell’ambiente ai seguenti indirizzi:
www2.minambiente.it/Sito/settori_azione/pia/att/pna_c02/pna_c02.asp
;
www2.minambiente.it/Sito/settori_azione/pia/att/pna_c02/pnac02_schema_assegnazione.asp
[17]
Su cui hanno espresso il loro parere sia le Commissioni parlamentari competenti
(nel dicembre 2005), sia la Conferenza Stato-Regioni, sia la Commissione
europea, che ha trasmesso il proprio parere favorevole con nota protocollo DG
ENV/C2/IB/sad/D(06) 3537 del 22 febbraio 2006.
[18] Le quote di emissione assegnate dal PNA ai gestori regolati dalla Direttiva 2003/87 possono essere scambiate attraverso contrattazioni bilaterali (OTC) oppure attraverso piattaforme di scambio organizzate (le cd. borse dei fumi).
Nel corso del 2005 era stato annunciato che nei primi mesi del 2006 sarebbe stata attivata la prima piattaforma italiana per lo scambio delle quote di emissione da parte del gestore del mercato elettrico (GME). Tale piattaforma, tuttavia, non è ancora attiva.
Per ulteriori approfondimenti si veda il documento presentato dal GME alla fiera “CO2 Expo”, tenutasi a Roma nel settembre 2005, e disponibile sul sito internet del GME all’indirizzo www.mercatoelettrico.org/GmewebItaliano/MenuBiblioteca/Documenti/PresentazioneCO2.pdf. Si rammenta, altresì, che sul medesimo sito è consultabile la bozza di Regolamento del mercato delle quote di emissione all’indirizzo:
http://www.mercatoelettrico.org/GmeWebItaliano/MenuBiblioteca/Documenti/20051003RegolamentoET.pdf.
[19] Si veda, ad esempio, L. De Simone, A. Nobili “Con i certificati verdi ed emission trading sviluppo economico sempre più sostenibile”, in Ambiente e sicurezza – Supplemento n. 4/2003.
[20]
Una rassegna delle iniziative della Banca Mondiale in materia è contenuta nel
sito http://carbonfinance.org.
[21] Per approfondimenti si rinvia al documento di
presentazione dell’iniziativa predisposto congiuntamente dal Ministero
dell’ambiente e dalla Banca mondiale e disponibile all’indirizzo internet http://carbonfinance.org/docs/ItalianCarbonFundItalianLanguage.pdf.