Sfratti - Le sentenze della Corte dei diritti dell’uomo

La Corte europea dei diritti dell’uomo si è recentemente pronunciata su alcuni ricorsi proposti nei confronti dello Stato italiano dai proprietari di immobili in relazione ai procedimenti avviati per ottenerne il rilascio da parte dei conduttori.

 

Può essere utile in questa sede qualche notazione di carattere generale sulle competenze della Corte europea dei diritti dell’uomo e sull’efficacia delle relative decisioni.

Preliminarmente, si ricorda che tale organismo è competente a pronunciarsi sui ricorsi presentati dagli Stati firmatari o dai singoli individui in merito alla violazione, da parte di uno Stato membro, di diritti tutelati dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) e dai suoi protocolli[1].

In relazione ai rapporti tra la CEDU e le fonti del nostro diritto interno, occorre precisare che, secondo l'impostazione classica della dottrina, poiché le relative norme sono state introdotte nell'ordinamento italiano con l'ordinario procedimento di adattamento al trattati internazionali, la CEDU, da un punto di vista strettamente formale, dovrebbe avere la forza della fonte che la recepisce e, perciò, quella della legge ordinaria[2].

A questo orientamento tradizionale sembra contrapporsi il nuovo testo dell’articolo 117, Cost., primo comma, (come modificato dalla legge cost. n. 3 del 2001), secondo cui la potestà legislativa dello Stato e delle Regioni deve esercitarsi nel rispetto, oltre che della Costituzione, "dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali". Il particolare riferimento al necessario rispetto, da parte del legislatore statale, degli obblighi internazionali risulta significativamente innovativo, al punto che molti interpreti sostengono che, con esso, si sia voluto "costituzionalizzare" i trattati internazionali, le cui leggi di ratifica, pertanto, sarebbero dotate di speciale forza di resistenza passiva rispetto alle fonti di rango ordinario.

Si evidenzia, inoltre, che l'art. 6, par. 2, del Trattato sull'Unione europea ha sostanzialmente "comunitarizzato" i diritti fondamentali garantiti dalla CEDU, in quanto li ha espressamente riconosciuti come "principi generali del diritto comunitario". E, da ultimo, va sottolineata l'importanza della formale adesione dell'Unione Europea alla CEDU e l'inclusione dei diritti fondamentali da quest'ultima sanciti nella parte Il del "Trattato che adotta una Costituzione per l'Europa", firmato a Roma il 29 ottobre 2004.

In questa prospettiva, possono spiegarsi alcune recenti sentenze di giudici di merito, i quali, con un procedimento ermeneutico del tutto simile a quello utilizzato nell'applicazione del diritto comunitario, hanno ritenuto di dover "disapplicare" la legge italiana contrastante con le norme della CEDU.

Particolarmente significative infine sono quattro recenti sentenze delle SS.UU. della Corte di cassazione (n. 1338, 1339, 1340 e 1341 del 26 gennaio 2004) che, innovando rispetto all'orientamento interpretativo in precedenza maturato, hanno riconosciuto la vincolatività nel confronti del giudice italiano delle sentenze della Corte europea, quanto meno nella materia della liquidazione dell'equo indennizzo per violazione del principio della ragionevole durata del processo.

Infine, quanto alla questione del valore programmatico o immediatamente precettivo delle disposizioni della CEDU, sembra che la giurisprudenza più recente sia ormai pacificamente attestata sulla tesi favorevole a riconoscere l'immediata precettività delle disposizioni stesse, in quanto “le norme della Convenzione sul diritti dell'uomo, resa esecutiva dalla legge 4 agosto 1955 n. 848, sono di immediata applicazione (self executing) e attribuiscono, quindi, al soggetti dell'ordinamento diritti soggettivi perfetti"[3]

 

La Corte di Strasburgo è stata chiamata a giudicare sulla compatibilità delle disposizioni nazionali che disciplinano tali procedimenti con l’art. 1 del Protocollo addizionale n. 1 (Protezione della proprietà) e con l’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) (Diritto ad un equo processo), quest’ultimo richiamato  sotto il profilo della ragionevole durata del processo.

 

L’art. 1, Protocollo 1, della CEDU contiene la definizione del diritto di proprietà e ne i individua i possibili limiti[4]. Al secondo comma, in particolare, contempla il diritto degli Stati di mettere in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l'uso dei beni in modo conforme all'interesse generale.

L’articolo 6 della CEDU contempla il diritto ad un equo processo, prevedendo in particolare al primo comma il diritto di ciascuna persona “a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale” [5]. Attraverso la formalizzazione di tale diritto, sono stati ribaditi alcuni principi per la maggior parte già recepiti dai singoli Stati.

 

 

Molte delle cause avviate innanzi alla Corte sono state cancellate dal ruolo a seguito di un regolamento amichevole delle controversie tra i ricorrenti e lo Stato italiano[6].

In diversi altri procedimenti, invece, la Corte - rilevando la violazione dei diritti indicati - ha deciso in via equitativa, ai sensi dell’articolo 41 CEDU, condannando l’Italia al pagamento delle spese di giudizio e al risarcimento dei danni, pecuniari e non, derivanti ai proprietari ricorrenti dal ritardo nella restituzione degli immobili[7].

 

L’articolo 41 della CEDU prevede che, in presenza di una violazione della CEDU o dei suoi protocolli, qualora il diritto interno dello Stato non permetta se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda un’equa soddisfazione della parte lesa.

 

In questa sede, è opportuno soffermarsi sulle ragioni di diritto che hanno condotto la Corte ad una decisione di condanna nella sentenza del 29 gennaio 2004 (causa Sorrentino Prota c. Italia – ricorso n. 40465), più volte richiamate nella giurisprudenza successiva.

In tale occasione, la Corte, nell’esaminare la legislazione nazionale in materia di locazioni (dalle disposizioni dell'art. 1591 c.c., alle leggi n. 392 del 1978  e n. 431 del 1998, fino ai numerosi provvedimenti di proroga degli sfratti), ha preso atto della giurisprudenza costituzionale in materia (e, in particolare, della sentenza della Corte costituzionale n. 482 del 2000) ed ha ritenuto meritevoli di considerazione anche i rilievi del Governo italiano in merito all'esigenza dì evitare tensioni sociali e turbative dell'ordine pubblico conseguenti all'esecuzione contemporanea di numerosi provvedimenti di sfratto.

 

Nella sentenza 25 ottobre-9 novembre 2000, n. 482, la Corte costituzionale italiana ha affermato in termini generali “che la funzione sociale della proprietà, intesa quale «dovere di partecipare alla soddisfazione di interessi generali» (sentenza n. 108 del 1986), legittima interventi legislativi finalizzati all'attuazione di esigenze di carattere primario”; con specifico riferimento alla disciplina vincolistica ne ha ribadito la legittimità, a condizione che essa abbia un carattere straordinario e temporaneo. Si ricorda, peraltro, che con la recente sentenza 24-28 maggio 2004 n. 155, la Corte si è espressa in senso sfavorevole ad una eventuale nuova proroga degli sfratti, posto che la sospensione dell’esecuzione dei provvedimenti di sfratto “può trovare giustificazione soltanto se incide sul diritto alla riconsegna dell’immobile per un periodo transitorio ed essenzialmente limitato”.

 

Con particolare riferimento al diritto di proprietà, la Corte di Strasburgo si è soffermata sulla finalità dell’art. 1 del Protocollo n. 1 CEDU di realizzare un equo compromesso tra le esigenze di tutela dell'interesse pubblico e le istanze di protezione dei diritti individuali fondamentali In relazione a tale finalità, la Corte ha individuato una relazione di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo perseguito, per cui lo Stato gode di un ampio margine di discrezionalità sia nella scelta degli strumenti di attuazione dei provvedimenti, sia nell'accertare se le conseguenze dell'attuazione si giustificano nella prospettiva dell'interesse pubblico all'attuazione della legge. Pertanto le scelte legislative nazionali in merito all'interesse pubblico da perseguire devono essere tenute in considerazione, a meno che non siano manifestamente prive di ragionevole fondamento.

Relativamente al caso specifico, la Corte ha ritenuto che, in linea di principio, il sistema italiano di scaglionamento dell'attuazione degli sfratti non è di per sé suscettibile di critica, in considerazione dei margini di apprezzamento consentiti a livello nazionale dal secondo paragrafo dell'art. 1 del Protocollo n. 1. Tuttavia, secondo la Corte è insito in tale sistema il rischio di porre a carico dei locatori un eccessivo fardello dal punto di vista della facoltà di disporre della proprietà, sicché occorre approntare garanzie procedurali di salvaguardia per evitare conseguenze arbitrarie ed imprevedibili sul diritto di proprietà dei locatori.

 

Le considerazioni svolte in tale sentenza ricalcano quelle contenute nella sentenza Immobiliare Saffi c. Italia del 28 luglio 1999, nella quale la Corte – sul presupposto generale che un'ingerenza della legislazione nazionale nella sfera dell'individuo, così come previsto dal secondo paragrafo dell'art. 1 del Protocollo n. 1, deve realizzare un "giusto equilibrio" tra le esigenze dell'interesse generale e la necessità di proteggere i diritti fondamentali individuali – ha affermato che il sistema italiano di scaglionare l'esecuzione delle ordinanze dei tribunali non è di per sé oggetto di critica, avendo riguardo in particolare al margine di apprezzamento permesso dal secondo paragrafo dell'art. I. Tuttavia, tale sistema porta con sé il rischio di imporre ai locatori un eccessivo carico, in relazione alla loro capacità di disporre dei propri beni e deve, di conseguenza, prevedere alcune protezioni procedurali tali da assicurare che l'azione del sistema ed il suo impatto sul diritti di proprietà dei locatori non siano né arbitrari né imprevedibili.

 

Con riferimento all’articolo 6 CEDU, la Corte ha osservato che il diritto alla tutela giurisdizionale comprende anche il diritto all'attuazione dei provvedimenti giurisdizionali divenuti definitivi, attuazione che non può essere indebitamente ritardata. Tuttavia, una sospensione nell'esecuzione dei provvedimenti può essere giustificata, in circostanze eccezionali, per consentire una soluzione soddisfacente dei problemi di ordine pubblico.

 

È utile infine un accenno alla sentenza del 21 aprile 2005 (causa Lo Tufo contro Italia – ricorso n. 64663/01), nella quale la Corte europea ha condannato lo Stato italiano per violazione degli articoli 1, Prot. 1,  e 6 della CEDU,  ma ha contestualmente rigettato la domanda di equa soddisfazione proposta dai ricorrenti in relazione ai danni materiali patiti per il tardivo rilascio dell’immobile, in considerazione del fatto che l’articolo 1591 c.c. consente, nell’ambito dell’ordinamento nazionale, di cancellare le conseguenze materiali della violazione.

In tale occasione, la Corte europea ha richiamato la giurisprudenza costituzionale italiana (e, in particolare, la sentenza n. 155 del 2004) che ha affermato la legittimità costituzionale delle proroghe, delle sospensioni e degli scaglionamenti degli sfratti in considerazione del loro carattere transitorio e limitato, nonché della limitazione dell’indennizzo in favore dei proprietari disposta dall’articolo 6 della legge n. 61 del 1989 (successivamente abrogato dall’articolo 14 delle legge n. 431 del 1998), in quanto stabilita nell’ambito di una legislazione di tipo eccezionale.

 

 



[1] La CEDU è stata firmata a Roma il 4 novembre 1950 e resa esecutiva in Italia con la legge n. 848 del 1955. Sono stati adottati quattordici protocolli addizionali, attraverso i quali è stato ampliato il catalogo dei diritti e delle libertà tutelati, è stato riconosciuto anche agli individui, oltre che agli Stati, il diritto di adire la Corte ed è stato semplificato il complessivo sistema di decisione dei ricorsi per violazione dei diritti e delle libertà.

[2] Secondo altra impostazione invece alle norme internazionali pattizie deve essere attribuita una forza peculiare in virtù del principio pacta sunt servanda di cui al primo comma dell'art. 10 della Costituzione. Con specifico riferimento alla questione della “costituzionalizzazione" della CEDU, non sembra potersi affermare un orientamento univoco della giurisprudenza costituzionale. Si richiama ,da un lato, la sentenza n. 10 del 1993 che riconosce la provenienza delle norme della CEDU da fonte atipica e attribuisce ad esse peculiare resistenza di fronte alla legge ordinaria successiva, dall'altro, di avviso diverso, la sentenza n. 388 del 1999.

[3] Cass. Sez. 11, sent. n. 2823 del 20 maggio 1991.

[4] L’art. 1, Prot. 1, così recita: “Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.

Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di mettere in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l'uso dei beni in modo conforme all'interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende”.

[5] L’articolo 6 CEDU così recita:

“1. Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, il quale deciderà sia delle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile, sia della fondatezza di ogni accusa penale che le venga rivolta. La sentenza deve essere resa pubblicamente, ma l'accesso alla sala d'udienza può essere vietato alla stampa e al pubblico durante tutto o parte del processo nell'interesse della morale, dell'ordine pubblico o della sicurezza nazionale in una società democratica, quando lo esigono gli interessi dei minori o la protezione della vita privata delle parti in causa, o nella misura giudicata strettamente necessaria dal tribunale, quando in circostanze speciali la pubblicità può pregiudicare gli interessi della giustizia.

2. Ogni persona accusata di un reato è presunta innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente accertata.

3. In particolare, ogni accusato ha diritto a :

a) essere informato, nel più breve tempo possibile, in una lingua a lui comprensibile e in un modo dettagliato, della natura e dei motivi dell'accusa elevata a suo carico;

b) disporre del tempo e delle facilitazioni necessarie a preparare la sua difesa;

c) difendersi personalmente o avere l'assistenza di un difensore di sua scelta e, se non ha i mezzi per retribuire un difensore, poter essere assistito gratuitamente da un avvocato d'ufficio, quando lo esigono gli interessi della giustizia;

d) esaminare o far esaminare i testimoni a carico ed ottenere la convocazione e l'esame dei testimoni a discarico nelle stesse condizioni dei testimoni a carico;

e) farsi assistere gratuitamente da un interprete se non comprende o non parla la lingua usata all'udienza”.

[6] Si ricordano, tra le altre, le cause Gianturco contro Italia – ricorsi nn. 40672/98, 40680/98, 40681/98 e 40884/98 (Sentenza del 22 gennaio 2004); la causa Carnasciali contro Italia – ricorso n. 66754/01 (sentenza 29 gennaio 2004); la causa Rossi e Naldini contro Italia – ricorso n. 31011/96 (sentenza 11 marzo 2004); la causa Quintarelli contro Italia – ricorso n. 67873/01 (sentenza 11 marzo 2004); le cause Quattrini contro Italia – ricorso n. 68189/01, Cecere P. contro Italia – ricorso n. 68344/01; Cecere E. contro Italia – ricorso n. 70585/01 (sentenza 24 novembre 2005); Comellini e Otello de Luca contro Italia - ricorso n. 17644/03 (sentenza 9 febbraio 2006)

[7] Si ricordano, tra le altre: la causa Sorrentino Prota contro Italia – ricorso n. 40465/98 (sentenza 29 gennaio 2004); la causa Bellini contro Italia – ricorso n. 64258/01 (sentenza 29 gennaio 2004); la causa Fossi e Mignolli contro Italia – ricorso n. 48171/01 (sentenza 4 marzo 2004). Nelle cause Mascolo contro Italia – ricorso n. 68792/01 (sentenza 16 dicembre 2004), Lo Tufo contro Italia – ricorso n. 64663/01 (sentenza 21 aprile 2005); Stornelli e Sacchi contro Italia – ricorso n. 68706/01 (sentenza 28 luglio 2005), Federici contro Italia n. 2 – ricorso n. 66327/01 e 66556/01; Frateschi contro Italia– ricorso n. 68008/01; Cuccaro Granatelli contro Italia– ricorso n. 19830/03 (sentenze 8 dicembre 2005); Mazzei contro Italia – ricorso 69502/01 (sentenza del 6 aprile 2006), la Corte ha condannato l’Italia al risarcimento dei soli danni non pecuniari, ritenendo che, nei casi in esame, l’ordinamento nazionale consentisse di recuperare il danno materiale connesso alla restituzione tardiva dell’immobile.