Con riferimento al servizio pubblico radiotelevisivo,
occorre preliminarmente ricordare che esso trova fondamento costituzionale nei
principi della libertà di parola e nel diritto di informare e di essere
informati (art. 21 Cost.). Nella sentenza n. 284 del 2002 la Corte costituzionale ha avuto modo di
ribadire che il venir meno del monopolio statale non comporta il venire meno
della giustificazione costituzionale del servizio pubblico radiotelevisivo, che
risiede nella sua funzione specifica, volta a soddisfare il citato diritto
all’informazione ed i connessi valori costituzionali, primo fra tutti il
pluralismo, nonchè a diffondere la cultura “per concorrere allo sviluppo
sociale e culturale del paese”. Riguardo al finanziamento del servizio pubblico, poi, la Corte, nella medesima
sentenza, ha ribadito la natura di prestazione tributaria del canone (imposta
di scopo). Ad avviso della Corte, proprio l’interesse generale che sorregge
l’erogazione del servizio pubblico può richiedere una forma di finanziamento
fondata sul ricorso allo strumento fiscale. Inoltre, “il finanziamento parziale
mediante il canone consente, e per altro verso impone, al soggetto che svolge
il servizio pubblico di adempiere agli obblighi particolari ad esso connessi,
sostenendo i relativi oneri, e, più in generale, di adeguare la tipologia e la
qualità della propria programmazione alle specifiche finalità di tale servizio,
non piegandole alle sole esigenze quantitative dell’ascolto e della raccolta pubblicitaria,
e non omologando le proprie scelte di programmazione a quelle proprie dei
soggetti privati che operano nel ristretto e imperfetto "mercato"
radiotelevisivo”.
La legge n. 112
del 2004 (cosiddetta Legge Gasparri) ha ridefinito i compiti del servizio pubblico generale
radiotelevisivo e della concessionaria,
con la definizione dei tempi e dei modi di avvio del processo di privatizzazione della RAI, la modifica
della durata della concessione, nonché della
composizione e delle procedure di nomina degli organi della RAI. Tali
norme sono quindi confluite nel Testo unico della radiotelevisione.
In particolare sono
definiti i compiti del servizio
pubblico generale radiotelevisivo e quelli di pubblico servizio in ambito
regionale e provinciale. Il servizio pubblico generale radiotelevisivo deve
garantire:
· la copertura integrale del
territorio nazionale;
· un numero adeguato di ore di
trasmissioni televisive e radiofoniche dedicate all'educazione,
all'informazione, alla formazione, alla promozione culturale e la realizzazione
di attività di insegnamento a distanza;
· l'accesso alla programmazione, in
favore dei partiti e dei gruppi politici, delle organizzazioni associative
delle autonomie locali, dei sindacati nazionali, delle confessioni religiose,
dei gruppi etnici e linguistici e degli altri gruppi di rilevante interesse
sociale che ne facciano richiesta e la trasmissione gratuita dei messaggi di
utilità sociale;
· la costituzione di una società per
la produzione, la distribuzione e la trasmissione di programmi radiotelevisivi
all'estero, finalizzati alla conoscenza e alla valorizzazione della lingua,
della cultura e dell'impresa italiane;
· la diffusione di trasmissioni
radiofoniche e televisive in lingua tedesca, ladina, francese e slovena per le
regioni di confine e la valorizzazione e il potenziamento dei centri di
produzione decentrati, per la promozione delle culture e degli strumenti
linguistici locali;
· la trasmissione, in orari
appropriati, di contenuti destinati specificamente ai minori;
· la conservazione degli archivi
storici radiofonici e televisivi;
· la destinazione di una quota non
inferiore al 15 per cento dei ricavi complessivi annui alla produzione di opere
europee;
· la tutela delle persone portatrici
di handicap sensoriali.
Viene inoltre dettata la
disciplina del finanziamento del servizio pubblico generale radiotelevisivo,
garantendo che il finanziamento derivante dai proventi del canone di abbonamento alla radiotelevisione venga effettivamente ed
esclusivamente impiegato per la realizzazione dei compiti di sevizio pubblico[1]. A
tal fine si prevede che la società concessionaria predisponga il bilancio di
esercizio indicando in una contabilità
separata i ricavi derivanti dal canone e gli oneri sostenuti nell’anno
solare precedente, in base ad uno schema approvato dall’Autorità per le
garanzie nelle comunicazioni, alla quale è altresì affidato il compito di
verificare l’adempimento degli obblighi di servizio pubblico[2].
L'ammontare del canone di abbonamento è determinato annualmente con decreto
del Ministro delle comunicazioni in misura tale da
consentire alla società concessionaria di coprire i costi che prevedibilmente
verranno sostenuti per adempiere gli specifici obblighi di servizio pubblico
generale radiotelevisivo. La società concessionaria del servizio
pubblico ha inoltre entrate
pubblicitarie, seppure con limiti diversi rispetto ai concessionari
privati. La trasmissione di messaggi pubblicitari da parte della concessionaria
pubblica non può infatti eccedere il 4 per cento dell'orario settimanale di
programmazione ed il 12 per cento di ogni ora; mentre per i concessionari
privati per la radiodiffusione televisiva in ambito nazionale la trasmissione
di spot pubblicitari non può eccedere
il 15 per cento dell'orario giornaliero di programmazione ed il 18 per cento di
ogni ora.
Il servizio pubblico
generale radiotelevisivo è affidato per concessione
ad una società per azioni (la legge n. 223 del 1990[3]
prevedeva l’affidamento mediante concessione ad una società per azioni a totale
partecipazione pubblica) ed è svolto sulla base di un contratto nazionale di servizio stipulato con il Ministero delle
comunicazioni e di contratti di servizio regionali e, per le province autonome
di Trento e di Bolzano, provinciali, con i quali sono individuati i diritti e
gli obblighi della società concessionaria. Tali contratti sono rinnovati ogni
tre anni. In tale ambito la legge 112/2004 ha attribuito all'Autorità il compito di fissare -
d'intesa con il Ministro - prima di
ciascun rinnovo triennale del contratto le linee-guida
sul contenuto degli ulteriori obblighi
del servizio pubblico generale radiotelevisivo. Si segnala peraltro che ulteriori obblighi per la
concessionaria sono contenuti all’art. 19 della legge 14 aprile 1975, n. 103[4], mentre il successivo articolo 20
definisce i relativi corrispettivi. Tali articoli non sono confluiti nel testo
unico.
In via di prima
applicazione, la concessione del servizio pubblico generale radiotelevisivo è
affidata, per la durata di dodici anni dalla data di entrata in vigore della
presente legge, alla RAI-Radiotelevisione
italiana Spa. A tal fine, la legge detta disposizioni che adeguano la
disciplina della società a quella generale delle società per azioni, nella
prospettiva della dismissione della
partecipazione dello Stato nella RAI-Holding, la cui disciplina, contenuta nella
legge n. 112 del 2004, non è confluita nel Testo unico.
In applicazione della legge è stata in primo luogo
disposta la fusione per incorporazione della società RAI-Radiotelevisione
italiana Spa nella società RAI-Holding
Spa. Il processo di privatizzazione dovrebbe avvenire attraverso una o più
offerte pubbliche di acquisto. Attesa
la previsione di un limite al possesso azionario dell’1%, all’esito del
procedimento di dismissione la società concessionaria si configurerebbe come
società ad azionariato diffuso (“public company”). Sono, inoltre, vietati i
patti di sindacato di voto o di blocco, o comunque gli accordi relativi alle
modalità di esercizio dei diritti inerenti alle azioni che intercorrano tra
soggetti titolari di un pacchetto azionario superiore al 2%. Si segnala
pertanto che il processo di privatizzazione della RAI sembra aver subito una
battuta d’arresto.
Le norme riguardanti
la costituzione del consiglio di
amministrazione, composto da nove
membri[5], viene
completamente modificate dalla legge “Gasparri”[6], che
prevede una disciplina transitoria fino alla completa privatizzazione della
RAI. Qualora il numero delle azioni alienato non superi la quota del 10 per
cento del capitale della RAI, la Commissione parlamentare per l’indirizzo
generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi indica sette membri
eleggendoli con il voto limitato a uno; i restanti due membri, tra cui il
presidente, sono invece indicati dal Ministero dell’economia e delle finanze. Il
presidente del consiglio di
amministrazione è nominato previo parere favorevole espresso a maggioranza
dei due terzi dei componenti della Commissione.
Fino alla completa
alienazione della partecipazione dello Stato, il rappresentante del Ministero
dell'economia e delle finanze presenta una autonoma lista di candidati,
formulata sulla base delle delibere della Commissione di vigilanza e delle
indicazioni del Ministero, in numero proporzionale al numero delle quote
possedute. Infine, una volta completato il processo di privatizzazione, il
consiglio di amministrazione è nominato dall'assemblea, mediante voto di lista.
La Commissione di
vigilanza ha inoltre un ruolo rilevante con riguardo alla revoca ed alla promozione di azione di responsabilità nei confronti
degli amministratori[7]. Sono,
infine, definiti i compiti del direttore
generale, già contenuti nella legge 206 del 1993[8] e
ribaditi dallo statuto della nuova RAI[9].
Il 17 maggio 2005 la
Commissione parlamentare di vigilanza ha eletto sette componenti del nuovo
Consiglio d'Amministrazione sulla base delle nuove norme. A seguito della
designazione degli ulteriori due membri da parte del Ministro dell’Economia, il
Presidente è stato nominato il 31 luglio 2005 e il nuovo direttore generale il
successivo 5 agosto.
Con riferimento alla Commissione parlamentare di vigilanza,
si segnala che nel corso della XIV legislatura la Commissione, in
considerazione dell’opportunità di rafforzare gli strumenti di vigilanza a sua disposizione,
anche attraverso la possibilità di esercitare un’attività ispettiva finalizzata
alla conoscenza ed alla valutazione non solo di problematiche di carattere
generale, ma anche di questioni e vicende di natura più specifica, ha
introdotto il question time, mediante
un atto di indirizzo approvato il 25 ottobre 2005.
Merita, infine,
richiamare la normativa europea in materia di servizio pubblico radiotelevisivo.
In tale ambito occorre innanzitutto ricordare i principi definiti nel Protocollo n. 23 sul sistema di
radiodiffusione pubblica negli Stati membri allegato al Trattato di
Amsterdam del 1997, ora allegato - quale Protocollo n. 27 - al testo del
Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa. Tale Protocollo riconosce la
competenza degli Stati membri a provvedere
al finanziamento e alla definizione
del servizio pubblico di radiodiffusione, a condizione che tale finanziamento
sia accordato agli organismi di radiodiffusione ai fini dell'adempimento della
missione di servizio pubblico conferita, definita e organizzata da ciascuno Stato
membro; tale finanziamento non perturbi le condizioni degli scambi e della
concorrenza nell'Unione in misura contraria all'interesse comune, tenendo conto
nel contempo dell'adempimento della missione di servizio pubblico. Nel
considerando, il Protocollo precisa inoltre che “il sistema di radiodiffusione
pubblica negli Stati membri è direttamente collegato alle esigenze
democratiche, sociali e culturali di ogni società, nonché all'esigenza di
preservare il pluralismo dei mezzi di comunicazione”.
Occorre poi segnalare che l’articolo 16 del Trattato CE (ripeso
in parte dall’articolo III-122 del citato Trattato che adotta una Costituzione
per l’Europa), riconosce l’importanza dei servizi di interesse economico
generale, demandando all’Unione e agli Stati membri, secondo le rispettive
competenze, il compito di assicurare che tali servizi funzionino in base a
principi e condizioni economiche e finanziarie che consentano loro di assolvere
i propri compiti.
Relativamente al
servizio pubblico di radiodiffusione, inoltre, assumono rilievo gli articoli
86, paragrafo 2, del Trattato CE, sull'applicazione delle regole di concorrenza ai servizi di interesse
economico generale, nonché 87 e 88 sugli aiuti
di Stato.
Al fine di precisare i criteri e le
regole di applicazione di tali ultime disposizioni al servizio pubblico di
radiodiffusione, anche alla luce del Protocollo sopra richiamato, la
Commissione ha adottato una apposita comunicazione[10] nel
novembre 2001, in cui sono definite le condizioni alle quali le imprese che
esercitano il servizio di radiodiffusione possono usufruire di una deroga
parziale, ai sensi dell’art. 86, par. 2[11] del
Trattato CE, dall’applicazione delle regole di concorrenza, tra cui si
ricordano la definizione ufficiale del servizio in questione da parte dello
Stato membro come servizio di interesse
economico generale nonché il fatto che la deroga non incida sulla
concorrenza nel mercato in maniera sproporzionata e non comprometta in misura
contraria agli interessi della Comunità lo sviluppo degli scambi[12].
Si segnala poi che, sempre in
attuazione dell’articolo 86 del trattato CE, la direttiva 80/723/CEE, come modificata dalla direttiva 2000/52/CE del 26 luglio 2000 (recepite
dall’ordinamento italiano con D. lgs. 333 dell’11 dicembre 2003)[13]
prevede l’obbligo della trasparenza e
della separazione contabile tra le attività di servizio pubblico e quelle
commerciali, in relazione ai servizi di interesse economico generale.
[1] Si
ricorda che la Corte costituzionale, con sentenza n. 284 del 2002 ha ribadito
la natura di prestazione tributaria del canone (imposta di scopo). Ad avviso
della Corte, proprio l’interesse generale che sorregge l’erogazione del
servizio pubblico può richiedere una forma di finanziamento fondata sul ricorso
allo strumento fiscale. Inoltre, “il finanziamento parziale mediante il canone
consente, e per altro verso impone, al soggetto che svolge il servizio pubblico
di adempiere agli obblighi particolari ad esso connessi, sostenendo i relativi
oneri, e, più in generale, di adeguare la tipologia e la qualità della propria
programmazione alle specifiche finalità di tale servizio, non piegandole alle
sole esigenze quantitative dell’ascolto e della raccolta pubblicitaria, e non
omologando le proprie scelte di programmazione a quelle proprie dei soggetti
privati che operano nel ristretto e imperfetto "mercato"
radiotelevisivo”.
[2] La
certificazione della società di revisione incaricata di verificare la
contabilità separata relativa al bilancio 2004 e predisposta secondo le
modalità deliberate dall’Agcom evidenzia un disavanzo di 300 milioni tra le
risorse e i costi del servizio pubblico. Il decreto del Ministro delle
comunicazioni 30 novembre 2005 - che ha determinato la misura del canone per
l’anno 2006 - ha peraltro confermato l’importo dell’anno precedente.
[3] Legge 6 agosto 1990, n. 223 recante Disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e privato.
[4] Recante Nuove norme in materia di diffusione radiofonica e televisiva.
[5] Il
mandato dei membri del Consiglio di amministrazione dura tre anni ed è
consentita la rielezione per una sola volta.
[6] La
legge n. 206/1993 (in base alle quali è stato nominato l’attuale CDA)
sostanzialmente attribuiva la nomina dei cinque membri alla determinazione
adottata d'intesa dai Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei
deputati, titolari anche del potere di revocare il mandato su proposta adottata
a maggioranza di due terzi dei componenti la Commissione parlamentare per
l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi. La legge n.
206 prevedeva inoltre l’elezione del presidente da parte del Consiglio,
nell’ambito dei suoi membri, a maggioranza assoluta.
[7] Infatti
Il rappresentante del Ministero dell’economia e delle finanze, nelle assemblee
della società concessionaria convocate per l’assunzione di deliberazioni di
revoca o che comportino la revoca o la promozione di azione di responsabilità
nei confronti degli amministratori, esprime il voto in conformità alla
deliberazione della Commissione (comma 8).
[8] Legge
25 giugno 1993, n. 206 recante Disposizioni
sulla società concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo
[9] Tale
statuto è stato approvato con decreto 8 ottobre 2004 del Ministro delle
Comunicazioni recante Approvazione dello
statuto della società incorporante all’esito della fusione di RAI –
Radiotelevisione Italiana S.p.A. e RAI Holding S.p.A.
[10] Comunicazione
(2001/C 320/04) pubblicata nella Gazzetta ufficiale delle Comunità europee
serie C 320 del 15 novembre 2001.
[11] Ai
sensi dell’art. 86, par. 2, le imprese che gestiscono servizi di interesse
economico generale sono sottoposte alle disposizioni del TCE in materia di
concorrenza a condizione che l’applicazione di tali norme non sia di ostacolo
all’adempimento della loro missione. Tale articolo stabilisce inoltre che lo
sviluppo degli scambi non deve essere compromesso in misura contraria agli
interessi della Comunità.
[12] La
Commissione, con decisione del 15 ottobre 2003, n. 2004/339/CE ha riconosciuto
che la RAI svolge un servizio pubblico di interesse generale ed ha dichiarato
le misure statali in favore della RAI compatibili con la normativa europea in
materia di aiuti di Stato.
[13] Attuazione
della direttiva 2000/52/CE, che modifica la direttiva 80/723/CEE relativa alla
trasparenza delle relazioni finanziarie tra gli Stati membri e le loro imprese
pubbliche, nonché alla trasparenza finanziaria all’interno di talune imprese.