Giurisprudenza costituzionale - Sentenza n. 6/2004

Con la sentenza n. 6 del 2004, relativa al contenzioso costituzionale sorto tra Stato e Regioni relativamente alle disposizioni contenute nel decreto legge n. 7 del 2002 - convertito dalla legge n. 55 del 2002, recante "Misure urgenti per garantire la sicurezza del settore elettrico nazionale" - la Corte costituzionale ha sciolto alcuni  dubbi interpretativi relativi al rapporto fra le competenze legislative e le funzioni amministrative dello Stato, delle Regioni e degli Enti locali in materia di energia.

 

La disciplina statale impugnata, conosciuta come “decreto sblocca centrali bis", era stata adottata dal Governo al fine di consentire che i processi di costruzione di nuove centrali (superiori ai 300MW) e di ampliamento di quelle già esistenti, potessero avviarsi nonostante gli impedimenti frapposti dalle autorità locali competenti a rilasciare le autorizzazioni. In questo senso, proprio al fine di evitare il pericolo di interruzione di fornitura di energia elettrica su tutto il territorio nazionale e di garantire la necessaria copertura del fabbisogno nazionale, come recita il testo di legge, si era provveduto ad istituire un'autorizzazione unica rilasciata dal Ministero delle attività produttive. Tale autorizzazione sostituiva autorizzazioni, concessioni ed atti di assenso comunque denominati, previsti dalle norme vigenti e si applicava anche ai procedimenti in corso. La disciplina statale, peraltro, non precludeva il coinvolgimento delle regioni, perché prevedeva che le opere da autorizzare fossero definite in un accordo da raggiungere in sede di Conferenza Stato-Regioni e, inoltre, rendeva partecipe del procedimento la singola Regione interessata.

Secondo le Regioni ricorrenti la disciplina statale violerebbe innanzitutto l'art. 117, terzo comma, Cost., in base al quale lo Stato non sarebbe legittimato a porre norme di dettaglio nelle materie oggetto della potestà legislativa concorrente. Con riferimento a tali censure di costituzionalità, la difesa erariale ha, viceversa, rilevato come l’art. 1, co. 2 del D.Lgs. n. 79/99 di liberalizzazione del settore elettrico, riconosce al Ministero delle attività produttive il ruolo fondamentale di organo nazionale preposto “alla sicurezza ed all'economicità del sistema elettrico nazionale”; lo Stato sarebbe, dunque, intervenuto con il decreto legge in oggetto a disciplinare la materia al fine di garantire le esigenze di sicurezza e i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e politici, dunque in materie che sarebbero riservate, ai sensi dell’art.117, secondo comma, lettere h) ed m), alla legislazione esclusiva dello Stato[1].

 

Al riguardo, la Corte costituzionale, nel dichiarare infondati i ricorsi delle regioni Umbria, Basilicata e Toscana avverso il citato decreto legge n. 7 del 2002, ha prospettato una linea interpretativa che, spostando il baricentro della questione dall’art. 117 all’art.118 Cost., rinviene nel principio di sussidiarietà un criterio flessibile - operante sia sul versante amministrativo sia su quello legislativo - in grado di regolare, sulla base di procedure decisionali partecipate e ispirate al principio di leale collaborazione, il riparto delle competenze tra i diversi livelli di governo.

In particolare, la Corte costituzionale, pur riconoscendo che la disciplina oggetto degli atti impugnati insiste indubbiamente nell'ambito della materia «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia», espressamente contemplata dall'art. 117, terzo comma, Cost., quindi, in una materia oggetto di potestà legislativa concorrente e pur riconoscendo che la disciplina impugnata non contiene principi fondamentali volti a guidare il legislatore regionale nell'esercizio delle proprie attribuzioni, ma norme di dettaglio autoapplicative e intrensicamente non suscettibili di essere sostituite dalle regioni  ha ribadito che il problema della competenza legislativa dello Stato non può essere risolto esclusivamente alla luce dell'art. 117 Cost. essendo indispensabile una ricostruzione che tenga conto dell'esercizio del potere legislativo di allocazione delle funzioni secondo i principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza di cui al primo comma dell'art. 118 Cost.".

Lo scrutinio di costituzionalità, dunque, viene traslato dal piano dell'art. 117 Cost. a quello dell'art. 118 Cost., nel momento in cui una deroga al riparto legislativo costituzionale può essere giustificata "solo se la valutazione dell'interesse pubblico sottostante l'assunzione di funzioni regionali da parte dello Stato sia proporzionata, non risulti affetta da irragionevolezza alla stregua di uno scrutinio stretto di costituzionalità e sia oggetto di un accordo stipulato con la Regione interessata".

 

In altri, termini, ad avviso della Corte costituzionale, gli elementi determinanti della fonte statale sono:

a) che essa detti una disciplina logicamente pertinente, dunque idonea alla regolazione delle suddette funzioni;

b) che sia limitata a quanto strettamente indispensabile a tale fine;

c) che risulti adottata a seguito di procedure che assicurino la partecipazione dei livelli di governo coinvolti attraverso strumenti di leale collaborazione o, comunque, che preveda adeguati meccanismi di cooperazione per l'esercizio concreto delle funzioni amministrative allocate in capo agli organi centrali.

Sulla base di questi criteri la Corte ha dunque dichiarato l'infondatezza delle questioni sollevate sulla disciplina statale ritenendo tali elementi presenti nella disciplina del decreto "sblocca centrali". Quanto al primo criterio, l’intervento dell’amministrazione statale sarebbe necessario “in relazione al raggiungimento del fine di evitare il pericolo di interruzione di fornitura di energia elettrica su tutto il territorio nazionale”, difettando alle regioni la capacità di valutare il complessivo fabbisogno nazionale di energia elettrica e di intervenire, in via amministrativa, per assicurarne il soddisfacimento.

Per quanto riguarda il secondo criterio, la normativa contenuta nel DL 7/2002 sarebbe non solo pertinente rispetto alla regolazione delle funzioni amministrative in discorso, ma sarebbe anche strettamente indispensabile allo scopo di sveltire le procedure di autorizzazione necessarie alla costruzione ed al ripotenziamento di impianti di energia elettrica.

Infine, circa l’ultimo elemento della “presenza di una disciplina che prefiguri un iter in cui assumano il dovuto risalto le attività concertative e di coordinamento orizzontale, ovverosia le intese”, secondo la Corte i due meccanismi di coordinamento previsti dal DL n. 7/2002 rappresentano senza dubbio delle intese idonee a garantire un adeguato livello di partecipazione delle regioni. La legge, infatti, prevede sia che l'elenco degli impianti oggetto dei provvedimenti sia definito previa intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni, sia che la singola regione interessata partecipi al procedimento unico, definendo quella che la Corte chiama una "intesa forte".



[1]     L’avvocatura ha, inoltre, sostenuto che la normativa censurata investirebbe anche la materia della tutela della concorrenza, di competenza esclusiva dello Stato, in quanto incidente sulla produzione di energia elettrica e dunque sull’offerta e sull’equilibrio del mercato.