La sentenza n. 383 del
2005 della Corte costituzionale conclude il giudizio di
legittimità costituzionale originato da due distinti ricorsi promossi
dalla Regione Toscana e dalla Provincia autonoma di Trento che hanno impugnato
numerosi articoli del decreto-legge 29
agosto 2003, n. 239[1]
recante “Disposizioni urgenti per la
sicurezza e lo sviluppo del sistema elettrico nazionale e per il recupero di
potenza di energia elettrica” e della legge 23 agosto 2004,
n. 239 “Riordino del settore
energetico, nonché delega al Governo per il riassetto delle disposizioni
vigenti in materia di energia”, per violazione degli articoli 117 e 118
della Costituzione, nonché del principio di leale collaborazione.
La regione Toscana ha impugnato per illegittimità costituzionale, in violazione degli artt. 117 e 118 Cost. e del principio della leale cooperazione, l'art. 1, commi 1 e 3, e l'art. 1-sexies, commi 1, 2 e 8, del decreto-legge in oggetto.
In particolare l’art. 1, che consente l’autorizzazione all’esercizio di centrali termoelettriche in deroga ai normali valori limite, sia con riferimento alle emissioni in atmosfera che in riferimento agli scarichi termici per centrali termoelettriche di potenza superiore a 300 MW, appare lesivo, secondo la Regione ricorrente, delle attribuzioni regionali costituzionalmente garantite, in quanto l’accentramento in capo allo Stato della competenza al rilascio delle suddette autorizzazioni non appare più compatibile con il nuovo riparto di competenze introdotto dall'art. 117 Cost., che ha attribuito la materia «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia» alla potestà legislativa concorrente.
Per quanto riguarda il ricorso della provincia autonoma di Trento, esso è stato presentato avverso la legge di conversione 27 ottobre 2003, n. 290, che introdurrebbe, ad avviso della ricorrente, talune disposizioni contrastanti sia con gli articoli 95, comma 3, 97, commi 1 e 2 e 117, commi 3 e 6 della Costituzione, sia con alcune disposizioni dello statuto e con i principi di sussidiarietà e di leale cooperazione, anche in relazione a quanto stabilito nella sentenza della Corte costituzionale n. 303 del 2003.
In relazione a tali ricorsi la Corte costituzionale, con la
sentenza n. 383 del 2005, ha affermato
il principio del doveroso coinvolgimento delle regioni e degli enti locali nei
processi decisionali di elaborazione e realizzazione delle politiche
energetiche, dichiarando la parziale illegittimità - in quanto lesive
del principio di leale collaborazione - di alcune norme contenute nei citati
provvedimenti[2].
In particolare, la Corte ha affermato il principio in base
al quale la legislazione statale che preveda e disciplini il conferimento delle
funzioni amministrative a livello centrale nelle materie affidate alla
potestà legislativa regionale può aspirare a superare il vaglio
di legittimità costituzionale solo in presenza di una disciplina che
prefiguri un iter in cui assumano il
dovuto risalto le attività concertative e di coordinamento orizzontale,
ovverosia le intese, che devono essere condotte in base al principio di
lealtà. Secondo la Consulta l’organo adeguatamente rappresentativo delle
regioni e degli enti locali, a loro volta titolari di funzioni amministrative
condizionate o incise dalle politiche del settore energetico, è la
Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto
1997, n. 281.
Sulla base di queste considerazioni la Corte ha
dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 1-ter, comma
2, del decreto-legge n. 239 del 2003 (nel testo risultante dalla conversione in
legge) nella parte in cui non dispone che il
potere del Ministro delle attività produttive di emanare “gli indirizzi
per lo sviluppo delle reti nazionali di trasporto di energia elettrica e di gas
naturale” sia esercitato d’intesa con la Conferenza unificata.
E’ stata inoltre dichiarata, sempre alla luce del ragionamento appena
esposto, l’illegittimità costituzionale dei seguenti articoli della legge
23 agosto 2004, n. 239:
§
articolo 1, comma 7, lettera g), relativamente
alla parte in cui non si prevede l’intesa con la Conferenza unificata per l’identificazione
da parte dello Stato “delle linee fondamentali dell’assetto del territorio
nazionale con riferimento all’articolazione territoriale delle reti
infrastrutturali energetiche dichiarate di interesse nazionale ai sensi delle
leggi vigenti”;
§
articolo 1, comma
7, lettera h), nella parte in cui non si prevede l’intesa con la
Conferenza unificata con riferimento alla “la programmazione di grandi reti
infrastrutturali energetiche dichiarate di interesse nazionale ai sensi delle
leggi vigenti” da parte dello Stato;
§
articolo 1, comma
7, lettera i), nella parte in cui non prevede l’intesa con le
regioni e le province autonome interessate per “l’individuazione delle
infrastrutture e degli insediamenti strategici” da parte dello;
§
articolo 1, comma
8, lettera a), punto 3, nella parte in cui non prevede l’intesa con la
Conferenza unificata per “l’approvazione degli indirizzi di sviluppo della rete
di trasmissione nazionale” da parte dello Stato;
§
articolo 1, comma
8, lettera a), punto 7, nella parte in cui prevede che “la definizione
dei criteri generali per le nuove concessioni di distribuzione dell’energia
elettrica e per l’autorizzazione alla costruzione e all’esercizio degli impianti
di generazione di energia elettrica di potenza termica superiore ai 300 MW” da
parte dello Stato debba avvenire “sentita la Conferenza unificata”, anziché
“previa intesa con la Conferenza unificata”;
§
articolo 1, comma
8, lettera b), punto 3, nella parte in cui non prevede che “le determinazioni
inerenti lo stoccaggio di gas naturale in giacimento” siano assunte dallo Stato
d’intesa con le regioni e le province autonome direttamente interessate;
§
articolo 1, comma
24, lettera a), nella parte in cui, sostituendo il comma 2 dell’articolo
1-ter del decreto-legge n. 239/03, non dispone l’esercizio d’intesa con
la Conferenza unificata del potere del Ministro delle attività
produttive di emanare “gli indirizzi per lo sviluppo delle reti nazionali di
trasporto di energia elettrica e di gas naturale.
Inoltre, la Corte ha dichiarato l’illegittimità dell’articolo 1, comma 4, lettera f),
della legge n. 239/04, limitatamente alle parole “con esclusione degli impianti
alimentati da fonti rinnovabili”. La disposizione in questione, infatti, impone
al legislatore regionale il divieto di prendere in considerazione una serie di
impianti, infrastrutture ed attività per la produzione energetica, ai
fini di valutare il loro impatto sull’ambiente e sul territorio regionale, solo
perché alimentati da fonti di energia rinnovabili. La suddetta previsione eccederebbe
infatti il potere statale di stabilire - ai sensi del terzo comma dell’articolo
117 Cost.- soltanto i principi fondamentali della materia, determinando una irragionevole compressione della
potestà regionale di apprezzamento dell’impatto degli impianti
alimentati da fonti rinnovabili sul proprio territorio.
La Corte ha, inoltre, accolto le censure sollevate dalle ricorrenti nei
confronti dell’articolo 1, comma 26,
della legge n. 239/04[3],
nella parte in cui prevede che, in caso di mancata intesa con la regione o le
regioni interessate entro il termine prescritto per il rilascio
dell’autorizzazione alla costruzione ed esercizio degli elettrodotti, lo Stato eserciti il potere sostitutivo
ai sensi dell’articolo 120 della Costituzione, nel rispetto dei principi di
sussidiarietà e leale collaborazione ed autorizzi le opere con DPR, su
proposta del Ministro per le attività produttive, previo concerto con il
Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio.
Secondo la Consulta, l’esercizio dei
poteri sostitutivi non può essere applicato nei casi in cui, come
avviene nella disciplina impugnata, l’ordinamento costituzionale imponga il
conseguimento di una necessaria intesa fra organi statali e organi regionali
per l’esercizio concreto di una funzione amministrativa attratta in
sussidiarietà al livello statale in materie di competenza legislativa
regionale. Tali intese – infatti - costituiscono condizione minima e
imprescindibile per la legittimità costituzionale della disciplina
legislativa statale che effettui la “chiamata in sussidiarietà” di una
funzione amministrativa in materie affidate alla legislazione regionale, e
quindi non sono superabili con decisione unilaterale di una delle parti. In questi
casi, pertanto, la volontà della
Regione interessata non può essere sostituita da una determinazione
dello Stato.
Infine la Consulta ha dichiarato l’illegittimità
dell’articolo 1, comma 84, della legge n. 239/04, limitatamente alle parole
“la mancata sottoscrizione degli accordi non costituisce motivo per la
sospensione dei lavori necessari per la messa in produzione dei giacimenti di
idrocarburi o per il rinvio dell’inizio della coltivazione”, dal momento che
tale previsione restringe illegittimamente
la discrezionalità legislativa regionale attraverso una normativa
che non può in alcun modo essere qualificata come principio
fondamentale, ai sensi dell’articolo 117 Cost., terzo comma.
[1]
Convertito, con modificazioni, nella
legge 27 ottobre 2003, n. 290.
[2] Preliminarmente all’esame delle questioni sollevate dalle regioni ricorrenti, la Corte costituzionale ha proceduto all’esatta individuazione degli ambiti materiali cui ricondurre le disposizioni impugnate, precisando che sono riconducibili in maggioranza alla materia “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia”, di cui al terzo comma dell’articolo 117 Cost. Conseguentemente sono state respinte sia le tesi delle ricorrenti che prospettavano la competenza regionale e provinciale in tema di “governo del territorio”, sia quelle dell’Avvocatura erariale che rivendicava la competenza esclusiva dello Stato in materia, ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera h), Cost., in quanto l’efficienza del sistema elettrico nazionale atterrebbe alla sicurezza ed all’ordine pubblico, nonché ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera m), Cost., in quanto la continuità dell’erogazione di energia garantirebbe i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. La Consulta, richiamando quanto già affermato in precedenti pronunce, ha ribadito che la competenza legislativa regionale in materia di “governo del territorio”, quantunque si riferisce ad un ambito oggettivo assai esteso, ben più ampio dei profili tradizionalmente appartenenti all’urbanistica e all’edilizia, non può arrivare a comprendere tutta la disciplina riguardante la programmazione, la progettazione e la realizzazione delle opere o l’esercizio delle attività che, per loro natura, producono un inevitabile impatto sul territorio. La Corte ha, inoltre, chiarito che la materia “ordine pubblico e sicurezza” riguarda solo gli interventi volti alla prevenzione dei reati ed al mantenimento dell’ordine pubblico e non alla sicurezza tecnica o alla sicurezza dell’approvvigionamento dell’energia elettrica. La Corte ha, infine, precisato che il potere di predeterminare – in base ad apposite disposizioni legislative – i “livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali”, anche nelle materie che la Costituzione affida alla competenza legislativa delle regioni, non può trasformarsi nella pretesa da parte dello Stato di disciplinare e gestire direttamente queste materie, escludendo o limitando il ruolo delle regioni. In ogni caso - affermano i giudici - tale titolo di legittimazione può essere invocato solo in relazione a specifiche prestazioni delle quali la normativa nazionale definisca il livello essenziale di erogazione, mentre esso non è utilizzabile al fine di individuare il fondamento costituzionale della disciplina, da parte dello Stato, di interi settori materiali.
[3]
Si tratta, in particolare, della parte
in cui introduce il nuovo comma 4-bis
nell’articolo 1-sexies, del decreto-legge
n. 239/03.