Franchising

Il contratto di franchising

La legge n. 129 del 6 maggio 2004[1], intitolata “Norme per la disciplina dell'affiliazione commerciale”, ha introdotto una nuova ed organica regolamentazione per il franchising, realizzando il passaggio del medesimo da contratto atipico a materia specificatamente disciplinata. Le nuove regole sono applicabili a tutti i contratti di affiliazione commerciale in corso. Quelli stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore delle nuove norme dovranno essere adeguati entro un anno dall'entrata in vigore della legge 129/2004 (25 maggio 2005).

Il contratto di franchising (o affiliazione commerciale) è il contratto tra due soggetti giuridici, economicamente e giuridicamente indipendenti, in base al quale una parte concede all'altra la disponibilità, verso corrispettivo, di un insieme di diritti di proprietà industriale o intellettuale relativi a marchi, denominazioni commerciali, insegne, modelli di utilità, disegni, diritti di autore, know-how[2], brevetti, assistenza o consulenza tecnica e commerciale, inserendo l'affiliato in un sistema costituito da una pluralità di affiliati distribuiti sul territorio, allo scopo di commercializzare determinati beni o servizi. Tale contratto può essere utilizzato in ogni settore di attività economica.

Dal punto di vista economico, l'affiliato versa al momento della stipula del contratto di affiliazione commerciale una cifra fissa (nota come diritto d’ingresso), e in seguito l'affiliante richiede all'affiliato una percentuale (royalties) commisurata al giro d'affari del medesimo o in quota fissa, da versarsi anche in quote fisse periodiche (articolo 1).

Già dalla definizione adottata dal legislatore si evince l’attenzione posta a garanzia del franchisee, che rappresenta la parte economicamente più debole. Nella norma, infatti, si ritrova costantemente l’attenzione alla tutela dell’affiliato, che trova espressione in numerose disposizioni “protettive” introdotte nella disciplina del franchising.

Il contratto deve essere redatto per iscritto a pena di nullità. Qualora il contratto sia a tempo determinato, l'affiliante dovrà comunque garantire all'affiliato una durata minima sufficiente all'ammortamento dell'investimento e comunque non inferiore a tre anni.

Lo scopo di questa previsione è quella di garantire la possibilità al franchisee di ammortizzare l’investimento effettuato, in linea con il carattere garantista della legge nei confronti dell’affiliato. E' fatta salva l'ipotesi di risoluzione anticipata per inadempienza di una delle parti.

Allo stesso modo, la norma impone un contenuto necessario del contratto di franchising, i cui elementi inderogabili sono:

§         l’importo degli investimenti che il franchisee è tenuto a sostenere per iniziare l’attività;

§         l’importo delle spese di ingresso;

§         descrizione del modo di determinazione delle royalties (modalità di calcolo, oltre che di pagamento);

§         l’ambito di esclusiva territoriale, ove sia prevista;

§         la specifica del know-how fornito dall’affiliante;

§         l’eventuale incasso minimo da realizzare;

§         i servizi eventualmente offerti dall’affiliante;

§         le condizioni di rinnovo, risoluzione o cessione del contratto (articolo 3).

L'affiliante è obbligato a consegnare all'aspirante affiliato, almeno trenta giorni prima della sottoscrizione di un contratto di affiliazione commerciale, copia completa del contratto da sottoscrivere, corredato degli allegati.

Da parte sua, l'affiliato non può trasferire la sede, qualora sia indicata nel contratto, senza il preventivo consenso dell'affiliante, se non per causa di forza maggiore, e si impegna inoltre ad osservare e a far osservare ai propri collaboratori e dipendenti, anche dopo lo scioglimento del contratto, la massima riservatezza in ordine al contenuto dell'attività oggetto dell'affiliazione commerciale (articolo 5).

La norma tratta espressamente gli obblighi precontrattuali di comportamento, secondo cui l'affiliante e l'aspirante affiliato devono tenere un comportamento reciprocamente ispirato a lealtà, correttezza e buona fede e devono tempestivamente scambiarsi dati e informazione utili inerenti il rapporto di affiliazione commerciale, a meno che non si tratti di informazioni oggettivamente riservate o la cui divulgazione costituirebbe violazione di diritti di terzi (articolo 6). Qualora una parte fornisca false informazioni, l’altra parte può chiedere l’annullamento del contratto, nonché il risarcimento del danno, se dovuto.

Per le controversie relative ai contratti di affiliazione commerciale, le parti possono convenire che, prima di adire l'autorità giudiziaria o ricorrere all'arbitrato, debba essere fatto un tentativo di conciliazione presso la camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura nel cui territorio ha sede l'affiliato.

La legge fornisce un anno di tempo dalla sua entrata in vigore per l’adeguamento alla nuova disciplina dei contratti in essere.

I dati del franchising italiano

Dai dati a disposizione[3], ottenuti grazie al Rapporto Quadrante promosso ogni anno da Assofranchising, risulta che il settore del franchising in Italia negli ultimi sei anni, dal 1999 al 2004, ha registrato un’impennata, passando da un giro d’affari di 10,9 miliardi di euro del 1998 agli oltre 16,9 miliardi alla fine del 2004, registrando un incremento del 9,8%. Negli ultimi 10-12 anni, lo sviluppo delle imprese in franchising è stato notevole: le insegne sono, infatti, raddoppiate raggiungendo quota 708 nel 2004 rispetto alle 336 del 1993, con un incremento di 43 insegne rispetto al 2003.

Degli oltre 700 franchisor attivi in Italia alla fine del 2004, il 42,8% opera nel campo dei servizi ai privati e alle imprese, il 24,2% negli articoli per la persona, il 12,3% nel commercio specializzato, il 7,1% negli articoli per la casa, il 5,8% si occupa di alberghi e ristorazione, il 3,5% di commercio alimentare specializzato, il 3,5% nel commercio despecializzato.

Alla fine del 2004, è stato possibile rilevare un incremento anche nel numero dei punti vendita affiliati, che sono passati da 41.901 a 44.426 unità, con una crescita del 6%.

Tale crescita che si riconferma anche nel numero di persone occupate, che raggiunge quota 117.783 con un aumento del 7,2% rispetto all’anno precedente.

Disciplina comunitaria sugli accordi verticali

L’articolo 81 (ex articolo 85) del Trattato CE reca il generale divieto di accordi restrittivi della concorrenza, prevedendo l’incompatibilità con il mercato comune e la nullità di pieno diritto di tutti gli accordi tra imprese, decisioni di associazioni di imprese e pratiche concordate pregiudizievoli del commercio tra Stati membri e aventi per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all'interno del mercato comune.

Lo stesso articolo 81, al paragrafo 3, considera l’ipotesi che tale divieto possa essere dichiarato inapplicabile agli accordi che contribuiscano a migliorare la produzione o la distribuzione dei prodotti o a promuovere il progresso tecnico o economico.

Si tratta, dunque, di un’esenzione che opera per quegli accordi che producono benefici effetti sul versante economico, compensando così quelli anticoncorrenziali.

Il Regolamento della Commissione n. 2790/1999, “Regolamento della Commissione, relativo all'applicazione dell'articolo 81, paragrafo 3, del Trattato CE a categorie di accordi verticali e pratiche concordate ”, entrato in vigore il 1° giugno 2000, ha disposto l’inapplicabilità del divieto di cui all’articolo 81, paragrafo 1, a quegli accordi verticali[4] che soddisfano taluni requisiti indicati nello stesso regolamento, presumendo la capacità di tale categoria di accordi di incrementare l’efficienza economica nell’ambito della catena produttiva o distributiva, così da controbilanciare eventuali effetti anticoncorrenziali[5].

Tale Regolamento ha sostituito, a partire dal 1 giugno 2000, la disciplina recata dai Regolamenti della Commissione CEE n. 4087/88, CEE n. 1983/83 e CEE n. 1984/83 relativi all'applicazione dell'esenzione di cui all’articolo dell’articolo 81 (ex 85), paragrafo 3, TCE, rispettivamente a categorie di accordi di franchising, di distribuzione esclusiva e di acquisto esclusivo[6].

Il Regolamento in esame contiene un limite generale che deve essere osservato affinché sia inapplicabile il divieto di cui all’articolo 81, par.1, TCE, ossia che la quota di mercato detenuta dal fornitore, soggetto parte dell’accordo, non deve superare il 30 % del mercato rilevante in cui esso vende i beni o i servizi oggetto del contratto (art.3, paragrafo 1). L’accordo, ai fini dell’esenzione, non deve comunque contenere talune restrizioni gravi quali ad esempio l’imposizione di un prezzo di rivendita (fatta salva la possibilità da parte del fornitore di fissare un prezzo massimo di vendita o di raccomandare un prezzo di vendita alla controparte) o la restrizione relativa al territorio o ai clienti (con alcune eccezioni che consentono alle imprese di usare un sistema di distribuzione esclusiva o un sistema di distribuzione selettiva).

L’esenzione dal divieto di cui all’articolo 81, paragrafo 1, prevista dal Regolamento in commento, si applica altresì a quegli accordi verticali, rispettosi dei limiti e delle condizioni sopra descritte, contenenti disposizioni relative alla cessione all’acquirente o all’uso da parte di questo di diritti di proprietà industriale, purché tali disposizioni non costituiscano l’oggetto primario degli accordi e che esse siano direttamente collegate all’uso, alla vendita o alla rivendita di beni o servizi da parte dell’acquirente o dei suoi clienti. L’esenzione si applica inoltre a condizione che, in relazione ai beni o ai servizi oggetto del contratto, queste disposizioni non contengano restrizioni della concorrenza aventi lo stesso oggetto o effetto di restrizioni verticali non esentate in virtù del regolamento n.2790.

Successivamente a tale Regolamento, la Commissione, con la Comunicazione 2000/C 291/01, del 13 ottobre 2000, ha emanato le “Linee direttrici sulle restrizioni verticali”, dedicando un apposito paragrafo[7] agli accordi di franchising.

Tale comunicazione specifica che “gli accordi di franchising comportano la licenza di un insieme di diritti di proprietà immateriale che riguardano in particolare marchi o insegne e know-how, per l'uso e la distribuzione di beni o servizi. Oltre alla licenza di DPI (diritti di proprietà industriale), l'affiliante fornisce inoltre all'affiliato, durante il periodo di vigenza dell'accordo, un'assistenza tecnica o commerciale. La licenza e l'assistenza tecnica formano parte integrante della formula commerciale oggetto del franchising. L'affiliante riceve generalmente dall'affiliato il pagamento di un corrispettivo per l'utilizzazione della specifica formula commerciale. Gli accordi di franchising possono offrire all'affiliante la possibilità di costituire, con investimenti limitati, una rete uniforme per la distribuzione dei suoi prodotti. Oltre alla concessione della formula commerciale, gli accordi di franchising comportano abitualmente una combinazione di diverse restrizioni verticali riguardanti i prodotti distribuiti, in particolare la distribuzione selettiva e/o obblighi di non concorrenza e/o la distribuzione esclusiva o sue forme più deboli”.

L'esenzione per categoria si applica[8] sino alla quota di mercato del 30% detenuta dall'affiliante o dal fornitore da esso designato, per le restrizioni verticali sugli acquisti, sulle vendite e sulle rivendite di beni e servizi contenute in accordi di franchising, quali la distribuzione selettiva, l'obbligo di non concorrenza o la distribuzione esclusiva. Per quanto attiene a tali tipi di restrizioni, contenute in contratti di franchising, si specifica che

1) quanto maggiore è il trasferimento di know-how, tanto più facilmente le restrizioni verticali soddisfano le condizioni di esenzione.

2) Un obbligo di non concorrenza relativo ai beni o servizi acquistati dall'affiliato non rientra nell'articolo 81, paragrafo 1, quando esso è necessario per mantenere la reputazione e l'identità comuni della rete di franchising. In tali situazioni, anche la durata dell'obbligo di non concorrenza è irrilevante ai sensi dell'articolo 81, paragrafo 1, a condizione che essa non superi la durata dell'accordo stesso di franchising.

Al il fine di tutelare i diritti di proprietà immateriale dell'affiliante, è ammessa l’imposizione a carico dell'affiliato dei seguenti obblighi:

a) non intraprendere, direttamente o indirettamente, attività simili;

b) non acquisire partecipazioni nel capitale di un'impresa concorrente, tali da conferire all'affiliato il potere di influenzare il comportamento economico di tale impresa;

c) non rivelare a terzi il know-how fornito dall'affiliante finché tale know-how non sia divenuto di dominio pubblico;

d) comunicare all'affiliante qualsiasi esperienza acquisita sfruttando il franchising, e concedere all'affiliante e agli altri affiliati una licenza non esclusiva per il know-how che risulta da tale esperienza;

e) segnalare all'affiliante le violazioni dei diritti di proprietà immateriale sotto licenza, intraprendere azioni legali contro i trasgressori o assistere l'affiliante in qualsiasi azione legale intentata contro gli stessi;

f) non utilizzare il know-how concesso in licenza dall'affiliante a fini diversi dallo sfruttamento del franchising;

g) non cedere i diritti e gli obblighi derivanti dall'accordo di franchising senza il consenso dell'affiliante.



[1]     Pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 120 del 24 maggio 2004.

[2]     Per know-how si intende un patrimonio di conoscenze pratiche non brevettate derivanti da esperienze e da prove eseguite dall'affiliante, patrimonio che è segreto, sostanziale ed individuato.

[3]     I dati definitivi 2005 non risultano al momento disponibili.

[4]     Si definiscono “verticali” quegli accordi o pratiche concordate conclusi tra due o più imprese, operanti ciascuna, ai fini dell’accordo, ad un livello differente della catena di produzione e distribuzione, che si riferiscono alle condizioni in base alle quali le parti possono acquistare, vendere o rivendere determinati beni o servizi (articolo 2, par.1, Reg. CE 2790/99).

[5]     Cfr., al riguardo, i considerando nn.2, 3, 6, 7 del Reg. CE 2790/99.

[6]     art.12 e 13 del Reg. CE n.2790/99.

[7]     punti 199 – 201.

[8]     Punto 200.