Rispetto ai maggiori paesi sviluppati,
l’apparato produttivo italiano si distingue per l’elevato numero di imprese
attive e una dimensione media di queste estremamente ridotta, cui si aggiunge un accentuato localismo
produttivo[1]. In tale
ambito, le PMI rappresentano senza dubbio uno degli assi portanti
dell’economia nazionale e sono andate incontro ad uno sviluppo quantitativo, ma
anche qualitativo, che non ha eguali nel panorama internazionale.
La principale caratteristica delle PMI
italiane può essere individuata nella particolarità della loro
forma organizzativa, che ha trovato l’espressione più completa nei distretti industriali[2] i
quali, come le altre le forme organizzative delle PMI (le cooperative ad
esempio) sono espressione di uno sviluppo industriale che nasce dal basso e
riflette la capacità di forze economiche, sociali ed istituzionali
presenti in un determinato territorio di autopromuoversi, mettendo a frutto le
risorse in termini di capitale umano, di materie prime e di conoscenze
disponibili in ambito locale.
I distretti industriali italiani, che
rappresentano uno dei maggiori punti di
forza del sistema produttivo italiano, si configurano come sistemi
produttivi locali omogenei, caratterizzati da un'elevata concentrazione di
imprese industriali, prevalentemente di piccola e media dimensione e
dall'elevata specializzazione produttiva. L'azienda del distretto è
prevalentemente a gestione familiare, e spesso gli stessi impianti sono fisicamente
localizzati nelle vicinanze dalla residenza dell'imprenditore
“capo-famiglia". Le piccole imprese indipendenti tra di loro sono
integrate e specializzate in fasi diverse di uno stesso processo produttivo
I distretti industriali italiani, nati per favorire, in zone con determinate caratteristiche
economiche, la creazione e lo sviluppo di attività produttive nei
settori dell'industria e dei servizi, si sono sviluppati in maniera
largamente autonoma durante gli ultimi decenni, concentrando le loro attività
su settori specifici (tessile, abbigliamento, meccanica, cuoio) nei quali hanno acquisito e sviluppato
vantaggi competitivi particolarmente rilevanti. La necessità di
soddisfare standard sempre più rigorosi in termini di qualità e
di sicurezza ha poi condotto le aziende dei distretti a concentrare la loro
attenzione su nicchie di mercato sempre più definite, come testimoniano
l'alto grado di qualità ed innovazione dei loro prodotti.
Il fenomeno dei distretti industriali si
è inizialmente diffuso in particolare
nell'Italia nord-orientale e centrale e ha costituito un potente motore di
sviluppo in regioni tradizionalmente prive di un tessuto industriale diffuso,
come il Veneto e le regioni centro-meridionali del versante Adriatico come
Marche, Abruzzo, Puglia. La crescita attraverso i distretti è stata
vista come una valida alternativa al modello industriale del Nord-Ovest, imperniato sulla grande impresa.
Il riconoscimento giuridico dei distretti
è avvenuto per la prima volta con la legge n. 317 del 1991 che ha
previsto un ampio coinvolgimento delle regioni sia nella individuazione dei
distretti, sia nell'attività di sostegno e finanziamento degli stessi
attraverso i consorzi di sviluppo industriale. Spetta infatti alle regioni il
compito di individuare, previo parere delle unioni regionali delle camere di
commercio, i distretti industriali presenti nel proprio territorio sulla base
degli indirizzi e i parametri di riferimento fissati con decreto ministeriale.
Una volta individuati in questo modo i distretti industriali, le regioni
possono approvare finanziamenti a loro diretti.
Il 16 dicembre
2005 l’Istat ha diffuso l’elenco dei distretti industriali individuati sulla
base dei Sistemi Locali del Lavoro (SLL) del Censimento 2001.
I distretti
industriali, che nel 1991 erano 199, nel 2001 ammontano a 156 (il 65,0%
dei 240 SLL prevalentemente manifatturieri), assorbendo il 70,2% degli addetti
all’industria manifatturiera (1.928.602 persone. Rispetto al complesso dei SLL
(686), la popolazione che vive nei distretti industriali rappresenta il 22,1%
dell’intera popolazione italiana. I comuni distrettuali sono il 27,3% dei
comuni italiani (2.215), e corrispondono
al 20,6% della superficie totale (62.113,83 kmq.), con una densità abitativa
di 209 ab./Kmq. I distretti industriali hanno, in media, 39 addetti ogni
100 abitanti, di cui 15 manifatturieri, contro, rispettivamente, 33 e
7 addetti nel resto d’Italia. Le unità produttive sono, sempre in
media, 9 (di cui 2 manifatturiere) ogni 100 abitanti, contro
rispettivamente, 8 e 1 del resto del Paese.
Quanto alla diffusione territoriale dei distretti,
sempre secondo i dati forniti dall’Istat, il più alto numero si registra
il Centro Italia (49 distretti, pari al 75,4% dei Sistemi locali manifatturieri
dell’area), mentre il Il Nord-est, considerata l’area di riferimento del
modello distrettuale, ne conta 42 (70,0% dei sistemi locali manifatturieri
della ripartizione); nel Nord-ovest, l’area di più antica
industrializzazione del Paese, un tempo dominata da formazioni territoriali di
grande impresa, i distretti presenti risultano
39 (59,1%). Il Mezzogiorno, con 26 distretti (53,1%), costituisce invece
l’area emergente dell’industrializzazione distrettuale italiana.
I distretti
industriali sono concentrati in 17
regioni (fanno eccezione soltanto la Valle d’Aosta, la Liguria e la Calabria). Le
regioni più “distrettuali” risultano essere la Lombardia e le Marche, entrambe con 27
distretti (17,3% dei distretti italiani). Seguono il Veneto con 22 (14,1%), la
Toscana con 15 (9,6%) e l’Emilia-Romagna con 13 (8,3%). Viceversa, le regioni
dove il modello distrettuale è meno presente sono il Lazio, il Molise,
la Sicilia (2 distretti ciascuna), la Basilicata e la Sardegna (un solo
distretto).La configurazione territoriale dell’Italia distrettuale disegna un
“nuovo” triangolo industriale formato dalla Lombardia, dal Veneto e
dall’Emilia-Romagna (62 distretti, pari al 39,7% del totale), che si unisce
alle storiche regioni dell’Italia centrale (Toscana, Umbria e Marche, con 47
distretti, pari al 30,1%).
Le industrie principali dei distretti
industriali sono quelle tipiche del made
in Italy: il tessile e abbigliamento; la meccanica; i beni per la casa; la
pelletteria e calzature; l’alimentare; l’oreficeria e strumenti musicali. I
distretti così caratterizzati sono 148 (il 94,8% di tutti i
distretti); si rilevano poi 4 distretti dell’industria della carta e
cartotecnica e 4 dell’industria della fabbricazione di prodotti in gomma
e materie plastiche. I distretti del made
in Italy sono soprattutto quelli del tessile-abbigliamento (il 28,8% del
totale), della meccanica (24,4%), dei beni per la casa (20,5%) e della
pelletteria e delle calzature (12,8%).
Si segnala, infine, che nel 2005 l'Istat, in considerazione della
evoluzione economica e dello sviluppo di nuovi approcci metodologici, ha
istituito una commissione di studio, i cui lavori sono ancora in corso,
incaricata di valutare lo stato dell'informazione e degli strumenti disponibili
in questo ambito anche al fine di proporre nuove eventuali analisi sulla localizzazione
delle attività industriali.
La legge finanziaria per il 2006
(L. 266/05) è intervenuta in materia di distretti produttivi partendo
dall’assunto della necessità di valorizzare le specificità del
sistema produttivo italiano che – come già sottolineato - è
composto in prevalenza da piccole e medie imprese (PMI) il cui tipico modello
organizzativo è costituito dai distretti industriali.
La nuova disciplina relativa ai distretti è contenuta nei commi da 367 a 372, dell’articolo unico
della legge finanziaria. Ai fini della sua applicazione si prevede l’adozione
di un decreto del Ministro dell'economia e delle finanze cui si rinvia per la
definizione delle caratteristiche e delle modalità di individuazione dei
distretti produttivi (comma 366), che sono qualificati come libere aggregazioni di imprese
articolate sul piano territoriale e sul piano funzionale finalizzate, "secondo
principi di sussidiarietà orizzontale e verticale[3]”,
anche individuando modalità di collaborazione con le associazioni
imprenditoriali":
§
all’ accrescimento dello sviluppo delle aree e
dei settori di riferimento;
§
al miglioramento dell'efficienza
nell'organizzazione e nella produzione.
Con la citata disposizione si prefigura la definizione di due distinte
tipologie di distretti: quelli territoriali e quelli funzionali.
I distretti territoriali,
maggiormente ancorati all'esperienza maturata finora nel settore dei distretti
produttivi, si caratterizzano per la comune appartenenza delle imprese che vi
afferiscono ad un medesimo settore produttivo oltre che ad uno stesso ambito
territoriale.
I distretti funzionali, che
nella relazione governativa di accompagnamento al disegno di legge originario
(A.S. 3613) si definiscono come "una libera aggregazione di imprese che
cooperano in modo intersettoriale in una logica di mutual business; si prescinde così dalla sussistenza di
legami con specifici territori, in funzione del perseguimento di sinergie fra
imprese svolgenti attività complementari o comunque connesse, ai fini
dell'accesso ad opportunità presenti sul mercato che presuppongono una
integrazione dell'offerta produttiva ovvero ai fini dell'ammissione a
determinati regimi particolari all'uopo previsti dalla legge".
Disposizioni tributarie,
amministrative, finanziarie e di promozione della ricerca e dello sviluppo,
applicabili ai distretti produttivi sono determinate dal comma 368 e prevedono la possibilità, per
le imprese appartenenti a distretti produttivi, di dare vita a un ambito comune
per la fiscalità, gli adempimenti amministrativi e la finanza.
Su base comunque opzionale – come si evince anche dalla relazione
governativa citato, viene prevista la possibilità di due diverse
aggregazioni, costituite rispettivamente dal consolidamento fiscale (secondo cui le società di capitali
facenti parte di distretti verrebbero sostanzialmente equiparate ad un gruppo)
e dalla tassazione unitaria
(caratterizzata da un reddito imponibile di distretto che comprende quello
delle imprese che hanno optato per la tassazione unitaria). A quest’ultima
possono accedere anche le imprese non soggette all'imposta sul reddito delle
società (IRES) (comma 368 lett.
a). Tanto nella tassazione consolidata (riferita alle sole imposte sul
reddito) quanto nella tassazione unitaria (applicabile sia alle imposte sul
reddito, sia alle entrate locali) il distretto è individuato come
unità fiscale di riferimento.
La tassazione
consolidata (numeri 1 e 2) ricalca l'istituto del consolidato nazionale per
la tassazione dei gruppi di imprese, le cui norme vengono espressamente
richiamate in quanto applicabili. In luogo del gruppo di imprese controllate,
l'unità fiscale di riferimento è il distretto, che provvede agli
adempimenti dichiarativi e di pagamento, sulla base della somma algebrica dei
redditi delle società partecipanti. Viene quindi consentita, ad esempio,
la compensazione intradistrettuale delle perdite fiscali.
La tassazione
unitaria (numeri da 3 a 15) individua il distretto quale soggetto passivo
delle imposte sui redditi, dei tributi e delle altre somme dovute agli enti
locali, sulla base di concordato preventivo di durata almeno triennale.
Il ricorso a tale forma di concordato preventivo è comunque ammesso anche
indipendentemente dall’opzione per le suddette forme di tassazione.
Più in particolare, secondo
il disposto del numero 1), le imprese appartenenti a distretti aventi le
caratteristiche determinate a norma del comma 366 possono congiuntamente esercitare l'opzione
per la tassazione (consolidata) di
distretto ai fini dell'applicazione dell'imposta sul reddito delle società (IRES).
La tassazione di
distretto si configura come estensione delle condizioni per l’applicazione
del l’istituto del consolidato nazionale,
previsto e disciplinato dal titolo II, capo II, sezione II (articolo da 117 a
129), del vigente testo unico delle imposte sui redditi (TUIR), approvato con
decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, per la tassazione di gruppo delle imprese
residenti.
Poiché
i trasferimenti infragruppo
beneficiano di un regime di neutralità fiscale, ai sensi del numero 2) si richiede l’osservanza delle
disposizioni contenute negli articoli
117 e seguenti del citato TUIR, in quanto applicabili.
I distretti, ove
sia esercitata l'opzione per la tassazione
unitaria, sono compresi tra i soggetti
passivi dell'IRES indicati all'articolo 73, comma 1, lettera b), del TUIR, e cioè gli enti
pubblici e privati diversi dalle società, residenti nel territorio dello
Stato, che hanno per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di
attività commerciali (numero
3).
Il reddito imponibile
del distretto (come specifica il numero 4) comprende quello delle imprese
che vi appartengono, che hanno contestualmente optato per la tassazione
unitaria. In caso di opzione contestuale per la tassazione unitaria, si prevede
che il reddito imponibile del distretto
nonché i tributi, contributi e altre somme dovute da esso agli enti locali vengano
determinati in base a uno speciale concordato di durata almeno triennale (numero
5).
Il numero 6) introduce in favore dei distretti questa speciale
forma di concordato preventivo (disciplinata
dai numeri successivi) per la determinazione del reddito unitario imponibile,
nonché dei tributi, contributi e altre somme dovute agli enti locali. Il
concordato ha durata almeno triennale
e può essere esercitato anche indipendentemente dall'esercizio
dell'opzione per la tassazione di distretto o per la tassazione unitaria,
previste rispettivamente dai precedenti nn. 1) e 4).
In relazione alle imposte dirette, il distretto concorda con l’Agenzia delle entrate la misura del carico tributario di competenza delle imprese ad esso appartenenti per ciascuno degli esercizi compresi nel concordato, sulla base di elementi caratteristici relativi alla natura, tipologia ed entità delle imprese partecipanti, alla loro attitudine alla contribuzione (ossia alla rispettiva capacità contributiva) e ad altri parametri oggettivi, determinati anche su base presuntiva. Questi elementi e parametri sono stabiliti dall'Agenzia delle entrate, previa consultazione delle categorie interessate e degli organismi rappresentativi dei distretti (numero 9).
Analogamente ai distretti si consente di concordare nei medesimi termini con gli
enti locali competenti il volume dei
tributi, contributi e altre somme da
versare in ciascun anno da parte delle imprese ad essi appartenenti (numero 11).
Per la determinazione dei criteri
generali in base ai quali stabilire quanto è dovuto a questi ultimi,
la competenza viene riservata agli enti locali interessati, che debbono
provvedervi previa consultazione delle categorie interessate e degli organismi
rappresentativi dei distretti (numero 13). Gli importi sono stabiliti tenendo
conto dell’attitudine delle imprese alla contribuzione (capacità contributiva), con l'obiettivo di stimolare la
crescita economica e sociale dei territori interessati. In caso di opzione per
la tassazione distrettuale unitaria, l'ammontare dovuto agli enti locali è
determinato in cifra unica annuale
per il distretto nel suo complesso (numero 12).
La ripartizione del
carico tributario concordato nell'ambito del distretto sia rimessa al
distretto stesso, secondo criteri di trasparenza
e parità di trattamento, e
sulla base di principi di mutualità
(numero 7). La medesima disposizione viene ripetuta, facendo riferimento al
“carico tributario derivante dall’attuazione del numero 7” al numero 14.
Verisimilmente, la norma deve intendersi riferita alla
ripartizione dei tributi, contributi e altre somme dovuti agli enti locali, relativamente alla quale
sono confermati i criteri di trasparenza, parità di trattamento e
mutualità previsti dal numero 7) per la suddivisione degli oneri
tributari erariali. Dalla base
imponibile sono escluse le somme
percepite o versate tra le imprese
appartenenti al distretto in contropartita dei vantaggi fiscali ricevuti o attribuiti (numero 8).
La disposizione riproduce quanto è previsto
dall’articolo 118, comma 4, del TUIR per le società optanti per la
tassazione di gruppo secondo il metodo del consolidato nazionale. Tale
disposizione si riferisce la possibilità che, in via contrattuale, gli
aderenti al consolidamento concordino compensi da corrispondersi fra loro a
fronte dei vantaggi fiscali che ricaveranno dal consolidamento medesimo (ad
esempio, il trasferimento di perdite utilizzate per abbattere il reddito
globale) o dall'opzione per la tassazione di gruppo (ad esempio, la mancata
applicazione di imposte sul reddito prodotto a seguito dell'utilizzo in
compensazione di perdite trasferite da altri soggetti), ovvero degli svantaggi
corrispondenti (ad esempio, per la rinunzia alla possibilità di
utilizzare una perdita di esercizio). In base alla richiamata disposizione, le
somme percepite o versate a questo titolo sono fiscalmente irrilevanti e pertanto non costituiscono componenti positivi o negativi di reddito[4]. Restano fermi da parte
delle imprese appartenenti al distretto l'assolvimento degli ordinari obblighi e adempimenti fiscali e
l'applicazione delle disposizioni penali
tributarie ( numero 10).
È altresì previsto che, qualora siano
rispettati gli obblighi derivanti dal concordato, i controlli tributari vengano eseguiti unicamente a scopo di
monitoraggio, prevenzione ed elaborazione dei dati necessari per la
determinazione e l'aggiornamento degli elementi e parametri per la
determinazione della capacità contributiva, sui quali l’Agenzia delle
entrate si fonda per la stipulazione del concordato secondo il disposto del
precedente numero 6). Analoga previsione è infine espressa nel numero
15) in relazione ai tributi, contributi e altri diritti degli enti locali,
relativamente agli adempimenti di loro competenza.
Tra le disposizioni amministrative applicabili ai distretti individuate dalla lettera b) del comma 368 rientrano:
§
il riconoscimento al distretto della facoltà
di svolgere talune funzioni quali l'esecuzione, in nome e per conto dell'impresa, degli adempimenti burocratici
connessi con lo svolgimento dell'attività, nonché la
"certificazione" dell’esattezza dell'iter procedurale seguito, ai fini della semplificazione degli
adempimenti burocratici posti a carico delle imprese che aderiscono;
§ il riconoscimento ai distretti della facoltà di stipulare negozi di diritto privato per conto delle imprese ad essi aderenti sulla base delle norme civilistiche che disciplinano il mandato. A fronte di quest’attività amministrativa svolta dal distretto, la cui rispondenza alle norme di legge è dichiarata dal distretto stesso, le pubbliche amministrazioni e gli enti pubblici interessati provvedono di conseguenza nei riguardi delle imprese senza esperire alcun altro controllo;
§ la possibilità per i distretti di accedere - con apposita convenzione - ai sistemi informativi e agli archivi informatici delle pubbliche amministrazioni, rimandandosi ad un successivo decreto l'individuazione delle concrete modalità applicative della disposizione;
§ la possibilità per le imprese aderenti di intrattenere rapporti con le pubbliche amministrazioni e con gli enti pubblici, anche economici (ovvero dare un impulso a procedimenti amministrativi) attraverso il distretto, al fine di favorire la semplificazione e l'economicità per le imprese che vi aderiscono;
§
la possibilità
per i distretti di comunicare anche in modalità telematica con le
pubbliche amministrazioni e gli enti pubblici che accettano di comunicare, a
tutti gli effetti, con tale modalità, nonché di accedere, su base convenzionale, alle banche dati formate e
detenute dalle pubbliche amministrazioni e dagli enti pubblici. Viene quindi
demandata al Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il
Ministro per la funzione pubblica, l'individuazione delle modalità
applicative delle disposizioni del presente numero, con decreto di natura non
regolamentare
Disposizioni in materia di semplificazione
per l'accesso delle imprese appartenenti ai distretti ai contributi regionali, nazionali o comunitari – introdotte al
numero 2) sono
così riassumibili:
§
Possibilità di presentare istanze mediante
un unico procedimento realizzato tramite
i distretti, che possono altresì fornire alle singole imprese
consulenza ed assistenza, nonché certificare il loro diritto per l'accesso ai
contributi;
§
facoltà per i distretti di procedere alla stipula di apposite convenzioni con
aziende di credito ed intermediari finanziari iscritti nell'apposito elenco
tenuto dall'UIC ai fini della prestazione della garanzia per l'ammontare della
quota dei contributi soggetti a rimborso, rimandando ad un successivo decreto
la determinazione delle specifiche modalità applicative.
Ai distretti viene, inoltre,
riconosciuta la facoltà di stipulare
negozi di diritto privato – per conto delle imprese ad essi aderenti – secondo le norme degli articoli 1703 e
seguenti del codice civile, che disciplinano
il contratto di mandato (lettera b), numero 3).
La lettera c) individua una serie di disposizioni
finanziarie applicabili ai distretti. Si tratta in particolare di interventi
diretti ad agevolare l'accesso al credito, a promuovere contenimento dei rischi
e a favorire la capitalizzazione delle imprese appartenenti al distretto.
A tale proposito, vengono anzitutto previste forme e
condizioni semplificate per la cartolarizzazione
dei crediti concessi da più banche o intermediari finanziari alle
imprese facenti parte del distretto, agli effetti della cessione a un'unica
società.
A questo fine ad un regolamento del Ministro dell'economia e
delle finanze, sentiti il Ministro delle attività produttive e la
CONSOB, viene rimessa l'individuazione
delle semplificazioni applicabili rispetto alla disciplina contenuta nella
legge 30 aprile 1999, n. 130[5] (numero 1). Con lo stesso
regolamento possono essere stabilite le condizioni e le garanzie a favore dei
soggetti cedenti i crediti di cui al numero 1), in presenza delle quali tutto o
parte del ricavato dell'emissione dei titoli possa essere destinato al finanziamento
delle iniziative dei distretti e delle imprese dei distretti già
beneficiarie dei crediti che sono stati oggetto di cessione. L’operazione
comporta per i soggetti già beneficiari dei crediti ceduti la
possibilità di ricevere ulteriore credito, da parte della società
cessionaria, mediante destinazione del ricavato dell’emissione dei titoli il
cui rimborso dovrebbe avvenire con le somme da essi medesimi corrisposte in
qualità di debitori ceduti (numero 2).
Le disposizioni relative alle obbligazioni bancarie garantite, disciplinate dall’articolo 7-bis della legge 30 aprile 1999, n. 130, sono
estese anche ai crediti delle banche
nei confronti delle imprese facenti parte dei distretti. Le condizioni per
l'estensione vengono stabilite con il predetto regolamento (numero 3).
Per le banche e gli altri intermediari che concedono crediti
ai distretti o alle imprese facenti parte dei distretti e che non procedono
alla loro cartolarizzazione o all’emissione di obbligazioni bancarie garantite,
il numero 4) prevede la facoltà di effettuare accantonamenti ulteriori (rispetto
a quelli già previsti dalle norme vigenti) alle condizioni che saranno
stabilite dal predetto regolamento.
Infine allo scopo di favorire l'accesso al credito e il
finanziamento dei distretti e delle imprese che ne fanno parte, con particolare
riguardo ai progetti di sviluppo e innovazione, il numero 5) affida al Ministro
dell'economia e delle finanze il compito di adottare o proporre misure volte a:
a)
assicurare che la garanzia che prestano i
consorzi collettivi di garanzia dei fidi (confidi) sia riconosciuta come
strumento idoneo per l'attenuazione del rischio di credito ai fini del calcolo
dei requisiti patrimoniali degli enti creditizi, previsti nel nuovo accordo di
Basilea[6];
b)
favorire il rafforzamento patrimoniale e l'operatività
dei confidi; con disposizione introdotta nel corso dell’esame presso la
Commissione bilancio si è stabilito a questo riguardo che i fondi di
garanzia interconsortile possono essere destinati anche alla prestazione di
servizi ai confidi soci, per l’iscrizione nell’elenco speciale previsto
dall’articolo 107 del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia.
c)
facilitare la costituzione di agenzie
esterne di valutazione del merito di credito dei distretti e delle imprese che
ne fanno parte, a beneficio delle imprese stesse e delle banche che applicano
il metodo normalizzato di calcolo dei requisiti previsto nel nuovo accordo di
Basilea;
d)
favorire la costituzione, da parte dei
distretti, di fondi d’investimento in capitale di rischio delle imprese che ne
fanno parte; a tali fondi potranno conferire il loro apporto soggetti sia pubblici,
sia privati.
Sono dettate dalla lettera d) del comma 368, che prevede:
1)
L’Istituzione dell'Agenzia per la diffusione delle tecnologie per
l'innovazione, chiamata a concorrere
all'accrescimento della competitività delle piccole e medie imprese e
dei distretti industriali attraverso la diffusione delle nuove tecnologie e
delle relative applicazioni industriali.
Il sistema
produttivo italiano presenta – com'è noto – aspetti fortemente peculiari
rispetto a quelli rilevabili negli altri Paesi industrializzati, essendo
caratterizzato dalla presenza di un elevato numero di imprese di piccola
dimensione specializzate nei settori a medio-bassa tecnologia,
dall'agro-alimentare, al calzaturiero, al tessile-abbigliamento, all'arredamento.
La maggioranza di tali imprese, pur svolgendo in molti casi una intensa
innovazione dei processi produttivi basata sull’acquisizione di tecnologie
già disponibili, non possiede le risorse professionali e finanziarie per
investire in ricerca e innovazione. Per queste sue caratteristiche, il sistema
produttivo italiano richiede ad avviso di molti osservatori l'individuazione di
strumenti idonei ad assicurare l'accesso effettivo delle piccole e medie
imprese a servizi tecnologici esterni qualificati, così da favorire
l'acquisizione delle nuove tecnologie e lo sviluppo di nuovi prodotti. Sul lato dell’offerta di servizi per
l’innovazione, la realtà italiana presenta un vasto e articolato
panorama composto di centri di servizio e di competenze tecniche e scientifiche
diffuse all’interno dei centri di ricerca e delle università. Tale offerta è alimentata innanzitutto
dal sistema universitario e dalle principali istituzioni scientifiche
nazionali. La ricerca industriale è inoltre sostenuta da alcuni grandi centri
privati, emanazione delle più importanti aziende del paese. Accanto a
tali soggetti, operano inoltre un gran numero di strutture di servizio per
l’innovazione e il trasferimento tecnologico alle imprese, promosse dalle
associazioni imprenditoriali, dalle camere di commercio, dagli enti locali e
dalle stesse università. Se ricca
e variegata appare la presenza di strutture legate al territorio, si
manifestano però alcune criticità riconducibili alla
frammentazione dell’offerta dei servizi per l'innovazione e alla ridotta
specializzazione delle strutture che li erogano, fattori questi che secondo
molti osservatori impediscono spesso alle imprese di sfruttare pienamente il
potenziale innovativo disponibile;
2)
Assegnazione all'Agenzia, in funzione dei predetti
obiettivi, del compito di promuove l'integrazione fra il sistema della ricerca e
il sistema produttivo provvedendo ad individuare a valorizzare e a
diffondere nuove conoscenze tecnologiche, brevetti ed applicazioni industriali
su scala sia nazionale che internazionale;
3)
Stipula,
da parte dell’Agenzia, di convenzioni e
contratti con soggetti pubblici e
privati che ne condividono le finalità;
Secondo le
indicazioni contenute nella relazione governativa che accompagnava il disegno
di legge, l’Agenzia tende a rendere più agevole ed efficace per le piattaforme industriali l'accesso ai "fornitori
di tecnologia" su scala nazionale ed internazionale (università, centri di ricerca, eccetera), assicurando
così ad esse la possibilità di meglio corrispondere ai bisogni e
alle strategie delle imprese di
riferimento sul versante dell'innovazione tecnologica. Compito dell'Agenzia è assistere le
piattaforme industriali in ogni fase del percorso di ricerca,
applicazione ed ingegnerizzazione di una
nuova tecnologia, attraverso: la ricerca
e il costante aggiornamento di nuove tecnologie di prodotto e/o processi industriali presso
università e istituti di ricerca;
lo sviluppo di nuovi
processi/applicazioni industriali; la
realizzazione di programmi di formazione; l'implementazione di nuovi processi/applicazioni industriali. A tal fine, l'Agenzia opera come: interfaccia
fra le piattaforme industriali e il mondo della ricerca nazionale e internazionale (scouting);
osservatorio delle piattaforme
industriali, per l'analisi dei reali bisogni
di ricerca e sviluppo e la conseguente proposta di nuove soluzioni tecnologiche (diffusione); struttura di supporto per la realizzazione delle
iniziative selezionate (delivery), mediante l'offerta di programmi di formazione sulle nuove tecnologie, programmi
di assistenza per l’applicazione delle nuove tecnologie, sostegno per l'analisi
dei relativi impatti economici e eventuale assistenza nella fase di ricerca di
fondi;
4)
Sottoposizione
dell’Agenzia alla vigilanza della
Presidenza del Consiglio dei ministri, alla quale è rimessa
anche l'approvazione dello statuto. Attraverso
decreti di natura non regolamentare, la
Presidenza del Consiglio provvede, altresì, alla definizione di criteri e modalità per lo
svolgimento delle attività
istituzionali dell’Agenzia, sentiti i Ministeri dell’istruzione,
dell’economia e delle attività produttive, nonché i Ministri per lo
sviluppo e la coesione territoriale e per l’innovazione e le tecnologie, se
nominati.
L’applicazione delle nuove disposizioni relative ai distretti
introdotte dal comma 366 è estesa:
§
ai distretti rurali ed agroalimentari, di cui
all'articolo 13 del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228[7];
§ ai sistemi
produttivi;
§ ai sistemi
produttivi locali, distretti industriali e consorzi di sviluppo industriale
definiti ai sensi dell'articolo 36 della legge 5 ottobre 1991, n. 317[8];
§ ai consorzi per il
commercio estero di cui alla legge 21 dicembre 1989, n. 83[9];
§ al settore della
pesca[10].
A seguito della novella
del comma 3, articolo 23, del D.Lgs. n 112 del 31 marzo 1998, disposta dal comma
370, le funzioni di assistenza alle
imprese, esercitate prioritariamente attraverso gli sportelli unici per le
attività produttive[11],
possono essere svolte “anche
avvalendosi delle strutture tecnico-organizzative dei consorzi di sviluppo industriale”, di cui all’articolo 36, comma 4,
della legge 5 ottobre 1991, n. 317[12].
In un primo tempo l'applicazione
delle disposizioni di cui ai commi
366-372, "fatta salva la compatibilità con la normativa
comunitaria", avrà luogo, in
via sperimentale, limitatamente ad uno o più distretti che saranno individuati dal decreto
del Ministro dell'economia e delle finanze
richiamato al comma 366. Una volta conclusa la fase sperimentale, si
darà poi corso, progressivamente, all'applicazione delle disposizioni in
questione ai rimanenti distretti. A questa fase sperimentale seguirà,
comunque, una realizzazione progressiva dell’applicazione
delle disposizioni in oggetto (comma 371).
In relazione alla compatibilità
con l’ordinamento comunitario, si osserva che le disposizioni sopra
illustrate, in quanto recanti un regime differenziato sostanzialmente
agevolativo – sul piano fiscale e, segnatamente, su quello finanziario –
riservato alle imprese ricadenti nell’ambito dei distretti, dovrebbero essere
valutate alla luce dell'articolo 87 del Trattato, il quale dichiara
incompatibili con il mercato comune "nella misura in cui incidano sugli
scambi tra Stati membri, gli aiuti
concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi
forma che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di
falsare la concorrenza". È quindi considerato aiuto di Stato
qualunque beneficio concesso dallo Stato, ovvero mediante risorse statali,
quando concorrano le seguenti condizioni: conferisce un vantaggio economico al
beneficiario; è selettivo, e dunque favorisce soltanto talune imprese o
talune produzioni; rischia di falsare la concorrenza; incide sugli scambi fra
gli Stati membri.
La Commissione e la Corte di Giustizia hanno dato
un'interpretazione assai lata del concetto di "aiuto". Il testo del
Trattato cita gli aiuti "concessi (...) sotto qualsiasi forma", e le
autorità comunitarie vi fanno rientrare tutti gli aiuti pubblici ovvero
concessi da un ente territoriale. L'aiuto può provenire anche da un
organismo privato, quale un'impresa privata o un'impresa pubblica che operi in
regime di diritto privato, o da un organismo soggetto all'influenza
preponderante, diretta o indiretta, dello Stato, di un ente pubblico o di un
ente locale. Il divieto colpisce moltissime forme di aiuto, dirette o
indirette, indipendentemente dalla loro tipologia. Ai fini della disciplina
comunitaria non rileva, infatti, quale sia la forma, la ragione o la
finalità di un aiuto, in quanto assume rilievo soltanto il suo effetto
sulla concorrenza. Pertanto costituiscono aiuto di Stato non solo le
prestazioni positive quali le sovvenzioni, ma anche qualsiasi altra misura
intesa a sollevare un'impresa degli oneri finanziari che sono normalmente a suo
carico.
Peraltro, poiché è impossibile applicare un divieto
assoluto degli aiuti di Stato, anche in ragione dell'articolo 2 del Trattato,
che assegna alla Comunità il compito di "promuovere uno sviluppo
armonioso ed equilibrato delle attività economiche nell'insieme della
Comunità", l'articolo 87, paragrafi 2 e 3, del Trattato prevede una
serie di eccezioni, compatibili con il mercato comune: gli aiuti a carattere
sociale concessi ai singoli consumatori, a condizione che siano accordati senza
discriminazioni determinate dall'origine dei prodotti; gli aiuti destinati a
ovviare ai danni arrecati dalle calamità naturali oppure da altri eventi
eccezionali; gli aiuti concessi alle regioni tedesche che risentono della
divisione della Germania.
Possono inoltre considerarsi compatibili con il mercato
comune: gli aiuti destinati a agevolare lo sviluppo di talune attività o
di talune regioni; gli aiuti destinati a promuovere la realizzazione di un
importante progetto di comune interesse europeo oppure a porre rimedio a un
grave turbamento dell'economia di uno Stato membro; gli aiuti destinati a
promuovere la cultura e la conservazione del patrimonio; le altre categorie di
aiuti, determinate con decisione del Consiglio. È compito della
Commissione vigilare affinché gli Stati membri non concedano aiuti
incompatibili con il mercato comune.
Richiamandosi all'articolo 88 del Trattato, il regolamento di
procedura relativo agli aiuti di Stato dispone che prima di poter dare
esecuzione ad un aiuto, questo deve essere notificato alla Commissione al fine
della sua autorizzazione. L'obbligo di notificazione preliminare alla
Commissione è mitigato dal regolamento relativo degli aiuti di Stato
orizzontali, in forza del quale la Commissione può stabilire mediante
regolamento l'esonero da tale obbligo per talune categorie di aiuti. Benché gli
aiuti di Stato siano concessi nel rispetto della normativa comunitaria in
materia di concorrenza, il Quadro di valutazione degli aiuti di Stato rileva
che il loro importo complessivo può provocare “notevoli distorsioni “
della concorrenza nel mercato interno. La Commissione ha quindi avviato un
processo di riforma a lungo termine volto a semplificare le procedure
amministrative e a concentrare le proprie risorse sulle distorsioni più
gravi della concorrenza. Tale processo si è concretato, da un lato,
nell'elaborazione di regolamenti d'esenzione per categoria, quali, tra gli
altri, quelli relativi agli aiuti alla formazione, agli aiuti de minimis, agli aiuti a favore
dell'occupazione e delle PMI, e, dall'altro, nell'elaborazione di nuove linee
direttrici e discipline comunitarie.
Alla luce del nuovo scenario dell’economia
globale e delle conseguenti crescenti pressioni competitive, in tempi recenti
è stata da più parti sottolineata l’esigenza di ammodernare il
sistema dei distretti industriali attraverso l’introduzione di robuste dosi di
tecnologia e di innovazione, in grado di valorizzarlo e di renderlo
inattaccabile ad opera delle economie dei paesi meno avanzati. La ricerca
è, infatti, unanimemente riconosciuta come la via prioritaria per far
crescere le aziende nell’ambito di distretti innovativi ad alta tecnologia,
concentrati a livello locale, dove i partecipanti sono messi in rete e
condividono scienza, servizi e finanza.
A questo proposito merita di essere segnalata
una recente evoluzione del fenomeno dei
distretti che ha condotto all’istituzione dei c.d. “distretti tecnologici”,
destinati a rafforzare settori tecnologicamente avanzati, quali, ad esempio, il
distretto “Torino Wireless” per l'ICT
(Information and Communication Technology),
il distretto veneto per le nanotecnologie e quello campano per l’ingegneria dei
materiali.
Tali distretti, promossi dall’azione
concertata di Pubblica Amministrazione (locale e centrale), Imprese, Fondazioni
ed Istituzioni Finanziarie, nascono con l’obiettivo di creare in numerose aree
del Paese poli per la ricerca e
l’innovazione, specializzati per settore tecnologico, aventi l’ambizione di
diventare centri di eccellenza anche a livello internazionale. In particolare, il
distretto tecnologico si propone di creare un circolo virtuoso fra strutture di
ricerca, imprese e finanziamenti pubblici e privati, capace di sviluppare una
ricerca competitiva in grado di determinare forti ricadute di innovazione sul
tessuto imprenditoriale del territorio. Si tratta di iniziative in fase di
avvio, il cui aspetto peculiare è rinvenibile nel fatto che i distretti
tecnologici puntano a riprodurre nel campo dell’innovazione tecnologica i
vantaggi, della contiguità spaziale e dei rapporti reticolari,
già sperimentati con successo nei distretti industriali. La variabile
nuova, in questo caso, è costituita dalla prevista cooperazione di
imprese e strutture pubbliche di ricerca.
Tali distretti, che rappresentano uno degli assi portanti delle linee
guida per la politica scientifica e tecnologica varate dal Governo nell'aprile
del 2003 e che si propongono di sostenere azioni, progetti e programmi almeno
fino al 2006, sono il frutto di accordi tra il Ministero dell'Istruzione,
dell'università e della ricerca e diversi attori locali.
Su proposta del Ministro dell’istruzione, il CIPE, con la delibera del 20
dicembre 2004 ha approvato un finanziamento
complessivo di 140 milioni di euro da destinare all'istituzione di nuovi poli tecnologici nel Mezzogiorno del
Paese, dal momento che i distretti tecnologici sono concentrati, soprattutto,
nelle regioni del Centro e del Nord.
Secondo dati aggiornati al 15 marzo 2006[13] i distretti tecnologici riconosciuti dal
MIUR sono 24. Di questi quattro risultano in fase di costituzione nelle
seguenti regioni: Umbria, Abruzzo, Molise e Basilicata.
Le regioni che attualmente ospitano i distretti
tecnologici sono: Veneto, Lazio, Lombardia (che ne ha tre), Sicilia
(tre) Emilia Romagna, Liguria, Piemonte, Friuli Venezia Giulia, Campania,
Toscana, Puglia (3), Calabria (2) e Sardegna.
Il distretto del Veneto, dedicato alle nanotecnologie
applicate ai materiali (Veneto nanotech) è stato voluto dal
Ministero dell'Istruzione e dalla Regione e vi partecipano le Università
di Padova e Venezia, il CNR, tre parchi scientifici (Verona, Marghera e Padova)
e l'Infm. Il distretto conta su un sostegno finanziario di 60 milioni di euro
per i primi cinque anni.
Al distretto tecnologico aerospaziale del Lazio (che
svolge studi dai materiali innovativi per componenti e strutture agli apparati
di telecomunicazione e telerilevamento, fino alle tecnologie per la gestione
del traffico aereo e aeroportuale), nato il 5 maggio 2004, hanno dato vita la
Regione Lazio e il Ministero dell'Istruzione.
La regione Lombardia ospita tre distretti. Il primo il distretto
tecnologico sulle biotecnologie, nato il 22 marzo 2004, svolge
attività di ricerca nei settori della salute, dell'agro-zootecnia e
dell'industria chimica e farmaceutica e si avvale di circa 8 milioni di euro di
finanziamenti da parte dal ministero dell'Istruzione. Altri due distretti
dedicati all'Information communication technology e ai nuovi
materiali sono nati nel luglio del 2004. Un accordo tra il Ministero
dell'Istruzione e la Regione Lombardia prevede un finanziamento complessivo di
64 milioni di euro per gli anni 2004-2006.
Il distretto tecnologico della Sicilia sui micro e
nano-sistemi nasce nel novembre 2003 per volontà del Ministero
dell'Istruzione, della Regione Sicilia, delle Università di Catania,
Palermo e Messina e della società StMicroelectronics.
Il distretto per l'alta tecnologia e la meccanica avanzata, dell’Emilia-Romagna,
noto anche come distretto <Hi-mech>, è operativo dal 13
maggio 2004. Cuore del distretto sono le Università di Modena e Reggio
Emilia, Bologna, Parma e Ferrara.
Il distretto tecnologico della Liguria, dedicato ai sistemi
intelligenti integrati, è stato avviato il 27 settembre 2004. I
risultati della ricerca troveranno applicazione nel campo della logistica, dei
sistemi di trasporto e dell'automazione industriale.
Il distretto tecnologico del Piemonte,
c.d. Torino wireless rappresenta un'area di eccellenza
nell'ambito delle telecomunicazioni. Al distretto, creato nel dicembre
del 2002, partecipano società come Alenia, Fiat, Motorola,
StMicroelectronics e Telecom Italia. Il distretto tecnologico del Friuli-Venezia
Giulia di biomedicina è finanziato dal Ministero
dell'Istruzione (15 milioni di euro) e dalla Regione (21 milioni di euro )
Al distretto tecnologico della Campania sull'ingegneria dei
materiali polimerici e compositi, nato il 17 luglio 2004,
partecipano l'Università Federico II di Napoli, la Fondazione Banco di
Napoli, il Centro italiano ricerche aerospaziali e un nutrito pool di imprese.
In Puglia sono stati
avviati nel 2005 un distretto biotecnologico relativo alle
biotecnologie applicate all'ambiente e
alla sanità, un polo meccatronico, per l’automazione legata al settore
tessile, della meccanica e dei mobili e un polo high tech dedicato alle
nanoscienze, bioscienze e infoscienze.
In Sicilia,al polo per il nanotech
si sono affiancati un distretto per la ricerca applicata al campo dei
trasporti navali e delle attività portuali e un terzo polo tecnologico
dedicato all'agro-bio e alla pesca biocompatibile, all’interno del quale
saranno sperimentate tecniche per la riproduzione e l'allevamento di specie
ittiche in un ambiente marino protetto (2005).
In Calabria sono sorti nel 2005 due distretti tecnologici. Il
primo nell'area di Gioia Tauro che si occupa delle tecnologie applicate
alla logistica, come in parte già avviene a Genova, mentre il secondo sorto
attorno a Crotone è dedicato alle tecnologie per i beni culturali.
In Sardegna, nell'area fra Cagliari e Pula è sorto un
distretto tecnologico nel settore della biomedicina e delle tecnologie per la
salute (maggio 2005).
Come anticipato risultano in fase di attuazione i distretti tecnologici
in alcune regioni del Mezzogiorno. In particolare, in Basilicata dovrebbe essere avviato un distretto
tecnologico sulle tecnologie innovative per la tutela dai rischi idrogeologici,
sismici e climatologici. Il distretto dell’Abruzzo si occuperà di
tecnologie applicate alla sicurezza alimentare e alla qualità degli
alimenti, mentre in Molise si occuperà principalmente dell'agroindustria:
tra le principali filiere della regione ci sono i cereali, l’ortofrutta e le
carni avicole e suine.
Per quanto riguarda
la regione Umbria, i
relazione a una proposta avanzata dalla Regione, si stanno conducendo
approfondimenti riguardanti il settore dei materiali, quello delle micro e
nanotecnologie e quello siderurgico.
La realizzazione o il
potenziamento di distretti tecnologici - da sostenere congiuntamente con le
regioni e gli altri enti nazionali e territoriali - rientrano tra le priorità individuate dal decreto legge 35/05[14] con
riferimento all’utilizzo delle
risorse del nuovo “Fondo rotativo per il sostegno alle imprese e
agli investimenti in ricerca “ istituito dalla legge finanziaria 2005 (L. 311/2004).
Sull’utilizzo del Fondo - inizialmente denominato “Fondo rotativo per il sostegno alle imprese” e finalizzato alla concessione di finanziamenti agevolati in forma
di anticipazione di capitali
rimborsabile secondo un piano di rientro pluriennale - il decreto-legge n. 35/05 è successivamente
intervenuto (art. 6, commi 1-4) modificandone la disciplina, al fine di
favorire la crescita del sistema
produttivo nazionale e di rafforzare le
azioni volte alla promozione di un'economia basata sulla conoscenza[15].
Si segnala, inoltre che il comma 5 dell’articolo 6 del DL
35/05 prevede che il CIPE, su proposta del Ministro dell’istruzione,
dell’università e della ricerca, di concerto con il Ministro e delle
attività produttive, possa riservare una quota del Fondo per le aree
sottoutilizzate, istituito dall’articolo 61, comma 1, della legge n. 289/2002,
al finanziamento di nuove iniziative di imprenditorialità giovanile,
realizzate ai sensi del Titolo I del
decreto legislativo n. 185/2000, che siano caratterizzate da un elevato
contenuto tecnologico e che siano attuate nell’ambito dei distretti
tecnologici.
[1] Ulteriori elementi di differenziazione sono rappresentati dalla forte specializzazione produttiva e commerciale dell’industria manifatturiera, con una prevalenza dei settori cosiddetti tradizionali del “made in Italy” (cuoio, tessile, abbigliamento, mobili) e di quelli meccanici, e una rilevante presenza in comparti di “nicchia”. Nel contesto europeo, la struttura produttiva italiana si dimostra sbilanciata verso le imprese di piccole dimensioni. La rilevante presenza di queste nell’apparato produttivo italiano è confermata dai dati ISTAT riportati nel Rapporto annuale 2003 da cui risulta che il 95% delle imprese italiane dell’industria e dei servizi di mercato (in tutto 4,1 milioni di unità) sono prevalentemente di piccola dimensione e che in esse si concentra il 48,4% dell’occupazione complessiva (circa 7,3 milioni di addetti) e il 32,2% del valore aggiunto.
[2] Il concetto di "distretto industriale" è stato introdotto nella teoria economica dall'inglese Alfred Marshall (1920) ed è stato ripreso in Italia negli anni '70 per descrivere e interpretare fenomeni di industrializzazione diffusa in aree territoriali circoscritte, caratterizzate dalla presenza prevalente di imprese di dimensioni medie e piccole e specializzate in una singola filiera produttiva.
[3] Il principio di
sussidiarietà orizzontale attiene alla regolazione dell'esercizio delle
competenze fra singoli e formazioni sociali intermedie, da un lato, e poteri
pubblici dall'altro. La sussidiarietà verticale viene invece in
considerazione quale criterio di riparto delle competenze: "verso il
basso", fra lo Stato e le sue articolazioni territoriali; "verso
l'alto", fra lo Stato e l'Unione europea. Il principio di
sussidiarietà trova oggi come è noto espressa menzione nella
Costituzione, che all'articolo 118, quarto comma, come modificato dalla legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, prevede che “Stato, Regioni, Città
metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei
cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di
interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà”. La
nozione era già richiamata dall’articolo 4, comma 3, lettera a) della legge n. 15 marzo 1997, n. 59
(prima “legge Bassanini”), secondo il quale il conferimento di funzioni agli
enti territoriali deve osservare, tra gli altri, “il principio di
sussidiarietà, con l'attribuzione della generalità dei compiti e
delle funzioni amministrative ai comuni, alle province e alle comunità
montane, secondo le rispettive dimensioni territoriali, associative e
organizzative, con l'esclusione delle sole funzioni incompatibili con le
dimensioni medesime, attribuendo le responsabilità pubbliche anche al
fine di favorire l'assolvimento di funzioni e di compiti di rilevanza sociale
da parte delle famiglie, associazioni e comunità, alla autorità
territorialmente e funzionalmente più vicina ai cittadini interessati”.
Si ricorda infine che, ai
sensi dell'articolo 3, comma 5, del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull'ordinamento
degli enti locali), “I comuni e le province sono titolari di funzioni
proprie e di quelle conferite loro con legge dello Stato e della Regione,
secondo il principio di sussidiarietà. I comuni e le province svolgono
le loro funzioni anche attraverso le attività che possono essere
adeguatamente esercitate dalla autonoma iniziativa dei cittadini e delle loro
formazioni sociali”.
[4] L’Agenzia
delle entrate, con Circ. n. 53/E del 20 dicembre 2004, par. 4.2.5, rilevato che
la disposizione citata non fissa alcun limite quantitativo entro il quale debba
applicarsi la prevista esclusione, ha ritenuto “che l'irrilevanza reddituale
debba riferirsi alle somme corrisposte o ricevute in contropartita nel limite
massimo dell'imposta teorica cui le stesse somme siano commisurate (calcolata,
ad esempio, sugli imponibili negativi o positivi trasferiti risultanti dalla
dichiarazione di ciascuna società partecipante)”; in altri termini,
poiché le posizioni di vantaggio e di mancato beneficio che danno origine al
trasferimento delle somme in esame tra le società partecipanti al
consolidato sono misurabili economicamente in termini commisurati all'imposta
teorica riferibile al predetto vantaggio o mancato beneficio, “ne consegue che
la norma in commento trova applicazione nel limite massimo delle somme pattuite
con riguardo all'imposta teorica calcolata sul vantaggio/mancato beneficio
trasferito”.
[5] La legge 30 aprile 1999, n. 130, reca disposizioni sulla cartolarizzazione dei crediti. Tale tecnica finanziaria consiste nella cessione di crediti o di altre attività finanziarie non negoziabili a una società qualificata, che ha per oggetto esclusivo la realizzazione di tali operazioni e provvede alla conversione di tali crediti o attività in titoli negoziabili su un mercato secondario. Questi titoli sono strumenti finanziari, il cui collocamento è sottoposto all’obbligo di predisposizione del prospetto per cura della società cessionaria o, se diversa, della società emittente. Nel caso in cui i titoli siano offerti ad investitori non professionali, l'operazione dev’essere inoltre sottoposta alla valutazione del merito di credito da parte di operatori terzi. La legge disciplina altresì le modalità della cessione e la sua efficacia, stabilendo che dalla data della pubblicazione della notizia dell'avvenuta cessione nella Gazzetta ufficiale, sui crediti acquistati e sulle somme corrisposte dai debitori ceduti sono ammesse azioni soltanto a tutela dei diritti incorporati nei titoli emessi e per il pagamento dei costi dell'operazione. Dalla stessa data la cessione è opponibile agli altri aventi causa del cedente, il cui titolo di acquisto non sia stato reso efficace verso i terzi in data anteriore, e ai creditori del cedente che non abbiano pignorato il credito prima della pubblicazione della cessione.
[6] Il nuovo accordo di Basilea
(più noto come Basilea 2) è un accordo sui requisiti patrimoniali
delle banche approvato il 26 giugno 2004 dalle banche centrali e dalle
autorità di vigilanza del Gruppo dei dieci. Si tratta di un testo,
elaborato dal Comitato di Basilea destinato a diventare operativo tra la fine del 2006 e il 2007 e che
andrà a sostituire quello elaborato nel 1988.
Scopo
dell'accordo è quello di aumentare la stabilità del sistema
bancario internazionale rendendo le banche più sensibili al controllo
dei rischi di credito, di mercato e operativi; per raggiungere tale obiettivo,
sono state definite, in estrema sintesi, nuove regole fondate su tre
"pilastri": il primo pilastro è quello dei requisiti
patrimoniali minimi, che si traducono in vincoli all’operatività
bancaria al fine di garantire la solidità economica e finanziaria delle
banche; il secondo pilastro riguarda l'efficienza della vigilanza sulla
gestione del rischio da parte delle banche, che implica per le Banche centrali
la verifica sulla disponibilità, da parte delle banche, dei requisiti
patrimoniali minimi e il controllo del rischio degli impieghi, al fine di
prevenire la possibilità che il capitale scenda al di sotto della soglia
minima; il terzo pilastro, infine, concerne la disciplina del mercato e la
trasparenza, e si traduce in regole di trasparenza per l'informazione al
pubblico sui livelli patrimoniali, sui rischi e sulla loro gestione.
[7] Il decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228 “Orientamento e modernizzazione del settore
agricolo, a norma dell'articolo 7 della L. 5 marzo 2001, n. 57”
all'articolo 13 reca la definizione dei "distretti rurali e agroalimentari di
qualità", affidandone peraltro la concreta individuazione alle
regioni. I primi sono i sistemi produttivi locali di cui all'articolo
36, comma 1, della legge 5 ottobre 1991, n. 317
caratterizzati dalla sussistenza di
un'identità storica e territoriale omogenea derivante dall'integrazione
fra attività agricole e altre attività locali, nonché dalla
produzione di beni o servizi di particolare specificità, coerenti con le
tradizioni e le vocazioni naturali e territoriali. I distretti agroalimentari
di qualità sono invece i sistemi produttivi locali, anche a carattere
interregionale, caratterizzati da significativa presenza economica e da
interrelazione e interdipendenza produttiva delle imprese agricole e
agroalimentari, nonché da una o più produzioni certificate e tutelate ai
sensi della vigente normativa comunitaria o nazionale, oppure da produzioni
tradizionali o tipiche.
[8] Sistemi produttivi locali, distretti industriali e consorzi di sviluppo
industriale trovano la loro definizione e la relativa disciplina nell'articolo
36 della legge 5 ottobre 1991, n. 317. Ai sensi delle disposizioni in esso
contenute, si definiscono: sistemi produttivi
locali i contesti produttivi omogenei, caratterizzati da una elevata
concentrazione di imprese, prevalentemente di piccole e medie dimensioni, e da
una peculiare organizzazione interna; distretti industriali quelli fra i
sistemi produttivi locali testé menzionati caratterizzati da una elevata
concentrazione di imprese industriali nonché dalla specializzazione produttiva
di sistemi di imprese; consorzi di sviluppo industriale, quelle strutture
consortili, alle quali è riconosciuto il carattere di enti pubblici
economici, costituiti ai sensi della vigente legislazione nazionale e
regionale, aventi finalità promozionali orientate alla creazione e
sviluppo nell'ambito degli agglomerati industriali attrezzati dai consorzi
medesimi di attività produttive nei settori dell'industria e dei servizi
(finalità perseguite attraverso la realizzazione e gestione, in
collaborazione con le associazioni imprenditoriali e con le camere di
commercio, industria, artigianato e agricoltura, di infrastrutture per
l'industria, rustici industriali, servizi reali alle imprese, iniziative per
l'orientamento e la formazione professionale dei lavoratori, dei quadri
direttivi e intermedi e dei giovani imprenditori, e ogni altro servizio sociale
connesso alla produzione industriale.
[9] Interventi di sostegno per
i consorzi tra piccole e medie imprese industriali, commerciali ed artigiane.
A tale proposito, si ricorda che il
sostegno ai consorzi all'esportazione, introdotto dapprima dalla legge 21
maggio 1981, n. 240, "Provvidenze a
favore dei consorzi e delle società consortili tra piccole e medie imprese
nonché delle società consortili miste", è stato
successivamente disciplinato dalla legge 21 febbraio 1989, n. 83,”Interventi di sostegno per i consorzi tra
piccole e medie imprese industriali, commerciali ed artigiane", che ha
definito in modo più puntuale i requisiti necessari all'ammissione dei
benefici per i consorzi e società consorziate per il commercio estero.
La legge concede contributi finanziari annuali a favore dei consorzi e
società consortili che abbiano come scopi sociali esclusivi
l'esportazione dei prodotti delle imprese consorziate e l’attività promozionale
necessaria per realizzarla. A tali scopo si può aggiungere
l'importazione di materie prime da utilizzarsi da parte delle imprese stesse. La legge ribadisce il
principio che tali contributi non sono volti a sostenere le esportazioni,
bensì al supporto finanziario delle strutture collettive, dotate di
servizi e di personale, che caratterizzano queste associazioni tra esportatori.
[10] La nuova disciplina in materia di distretti produttivi è stata estesa al settore della pesca dal DL n. 2 del 10 gennaio 2006 recante “Interventi urgenti per i settori dell’agricoltura, dell’agroindustria, della pesca, nonché in materia di fiscalità d’impresa“, convertito con modificazioni dalla legge n. 81 dell’11 marzo 2006 (SO n. 58 della GU n. 59 dell’11 marzo 2006), art. 5-bis, comma 1.
[11] Si ricorda che la previsione dell’istituzione di uno sportello unico per le attività produttive presso ogni comune è stata introdotta dal decreto legislativo 31 marzo 1998 n. 112 "Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59", agli artt. 23, 24 e 25. L'articolo 23 del D.Lgs. 112 ha attribuito ai comuni le funzioni amministrative concernenti la realizzazione, l'ampliamento, la cessazione, la riattivazione, la localizzazione e la rilocalizzazione di impianti produttivi, ivi incluso il rilascio delle concessioni o autorizzazioni edilizie (comma 1). Le regioni, nell’ambito delle funzioni conferite in materia di industria dall’art. 19 del medesimo D.Lgs., provvedono, nella propria autonomia organizzativa e finanziaria, anche attraverso le province, al coordinamento e al miglioramento dei servizi e dell'assistenza alle imprese, con particolare riferimento alla localizzazione ed alla autorizzazione degli impianti produttivi e alla creazione di aree industriali. L'assistenza consiste, in particolare, nella raccolta e diffusione, anche in via telematica, delle informazioni concernenti l'insediamento e lo svolgimento delle attività produttive nel territorio regionale, con particolare riferimento alle normative applicabili, agli strumenti agevolativi e all'attività degli sportelli unici, nonché nella raccolta e diffusione delle informazioni concernenti gli strumenti di agevolazione contributiva e fiscale a favore dell'occupazione dei lavoratori dipendenti e del lavoro autonomo (comma 2). Le funzioni di assistenza sono esercitate prioritariamente attraverso gli sportelli unici per le attività produttive (comma 3).
[12] Per quanto concerne
i consorzi di sviluppo industriale, si ricorda
brevemente che sono stati previsti in origine dall'art. 21 della L.
634/1957, recante interventi per il Mezzogiorno. In seguito, tutte le
competenze esercitate dallo Stato nei confronti dei consorzi sono state trasferite
alle regioni, ai sensi dell'articolo 65 del D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616. Essi
sono stati poi ridefiniti dall’art. 36, comma 4, della legge n. 317/1991che li
qualifica, come enti pubblici economici e
demandandone alle regioni il controllo sui piani economici e finanziari degli
stessi.Il comma 5 ne disciplina invece l’attività, prevedendo che i
consorzi promuovano, nell'ambito degli agglomerati industriali da essi
attrezzati, le condizioni necessarie per la creazione e lo sviluppo di attività
produttive nei settori dell'industria e dei servizi. A tale fine, i consorzi
realizzano e gestiscono, in collaborazione con le associazioni imprenditoriali
e con le camere di commercio, infrastrutture per l'industria, rustici
industriali, servizi reali alle imprese, iniziative per l'orientamento e la
formazione professionale dei lavoratori, dei quadri direttivi e intermedi e dei
giovani imprenditori, e ogni altro servizio sociale connesso alla produzione
industriale.
[14] Il decreto legge 14 marzo 2005, n. 35, recante
“Disposizioni
urgenti nell'ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e
territoriale” pubblicato nella GU
16 marzo 2005, n. 62, è stato convertito, con modificazioni, dalla legge
14 maggio 2005, n. 80.
[15]
All’articolo
6 del DL 35/05, i commi 1, 2 e 4, intervengono
sull’utilizzo del Fondo rotativo per il sostegno alle imprese istituito dalla
legge finanziaria 2005, destinando una quota pari ad almeno il 30 per cento
delle risorse finanziarie a sostegno di attività, programmi e progetti
strategici di ricerca e sviluppo delle imprese, da realizzare anche congiuntamente a soggetti della ricerca pubblica
(comma 1). L’individuazione degli obiettivi e delle modalità di
utilizzo è affidata al
Programma Nazionale della Ricerca (PNR), approvato annualmente dal CIPE (comma
2). Specifiche priorità nell’utilizzo delle risorse del Fondo medesimo
sono individuate dal comma 4.