Distretti produttivi e tecnologici

I distretti produttivi

Rispetto ai maggiori paesi sviluppati, l’apparato produttivo italiano si distingue per l’elevato numero di imprese attive e una dimensione media di queste estremamente ridotta, cui si aggiunge un accentuato localismo produttivo[1]. In tale ambito, le PMI rappresentano senza dubbio uno degli assi portanti dell’economia nazionale e sono andate incontro ad uno sviluppo quantitativo, ma anche qualitativo, che non ha eguali nel panorama internazionale.

La principale caratteristica delle PMI italiane può essere individuata nella particolarità della loro forma organizzativa, che ha trovato l’espressione più completa nei distretti industriali[2] i quali, come le altre le forme organizzative delle PMI (le cooperative ad esempio) sono espressione di uno sviluppo industriale che nasce dal basso e riflette la capacità di forze economiche, sociali ed istituzionali presenti in un determinato territorio di autopromuoversi, mettendo a frutto le risorse in termini di capitale umano, di materie prime e di conoscenze disponibili in ambito locale.

 

I distretti industriali italiani, che rappresentano uno dei maggiori punti di forza del sistema produttivo italiano, si configurano come sistemi produttivi locali omogenei, caratterizzati da un'elevata concentrazione di imprese industriali, prevalentemente di piccola e media dimensione e dall'elevata specializzazione produttiva. L'azienda del distretto è prevalentemente a gestione familiare, e spesso gli stessi impianti sono fisicamente localizzati nelle vicinanze dalla residenza dell'imprenditore “capo-famiglia". Le piccole imprese indipendenti tra di loro sono integrate e specializzate in fasi diverse di uno stesso processo produttivo

I distretti industriali italiani, nati per favorire, in zone con determinate caratteristiche economiche, la creazione e lo sviluppo di attività produttive nei settori dell'industria e dei servizi, si sono sviluppati in maniera largamente autonoma durante gli ultimi decenni, concentrando le loro attività su settori specifici (tessile, abbigliamento, meccanica, cuoio)  nei quali hanno acquisito e sviluppato vantaggi competitivi particolarmente rilevanti. La necessità di soddisfare standard sempre più rigorosi in termini di qualità e di sicurezza ha poi condotto le aziende dei distretti a concentrare la loro attenzione su nicchie di mercato sempre più definite, come testimoniano l'alto grado di qualità ed innovazione dei loro prodotti.

Il fenomeno dei distretti industriali si è inizialmente diffuso in  particolare nell'Italia nord-orientale e centrale e ha costituito un potente motore di sviluppo in regioni tradizionalmente prive di un tessuto industriale diffuso, come il Veneto e le regioni centro-meridionali del versante Adriatico come Marche, Abruzzo, Puglia. La crescita attraverso i distretti è stata vista come una valida alternativa al modello industriale del Nord-Ovest,  imperniato sulla grande impresa.

Il riconoscimento giuridico dei distretti è avvenuto per la prima volta con la legge n. 317 del 1991 che ha previsto un ampio coinvolgimento delle regioni sia nella individuazione dei distretti, sia nell'attività di sostegno e finanziamento degli stessi attraverso i consorzi di sviluppo industriale. Spetta infatti alle regioni il compito di individuare, previo parere delle unioni regionali delle camere di commercio, i distretti industriali presenti nel proprio territorio sulla base degli indirizzi e i parametri di riferimento fissati con decreto ministeriale. Una volta individuati in questo modo i distretti industriali, le regioni possono approvare finanziamenti a loro diretti.

I distretti censiti dall’Istat

Il 16 dicembre 2005 l’Istat ha diffuso l’elenco dei distretti industriali individuati sulla base dei Sistemi Locali del Lavoro (SLL) del Censimento 2001.

I distretti industriali, che nel 1991 erano 199, nel 2001 ammontano a 156 (il 65,0% dei 240 SLL prevalentemente manifatturieri), assorbendo il 70,2% degli addetti all’industria manifatturiera (1.928.602 persone. Rispetto al complesso dei SLL (686), la popolazione che vive nei distretti industriali rappresenta il 22,1% dell’intera popolazione italiana. I comuni distrettuali sono il 27,3% dei comuni italiani (2.215), e  corrispondono al 20,6% della superficie totale (62.113,83 kmq.), con una densità abitativa di 209 ab./Kmq. I distretti industriali hanno, in media, 39 addetti ogni 100 abitanti, di cui 15 manifatturieri, contro, rispettivamente, 33 e 7 addetti nel resto d’Italia. Le unità produttive sono, sempre in media, 9 (di cui 2 manifatturiere) ogni 100 abitanti, contro rispettivamente, 8 e 1 del resto del Paese.

Quanto alla diffusione territoriale dei distretti, sempre secondo i dati forniti dall’Istat, il più alto numero si registra il Centro Italia (49 distretti, pari al 75,4% dei Sistemi locali manifatturieri dell’area), mentre il Il Nord-est, considerata l’area di riferimento del modello distrettuale, ne conta 42 (70,0% dei sistemi locali manifatturieri della ripartizione); nel Nord-ovest, l’area di più antica industrializzazione del Paese, un tempo dominata da formazioni territoriali di grande impresa, i distretti presenti risultano  39 (59,1%). Il Mezzogiorno, con 26 distretti (53,1%), costituisce invece l’area emergente dell’industrializzazione distrettuale italiana.

I distretti industriali sono concentrati  in 17 regioni (fanno eccezione soltanto la Valle d’Aosta, la Liguria e la Calabria). Le regioni più “distrettuali” risultano essere  la Lombardia e le Marche, entrambe con 27 distretti (17,3% dei distretti italiani). Seguono il Veneto con 22 (14,1%), la Toscana con 15 (9,6%) e l’Emilia-Romagna con 13 (8,3%). Viceversa, le regioni dove il modello distrettuale è meno presente sono il Lazio, il Molise, la Sicilia (2 distretti ciascuna), la Basilicata e la Sardegna (un solo distretto).La configurazione territoriale dell’Italia distrettuale disegna un “nuovo” triangolo industriale formato dalla Lombardia, dal Veneto e dall’Emilia-Romagna (62 distretti, pari al 39,7% del totale), che si unisce alle storiche regioni dell’Italia centrale (Toscana, Umbria e Marche, con 47 distretti, pari al 30,1%).

Le industrie principali dei distretti industriali sono quelle tipiche del made in Italy: il tessile e abbigliamento; la meccanica; i beni per la casa; la pelletteria e calzature; l’alimentare; l’oreficeria e strumenti musicali. I distretti così caratterizzati sono 148 (il 94,8% di tutti i distretti); si rilevano poi 4 distretti dell’industria della carta e cartotecnica e 4 dell’industria della fabbricazione di prodotti in gomma e materie plastiche. I distretti del made in Italy sono soprattutto quelli del tessile-abbigliamento (il 28,8% del totale), della meccanica (24,4%), dei beni per la casa (20,5%) e della pelletteria e delle calzature (12,8%).

Si segnala, infine, che nel 2005 l'Istat, in considerazione della evoluzione economica e dello sviluppo di nuovi approcci metodologici, ha istituito una commissione di studio, i cui lavori sono ancora in corso, incaricata di valutare lo stato dell'informazione e degli strumenti disponibili in questo ambito anche al fine di proporre nuove eventuali analisi sulla localizzazione delle attività industriali.

La legge 23 dicembre 2005, n. 266 (legge finanziaria 2006)

La legge finanziaria per il 2006 (L. 266/05) è intervenuta in materia di distretti produttivi partendo dall’assunto della necessità di valorizzare le specificità del sistema produttivo italiano che – come già sottolineato - è composto in prevalenza da piccole e medie imprese (PMI) il cui tipico modello organizzativo è costituito dai distretti industriali.

La nuova disciplina relativa ai distretti è contenuta nei commi da 367 a 372, dell’articolo unico della legge finanziaria. Ai fini della sua applicazione si prevede l’adozione di un decreto del Ministro dell'economia e delle finanze cui si rinvia per la definizione delle caratteristiche e delle modalità di individuazione dei distretti produttivi (comma 366), che sono qualificati come libere aggregazioni di imprese articolate sul piano territoriale e sul piano funzionale finalizzate, "secondo principi di sussidiarietà orizzontale e verticale[3]”, anche individuando modalità di collaborazione con le associazioni imprenditoriali":

§      all’ accrescimento dello sviluppo delle aree e dei settori di riferimento;

§      al miglioramento dell'efficienza nell'organizzazione e nella produzione.

 

Con la citata disposizione si prefigura la definizione di due distinte tipologie di distretti: quelli territoriali e quelli funzionali.

I distretti territoriali, maggiormente ancorati all'esperienza maturata finora nel settore dei distretti produttivi, si caratterizzano per la comune appartenenza delle imprese che vi afferiscono ad un medesimo settore produttivo oltre che ad uno stesso ambito territoriale.

I distretti funzionali, che nella relazione governativa di accompagnamento al disegno di legge originario (A.S. 3613) si definiscono come "una libera aggregazione di imprese che cooperano in modo intersettoriale in una logica di mutual business; si prescinde così dalla sussistenza di legami con specifici territori, in funzione del perseguimento di sinergie fra imprese svolgenti attività complementari o comunque connesse, ai fini dell'accesso ad opportunità presenti sul mercato che presuppongono una integrazione dell'offerta produttiva ovvero ai fini dell'ammissione a determinati regimi particolari all'uopo previsti dalla legge".

Disposizioni tributarie, amministrative, finanziarie e di promozione della ricerca e dello sviluppo, applicabili ai distretti produttivi sono determinate dal comma 368 e prevedono la possibilità, per le imprese appartenenti a distretti produttivi, di dare vita a un ambito comune per la fiscalità, gli adempimenti amministrativi e la finanza.

Disciplina tributaria

Su base comunque opzionale – come si evince anche dalla relazione governativa citato, viene prevista la possibilità di due diverse aggregazioni, costituite rispettivamente dal consolidamento fiscale (secondo cui le società di capitali facenti parte di distretti verrebbero sostanzialmente equiparate ad un gruppo) e dalla tassazione unitaria (caratterizzata da un reddito imponibile di distretto che comprende quello delle imprese che hanno optato per la tassazione unitaria). A quest’ultima possono accedere anche le imprese non soggette all'imposta sul reddito delle società (IRES) (comma 368 lett. a). Tanto nella tassazione consolidata (riferita alle sole imposte sul reddito) quanto nella tassazione unitaria (applicabile sia alle imposte sul reddito, sia alle entrate locali) il distretto è individuato come unità fiscale di riferimento.

La tassazione consolidata (numeri 1 e 2) ricalca l'istituto del consolidato nazionale per la tassazione dei gruppi di imprese, le cui norme vengono espressamente richiamate in quanto applicabili. In luogo del gruppo di imprese controllate, l'unità fiscale di riferimento è il distretto, che provvede agli adempimenti dichiarativi e di pagamento, sulla base della somma algebrica dei redditi delle società partecipanti. Viene quindi consentita, ad esempio, la compensazione intradistrettuale delle perdite fiscali.

La tassazione unitaria (numeri da 3 a 15) individua il distretto quale soggetto passivo delle imposte sui redditi, dei tributi e delle altre somme dovute agli enti locali, sulla base di concordato preventivo di durata almeno triennale.

Il ricorso a tale forma di concordato preventivo è comunque ammesso anche indipendentemente dall’opzione per le suddette forme di tassazione.

Più in particolare, secondo il disposto del numero 1), le imprese appartenenti a distretti aventi le caratteristiche determinate a norma del comma 366 possono congiuntamente esercitare l'opzione per la tassazione (consolidata) di distretto ai fini dell'applicazione dell'imposta sul reddito delle società (IRES).

La tassazione di distretto si configura come estensione delle condizioni per l’applicazione del l’istituto del consolidato nazionale, previsto e disciplinato dal titolo II, capo II, sezione II (articolo da 117 a 129), del vigente testo unico delle imposte sui redditi (TUIR), approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, per la tassazione di gruppo delle imprese residenti.

Poiché i trasferimenti infragruppo beneficiano di un regime di neutralità fiscale, ai sensi del  numero 2) si richiede l’osservanza delle disposizioni contenute negli articoli 117 e seguenti del citato TUIR, in quanto applicabili.

I distretti, ove sia esercitata l'opzione per la tassazione unitaria, sono compresi tra i soggetti passivi dell'IRES indicati all'articolo 73, comma 1, lettera b), del TUIR, e cioè gli enti pubblici e privati diversi dalle società, residenti nel territorio dello Stato, che hanno per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali (numero 3).

Il reddito imponibile del distretto (come specifica il numero 4) comprende quello delle imprese che vi appartengono, che hanno contestualmente optato per la tassazione unitaria. In caso di opzione contestuale per la tassazione unitaria, si prevede che  il reddito imponibile del distretto nonché i tributi, contributi e altre somme dovute da esso agli enti locali vengano determinati in base a uno speciale concordato di durata almeno triennale (numero 5).

Il numero 6) introduce in favore dei distretti questa speciale forma di concordato preventivo (disciplinata dai numeri successivi) per la determinazione del reddito unitario imponibile, nonché dei tributi, contributi e altre somme dovute agli enti locali. Il concordato ha durata almeno triennale e può essere esercitato anche indipendentemente dall'esercizio dell'opzione per la tassazione di distretto o per la tassazione unitaria, previste rispettivamente dai precedenti nn. 1) e 4).

In relazione alle imposte dirette, il distretto concorda con l’Agenzia delle entrate la misura del carico tributario di competenza delle imprese ad esso appartenenti per ciascuno degli esercizi compresi nel concordato, sulla base di elementi caratteristici relativi alla natura, tipologia ed entità delle imprese partecipanti, alla loro attitudine alla contribuzione (ossia alla rispettiva capacità contributiva) e ad altri parametri oggettivi, determinati anche su base presuntiva. Questi elementi e parametri sono stabiliti dall'Agenzia delle entrate, previa consultazione delle categorie interessate e degli organismi rappresentativi dei distretti (numero 9).

Analogamente ai distretti si consente di concordare nei medesimi termini con gli enti locali competenti il volume dei tributi, contributi e altre somme da versare in ciascun anno da parte delle imprese ad essi appartenenti (numero 11). Per la determinazione dei criteri generali in base ai quali stabilire quanto è dovuto a questi ultimi, la competenza viene riservata agli enti locali interessati, che debbono provvedervi previa consultazione delle categorie interessate e degli organismi rappresentativi dei distretti (numero 13). Gli importi sono stabiliti tenendo conto dell’attitudine delle imprese alla contribuzione (capacità contributiva), con l'obiettivo di stimolare la crescita economica e sociale dei territori interessati. In caso di opzione per la tassazione distrettuale unitaria, l'ammontare dovuto agli enti locali è determinato in cifra unica annuale per il distretto nel suo complesso (numero 12).

La ripartizione del carico tributario concordato nell'ambito del distretto sia rimessa al distretto stesso, secondo criteri di trasparenza e parità di trattamento, e sulla base di principi di mutualità (numero 7). La medesima disposizione viene ripetuta, facendo riferimento al “carico tributario derivante dall’attuazione del numero 7” al numero 14.

Verisimilmente, la norma deve intendersi riferita alla ripartizione dei tributi, contributi e altre somme dovuti agli enti locali, relativamente alla quale sono confermati i criteri di trasparenza, parità di trattamento e mutualità previsti dal numero 7) per la suddivisione degli oneri tributari erariali. Dalla base imponibile sono escluse le somme percepite o versate tra le imprese appartenenti al distretto in contropartita dei vantaggi fiscali ricevuti o attribuiti (numero 8).

La disposizione riproduce quanto è previsto dall’articolo 118, comma 4, del TUIR per le società optanti per la tassazione di gruppo secondo il metodo del consolidato nazionale. Tale disposizione si riferisce la possibilità che, in via contrattuale, gli aderenti al consolidamento concordino compensi da corrispondersi fra loro a fronte dei vantaggi fiscali che ricaveranno dal consolidamento medesimo (ad esempio, il trasferimento di perdite utilizzate per abbattere il reddito globale) o dall'opzione per la tassazione di gruppo (ad esempio, la mancata applicazione di imposte sul reddito prodotto a seguito dell'utilizzo in compensazione di perdite trasferite da altri soggetti), ovvero degli svantaggi corrispondenti (ad esempio, per la rinunzia alla possibilità di utilizzare una perdita di esercizio). In base alla richiamata disposizione, le somme percepite o versate a questo titolo sono fiscalmente irrilevanti e pertanto non costituiscono componenti positivi o negativi di reddito[4]. Restano fermi da parte delle imprese appartenenti al distretto l'assolvimento degli ordinari obblighi e adempimenti fiscali e l'applicazione delle disposizioni penali tributarie ( numero 10).

È altresì previsto che, qualora siano rispettati gli obblighi derivanti dal concordato, i controlli tributari vengano eseguiti unicamente a scopo di monitoraggio, prevenzione ed elaborazione dei dati necessari per la determinazione e l'aggiornamento degli elementi e parametri per la determinazione della capacità contributiva, sui quali l’Agenzia delle entrate si fonda per la stipulazione del concordato secondo il disposto del precedente numero 6). Analoga previsione è infine espressa nel numero 15) in relazione ai tributi, contributi e altri diritti degli enti locali, relativamente agli adempimenti di loro competenza.

Disposizioni amministrative

Tra le disposizioni amministrative applicabili ai distretti individuate dalla lettera b) del comma 368 rientrano:

§           il riconoscimento al distretto della facoltà di svolgere talune funzioni quali l'esecuzione, in nome e per conto dell'impresa, degli adempimenti burocratici connessi con lo svolgimento dell'attività, nonché la "certificazione" dell’esattezza dell'iter procedurale seguito, ai fini della semplificazione degli adempimenti burocratici posti a carico delle imprese che aderiscono;

§            il riconoscimento ai distretti della facoltà di stipulare negozi di diritto privato per conto delle imprese ad essi aderenti sulla base delle norme civilistiche che disciplinano il mandato. A fronte di quest’attività amministrativa svolta dal distretto, la cui rispondenza alle norme di legge è dichiarata dal distretto stesso, le pubbliche amministrazioni e gli enti pubblici interessati provvedono di conseguenza nei riguardi delle imprese senza esperire alcun altro controllo;

§           la possibilità per i distretti di accedere -  con apposita convenzione - ai sistemi informativi e agli archivi informatici delle pubbliche amministrazioni, rimandandosi ad un successivo decreto l'individuazione delle concrete modalità applicative della disposizione;

§           la possibilità per le imprese aderenti di intrattenere rapporti con le pubbliche amministrazioni e con gli enti pubblici, anche economici (ovvero dare un impulso a procedimenti amministrativi) attraverso il distretto, al fine di favorire la semplificazione e l'economicità per le imprese che vi aderiscono;

§           la possibilità per i distretti di comunicare anche in modalità telematica con le pubbliche amministrazioni e gli enti pubblici che accettano di comunicare, a tutti gli effetti, con tale modalità, nonché di accedere, su base convenzionale, alle banche dati formate e detenute dalle pubbliche amministrazioni e dagli enti pubblici. Viene quindi demandata al Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro per la funzione pubblica, l'individuazione delle modalità applicative delle disposizioni del presente numero, con decreto di natura non regolamentare

Disposizioni in materia di semplificazione per l'accesso delle imprese appartenenti ai distretti ai contributi regionali, nazionali o comunitari – introdotte al numero 2) sono così riassumibili:

§         Possibilità di presentare istanze mediante un unico procedimento realizzato tramite i distretti, che possono altresì fornire alle singole imprese consulenza ed assistenza, nonché certificare il loro diritto per l'accesso ai contributi;

§         facoltà per i distretti di procedere alla stipula di apposite convenzioni con aziende di credito ed intermediari finanziari iscritti nell'apposito elenco tenuto dall'UIC ai fini della prestazione della garanzia per l'ammontare della quota dei contributi soggetti a rimborso, rimandando ad un successivo decreto la determinazione delle specifiche modalità applicative.

Ai distretti viene, inoltre, riconosciuta la facoltà di stipulare negozi di diritto privato – per conto delle imprese ad essi aderenti – secondo le norme degli articoli 1703 e seguenti del codice civile, che disciplinano il contratto di mandato (lettera b), numero 3).

Disposizioni finanziarie

La lettera c) individua una serie di disposizioni finanziarie applicabili ai distretti. Si tratta in particolare di interventi diretti ad agevolare l'accesso al credito, a promuovere contenimento dei rischi e a favorire la capitalizzazione delle imprese appartenenti al distretto.

A tale proposito, vengono anzitutto previste forme e condizioni semplificate per la cartolarizzazione dei crediti concessi da più banche o intermediari finanziari alle imprese facenti parte del distretto, agli effetti della cessione a un'unica società.

A questo fine ad un regolamento del Ministro dell'economia e delle finanze, sentiti il Ministro delle attività produttive e la CONSOB, viene  rimessa l'individuazione delle semplificazioni applicabili rispetto alla disciplina contenuta nella legge 30 aprile 1999, n. 130[5] (numero 1). Con lo stesso regolamento possono essere stabilite le condizioni e le garanzie a favore dei soggetti cedenti i crediti di cui al numero 1), in presenza delle quali tutto o parte del ricavato dell'emissione dei titoli possa essere destinato al finanziamento delle iniziative dei distretti e delle imprese dei distretti già beneficiarie dei crediti che sono stati oggetto di cessione. L’operazione comporta per i soggetti già beneficiari dei crediti ceduti la possibilità di ricevere ulteriore credito, da parte della società cessionaria, mediante destinazione del ricavato dell’emissione dei titoli il cui rimborso dovrebbe avvenire con le somme da essi medesimi corrisposte in qualità di debitori ceduti (numero 2).

Le disposizioni relative alle obbligazioni bancarie garantite, disciplinate dall’articolo 7-bis della legge 30 aprile 1999, n. 130, sono estese anche ai crediti delle banche nei confronti delle imprese facenti parte dei distretti. Le condizioni per l'estensione vengono stabilite con il predetto regolamento (numero 3).

Per le banche e gli altri intermediari che concedono crediti ai distretti o alle imprese facenti parte dei distretti e che non procedono alla loro cartolarizzazione o all’emissione di obbligazioni bancarie garantite, il numero 4) prevede la facoltà di effettuare accantonamenti ulteriori (rispetto a quelli già previsti dalle norme vigenti) alle condizioni che saranno stabilite dal predetto regolamento.

Infine allo scopo di favorire l'accesso al credito e il finanziamento dei distretti e delle imprese che ne fanno parte, con particolare riguardo ai progetti di sviluppo e innovazione, il numero 5) affida al Ministro dell'economia e delle finanze il compito di adottare o proporre misure volte a:

a)      assicurare che la garanzia che prestano i consorzi collettivi di garanzia dei fidi (confidi) sia riconosciuta come strumento idoneo per l'attenuazione del rischio di credito ai fini del calcolo dei requisiti patrimoniali degli enti creditizi, previsti nel nuovo accordo di Basilea[6];

b)      favorire il rafforzamento patrimoniale e l'operatività dei confidi; con disposizione introdotta nel corso dell’esame presso la Commissione bilancio si è stabilito a questo riguardo che i fondi di garanzia interconsortile possono essere destinati anche alla prestazione di servizi ai confidi soci, per l’iscrizione nell’elenco speciale previsto dall’articolo 107 del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia.

c)      facilitare la costituzione di agenzie esterne di valutazione del merito di credito dei distretti e delle imprese che ne fanno parte, a beneficio delle imprese stesse e delle banche che applicano il metodo normalizzato di calcolo dei requisiti previsto nel nuovo accordo di Basilea;

d)      favorire la costituzione, da parte dei distretti, di fondi d’investimento in capitale di rischio delle imprese che ne fanno parte; a tali fondi potranno conferire il loro apporto soggetti sia pubblici, sia privati.

Disposizioni in materia di ricerca e sviluppo

Sono dettate dalla lettera d) del comma 368, che prevede:

1)         L’Istituzione dell'Agenzia per la diffusione delle tecnologie per l'innovazione, chiamata a concorrere all'accrescimento della competitività delle piccole e medie imprese e dei distretti industriali attraverso la diffusione delle nuove tecnologie e delle relative applicazioni industriali.

Il sistema produttivo italiano presenta – com'è noto – aspetti fortemente peculiari rispetto a quelli rilevabili negli altri Paesi industrializzati, essendo caratterizzato dalla presenza di un elevato numero di imprese di piccola dimensione specializzate nei settori a medio-bassa tecnologia, dall'agro-alimentare, al calzaturiero, al tessile-abbigliamento, all'arredamento. La maggioranza di tali imprese, pur svolgendo in molti casi una intensa innovazione dei processi produttivi basata sull’acquisizione di tecnologie già disponibili, non possiede le risorse professionali e finanziarie per investire in ricerca e innovazione. Per queste sue caratteristiche, il sistema produttivo italiano richiede ad avviso di molti osservatori l'individuazione di strumenti idonei ad assicurare l'accesso effettivo delle piccole e medie imprese a servizi tecnologici esterni qualificati, così da favorire l'acquisizione delle nuove tecnologie e lo sviluppo di nuovi prodotti.  Sul lato dell’offerta di servizi per l’innovazione, la realtà italiana presenta un vasto e articolato panorama composto di centri di servizio e di competenze tecniche e scientifiche diffuse all’interno dei centri di ricerca e delle università.  Tale offerta è alimentata innanzitutto dal sistema universitario e dalle principali istituzioni scientifiche nazionali. La ricerca industriale è inoltre sostenuta da alcuni grandi centri privati, emanazione delle più importanti aziende del paese. Accanto a tali soggetti, operano inoltre un gran numero di strutture di servizio per l’innovazione e il trasferimento tecnologico alle imprese, promosse dalle associazioni imprenditoriali, dalle camere di commercio, dagli enti locali e dalle stesse università.  Se ricca e variegata appare la presenza di strutture legate al territorio, si manifestano però alcune criticità riconducibili alla frammentazione dell’offerta dei servizi per l'innovazione e alla ridotta specializzazione delle strutture che li erogano, fattori questi che secondo molti osservatori impediscono spesso alle imprese di sfruttare pienamente il potenziale innovativo disponibile;

2)        Assegnazione all'Agenzia, in funzione dei predetti obiettivi, del  compito di promuove l'integrazione fra il sistema della ricerca e il sistema produttivo provvedendo ad individuare a valorizzare e a diffondere nuove conoscenze tecnologiche, brevetti ed applicazioni industriali su scala sia nazionale che internazionale;

3)        Stipula, da parte dell’Agenzia, di convenzioni e contratti con soggetti pubblici e privati che ne condividono le finalità;

Secondo le indicazioni contenute nella relazione governativa che accompagnava il disegno di legge, l’Agenzia tende a rendere più agevole ed efficace per le piattaforme industriali l'accesso ai "fornitori di tecnologia" su scala nazionale ed internazionale (università, centri di ricerca, eccetera), assicurando così ad esse la possibilità di meglio corrispondere ai bisogni e alle strategie delle imprese di riferimento sul versante dell'innovazione tecnologica. Compito dell'Agenzia è assistere le piattaforme industriali in ogni fase del percorso di ricerca, applicazione ed ingegnerizzazione di una nuova tecnologia, attraverso: la ricerca e il costante aggiornamento di nuove tecnologie di prodotto e/o processi industriali presso università e istituti di ricerca; lo sviluppo di nuovi processi/applicazioni industriali; la realizzazione di programmi di formazione; l'implementazione di nuovi processi/applicazioni industriali. A tal fine, l'Agenzia opera come: interfaccia fra le piattaforme industriali e il mondo della ricerca nazionale e internazionale (scouting); osservatorio delle piattaforme industriali, per l'analisi dei reali bisogni di ricerca e sviluppo e la conseguente proposta di nuove soluzioni tecnologiche (diffusione); struttura di supporto per la realizzazione delle iniziative selezionate (delivery), mediante l'offerta di programmi di formazione sulle nuove tecnologie, programmi di assistenza per l’applicazione delle nuove tecnologie, sostegno per l'analisi dei relativi impatti economici e eventuale assistenza nella fase di ricerca di fondi;

4)        Sottoposizione dell’Agenzia alla vigilanza della Presidenza del Consiglio dei ministri, alla quale è rimessa anche l'approvazione dello statuto. Attraverso decreti di natura non regolamentare, la Presidenza del Consiglio provvede, altresì, alla definizione di criteri e modalità per lo svolgimento delle attività istituzionali dell’Agenzia, sentiti i Ministeri dell’istruzione, dell’economia e delle attività produttive, nonché i Ministri per lo sviluppo e la coesione territoriale e per l’innovazione e le tecnologie, se nominati.

L’applicazione delle nuove disposizioni relative ai distretti introdotte dal comma 366 è estesa:

§      ai distretti rurali ed agroalimentari, di cui all'articolo 13 del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228[7];

§      ai sistemi produttivi;

§      ai sistemi produttivi locali, distretti industriali e consorzi di sviluppo industriale definiti ai sensi dell'articolo 36 della legge 5 ottobre 1991, n. 317[8];

§      ai consorzi per il commercio estero di cui alla legge 21 dicembre 1989, n. 83[9];

§      al settore della pesca[10].

 

A seguito della novella del comma 3, articolo 23, del D.Lgs. n 112 del 31 marzo 1998, disposta dal comma 370, le funzioni di assistenza alle imprese, esercitate prioritariamente attraverso gli sportelli unici per le attività produttive[11], possono essere svolte “anche avvalendosi delle strutture tecnico-organizzative dei consorzi di sviluppo industriale”, di cui all’articolo 36, comma 4, della legge 5 ottobre 1991, n. 317[12].

In un primo tempo l'applicazione delle disposizioni di cui ai commi 366-372, "fatta salva la compatibilità con la normativa comunitaria", avrà luogo, in via sperimentale, limitatamente ad uno o più distretti che saranno individuati dal decreto del Ministro dell'economia e delle finanze richiamato al comma 366. Una volta conclusa la fase sperimentale, si darà poi corso, progressivamente, all'applicazione delle disposizioni in questione ai rimanenti distretti. A questa fase sperimentale seguirà, comunque, una realizzazione progressiva dell’applicazione delle disposizioni in oggetto (comma 371).

In relazione alla compatibilità con l’ordinamento comunitario, si osserva che le disposizioni sopra illustrate, in quanto recanti un regime differenziato sostanzialmente agevolativo – sul piano fiscale e, segnatamente, su quello finanziario – riservato alle imprese ricadenti nell’ambito dei distretti, dovrebbero essere valutate alla luce dell'articolo 87 del Trattato, il quale dichiara incompatibili con il mercato comune "nella misura in cui incidano sugli scambi tra Stati membri, gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza". È quindi considerato aiuto di Stato qualunque beneficio concesso dallo Stato, ovvero mediante risorse statali, quando concorrano le seguenti condizioni: conferisce un vantaggio economico al beneficiario; è selettivo, e dunque favorisce soltanto talune imprese o talune produzioni; rischia di falsare la concorrenza; incide sugli scambi fra gli Stati membri.

La Commissione e la Corte di Giustizia hanno dato un'interpretazione assai lata del concetto di "aiuto". Il testo del Trattato cita gli aiuti "concessi (...) sotto qualsiasi forma", e le autorità comunitarie vi fanno rientrare tutti gli aiuti pubblici ovvero concessi da un ente territoriale. L'aiuto può provenire anche da un organismo privato, quale un'impresa privata o un'impresa pubblica che operi in regime di diritto privato, o da un organismo soggetto all'influenza preponderante, diretta o indiretta, dello Stato, di un ente pubblico o di un ente locale. Il divieto colpisce moltissime forme di aiuto, dirette o indirette, indipendentemente dalla loro tipologia. Ai fini della disciplina comunitaria non rileva, infatti, quale sia la forma, la ragione o la finalità di un aiuto, in quanto assume rilievo soltanto il suo effetto sulla concorrenza. Pertanto costituiscono aiuto di Stato non solo le prestazioni positive quali le sovvenzioni, ma anche qualsiasi altra misura intesa a sollevare un'impresa degli oneri finanziari che sono normalmente a suo carico.

Peraltro, poiché è impossibile applicare un divieto assoluto degli aiuti di Stato, anche in ragione dell'articolo 2 del Trattato, che assegna alla Comunità il compito di "promuovere uno sviluppo armonioso ed equilibrato delle attività economiche nell'insieme della Comunità", l'articolo 87, paragrafi 2 e 3, del Trattato prevede una serie di eccezioni, compatibili con il mercato comune: gli aiuti a carattere sociale concessi ai singoli consumatori, a condizione che siano accordati senza discriminazioni determinate dall'origine dei prodotti; gli aiuti destinati a ovviare ai danni arrecati dalle calamità naturali oppure da altri eventi eccezionali; gli aiuti concessi alle regioni tedesche che risentono della divisione della Germania.

Possono inoltre considerarsi compatibili con il mercato comune: gli aiuti destinati a agevolare lo sviluppo di talune attività o di talune regioni; gli aiuti destinati a promuovere la realizzazione di un importante progetto di comune interesse europeo oppure a porre rimedio a un grave turbamento dell'economia di uno Stato membro; gli aiuti destinati a promuovere la cultura e la conservazione del patrimonio; le altre categorie di aiuti, determinate con decisione del Consiglio. È compito della Commissione vigilare affinché gli Stati membri non concedano aiuti incompatibili con il mercato comune.

Richiamandosi all'articolo 88 del Trattato, il regolamento di procedura relativo agli aiuti di Stato dispone che prima di poter dare esecuzione ad un aiuto, questo deve essere notificato alla Commissione al fine della sua autorizzazione. L'obbligo di notificazione preliminare alla Commissione è mitigato dal regolamento relativo degli aiuti di Stato orizzontali, in forza del quale la Commissione può stabilire mediante regolamento l'esonero da tale obbligo per talune categorie di aiuti. Benché gli aiuti di Stato siano concessi nel rispetto della normativa comunitaria in materia di concorrenza, il Quadro di valutazione degli aiuti di Stato rileva che il loro importo complessivo può provocare “notevoli distorsioni “ della concorrenza nel mercato interno. La Commissione ha quindi avviato un processo di riforma a lungo termine volto a semplificare le procedure amministrative e a concentrare le proprie risorse sulle distorsioni più gravi della concorrenza. Tale processo si è concretato, da un lato, nell'elaborazione di regolamenti d'esenzione per categoria, quali, tra gli altri, quelli relativi agli aiuti alla formazione, agli aiuti de minimis, agli aiuti a favore dell'occupazione e delle PMI, e, dall'altro, nell'elaborazione di nuove linee direttrici e discipline comunitarie.

I distretti tecnologici

Alla luce del nuovo scenario dell’economia globale e delle conseguenti crescenti pressioni competitive, in tempi recenti è stata da più parti sottolineata l’esigenza di ammodernare il sistema dei distretti industriali attraverso l’introduzione di robuste dosi di tecnologia e di innovazione, in grado di valorizzarlo e di renderlo inattaccabile ad opera delle economie dei paesi meno avanzati. La ricerca è, infatti, unanimemente riconosciuta come la via prioritaria per far crescere le aziende nell’ambito di distretti innovativi ad alta tecnologia, concentrati a livello locale, dove i partecipanti sono messi in rete e condividono scienza, servizi e finanza.

A questo proposito merita di essere segnalata una recente evoluzione del fenomeno dei distretti che ha condotto all’istituzione dei c.d.distretti tecnologici”, destinati a rafforzare settori tecnologicamente avanzati, quali, ad esempio, il distretto “Torino Wireless” per l'ICT (Information and Communication Technology), il distretto veneto per le nanotecnologie e quello campano per l’ingegneria dei materiali.

Tali distretti, promossi dall’azione concertata di Pubblica Amministrazione (locale e centrale), Imprese, Fondazioni ed Istituzioni Finanziarie, nascono con l’obiettivo di creare in numerose aree del Paese poli per la ricerca e l’innovazione, specializzati per settore tecnologico, aventi l’ambizione di diventare centri di eccellenza anche a livello internazionale. In particolare, il distretto tecnologico si propone di creare un circolo virtuoso fra strutture di ricerca, imprese e finanziamenti pubblici e privati, capace di sviluppare una ricerca competitiva in grado di determinare forti ricadute di innovazione sul tessuto imprenditoriale del territorio. Si tratta di iniziative in fase di avvio, il cui aspetto peculiare è rinvenibile nel fatto che i distretti tecnologici puntano a riprodurre nel campo dell’innovazione tecnologica i vantaggi, della contiguità spaziale e dei rapporti reticolari, già sperimentati con successo nei distretti industriali. La variabile nuova, in questo caso, è costituita dalla prevista cooperazione di imprese e strutture pubbliche di ricerca.

Tali distretti, che rappresentano uno degli assi portanti delle linee guida per la politica scientifica e tecnologica varate dal Governo nell'aprile del 2003 e che si propongono di sostenere azioni, progetti e programmi almeno fino al 2006, sono il frutto di accordi tra il Ministero dell'Istruzione, dell'università e della ricerca e diversi attori locali.

Su proposta del Ministro dell’istruzione, il CIPE, con la delibera del 20 dicembre 2004 ha approvato un finanziamento complessivo di 140 milioni di euro da destinare all'istituzione di nuovi poli tecnologici nel Mezzogiorno del Paese, dal momento che i distretti tecnologici sono concentrati, soprattutto, nelle regioni del Centro e del Nord.

Secondo dati aggiornati al 15 marzo 2006[13] i distretti tecnologici riconosciuti dal MIUR sono 24. Di questi quattro risultano in fase di costituzione nelle seguenti regioni: Umbria, Abruzzo, Molise e Basilicata.

Le regioni che attualmente ospitano i distretti tecnologici sono: Veneto, Lazio, Lombardia (che ne ha tre), Sicilia (tre) Emilia Romagna, Liguria, Piemonte, Friuli Venezia Giulia, Campania, Toscana, Puglia (3), Calabria (2) e Sardegna.

Il distretto del Veneto, dedicato alle nanotecnologie applicate ai materiali (Veneto nanotech) è stato voluto dal Ministero dell'Istruzione e dalla Regione e vi partecipano le Università di Padova e Venezia, il CNR, tre parchi scientifici (Verona, Marghera e Padova) e l'Infm. Il distretto conta su un sostegno finanziario di 60 milioni di euro per i primi cinque anni.

Al distretto tecnologico aerospaziale del Lazio (che svolge studi dai materiali innovativi per componenti e strutture agli apparati di telecomunicazione e telerilevamento, fino alle tecnologie per la gestione del traffico aereo e aeroportuale), nato il 5 maggio 2004, hanno dato vita la Regione Lazio e il Ministero dell'Istruzione.

La regione Lombardia ospita tre distretti. Il primo il distretto tecnologico sulle biotecnologie, nato il 22 marzo 2004, svolge attività di ricerca nei settori della salute, dell'agro-zootecnia e dell'industria chimica e farmaceutica e si avvale di circa 8 milioni di euro di finanziamenti da parte dal ministero dell'Istruzione. Altri due distretti dedicati all'Information communication technology e ai nuovi materiali sono nati nel luglio del 2004. Un accordo tra il Ministero dell'Istruzione e la Regione Lombardia prevede un finanziamento complessivo di 64 milioni di euro per gli anni 2004-2006.

Il distretto tecnologico della Sicilia sui micro e nano-sistemi nasce nel novembre 2003 per volontà del Ministero dell'Istruzione, della Regione Sicilia, delle Università di Catania, Palermo e Messina e della società StMicroelectronics.

Il distretto per l'alta tecnologia e la meccanica avanzata, dell’Emilia-Romagna, noto anche come distretto <Hi-mech>, è operativo dal 13 maggio 2004. Cuore del distretto sono le Università di Modena e Reggio Emilia, Bologna, Parma e Ferrara.

Il distretto tecnologico della Liguria, dedicato ai sistemi intelligenti integrati, è stato avviato il 27 settembre 2004. I risultati della ricerca troveranno applicazione nel campo della logistica, dei sistemi di trasporto e dell'automazione industriale.

Il distretto tecnologico del Piemonte, c.d. Torino wireless rappresenta un'area di eccellenza nell'ambito delle telecomunicazioni. Al distretto, creato nel dicembre del 2002, partecipano società come Alenia, Fiat, Motorola, StMicroelectronics e Telecom Italia. Il distretto tecnologico del Friuli-Venezia Giulia di biomedicina è finanziato dal Ministero dell'Istruzione (15 milioni di euro) e dalla Regione (21 milioni di euro )

Al distretto tecnologico della Campania sull'ingegneria dei materiali polimerici e compositi, nato il 17 luglio 2004, partecipano l'Università Federico II di Napoli, la Fondazione Banco di Napoli, il Centro italiano ricerche aerospaziali e un nutrito pool di imprese.

In Puglia sono stati avviati nel 2005 un distretto biotecnologico relativo alle biotecnologie  applicate all'ambiente e alla sanità, un polo meccatronico, per l’automazione legata al settore tessile, della meccanica e dei mobili e un polo high tech dedicato alle nanoscienze, bioscienze e infoscienze.

In Sicilia,al polo per il nanotech si sono affiancati un distretto per la ricerca applicata al campo dei trasporti navali e delle attività portuali e un terzo polo tecnologico dedicato all'agro-bio e alla pesca biocompatibile, all’interno del quale saranno sperimentate tecniche per la riproduzione e l'allevamento di specie ittiche in un ambiente marino protetto (2005).

In Calabria sono sorti nel 2005 due distretti tecnologici. Il primo nell'area di Gioia Tauro che si occupa delle tecnologie applicate alla logistica, come in parte già avviene a Genova, mentre il secondo sorto attorno a Crotone è dedicato alle tecnologie per i beni culturali.

In Sardegna, nell'area fra Cagliari e Pula è sorto un distretto tecnologico nel settore della biomedicina e delle tecnologie per la salute (maggio 2005).

Come anticipato risultano in fase di attuazione i distretti tecnologici in alcune regioni del Mezzogiorno. In particolare, in Basilicata dovrebbe essere avviato un distretto tecnologico sulle tecnologie innovative per la tutela dai rischi idrogeologici, sismici e climatologici. Il distretto dell’Abruzzo si occuperà di tecnologie applicate alla sicurezza alimentare e alla qualità degli alimenti, mentre in Molise si occuperà principalmente dell'agroindustria: tra le principali filiere della regione ci sono i cereali, l’ortofrutta e le carni avicole e suine.

Per quanto riguarda la regione Umbria, i relazione a una proposta avanzata dalla Regione, si stanno conducendo approfondimenti riguardanti il settore dei materiali, quello delle micro e nanotecnologie e quello siderurgico.

La realizzazione o il potenziamento di distretti tecnologici - da sostenere congiuntamente con le regioni e gli altri enti nazionali e territoriali - rientrano tra le priorità individuate dal decreto legge 35/05[14] con riferimento all’utilizzo delle risorse del nuovo “Fondo rotativo  per il sostegno alle imprese e agli investimenti in ricercaistituito dalla legge finanziaria 2005 (L. 311/2004).

Sull’utilizzo del Fondo - inizialmente denominato “Fondo rotativo per il sostegno alle imprese” e finalizzato alla concessione di finanziamenti agevolati in forma di anticipazione di capitali rimborsabile secondo un piano di rientro pluriennale - il decreto-legge n. 35/05 è successivamente intervenuto (art. 6, commi 1-4) modificandone la disciplina, al fine di favorire la crescita del sistema produttivo nazionale e di rafforzare le azioni volte alla promozione di un'economia basata sulla conoscenza[15].

Si segnala, inoltre che il comma 5 dell’articolo 6 del DL 35/05 prevede che il CIPE, su proposta del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, di concerto con il Ministro e delle attività produttive, possa riservare una quota del Fondo per le aree sottoutilizzate, istituito dall’articolo 61, comma 1, della legge n. 289/2002, al finanziamento di nuove iniziative di imprenditorialità giovanile, realizzate ai sensi del Titolo I del decreto legislativo n. 185/2000, che siano caratterizzate da un elevato contenuto tecnologico e che siano attuate nell’ambito dei distretti tecnologici.



[1]     Ulteriori elementi di differenziazione sono rappresentati dalla forte specializzazione produttiva e commerciale dell’industria manifatturiera, con una prevalenza dei settori cosiddetti tradizionali del “made in Italy” (cuoio, tessile, abbigliamento, mobili) e di quelli meccanici, e una rilevante presenza in comparti di “nicchia”. Nel contesto europeo, la struttura  produttiva italiana si  dimostra sbilanciata verso le imprese di piccole dimensioni. La rilevante presenza di queste  nell’apparato produttivo italiano è confermata dai dati ISTAT riportati nel Rapporto annuale 2003 da cui risulta che il 95% delle imprese italiane dell’industria e dei servizi di mercato (in tutto 4,1 milioni di unità) sono prevalentemente di piccola dimensione e che in esse si concentra il 48,4% dell’occupazione complessiva (circa 7,3 milioni di addetti) e il 32,2% del valore aggiunto.

[2]     Il concetto di "distretto industriale" è stato introdotto nella teoria economica dall'inglese Alfred Marshall (1920) ed è stato ripreso in Italia negli anni '70 per descrivere e interpretare fenomeni di industrializzazione diffusa in aree territoriali circoscritte, caratterizzate dalla presenza prevalente di imprese di dimensioni medie e piccole e specializzate in una singola filiera produttiva.

[3]     Il principio di sussidiarietà orizzontale attiene alla regolazione dell'esercizio delle competenze fra singoli e formazioni sociali intermedie, da un lato, e poteri pubblici dall'altro. La sussidiarietà verticale viene invece in considerazione quale criterio di riparto delle competenze: "verso il basso", fra lo Stato e le sue articolazioni territoriali; "verso l'alto", fra lo Stato e l'Unione europea. Il principio di sussidiarietà trova oggi come è noto espressa menzione nella Costituzione, che all'articolo 118, quarto comma, come modificato dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, prevede che “Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà”. La nozione era già richiamata dall’articolo 4, comma 3, lettera a) della legge n. 15 marzo 1997, n. 59 (prima “legge Bassanini”), secondo il quale il conferimento di funzioni agli enti territoriali deve osservare, tra gli altri, “il principio di sussidiarietà, con l'attribuzione della generalità dei compiti e delle funzioni amministrative ai comuni, alle province e alle comunità montane, secondo le rispettive dimensioni territoriali, associative e organizzative, con l'esclusione delle sole funzioni incompatibili con le dimensioni medesime, attribuendo le responsabilità pubbliche anche al fine di favorire l'assolvimento di funzioni e di compiti di rilevanza sociale da parte delle famiglie, associazioni e comunità, alla autorità territorialmente e funzionalmente più vicina ai cittadini interessati”.

      Si ricorda infine che, ai sensi dell'articolo 3, comma 5, del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali), “I comuni e le province sono titolari di funzioni proprie e di quelle conferite loro con legge dello Stato e della Regione, secondo il principio di sussidiarietà. I comuni e le province svolgono le loro funzioni anche attraverso le attività che possono essere adeguatamente esercitate dalla autonoma iniziativa dei cittadini e delle loro formazioni sociali”.

[4]     L’Agenzia delle entrate, con Circ. n. 53/E del 20 dicembre 2004, par. 4.2.5, rilevato che la disposizione citata non fissa alcun limite quantitativo entro il quale debba applicarsi la prevista esclusione, ha ritenuto “che l'irrilevanza reddituale debba riferirsi alle somme corrisposte o ricevute in contropartita nel limite massimo dell'imposta teorica cui le stesse somme siano commisurate (calcolata, ad esempio, sugli imponibili negativi o positivi trasferiti risultanti dalla dichiarazione di ciascuna società partecipante)”; in altri termini, poiché le posizioni di vantaggio e di mancato beneficio che danno origine al trasferimento delle somme in esame tra le società partecipanti al consolidato sono misurabili economicamente in termini commisurati all'imposta teorica riferibile al predetto vantaggio o mancato beneficio, “ne consegue che la norma in commento trova applicazione nel limite massimo delle somme pattuite con riguardo all'imposta teorica calcolata sul vantaggio/mancato beneficio trasferito”.

[5]     La legge 30 aprile 1999, n. 130, reca disposizioni sulla cartolarizzazione dei crediti. Tale tecnica finanziaria consiste nella cessione di crediti o di altre attività finanziarie non negoziabili a una società qualificata, che ha per oggetto esclusivo la realizzazione di tali operazioni e provvede alla conversione di tali crediti o attività in titoli negoziabili su un mercato secondario. Questi titoli sono strumenti finanziari, il cui collocamento è sottoposto all’obbligo di predisposizione del prospetto per cura della società cessionaria o, se diversa, della società emittente. Nel caso in cui i titoli siano offerti ad investitori non professionali, l'operazione dev’essere inoltre sottoposta alla valutazione del merito di credito da parte di operatori terzi. La legge disciplina altresì le modalità della cessione e la sua efficacia, stabilendo che dalla data della pubblicazione della notizia dell'avvenuta cessione nella Gazzetta ufficiale, sui crediti acquistati e sulle somme corrisposte dai debitori ceduti sono ammesse azioni soltanto a tutela dei diritti incorporati nei titoli emessi e per il pagamento dei costi dell'operazione. Dalla stessa data la cessione è opponibile agli altri aventi causa del cedente, il cui titolo di acquisto non sia stato reso efficace verso i terzi in data anteriore, e ai creditori del cedente che non abbiano pignorato il credito prima della pubblicazione della cessione.

[6]   Il nuovo accordo di Basilea (più noto come Basilea 2) è un accordo sui requisiti patrimoniali delle banche approvato il 26 giugno 2004 dalle banche centrali e dalle autorità di vigilanza del Gruppo dei dieci. Si tratta di un testo, elaborato dal Comitato di Basilea destinato a diventare operativo tra la fine del 2006 e il 2007 e che andrà a sostituire quello elaborato nel 1988.

      Scopo dell'accordo è quello di aumentare la stabilità del sistema bancario internazionale rendendo le banche più sensibili al controllo dei rischi di credito, di mercato e operativi; per raggiungere tale obiettivo, sono state definite, in estrema sintesi, nuove regole fondate su tre "pilastri": il primo pilastro è quello dei requisiti patrimoniali minimi, che si traducono in vincoli all’operatività bancaria al fine di garantire la solidità economica e finanziaria delle banche; il secondo pilastro riguarda l'efficienza della vigilanza sulla gestione del rischio da parte delle banche, che implica per le Banche centrali la verifica sulla disponibilità, da parte delle banche, dei requisiti patrimoniali minimi e il controllo del rischio degli impieghi, al fine di prevenire la possibilità che il capitale scenda al di sotto della soglia minima; il terzo pilastro, infine, concerne la disciplina del mercato e la trasparenza, e si traduce in regole di trasparenza per l'informazione al pubblico sui livelli patrimoniali, sui rischi e sulla loro gestione.

 

[7]     Il decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228 “Orientamento e modernizzazione del settore agricolo, a norma dell'articolo 7 della L. 5 marzo 2001, n. 57” all'articolo 13 reca la definizione dei "distretti rurali e agroalimentari di qualità", affidandone peraltro la concreta individuazione alle regioni. I primi sono i sistemi produttivi locali di cui all'articolo 36, comma 1, della legge 5 ottobre 1991, n. 317 caratterizzati dalla sussistenza di un'identità storica e territoriale omogenea derivante dall'integrazione fra attività agricole e altre attività locali, nonché dalla produzione di beni o servizi di particolare specificità, coerenti con le tradizioni e le vocazioni naturali e territoriali. I distretti agroalimentari di qualità sono invece i sistemi produttivi locali, anche a carattere interregionale, caratterizzati da significativa presenza economica e da interrelazione e interdipendenza produttiva delle imprese agricole e agroalimentari, nonché da una o più produzioni certificate e tutelate ai sensi della vigente normativa comunitaria o nazionale, oppure da produzioni tradizionali o tipiche.

[8]     Sistemi produttivi locali, distretti industriali e consorzi di sviluppo industriale trovano la loro definizione e la relativa disciplina nell'articolo 36 della legge 5 ottobre 1991, n. 317. Ai sensi delle disposizioni in esso contenute, si definiscono: sistemi produttivi locali i contesti produttivi omogenei, caratterizzati da una elevata concentrazione di imprese, prevalentemente di piccole e medie dimensioni, e da una peculiare organizzazione interna; distretti industriali quelli fra i sistemi produttivi locali testé menzionati caratterizzati da una elevata concentrazione di imprese industriali nonché dalla specializzazione produttiva di sistemi di imprese; consorzi di sviluppo industriale, quelle strutture consortili, alle quali è riconosciuto il carattere di enti pubblici economici, costituiti ai sensi della vigente legislazione nazionale e regionale, aventi finalità promozionali orientate alla creazione e sviluppo nell'ambito degli agglomerati industriali attrezzati dai consorzi medesimi di attività produttive nei settori dell'industria e dei servizi (finalità perseguite attraverso la realizzazione e gestione, in collaborazione con le associazioni imprenditoriali e con le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, di infrastrutture per l'industria, rustici industriali, servizi reali alle imprese, iniziative per l'orientamento e la formazione professionale dei lavoratori, dei quadri direttivi e intermedi e dei giovani imprenditori, e ogni altro servizio sociale connesso alla produzione industriale.

[9]     Interventi di sostegno per i consorzi tra piccole e medie imprese industriali, commerciali ed artigiane. A tale proposito, si ricorda che il sostegno ai consorzi all'esportazione, introdotto dapprima dalla legge 21 maggio 1981, n. 240, "Provvidenze a favore dei consorzi e delle società consortili tra piccole e medie imprese nonché delle società consortili miste", è stato successivamente disciplinato dalla legge 21 febbraio 1989, n. 83,”Interventi di sostegno per i consorzi tra piccole e medie imprese industriali, commerciali ed artigiane", che ha definito in modo più puntuale i requisiti necessari all'ammissione dei benefici per i consorzi e società consorziate per il commercio estero. La legge concede contributi finanziari annuali a favore dei consorzi e società consortili che abbiano come scopi sociali esclusivi l'esportazione dei prodotti delle imprese consorziate e l’attività promozionale necessaria per realizzarla. A tali scopo si può aggiungere l'importazione di materie prime da utilizzarsi da parte delle imprese stesse. La legge ribadisce il principio che tali contributi non sono volti a sostenere le esportazioni, bensì al supporto finanziario delle strutture collettive, dotate di servizi e di personale, che caratterizzano queste associazioni tra esportatori.

[10] La nuova disciplina in materia di distretti produttivi è stata estesa al settore della pesca dal DL n. 2 del 10 gennaio 2006 recante “Interventi urgenti per i settori dell’agricoltura, dell’agroindustria, della pesca, nonché in materia di fiscalità d’impresa“, convertito con modificazioni dalla legge n. 81 dell’11 marzo 2006 (SO n. 58 della GU n. 59 dell’11 marzo 2006), art. 5-bis, comma 1.

[11] Si ricorda che la previsione dell’istituzione di uno sportello unico per le attività produttive presso ogni comune è stata introdotta dal decreto legislativo 31 marzo 1998 n. 112 "Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59", agli artt. 23, 24 e 25. L'articolo 23 del D.Lgs. 112 ha attribuito ai comuni le funzioni amministrative concernenti la realizzazione, l'ampliamento, la cessazione, la riattivazione, la localizzazione e la rilocalizzazione di impianti produttivi, ivi incluso il rilascio delle concessioni o autorizzazioni edilizie (comma 1). Le regioni, nell’ambito delle funzioni conferite in materia di industria dall’art. 19 del medesimo D.Lgs., provvedono, nella propria autonomia organizzativa e finanziaria, anche attraverso le province, al coordinamento e al miglioramento dei servizi e dell'assistenza alle imprese, con particolare riferimento alla localizzazione ed alla autorizzazione degli impianti produttivi e alla creazione di aree industriali. L'assistenza consiste, in particolare, nella raccolta e diffusione, anche in via telematica, delle informazioni concernenti l'insediamento e lo svolgimento delle attività produttive nel territorio regionale, con particolare riferimento alle normative applicabili, agli strumenti agevolativi e all'attività degli sportelli unici, nonché nella raccolta e diffusione delle informazioni concernenti gli strumenti di agevolazione contributiva e fiscale a favore dell'occupazione dei lavoratori dipendenti e del lavoro autonomo (comma 2). Le funzioni di assistenza sono esercitate prioritariamente attraverso gli sportelli unici per le attività produttive (comma 3).

[12]    Per quanto concerne i consorzi di sviluppo industriale, si ricorda  brevemente che sono stati previsti in origine dall'art. 21 della L. 634/1957, recante interventi per il Mezzogiorno. In seguito, tutte le competenze esercitate dallo Stato nei confronti dei consorzi sono state trasferite alle regioni, ai sensi dell'articolo 65 del D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616. Essi sono stati poi ridefiniti dall’art. 36, comma 4, della legge n. 317/1991che li qualifica, come enti pubblici economici e demandandone alle regioni il controllo sui piani economici e finanziari degli stessi.Il comma 5 ne disciplina invece l’attività, prevedendo che i consorzi promuovano, nell'ambito degli agglomerati industriali da essi attrezzati, le condizioni necessarie per la creazione e lo sviluppo di attività produttive nei settori dell'industria e dei servizi. A tale fine, i consorzi realizzano e gestiscono, in collaborazione con le associazioni imprenditoriali e con le camere di commercio, infrastrutture per l'industria, rustici industriali, servizi reali alle imprese, iniziative per l'orientamento e la formazione professionale dei lavoratori, dei quadri direttivi e intermedi e dei giovani imprenditori, e ogni altro servizio sociale connesso alla produzione industriale.

[13] Cfr.  http://www.ricercaitaliana.it/distretti.htm

 

[14]    Il decreto legge 14 marzo 2005, n. 35, recante Disposizioni urgenti nell'ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale” pubblicato nella GU 16 marzo 2005, n. 62, è stato convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80.

[15]    All’articolo 6 del DL 35/05, i commi 1, 2 e 4, intervengono sull’utilizzo del Fondo rotativo per il sostegno alle imprese istituito dalla legge finanziaria 2005, destinando una quota pari ad almeno il 30 per cento delle risorse finanziarie a sostegno di attività, programmi e progetti strategici di ricerca e sviluppo delle imprese, da realizzare anche congiuntamente a soggetti della ricerca pubblica (comma 1). L’individuazione degli obiettivi e delle modalità di utilizzo è affidata al Programma Nazionale della Ricerca (PNR), approvato annualmente dal CIPE (comma 2). Specifiche priorità nell’utilizzo delle risorse del Fondo medesimo sono individuate dal comma 4.