Parità tra uomini e donne nel lavoro

Il D.Lgs. 30 maggio 2005, n. 145 è stato emanato in attuazione della delega prevista dall’articolo 17 della legge comunitaria 2003 (legge 31 ottobre 2003, n. 306) per il recepimento della Direttiva 2002/73/CE (di seguito Direttiva), che modifica la Direttiva 76/207/CEE, relativa all’attuazione del principio di parità di trattamento tra gli uomini e le donne per quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro. Il contenuto della Direttiva risultava comunque in buona parte già recepito dalla legislazione nazionale in tema di pari opportunità.

In primo luogo, occorre sottolineare che il provvedimento introduce una notevole innovazione giuridica nel nostro ordinamento, in quanto codifica i concetti di molestia sessuale e molestia in ragione del sesso, seguendo, in sostanza, un percorso giuridico assai diverso da quello indicato dal richiamato articolo 17, migliorandone significativamente il risultato finale.

La delega dell’articolo 17 della legge comunitaria 2003

La legge comunitaria 2003 (legge 31 ottobre 2003, n. 306) all’articolo 17 ha recato una delega al Governo per il recepimento della Direttiva 2002/73/CE, che modifica la Direttiva 76/207/CEE, relativa all’attuazione del principio di parità di trattamento tra gli uomini e le donne per quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e alla formazione professionale e le condizioni di lavoro.

Il Governo è stato dunque investito del compito di apportare le modifiche strettamente necessarie alle disposizioni vigenti in materia di parità di trattamento tra gli uomini e le donne per quanto riguarda l'accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro, facendo salve le disposizioni vigenti compatibili con la citata Direttiva 2002/73/CE, nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi:

 

§      garantire l'effettiva applicazione del principio di parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro, assicurando che le differenze di genere non siano causa di discriminazione diretta o indiretta, in un'ottica che tenga conto delle condizioni relative allo stato matrimoniale o di famiglia, per quanto attiene alle seguenti aree: condizioni di accesso all'occupazione e al lavoro, sia dipendente che autonomo, compresi i criteri di selezione e le condizioni di assunzione, indipendentemente dal ramo di attività e a tutti i livelli della gerarchia professionale; svolgimento del rapporto di lavoro, comprese le condizioni di lavoro, la retribuzione, le promozioni e le condizioni del licenziamento; accesso a tutti i tipi e i livelli di orientamento e di formazione, di perfezionamento e di riqualificazione professionale, inclusi i tirocini; attività prestata presso le organizzazioni dei lavoratori o dei datori di lavoro e accesso alle prestazioni erogate da tali organizzazioni;

§        definire la nozione di discriminazione come «diretta» quando una persona è trattata meno favorevolmente, in base al sesso, di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un'altra in una situazione analoga; definire la nozione di discriminazione «indiretta» quando una disposizione, un criterio o una prassi, apparentemente neutri, mettono o possono mettere in una situazione di particolare svantaggio le persone di un determinato sesso, rispetto a persone dell'altro sesso, salvo che, nel caso di attività di lavoro, caratteristiche specifiche di sesso costituiscano requisiti essenziali al loro svolgimento; definire la nozione di «molestie» quando viene posto in essere, per ragioni connesse al sesso, un comportamento indesiderato e persistente, avente lo scopo o l'effetto di violare la dignità di una persona o di creare un clima intimidatorio, ostile e degradante, tenuto conto delle circostanze, anche ambientali; definire la nozione di «molestie sessuali» quando il suddetto comportamento abbia in maniera manifesta una connotazione sessuale; considerare le molestie e le molestie sessuali come discriminazioni;

§        prevedere l'applicazione del principio di parità di trattamento senza distinzione di sesso in tutti i settori di lavoro, sia pubblici che privati, assicurando che sia azionabile da parte di coloro che si ritengono lesi una tutela giurisdizionale o amministrativa, con la garanzia di una riparazione o di un equo indennizzo;

§        riconoscere la legittimazione ad agire in giudizio o in via amministrativa alle organizzazioni o associazioni che abbiano un legittimo interesse al rispetto delle disposizioni comunitarie in tema di parità di trattamento senza distinzioni di sesso per conto o a sostegno della persona lesa, con il suo consenso; designare uno o più organismi per la promozione, l'analisi, il controllo e il sostegno delle parità di trattamento di tutte le persone senza discriminazioni fondate sul sesso, tenendo conto della normativa vigente sui consiglieri di parità;

§        prevedere misure adeguate per incoraggiare il dialogo fra le parti sociali al fine di promuovere il principio della parità di trattamento anche attraverso accordi nell'àmbito della contrattazione collettiva, codici di comportamento, scambi di esperienze e pratiche nonché il monitoraggio della prassi sui luoghi di lavoro.

Il D.Lgs. n. 145/2005

Il D.Lgs. n. 145/2005 ha previsto, sulla base del nuovo testo dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 76/207/CEE, un’estensione del campo di applicazione del divieto di discriminazione basato sul sesso, applicabile ora a tutte le forme di lavoro e ad una maggiore platea di soggetti.

L’articolo 3 del decreto legislativo, infatti, modificando alcuni articoli della legge n. 903/1977[1], ha disposto:

§      che il divieto di qualsiasi discriminazione fondata sul sesso in materia di accesso al lavoro riguarda il lavoro subordinato, autonomo o in qualunque altra forma;

§      l’estensione del divieto di discriminazione fondata sul sesso anche all’affiliazione e all’attività in un’organizzazione di lavoratori o datori di lavoro, o in qualunque organizzazione i cui membri esercitino una particolare professione, e alle prestazioni erogate da tali organizzazioni;

§      la previsione della possibilità che in sede di giudizio venga risarcito – qualora richiesto dalla parte lesa – il danno anche non patrimoniale, nei limiti della prova fornita.

 

Per quanto concerne la ricordata codifica dei due concetti di molestia sessuale, il richiamato articolo 2 ha dunque previsto, modificando la legge n. 125/1991[2]:

 

§      la ridefinizione delle nozioni di discriminazione diretta e discriminazione indiretta per motivi legati al sesso;

§      l’introduzione delle nozioni di molestie poste in essere per motivi connessi al sesso di una persona e di molestie sessuali e la loro equiparazione alle discriminazioni;

§      l’introduzione del risarcimento del danno anche non patrimoniale (cd. danno esistenziale) per la persona discriminata per motivi connessi al sesso;

§      il riferimento espresso del divieto di discriminazione nell’accesso al lavoro tanto al lavoro subordinato quanto al lavoro autonomo;

§      l’estensione del divieto di discriminazione per motivi connessi al sesso anche all’affiliazione e all’attività delle organizzazioni sindacali o professionali e alle prestazioni erogate da tali organizzazioni.

 

L’importanza della codifica dei due concetti di molestia è purtroppo bilanciata, in senso negativo, da alcune mancanze normative, tra cui è da evidenziare il mancato inserimento della previsione, di cui all’articolo 2, paragrafo 4 della direttiva 76/207/CEE, dell’equiparazione tra discriminazione compiuta e l’ordine di discriminare.

 

Quanto alla nuova definizione di discriminazione diretta, consistente in “qualsiasi atto, patto o comportamento che produca un effetto pregiudizievole discriminando le lavoratrici o i lavoratori in ragione del loro sesso e comunque il trattamento meno favorevole rispetto a quello di un'altra lavoratrice o di un altro lavoratore in situazione analoga”, essa non rappresenta, al contrario delle definizioni contenute, rispettivamente, entrambe nell’articolo 2, comma 1) sia del D.Lgs. n. 215/2003 sia del D.Lgs. n. 216/2003, una trascrizione letterale delle disposizioni comunitarie (quando “una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un'altra in situazione analoga”), che in virtù dell’impostazione ipotetica avrebbe potuto generare una discrezionalità valutativa da parte dell’organo giudicante.

Allo stesso tempo, non è stata trasferita la disposizione di cui al nuovo testo dell’articolo 2, paragrafo 7, della direttiva 76/207/CEE, il quale prevede la tutela nel caso in cui alla donna venga riservato un trattamento meno favorevole in relazione allo stato di gravidanza o al congedo per maternità.

 

Quanto alla nuova definizione di discriminazione indiretta, il nuovo testo dell’articolo 4, comma 2, lettera b), della legge n. 125/1991, nel disporre che tale fattispecie ricorre quando “una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri mettono o possono mettere i lavoratori di un determinato sesso in una posizione di particolare svantaggio rispetto a lavoratori dell'altro sesso, salvo che riguardino requisiti essenziali allo svolgimento dell'attività lavorativa, purché l'obiettivo sia legittimo e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari”, reca senza dubbio un’importante innovazione, consistente nell’ammettere, ai fini della tutela, il carattere puramente potenziale della discriminazione stessa, con ciò equiparando l’idoneità a produrre pregiudizi al riscontro effettivo del comportamento discriminatorio.

 

Altra importante innovazione, come accennato in precedenza, concerne la riconduzione della definizione delle condotte di molestie legate al sesso nell’ambito dell’atto discriminatorio. Tale legame non è però totalmente riconducibile ad una completa identificazione tra il concesso di molestia sessuale e atto discriminatorio.

 

Più specificamente, si definiscono:

§      le molestie (nuovo comma 2-bis dell’articolo 2 della legge n. 125/1991) come quei comportamenti indesiderati, posti in essere per ragioni connesse al sesso, aventi lo scopo o l'effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo;

§      le molestie sessuali (nuovo comma 2-ter dell’articolo 2 della legge n. 125/1991) come quei comportamenti indesiderati a connotazione sessuale, espressi in forma fisica, verbale o non verbale, aventi lo scopo o l'effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo.

 

Precisando che ad ogni modo tra i due concetti rileva comunque un’ampia consonanza, le due fattispecie si differenziano in quanto, mentre per le molestie assume rilevanza il movente della discriminazione (negli stessi termini in cui rilevano le altre fattispecie nel D.Lgs. n. 215/2003 e nel D.Lgs. n. 216/2003), per le molestie sessuali sono rilevanti le modalità di realizzazione della condotta discriminatoria.

 

Particolarmente importante, inoltre, è che, con riferimento alla nozione di “molestie”, la definizione del decreto legislativo, rispetto alla norma di delega, richiamata in precedenza:

 

§      non prevede che il comportamento indesiderato debba anche essere persistente, conformemente alla normativa comunitaria ma in contrasto con la norma di delega;

§      ritiene necessario che, affinché vi sia una molestia, vi sia tanto una violazione della dignità della persona quanto la creazione di un clima ostile (infatti usa la congiunzione “e” anziché la disgiunzione “o” prima delle parole “di creare un clima”), conformemente alla normativa comunitaria ma in contrasto con la norma di delega, che considera le due situazione alternative;

§      nella definizione del clima usa la congiunzione “e” anziché la disgiunzione “o” per individuare gli attributi del clima («clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante e offensivo»), così indicando che essi devono sommarsi tra di loro, in conformità alla norma di delega - che però prevede un numero minore di attributi (“clima intimidatorio, ostile e degradante”) - ma in contrasto con la Direttiva, che considera gli attributi alternativi;

§      non prevede espressamente che si debba “tener conto delle circostanze, anche ambientali”, conformemente alla normativa comunitaria ma in contrasto con la norma di delega.

 

Con riferimento alla nozione di molestie sessuali, la definizione del decreto:

§      come nel caso delle molestie, non prevede che il comportamento indesiderato debba anche essere persistente, conformemente alla normativa comunitaria ma in contrasto con la norma di delega;

§      non prevede che la connotazione sessuale del comportamento debba essere manifesta, conformemente alla normativa comunitaria ma in contrasto con la norma di delega;

§      prevede che il comportamento deve essere espresso “in forma fisica, verbale o non verbale”, conformemente alla normativa comunitaria; la norma di delega non dispone nulla al riguardo;

§      come nel caso delle molestie, ritiene necessario che, affinché vi sia una molestia, vi sia tanto una violazione della dignità della persona quanto la creazione di un clima ostile (infatti usa la congiunzione “e” anziché la disgiunzione “o” prima delle parole «di creare un clima»), conformemente alla normativa comunitaria ma in contrasto con la norma di delega, che considera le due situazione alternative;

§      come nel caso delle molestie, nella definizione del clima usa la congiunzione “e” anziché la disgiunzione “o” per individuare gli attributi del clima (“clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante e offensivo”), così indicando che essi devono sommarsi tra di loro, in conformità alla norma di delega - che però prevede un numero minore di attributi (“clima intimidatorio, ostile e degradante”) - ma in contrasto con la Direttiva, che considera gli attributi alternativi;

§      come nel caso delle molestie, non prevede espressamente che si debba tener conto delle circostanze, anche ambientali, conformemente alla normativa comunitaria ma in contrasto con la norma di delega[3].

 

Le molestie che si manifestano sotto forma di ricatto sessuale sono caratterizzate da un legame diretto tra prestazione o accondiscendenza sessuale da un lato e dal danno (o vantaggio) sul piano lavorativo dall’altro. Al fine di contrastare tale legame, sulla base del nuovo articolo 2, paragrafo 3, primo periodo, della direttiva 76/207/CEE, ai sensi del quale il rifiuto dei comportamenti molesti o la sottomissione agli stessi da parte di una persona non possono essere utilizzati per prendere una decisione nei confronti della persona stessa, il D.Lgs. n. 145 ha integrato l’articolo 4 della citata legge n. 125 introducendo il nuovo comma 2-quater, evidenziando la nullità dei comportamenti di cui ai richiamati commi 2-bis e 2-ter se adottati, appunto “in conseguenza del rifiuto o della sottomissione ai comportamenti medesimi”. Lo stesso comma, peraltro, stabilisce che sono considerati discriminazioni quei trattamenti sfavorevoli da parte del datore di lavoro che costituiscono una reazione ad un reclamo o ad una azione volta ad ottenere il rispetto del principio di parità di trattamento tra uomini e donne.

 

Infine, il D.Lgs. n. 145 ha apportato modifiche ai commi 9 e 10 dell’articolo 4 della legge n. 125/1991, introducendo il diritto al risarcimento del danno, anche non patrimoniale, a richiesta, per i soggetti che hanno subito discriminazioni, nei procedimenti contro le discriminazioni di carattere collettivo promossi dai consiglieri di parità in via ordinaria o di urgenza.

 



[1]     legge 9 dicembre 1977, n. 903, Parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro.

[2]     legge 10 aprile 1991, n. 125, Azioni positive per la realizzazione della parità uomo-donna nel lavoro.

[3]     Si ricorda che in materia di parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica, in cui si riscontrava una analoga difformità tra normativa comunitaria e norma di delega, il D.Lgs. n. 215/2003 ha dettato una definizione di molestia, conforme al diritto comunitario ma non alla norma di delega.