Rapporti tra ordinamento interno e dell’UE

La questione del rapporto tra ordinamento interno e comunitario è stata a lungo dibattuta dalla dottrina ed affrontata in numerose sentenze dalla giurisprudenza costituzionale e comunitaria (v. scheda Giurisprudenza costituzionale).

Se la questione della costituzionalità della legge di ratifica dei Trattati comunitari è stata risolta da tempo in sede dottrinale facendo ricorso all’articolo 11 della Costituzione, di più difficile soluzione è stata la questione dei rapporti tra il diritto interno e il c.d. “diritto derivato” comunitario (cioè tutte le norme comunitarie poste in essere dalle istituzioni comunitarie in attuazione dei Trattati).

A fronte della mancata introduzione di una disciplina di rango costituzionale in materia (anche se ora, a seguito della riforma costituzionale del 2001, l’art. 117, I comma, Cost., contiene un esplicito riconoscimento al riguardo, su cui si veda infra), la giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee e la giurisprudenza della Corte Costituzionale italiana hanno scandito le fasi che contraddistinguono l’intersecarsi dei rapporti tra l’ordinamento comunitario e l’ordinamento nazionale (v. scheda Titolo V e norme di attuazione).

In sintesi, dopo numerose pronunce, è stata affermata la prevalenza del diritto comunitario sul diritto interno, in virtù della “distinzione e nello stesso tempo del coordinamento” tra i due ordinamenti (Corte Cost. Sent. n. 170 del 1984). Tale prevalenza comporta da un lato la diretta applicazione delle norme comunitarie, dall’altro la “non applicazione” da parte del giudice nazionale e degli organi amministrativi (per questi ultimi Sent. n. 389 del 1989) delle norme interne contrastanti con l’ordinamento comunitario.

Nell’ambito dei rapporti tra i due ordinamenti, notevole rilievo ha anche la questione della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, dal momento che essa ha individuato una serie di diritti che non coincidono completamente con quelli tutelati dalla nostra Carta costituzionale e, viceversa, la Costituzione italiana garantisce alcuni profili non presenti nella Carta europea. È vero che al momento la Carta dei diritti non contiene, in quanto tale, disposizioni giuridicamente vincolanti ed ha un valore più politico che giuridico, ma essa fornisce comunque, quantomeno quale fonte di cognizione, indicazioni sui diritti fondamentali garantiti dall'ordinamento comunitario (v. scheda La Carta dei diritti fondamentali).

Si ricorda, inoltre, che - nell’ambito dei rapporti tra i due ordinamenti - riveste notevole interesse il Protocollo sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e proporzionalità, aggiunto dal Trattato di Amsterdam al Trattato istitutivo della Comunità europea ed ora ampliato ed allegato al Trattato che adotta un Costituzione per l’Europa (v. scheda Il Trattato costituzionale). In tale protocollo si precisa che l'applicazione dei fondamentali principi di sussidiarietà e proporzionalità (sanciti dall’articolo 5 del Trattato istitutivo) non deve ledere i principi elaborati dalla Corte di giustizia relativamente al rapporto fra diritto nazionale e diritto comunitario. Egualmente meritevole di attenzione, ai nostri fini, è il Protocollo sul ruolo dei Parlamenti nazionali (anch’esso introdotto dal Trattato di Amsterdam ed ora ampliato ed allegato al Trattato che adotta un Costituzione per l’Europa), che ha delineato uno stabile e costante flusso informativo tra Istituzioni comunitarie e nazionali, prevedendo tra l’altro la comunicazione di tutti i documenti di consultazione e delle proposte legislative comunitarie ai Governi degli Stati membri affinché i Parlamenti possano riceverle tempestivamente.

Riflessi della riforma del Titolo V della Costituzione sui rapporti tra ordinamento interno e ordinamento comunitario

In ogni caso, la modifica del Titolo V della Costituzione, operata dalla legge cost. n. 3 del 2001, ha parzialmente inciso anche sulla questione dei rapporti con l’ordinamento dell’UE (v. scheda Titolo V e norme di attuazione). Si ricorda, infatti, che:

-          il primo comma dell’art. 117 Cost. stabilisce che la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione e dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario;

-          rientra nella potestà legislativa esclusiva dello Stato la competenza in merito ai rapporti con l’Unione europea (art. 117, secondo comma);

-          viene inserita nell’ambito della competenza legislativa concorrente la materia relativa ai rapporti delle Regioni con l’Unione europea (art. 117, terzo comma);

-          le Regioni e le Province autonome, nelle materie di loro competenza, sono chiamate sia a partecipare alle decisioni per la formazione degli atti comunitari sia all’attuazione dei medesimi, nel rispetto delle norme procedurali stabilite da leggi statali, che disciplinano altresì il potere sostitutivo (art. 117, quinto comma);

-          l’articolo 117, sesto comma, circoscrive il potere regolamentare statale alle sole materie di competenza esclusiva;

-          l’articolo 120, secondo comma, attribuisce al Governo poteri sostitutivi da esercitare, tra l’altro, in caso di mancato rispetto della normativa comunitaria.

Da tale quadro discendono conseguenze rilevanti in relazione ai rapporti tra ordinamento nazionale e comunitario. Infatti, viene espressamente stabilito che la legislazione nazionale e regionale deve svolgersi nel rispetto degli obblighi comunitari. Tale statuizione appare particolarmente significativa, dal momento che contiene l’esplicito riconoscimento della supremazia del diritto comunitario, attribuendo un fondamento specifico ai vincoli verso l’ordinamento comunitario, già comunque presenti ed inquadrati in via giurisprudenziale e dottrinaria (D’ATENA, ANZON). Come già indicato, infatti, il riconoscimento della prevalenza del diritto comunitario era stata già ricavata in via interpretativa dall’art. 11 Cost., che consente limitazioni della sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra le Nazioni.

Peraltro, secondo una parte della dottrina le nuove norme fanno dell'Unione europea e delle fonti da essa prodotte anche un elemento di unificazione dell'ordinamento complessivo e che in precedenza poteva verificarsi solo attraverso l'interposizione della legge nazionale: “di qui la necessità di prendere atto che nel nuovo sistema conseguente alla riforma costituzionale, ai vincoli comunitari è riconosciuto appunto un effetto di unificazione (ed eventualmente di uniformizzazione) di tale rilevanza da andare probabilmente molto oltre la logica dell'integrazione fra l'ordinamento comunitario e quello nazionale. Oggi non è più sufficiente affermare che la logica antica della separazione dell'ordinamento italiano rispetto a quello comunitario ha ormai definitivamente e formalmente ceduto all'opposta logica dell'integrazione fra gli ordinamenti” (PIZZETTI). Del resto, la disposizione costituzionale fa riferimento, non ad obblighi, ma direttamente all'ordinamento comunitario, cosa che implica una generale soggezione del nostro al sistema comunitario. La formula utilizzata, pertanto, sembra comportare l'accettazione di un acquis communautaire, che determina specifici effetti quali la diretta applicabilità di alcune fonti comunitarie, la soggezione degli interpreti alle pronunce della Corte di giustizia, l'idoneità delle fonti comunitarie a derogare a norme costituzionali, con il limite dei principi supremi (SORRENTINO). In questa direzione sembra ormai avviata anche la Corte costituzionale che, in una recente pronuncia (Sentenza n. 406 del 2005), appare orientata a considerare in un’ottica unitaria l’ordinamento interno e quello comunitario (v. scheda Giurisprudenza costituzionale)

La riforma ha altresì espressamente definito in Costituzione il ruolo delle regioni e delle province autonome, sia in sede di partecipazione alla formazione delle decisioni e degli atti comunitari, sia in sede di attuazione degli stessi, anche se si tratta sostanzialmente di una costituzionalizzazione dell’esistente.

Il mutato contesto costituzionale ha determinato, inoltre, specifici effetti in ordine all’attuazione della normativa comunitaria, in quanto:

§      aumentano le competenze legislative regionali (esclusive e concorrenti), sottraendo ambiti materiali all’intervento statale, anche di recepimento di norme UE;

§      viene escluso l’intervento regolamentare (anche di attuazione della normativa comunitaria) nelle materie di competenza legislativa concorrente e residuale delle regioni;

§      viene costituzionalizzato l’istituto dei poteri sostitutivi per inadempimento di norme comunitarie.

In ogni caso, la costituzionalizzazione in tal modo operata non appare scevra di conseguenze. In primo luogo, certe scelte (quali, ad esempio, la scelta di coinvolgere le Regioni nella fase ascendente dei processi comunitari di decisione e in quelli di attuazione del diritto UE) in precedenza consentite, ma non imposte dalla disciplina costituzionale, potevano essere legittimamente revocate dal legislatore ordinario, mentre adesso vengono sottratte alla sua disponibilità e s'impongono al rispetto del Parlamento. Inoltre, la costituzionalizzazione ha dotato di un fondamento costituzionale scelte legislative originariamente contrastanti o non del tutto in linea con la Costituzione (si pensi al caso del potere statale sostitutivo) (D’ATENA). Al fine di dare seguito alle novità così introdotte sul versante dei rapporti Stato – Unione europea, si è sentita l’esigenza di rivedere la disciplina nazionale, approvando la legge n. 11 del 4 febbraio 2005, recante “Norme generali sulla partecipazione dell'Italia al processo normativo dell'Unione europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari” (v. scheda La legge n. 11 del 2005).