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Si riprende la discussione.
(Ripresa discussione)
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Barani. Ne ha facoltà.
LUCIO BARANI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor Presidente del Consiglio, come dimostra il voto al Senato, sembra che lei incontri nel Parlamento italiano molta più condivisione rispetto al desiderio della maggioranza degli italiani che non l'hanno votata. Le dirò subito che non trovo immorale, ma consequenziale alla loro natura politica e all'età, il fatto che i magnifici sette senatori a vita le abbiano dato la fiducia, con un'unica eccezione: il Presidente Ciampi. Lo poteva e lo doveva evitare, portando maggior rispetto verso quella parte del paese che invece giudica già il suo Governo come un colossale esercizio di potere. Penso che questo piccolo neo sia andato in parte ad offuscare la fama di colui che si è sempre voluto definire il garante di tutti gli italiani.Pag. 78
Caro compianto Presidente Sandro Pertini, sei stato e rimarrai sempre il Presidente della Repubblica più amato da tutti gli italiani. Cade così un tabù, su cui non si dovevano e non si potevano apportare critiche. Oggi il Ciampi ministro e Presidente del Consiglio prevale sul Ciampi Presidente della Repubblica, gli diamo finalmente il benvenuto nell'agone passionale della politica quotidiana come ad un figliol prodigo.
A parte tutto ciò, riconosco che lei sta centrando tutti gli obiettivi, e il modo formale e sostanziale con cui lei ha saputo fare cappotto di tutte le più alte cariche istituzionali - in questi secondi anche del gruppo misto -, ad iniziare da come ha saputo far bruciare Massimo D'Alema per ben due volte, sono segni di determinazione e di una forte volontà politica. L'appello al rispetto dell'opposizione e all'unità del paese è in realtà un inutile esercizio di retorica e di luoghi comuni. Cosa le importa, signor Presidente, di un'opposizione che ancora crede di poter tornare al voto tra un anno e non ha ancora ben compreso che è stata già sfrattata sull'Aventino?
Quindi, signor Presidente del Consiglio, sono qui non per piangere Cesare, ma per tesserne le lodi, come recita la famosa frase di Antonio nel Giulio Cesare. Quei giornali che chiamavano il suo Governo un «Prodino» dovranno ben presto ricredersi e giudicare i mal di pancia che ogni tanto emergono dai suoi alleati. Ieri Mastella, poi Di Pietro, su cui vorrei aprire una parentesi. Il collega dell'Italia dei Valori prima ha parlato di moralità: se io, come sindaco di Aulla e ora come sindaco di Villafranca, avessi fatto quello che ha fatto Di Pietro avrebbero buttato via la chiave e ora sarei ancora in carcere, mentre lui è diventato ministro della Repubblica. A costoro sono seguiti Diliberto, i repubblicani alla Sbarbato, i radicali della «mosca» nel pugno, per finire con mezza Rifondazione Comunista. Non si tratta di segnali di crisi imminente, ma sono semplici dolorini passeggeri da sottosegretariato, da bende e prebende. Evidentemente, non conoscono bene la sua apparente bonarietà casereccia, io la vedo in altro modo e credo che lei finalmente abbia in mano tutto il paese che conta, dalla satira che sta smobilitando, quella dei giullari di medievale memoria, alla magistratura, dai sindacati ai vertici di Confindustria, dai direttori di giornali ai registi cinematografici di tendenza, dai centri sociali a Ballarò, dai comitati di redazione televisivi a Celentano, con una concentrazione di potere rispetto alle quale il tanto sbandierato conflitto di interessi dell'onorevole Berlusconi impallidisce. Sono sicuro, infatti, che sistemerà anche quello, perché, diciamolo chiaramente, per arrivare a tanto ella ha faticato non poco, imbarcando tutto e tutti, fino al punto di rendere protagonista e asse portante per il paese una galassia di estremismo rosso orgoglioso e impenitente, che sicuramente lascerà la propria impronta nella storia del primo direttorio, quello che finalmente lei ha realizzato. Ella, come Marat nella rivoluzione francese, ha realizzato il primo direttorio anche qui in Italia. Non vedendo all'orizzonte un Bruto o una Carlotta Corday capaci di fare l'estremo gesto per salvare la Repubblica, vilmente mi adeguo e ritengo quindi inutile stare a commentare il suo discorso programmatico, in cui è lasciata la porta aperta a tutto e al contrario di tutto, come dimostrano i primi confusi, balbettanti e contraddittori interventi televisivi dei suoi neo-ministri, a cui ben presto ella chiarirà tutte le idee.
Le ho portato un regalo augurale, signor Presidente, il primo di molti che noi deputati Socialisti italiani del Nuovo PSI (tra l'altro, nel 1892 c'era solamente Andrea Costa; oggi siamo io e l'onorevole Del Bue: dopo centoventiquattro anni, abbiamo raddoppiato!) le faremo durante il suo Governo. Si tratta di un pendolino, ma non di un treno ad alta velocità, perché, signor Presidente, con Di Pietro alle infrastrutture, Bianchi ai trasporti e Pecoraro Scanio all'ambiente, i nostri treni andranno al rallentatore, saranno «treni lumaca». Si tratta di un pezzo di antiquariato, di uno strumento famoso, di un'acquasantiera, famosa per predire il Pag. 79futuro nelle sedute spiritiche, superiore e ben più precisa delle normali tazzine e piattini.
Questo pendolino oggi le offre una grande opportunità di Governo, quella di aggiungere al suo discorso programmatico un qualcosa che lei non aveva previsto o dimenticato e che pure è importante per un'Italia che ha saputo rendere protagonista televisiva anche Vanna Marchi. Lei potrebbe non accettarlo e dire che non è certamente con un pendolino che si possono fare previsioni di Governo. Allora, il discorso potrebbe farsi serio e lei deve ancora spiegare a tutti gli italiani da chi o da quale organizzazione eversiva ha saputo dove era tenuto prigioniero Aldo Moro prima che venisse ucciso. È una cosa di poco conto? No, non è una cosa di poco conto, tant'è vero che lo stesso Mussolini, alla fine, ha dovuto assumersi la responsabilità politica dell'assassinio del socialista Matteotti. Fatto ciò, ha realizzato il suo ventennio, ma ha dovuto compiere questo passaggio.
Lei, questa risposta, signor Presidente, deve darla, perché in una suprema concezione della democrazia dello Stato, chi vuole essere Cesare deve almeno avere la moglie al di sopra di ogni sospetto. Lo ripeto: lei deve riferire al Parlamento da chi ha saputo e perché proprio lei doveva sapere qualcosa di importante sui tragici accadimenti che hanno segnato la storia democratica della nostra Repubblica, altrimenti oggi possiamo rimuovere il busto di Aldo Moro dalla Sala gialla sita al secondo piano di palazzo Montecitorio, anche se è posto in un angolino. Tenga presente, signor Presidente del Consiglio, che questo lo chiederò in tutte le forme possibili, fino a quando lei non lo avrà chiarito a me e a tutti gli italiani che ci stanno ancora ascoltando, poiché tutti devono avere la certezza su chi e in che modo intenda governarci.
Questo è il suo enorme conflitto di interessi con tutta l'Italia, troppe volte sottaciuto e lasciato cadere, come se fosse una cosetta da nulla. E, visto che intende risolvere tutti i conflitti di interesse, iniziamo da questo e compiremo un passo importante per fare chiarezza su troppe ombre che non possiamo trascinarsi dietro come un vizio assurdo; oppure il pendolino vale e lei ha risolto così il suo problema. Allora, sarà mia cura farlo avere alla sua persona per migliorare la qualità decisionale del suo Governo.
Se non possiamo darci una mano tra noi, signor Presidente, a che serve essere deputati? E contro il suo direttorio alzo, a difesa del riformismo dell'Italia e degli italiani, il simbolo del socialismo riformista, i garofani rossi (Applausi dei deputati dei gruppi della Democrazia Cristiana-Partito Socialista e di Forza Italia)!
FABIO EVANGELISTI. Presidente, abbiamo trovato la macchietta della XV legislatura!
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Capezzone, al quale ricordo che ha dieci minuti a sua disposizione. Ne ha facoltà.
DANIELE CAPEZZONE. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, signore e signori ministri, colleghe e colleghi, non è senza emozione che mi accingo a prendere la parola per la prima volta in quest'aula, per questo che è, nello stesso tempo, l'intervento di un deputato della Rosa nel Pugno, laica, socialista, liberale e radicale, ma anche l'intervento, dopo dieci anni (non accadeva dal 1996, prima dell'intervento di questa mattina del collega D'Elia), di un militante politico radicale, di un rappresentante di quel movimento per i diritti umani e civili, per il diritto e la libertà che, in primo luogo con Marco Pannella, ha animato ed anima da decenni la vita civile del paese.
Speriamo di essere degni di quest'aula e - se mi è consentito - di onorare anche questa storia politica così ricca e così peculiare.
Mi addolora solo il fatto che a prendere la parola non abbia potuto essere, come avremmo voluto e sperato, Luca Coscioni (Applausi), incarnazione e simbolo di una battaglia di umanesimo liberale: la lotta per la libertà di cura e di ricerca. Luca Pag. 80non ce l'ha fatta. Glielo hanno impedito la malattia e la morte. Siamo qui anche per proseguire il suo percorso, celebrato da tanti post mortem ma anche così tormentato ed ostracizzato in vita dagli oscurantismi, dalle superstizioni, dalle paure della modernità, che sembrano segnare tanta parte del ceto dirigente del paese
Signor Presidente Prodi, noi sosterremo il suo cammino, anche se - e lo diciamo con chiarezza - altro avremmo sperato da lei e dalla coalizione che lei guida. In pochi mesi l'Unione ha consumato una decina di punti di vantaggio rispetto al centrodestra. La vittoria è giunta per appena 25 mila voti qui alla Camera, e forse sarebbe il caso di tenerlo presente nell'interloquire con La Rosa nel Pugno, che ha con determinazione convinto un milione di elettori a stare da questa parte. Mesi di difficoltà, perfino per parlarci, per incontrarla; ma questa è una storia che lei conosce bene, così come lei sa bene quanto tentammo di sgolarci nell'ultimo mese prima del voto, per evitare che grossolanità e leggerezze, in primo luogo in materia di tasse, ci costassero in modo pesante ed irrimediabile.
È da qui che occorre ripartire: dall'economia. Il ministro Padoa Schioppa, come il Governatore di Bankitalia, Draghi, rappresenta una certezza, un frangiflutti tra le onde. Dobbiamo aiutarlo non solo nella difficile cura dei conti pubblici - con le brutte scoperte che si preparano sul rapporto deficit-PIL -, ma nella sfida della crescita. «Crescita, crescita, crescita» deve essere il nostro mantra. Per fare questo, occorre una terapia d'urto, una scossa positiva, anche il senso di uno sblocco psicologico. Non crediamo che possa bastare l'intervento sul cuneo fiscale. Occorre dare il senso di una pagina nuova, parole e fatti chiari sulle liberalizzazioni, contro ogni oligopolio, ed azioni concrete anche in termini di riforme senza spesa, come suggerisce da tempo, ad esempio, Francesco Giavazzi. Occorre abolire gli ordini professionali, per riaprire una società chiusa, prigioniera di lobby e corporazioni. Occorre abolire il valore legale del titolo di studio universitario, per garantire uno shock nel senso della competizione positiva e dell'invito ai giovani a scommettere su di sé più che sul possesso di un pezzo di carta.
Anche in termini di mercato del lavoro, noi stimiamo il ministro Damiani, ma in tutta franchezza crediamo che egli sia partito con il piede sbagliato, attaccando il Libro bianco di Marco Biagi, che qualcuno - Sergio Cofferati, e non lo dimentichiamo - osò definire limaccioso. È invece proprio da lì che occorre ripartire. Siamo stati i primi a dire che non potevano essere solo i lavoratori a correre i rischi della flessibilità. Tuttavia, sbarazzarci della legge n. 30 del 2003 sarebbe un grave errore. Va invece riequilibrata e completata, proprio nella direzione del rapporto Biagi, riscrivendo il sistema degli ammortizzatori sociali, che in questo paese - penso alla cassa integrazione, con 6 miliardi e mezzo di ore erogate dal 1977, per un costo di 250 mila miliardi di lire e senza salvare davvero un posto di lavoro! - hanno finito spesso per tutelare troppo pochi e soprattutto le grandi imprese decotte, a danno dei settori più trainanti. Intanto, su 100 persone che perdono il lavoro in Italia, solo 17 hanno una qualche forma di tutela. Ecco perché bisognerebbe invece pensare al modello inglese, con un sussidio di disoccupazione e un meccanismo di welfare to work: formazione per rientrare presto nel circuito positivo.
Più coraggio, Presidente! Meriti e bisogni, dicevano i modernizzatori liberalsocialisti più di vent'anni fa. E, ancora oggi, una politica innovativa e coraggiosa, anche contro il conservatorismo di una parte della sinistra, avrebbe la doppia caratteristica di rimettere il paese in movimento e, insieme, di aiutare i più deboli. Ha detto Tony Blair: ogni volta che ho introdotto una riforma, mi sono pentito solo di non essermi spinto ancora più avanti. Teniamo questa citazione come monito e come bussola.
Mi avvio rapidamente a concludere sugli altri temi. Il primo: la laicità. I diritti civili sono sotto attacco, sia per la tendenza del ceto politico a genuflettersi, sia per il tentativo delle gerarchie vaticane di Pag. 81dettare tempi, forme e contenuti dell'agenda governativa e politico-parlamentare. Noi diciamo «no»! Non esiste un solo paese al mondo in cui le gerarchie di una confessione, da una parte, godano di privilegi eccezionali (Concordato, otto per mille, insegnanti di religione scelti dal vescovo e pagati dallo Stato) e, dall'altra, pretendano di entrare a gamba tesa nell'agone politico.
Il programma dell'Unione su tutto questo è vago, lacunoso, insufficiente, e un segno di speranza viene solo dalle belle e coraggiose dichiarazioni rese dalla ministra Bindi, a cui facciamo i nostri auguri, insieme alle sue colleghe Turco e Pollastrini, che hanno compiti delicatissimi in questa materia.
Della giustizia ha parlato il collega D'Elia. Dopo tanti mesi, è stato confortante, Presidente, il suo richiamo all'amnistia, che deve essere premessa per una grande riforma della giustizia. Ma ora occorre passare insieme dalle parole ai fatti.
In politica internazionale, avremmo voluto che si ponesse l'accento sulla sfida storica della promozione della libertà e della democrazia; sulla possibilità per milioni di donne e di uomini, tuttora vittime di atroci dittature, di conoscere nella loro vita la speranza di un destino di libertà. Occorre lavorare su questo con la non violenza, che è altra cosa da un pacifismo che, troppe volte nella storia, ha assistito passivamente allo scempio della democrazia e della libertà. Ma occorre farlo anche con un'irriducibile politica contro ogni dittatura. Ci conforta e ci emoziona su questo la presenza al Governo di Emma Bonino. Siamo certi che, a partire dai nevralgici compiti che sono i suoi, in quella terra di confine tra la costruzione del diritto internazionale e la crescita delle relazioni economiche, la ministra Bonino onorerà il Governo e il paese.
Ho lasciato per ultima, signor Presidente, una ferita grave contro il bene supremo di una comunità civile: la legalità. Lei sa bene che otto parlamentari sono stati regolarmente votati ed eletti ma sono ancora estromessi dal Parlamento a causa di un'interpretazione abusiva della legge elettorale. Perché la maggioranza tace? Forse, acconsente? Parrebbe di sì, dopo la sconcertante decisione di inserire nell'organo che dovrà decidere su tutto questo anche due diretti interessati, i parlamentari Zanda e Sinisi. Lei sa che, per battaglie di legalità come questa, sono state in passato messe in campo da Pannella, dai radicali, le lotte non violente più gravi e rischiose. Attendiamo, signor Presidente, la valutazione e gli impegni politici: l'evangelico «sì, sì, no, no» del capo della coalizione che abbiamo scelto di sostenere.
Auguri, signor Presidente, signore e signori ministri, avrete il sostegno della Rosa nel Pugno, laica, socialista, liberale e radicale, ma lo avrete non per vivacchiare e gestire l'esistente, bensì per provare a cambiare il paese e anche per provare a cambiare la sinistra italiana, che ne ha grande bisogno (Applausi dei deputati del gruppo de La Rosa nel Pugno - Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Monaco, al quale ricordo che ha a disposizione dieci minuti. Ne ha facoltà.
FRANCESCO MONACO. Signor Presidente, intervengo per fare alcune sottolineature sulle comunicazioni rese dal Presidente del Consiglio.
In primo luogo, ho riscontrato una stretta aderenza al programma elettorale. Ovvio, si dirà. Non è così. Si è fatto a gara nel dire un gran male della campagna elettorale; in particolare, si è lamentata l'asprezza dei suoi toni. Su un punto, ma un punto decisivo, mi permetto di dissentire da questo luogo comune, da questa sorta di sport nazionale. Il programma, in verità solo il nostro programma, è stato -- eccome - al centro del confronto politico elettorale; ed è giusto che sia così. È giusto che il Presidente del Consiglio ci riproponga qui, cioè in Parlamento, esattamente le linee portanti di quel programma che rappresenta il cuore, l'asse portante del patto da noi siglato con i cittadini Pag. 82elettori. Il problema è di metodo, perché la centralità del programma è un guadagno per la democrazia italiana; è il portato buono della cosiddetta democrazia governante e di quel bipolarismo nel quale i cittadini scelgono i Governi che, appunto, si legano ad un preciso programma. Non era così nel primo tempo della Repubblica che, a mio avviso, a torto taluni rimpiangono.
Seconda sottolineatura. Le sessantuno cartelle del Presidente Prodi sono tutte attraversate da un'ispirazione genuinamente riformatrice. Una parola abusata, questa - riformismo, riformatori -, che esige un chiarimento. Riformatore il programma lo è, a mio avviso, in vari sensi. Innanzitutto, è riformatore nel senso di una vocazione e di una cultura di governo dentro un grande paese avanzato e occidentale. Non c'è traccia nelle comunicazioni del Presidente del Consiglio di massimalismo (lo segnaliamo anche a Sergio Romano, l'editorialista del Corriere della Sera).
In secondo luogo, è riformatore nel senso opposto ad una posizione conservatrice, cioè come apertura al cambiamento, come sostegno e accompagnamento dei processi di modernizzazione, come innovazione e slancio verso il futuro. Da qui la centralità del tema della formazione, del tema del lavoro, con speciale attenzione alle giovani generazioni. Riformatore non nel senso di un cambiamento qualsiasi, di una modernizzazione indifferente ai valori ed alla qualità sociale, ma nel senso esattamente contrario: il segno e la direzione di quel cambiamento devono andare nella direzione di una maggiore qualità ed equità sociale. Questa non può non essere la cifra etico-politica dell'Unione, di una coalizione larga e plurale di centrosinistra e delle sue culture politiche, nitidamente alternative a quelle della Casa delle libertà; una direzione riformatrice alternativa a quella seguita dal Governo Berlusconi.
Coglie nel segno l'onorevole Bondi quando segnala una marcata discontinuità rispetto al riformismo del Governo precedente, ma questo è infatti ciò che ci siamo proposti: non una semplice alternanza di gruppi dirigenti, ma una vera e propria alternativa nei valori e nelle politiche. Non vorrei essere frainteso: non mi riferisco all'idea di fare tabula rasa, di azzerare tutto ciò che ha fatto il Governo che ci ha preceduto - idea giacobina e peraltro impraticabile -, ma - questo sì - al proposito di dare corso ad un programma alternativo nei suoi presupposti ideali e, su quella pietra di paragone, stabilire ciò che delle leggi introdotte dalla Casa delle libertà è con esso compatibile e ciò che non lo è.
Terza sottolineatura: il proposito di imprimere al paese una svolta politica che abbia anche lo spessore, la pregnanza di una svolta etica. A questo ci siamo impegnati: ad un'opera di ricostruzione - sottolineo la parola ricostruzione - del tessuto morale e del costume civico. Si è parlato di una scossa etica, oltre che di una scossa economica. Tra tutti, è questo il compito più impegnativo, dopo anni di ferite, di forzature, di strappi inferti alla legalità e al civismo del nostro paese.
Penso siano da inscrivere in questa prospettiva: l'impegno a ripristinare il senso e la cultura della legalità e il principio secondo il quale la legge è uguale per tutti; l'impegno a ristabilire il primato degli interessi generali sugli interessi particolari nella preparazione delle leggi (il titolo eloquente del nostro programma era «Per il bene dell'Italia»; appunto, l'interesse generale); l'impegno ad ingaggiare una lotta all'evasione e all'elusione fiscale e, più in radice, a contrastare l'idea malsana del fisco inteso come furto e come rapina di Stato («mettere le mani nelle tasche degli italiani»); l'impegno infine a ridurre i costi esorbitanti della politica e delle istituzioni, a disboscare gli enti inutili, così da dare il buon esempio, cominciando da noi.
Quarta sottolineatura. Nelle comunicazioni del Presidente Prodi si fissa la distinzione tra programmi di governo, utilmente e doverosamente alternativi, e regole del gioco politico auspicabilmente condivise, a cominciare dalle regole più alte e più delicate: le regole costituzionali Pag. 83e quelle elettorali, che non possono essere varate unilateralmente a colpi di maggioranza, secondo logiche e interessi di parte. Più di tanta retorica bipartisan, questo è il modo più sicuro ed efficace per unificare e riconciliare un paese politicamente diviso.
Dopo il referendum costituzionale non potremo non riprendere insieme il filo di un riformismo costituzionale saggio e compatibile con la fedeltà ai principi e ai diritti fondamentali scolpiti nella nostra Carta, non con il mito fallace della grande riforma onnicomprensiva, ma attraverso circoscritte revisioni su tre punti: il rafforzamento degli istituti di garanzia, la stabilizzazione degli esecutivi e il Senato delle autonomie, a completamento della riforma del titolo V.
Quinta sottolineatura: il ripristino dell'ispirazione europeista dopo il deragliamento del recente passato, in coerenza con la storica tradizione e vocazione del nostro paese. L'Europa è una risorsa e non un problema per noi: di lì passa il nostro futuro. L'Europa come attore globale, come fattore di pace e di giustizia internazionale in un mondo che vogliamo finalmente multipolare: questa ha da essere la bussola della nostra politica estera! Come lo fu nel 1996, quando coniammo due slogan speculari: «Portare l'Italia in Europa» e «Portare l'Europa in Italia». Ai due slogan, ancora attualissimi, ne aggiungiamo, oggi, altri due: «L'Italia può contare solo se conta l'Europa» e «L'Europa può ripartire» - ce l'ha rammentato il Presidente Napolitano da un luogo così evocativo come Ventotene, ieri - «se i paesi fondatori dell'Unione, e l'Italia tra questi, riprenderanno la testa del processo di costruzione europea».
Sesto rilievo: la fiducia nel dialogo tra le culture e le religioni. Bene ha fatto il Presidente Prodi a rimarcare che anche i concreti, minuti programmi di governo, più o meno consapevolmente, partecipano di una visione del mondo: visione del mondo non in senso astratto, ideologico, ma come visione della concreta condizione di questo nostro mondo, di questo tornante della storia, oggi segnato dal confronto tra le religioni, le culture, le civiltà e, purtroppo, anche dal terrorismo e dalle guerre.
Il Governo ci dice, sul punto, due cose preziose. Primo: «no» ai fondamentalismi ed alle guerre di religione e «sì» al rispetto, alla conoscenza ed al dialogo. E ancora: la laicità dello Stato, bene intesa, non è indifferenza, ma garanzia per il libero dipanarsi del confronto tra culture e religioni su base paritaria e dentro le nostre società, sempre più segnate dal pluralismo. È visione non scontata questa, tutt'altro che priva di implicazioni in tema di diritti di cittadinanza, di legislazione sociale, di politiche dell'immigrazione.
Ancora, una settima osservazione: la scommessa sulla concertazione sociale. Non è buonismo, non è captatio benevolentiae delle forze sociali, non è abdicazione alla responsabilità della sintesi e della decisione ultima in capo alla politica, ma la convinzione che, nelle società avanzate, ove il potere è diffuso, le riforme sono più agevoli se sostenute da un largo consenso. Del resto, le forzature sull'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori e la finta riforma-manifesto sulle pensioni - guarda caso, differita al 2008 - sono lì a dimostrare che il decisionismo ostentato dal Governo Berlusconi ha prodotto strappi a saldo zero!
Infine, nelle parole del premier ho riscontrato - e con questa considerazione concludo - un doppio sentimento: di lucida, pensosa consapevolezza della portata dei problemi, della condizione critica in cui versa il nostro paese e, dunque, delle responsabilità che incombono su di noi, ma, insieme - ecco il secondo sentimento compresente - la fiducia nelle risorse, non nostre, ma degli italiani. Dunque, la fiducia che insieme ce la possiamo fare, che rimettere in piedi l'Italia e dare una concreta prospettiva di vita e di futuro alle giovani generazioni è possibile.
Noi, caro Presidente Prodi, nel dare fiducia a lei ed al suo Governo, ci associamo a quel duplice sentimento - di responsabile coscienza, ripeto, della portata dei problemi, ma, insieme, di fiducia negli italiani - che abbiamo avvertito nelle Pag. 84sue parole, nelle sue comunicazioni. E nel darle, appunto, la nostra fiducia, le assicuriamo che, sul fronte parlamentare, le daremo il nostro più convinto sostegno (Applausi dei deputati del gruppo de L'Ulivo - Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Bono, al quale ricordo che dispone di cinque minuti. Ne ha facoltà.
NICOLA BONO. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, mi si consenta, in via preliminare, di complimentarmi per l'impressionante serie di primati raggiunti da questo Governo.
Innanzitutto, è certamente il Governo più antimeridionale della storia d'Italia: solo sei ministri su venticinque sono del Mezzogiorno, e la Sicilia non ha avuto alcuna rappresentanza! È un fatto storicamente senza precedenti nella storia repubblicana, che mortifica e mette all'opposizione la terza regione d'Italia. Ma non era il centrodestra che aveva tendenze antimeridionali? È un Governo che, conseguentemente, ha la più alta concentrazione di ministri piemontesi: sembra di essere tornati agli albori dello Stato unitario! È il secondo più numeroso; ma confidiamo che, quanto prima, conquisti anche questo primato, che è veramente a portata di mano: il settimo Governo Andreotti aveva 101 poltrone. È certamente il Governo più ingrato, avendo soppresso il Ministero per gli italiani nel mondo, i cui rappresentanti lo hanno letteralmente miracolato.
È il Governo più arrogante, avendo occupato tutti gli spazi istituzionali, compresa la Presidenza della Repubblica, che per principio è il luogo dell'unità nazionale. È il meno democratico, perché si basa sul voto della minoranza degli italiani ed utilizza sette senatori a vita che nessuno ha eletto. È certamente il più sensibile alle aspettative dei poteri forti: nel Governo ci sono nomine che appaiono a garanzia delle aspettative delle fondazioni bancarie; ci pare molto grave lo spostamento del CIPE dall'Economia alla Presidenza del Consiglio, con una chiara tendenza a privilegiare l'aspetto della politica industriale rispetto a quello della coesione territoriale, così come appare evidente una certa deriva in ordine alle tendenze di rafforzamento dei meccanismi delle partecipazioni statali, e potremmo continuare.
È certamente il più contraddittorio, perché, dopo avere accorpato con la riforma Bassanini i ministeri ed aver creato appositamente la figura dei viceministri, ha «spacchettato» - ma che brutto termine, tra l'altro, che usate - i ministeri e lasciato i viceministri, creando quindi un esercito di poltrone con costi enormi per l'erario, alla faccia del risanamento. È il Governo più pasticcione, atteso che al suo primo Consiglio ha commesso l'imperdonabile errore di sottrarre la previdenza sociale al Ministero del lavoro (è come sottrarre l'aviazione al Ministero della difesa per darlo a quello dei trasporti). È il più scandaloso perché alcuni «spacchettamenti» sono indigeribili, come infrastrutture e trasporti, università e pubblica istruzione, lavoro e solidarietà sociale. L'unica nota condivisibile è l'accorpamento del turismo ai beni culturali, che era un'idea su cui da tempo mi ero battuto personalmente e che trovo assolutamente positiva.
È il Governo più misterioso, perché sono stati istituiti alcuni ministeri di cui nessuno capisce l'oggetto dell'intervento: quello per la famiglia, quello per la gioventù e lo sport, riesumato dalla prima Repubblica dopo 32 anni, quello della solidarietà sociale. Questo davvero devono spiegarci a cosa serve, ma soprattutto dovrebbero spiegarlo al ministro che, non sapendolo neanche lui, si dedica ad un'attività che lo gratifica di più: quella di polemizzare con il Santo Pontefice.
È il Governo più a sinistra della storia d'Italia, con spazi esagerati all'ala radicale della coalizione. È certamente il più deludente, tutti delusi: partiti, donne, singoli aspiranti ad entrare, ancora più mortificati alla luce della sua composizione numerica esagerata. Una delusione collettiva; altro che squadra coesa che durerà cinque anni: in questo caso, neanche cinque mesi!Pag. 85
Desidero fare una previsione: credo che il percorso sarà difficile e lungo, ma anche che il termine ultimo non potrà superare l'autunno del 2007, perché alla seconda finanziaria questo Governo imploderà. L'unico dato positivo è l'apprezzamento per l'atteggiamento anche scaramantico di Prodi sul numero 17, ma non credo che gli porterà bene. Un Governo che su tante questioni è partito con il piede sbagliato: la conferma del «no» al ponte di Messina, ulteriore emarginazione della Sicilia; la revisione della legge Biagi, magari con il metodo Zapatero, una vera e propria follia; le «bacchettate» al Papa di un ministro sul delicatissimo tema dei Pacs; la smentita di Ciampi sulla definizione dei nostri militari in Iraq, negando che si tratti di una missione di pace.
PRESIDENTE. La invito a concludere.
NICOLA BONO. Concludo, Presidente. Nel frattempo l'economia riparte e i bugiardi dicono che è merito della sinistra. Vigileremo sul programma, sulla difesa dell'ordine pubblico, sull'onore dei nostri militari in Asia, sulle scelte economiche e sulla competitività, sulle coperture del cuneo fiscale, sulla famiglia naturale. Faremo la nostra parte, senza sconti. Si auguri, professor Prodi, di saper fare la sua con il beneplacito di tutti i suoi variopinti compagni di viaggio: credo che sarà estremamente difficile e improbabile (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza Nazionale).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Borghesi, al quale ricordo che ha a disposizione cinque minuti. Ne ha facoltà.
ANTONIO BORGHESI. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, signori rappresentanti del Governo, onorevoli colleghe e colleghi, l'insulto del collega Barani al presidente dell'Italia dei Valori non merita risposta, se non per ricordare che Antonio Di Pietro si è sottoposto a tutti i processi ai quali è stato chiamato, uscendone sempre assolto con formula piena, a differenza di altri personaggi politici, del passato e del presente, che ai processi hanno cercato di sfuggire, ammettendo così, implicitamente, le loro colpe.
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE FAUSTO BERTINOTTI (ore 18,50)
ANTONIO BORGHESI. Non mi voglio soffermare sulle cause, delle quali si è già molto dibattuto, che hanno condotto il nostro paese verso il fondo della graduatoria della competitività. I ricercatori - e sia lei, signor Presidente del Consiglio, sia chi le parla ha dedicato gran parte della sua vita professionale alle attività di ricerca scientifica - lo avevano previsto, restando vox clamantis in deserto.
Mi piace qui ricordare, signor Presente del Consiglio dei ministri, un aneddoto che la riguarda e che risale a circa trent'anni or sono. Il mio maestro, prematuramente scomparso e che di lei fu amico, Giovanni Panati - al quale va oggi il mio deferente pensiero -, decise di portare due giovani assistenti ad un convegno a Tirrenia, promosso dalla rivista L'Industria, da lei a quel tempo diretta. Il suo intervento, quell'anno, ebbe per tema «la deindustrializzazione del sistema economico italiano» e mi colpì molto, poiché aprì un velo su scenari futuri, dei quali a quel tempo nessuno ancora parlava.
Sono passati trent'anni: oggi la deindustrializzazione è vissuta in modo drammatico, ed uno dei punti dolenti del nostro sistema economico è quello di basarsi ancora largamente su settori maturi piuttosto che su comparti ad alta innovazione e tecnologia. Vorrei rilevare che nei primi, sotto la spinta della competizione internazionale resa obbligata dalla globalizzazione, sono in corso rilevanti processi di razionalizzazione per certi versi anche dolorosi, a causa della perdita di posti di lavoro passati e, forse, futuri. Per questo motivo, mi permetto di richiamare l'attenzione sul fatto che una riduzione generalizzata del cuneo fiscale potrebbe condurre, in modo «drogato», ad una sospensione di siffatti processi, poiché si ridarebbe Pag. 86fiato ad aziende che non possono più stare sul mercato. Dobbiamo, invece, assecondare tali processi, favorendo in modo adeguato lo style made in Italy o il design made in Italy piuttosto che il made in Italy. Suggerisco, pertanto, che la riduzione del cuneo contributivo sia di tipo selettivo, valutando settore per settore, piuttosto che di tipo generalizzato, e che abbia maggior peso nei servizi all'industria.
Una seconda riflessione nasce dalla certezza che le imprese possano sopravvivere e svilupparsi nella competizione solo attraverso il binomio ricerca-innovazione, il quale, a sua volta, è in generale direttamente proporzionale alla dimensione aziendale. La fragilità del nostro sistema economico-industriale rispetto ai nostri concorrenti, infatti, risiede proprio nella minuscola dimensione media delle nostre imprese.
Vi è inoltre un problema settentrionale, signor Presidente del Consiglio dei ministri, che va affrontato, in particolar modo rivolgendosi alle imprese che, soprattutto nel nord-est d'Italia, hanno dimensioni ridottissime. I tentativi finora compiuti per superare questo nodo strutturale hanno dimostrato di non dare i frutti sperati: anche in questo caso, allora, bisogna cambiare metodo.
Il programma dell'Unione prevede azioni in tale direzione, ma esse, signor Presidente del Consiglio, devono essere coraggiose, fino alla rinuncia, ad esempio, non tanto al prelievo attuale quanto a quello futuro, sterilizzando per sempre le riserve da fusione ed accompagnandole con altre sostanziali riduzioni dei carichi fiscali nei primi dieci anni dalla fusione.
Per la ricerca, dobbiamo realizzare ciò che, fino ad oggi, non è ancora riuscito a nessuno nel nostro paese: mettere realmente le università al servizio dello sviluppo, attraverso crediti di imposta - che noi proponiamo pari a 1,5 volte l'investimento - a favore delle imprese che coinvolgeranno le università nelle loro attività di ricerca e innovazione.
Vi è infine, a mio avviso, un terzo elemento per il rilancio della nostra economia: i servizi. La direttiva Bolkestein forse dovrà essere emendata in qualche punto, ma nella sua sostanza dovrà essere confermata. In Italia, infatti, troppi servizi godono di protezioni corporative. Vi sono sacche di inefficienza nei settori pubblico e privato che mettono a repentaglio la possibilità di favorire l'ulteriore espansione e sviluppo di un sistema produttivo che, nell'immaginario collettivo dei nostri competitor, era sintetizzato dall'immagine del volo del calabrone.
A titolo d'esempio e in conclusione, le società autostradali producono enormi liquidità e prosperano con tariffe sottratte per definizione al principio di concorrenza, che consentono mediamente di far emergere 20-30 euro di utile netto ogni 100 euro incassati. Ed il fatto che, per moltissimi anni, dette società fossero praticamente pubbliche ha permesso di coprire gli occhi di fronte a ciò in cambio di investimenti in sostituzione di regioni, province e comuni. Ma la tariffa è sempre stata considerata uno strumento di politica economica, dovendo equilibrare il rapporto con le altre modalità di trasporto per tenere anche conto delle diseconomie ambientali. Ma chi deve occuparsi di ripristinare tale danno? Non è forse una delle competenze dello Stato? Se è così, visto che oggi le società autostradali sono uscite dall'orbita pubblica, mi sento di proporre la scomposizione della tariffa in due parti: quella che ripaga i costi e il giusto margine del concessionario e quella che servirà per ripagare le diseconomie esterne create dalla circolazione, una sorta di accisa.
Detto questo, mi permetto di affidarle, signor Presidente del Consiglio, queste brevi riflessioni con la speranza che ella possa rapidamente dar corso al suo, anzi al nostro programma di Governo che, ne sono certo, permetterà all'Italia di riprendere le posizioni che merita nel contesto politico ed economico internazionale (Applausi dei deputati del gruppo dell'Italia dei Valori).
PRESIDENTE. Il vicepresidente Tremonti mi ha reso noto che durante il suo Pag. 87turno di Presidenza è stato sollevato dal deputato La Malfa e da altri deputati un problema riguardante la convocazione e la composizione del gruppo Misto.
La questione, come voi sapete, non consente alla Presidenza della Camera di intervenire dal punto di vista regolamentare; tuttavia è stato sollevato un problema di opportunità a cui, credo, dobbiamo essere sensibili. Mi sono così impegnato sull'unico terreno che mi era possibile, quello non già della persuasione morale, ma della persuasione politica. Sono quindi intervenuto, trovando molta disponibilità e molto ascolto, presso i parlamentari Milos Budin, Maria Letizia De Torre e Laura Froner, che con la loro scelta volontaria di adesione al gruppo Misto avevano determinato la condizione su cui era intervenuto il deputato La Malfa. I tre parlamentari mi hanno confermato la loro intenzione di iscriversi al gruppo Misto, ma di fronte al problema che è stato sollevato ho potuto acquisire la loro totale disponibilità a non partecipare alla riunione del gruppo Misto indetta per le ore 19, cosicché la riunione avverrà con la stessa composizione che il gruppo aveva precedentemente all'adesione dei tre parlamentari, in modo tale da non sollevare alcun dubbio sulla volontà politica delle persone e delle istituzioni nelle quali lavoriamo.
Ringrazio per la loro sensibilità i parlamentari e auguro buon lavoro al gruppo Misto per la sua riunione.
È iscritto a parlare il deputato Dozzo. Ne ha facoltà.
GIANPAOLO DOZZO. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio dei ministri, nella sua comunicazione alla Camera dei deputati lei ha fatto riferimento alla questione etica della politica, concetto nobile che deve essere alla base dell'agire politico di ciascuno di noi.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE GIULIO TREMONTI (ore 19)
GIANPAOLO DOZZO. Ma, a questo punto, le chiedo se sia etico ottenere la fiducia al proprio Governo attraverso i voti dei senatori a vita (Commenti del deputato Nannicini), i voti di chi pochi giorni prima dichiarava di essere super partes e, appena dismessa la divisa di Presidente della Repubblica, è entrato nell'agone politico con il suo voto determinante.
Le chiedo, signor Presidente del Consiglio dei ministri, se siano etiche alcune dichiarazioni rilasciate dopo le votazioni sulla fiducia, del tipo «Ora farò come la cantante Mina, sparirò», oppure le dichiarazioni dei nuovi adepti di Ponzio Pilato della serie, «Si pronunci la Conferenza episcopale italiana sulle unioni di fatto e in materia di procreazione assistita», dato che le assicurazioni autorevoli che erano state date confermavano che non vi sarebbero state iniziative da parte del Governo in queste materie.
Assicurazioni autorevoli puntualmente smentite quarantotto ore dopo, considerate le dichiarazioni del ministro per la famiglia (o per le famiglie, poi vedremo) Bindi.
Signor Presidente, queste sono le affermazioni di chi le ha permesso di ottenere la fiducia al Senato. È questa, forse, l'etica cui lei si riferiva? Ciò serva anche di lezione a chi, all'interno della Casa delle libertà, pochi giorni fa sosteneva che occorre essere bipartisan quando si concorre all'elezione delle alte cariche dello Stato. Non mi sembra che vi sia stato, da parte vostra, un alto senso dello Stato nelle vicende politiche a cui abbiamo assistito in questi giorni.
Signor Presidente, nella sua relazione lei ha affermato che intende tagliare le auto blu e il personale di scorta ai politici: anche questa è una lodevole intenzione. Allora, mi può spiegare perché ha moltiplicato i ministeri, fino ad arrivare al numero di diciotto? È una questione etica anche questa o, forse, è solamente una mera spartizione partitica, che nulla ha a che vedere con l'etica della politica? In questo turbinio di nuovi ministeri, di materie trasferite da un ministero all'altro, avete già combinato dei bei pasticci! Tutta una serie di assurdità tali che, se fossero Pag. 88state realizzate da un Governo di colore diverso dal vostro, si sarebbero già visti manifestare in piazza i sindacati, i neogirotondini di turno, le associazioni dei consumatori e gli enti locali, per non parlare della stampa che, come sempre, su tale questione ha messo il silenziatore.
Complimenti, signor Presidente, è un bell'inizio per il suo Governo! Un Governo che vuol far credere di essere capace di risolvere i problemi di questo paese.
Lei chiede al nord di essere la locomotiva di questo Stato. Mi viene spontaneo chiedere se ancora il nord abbia voglia di fare da traino a chi non vuole assolutamente capire le vere esigenze dei popoli del nord. Siete venuti nelle nostre piazze a proclamare che il modello di sviluppo che per anni è stato la linfa vitale dell'economia italiana è sbagliato o - peggio ancora - è un modello incentrato sugli egoismi personali o quant'altro. Quante volte abbiamo ascoltato queste vostre affermazioni anche da parte di chi, signor Presidente della Camera, ricopre ora importanti cariche istituzionali, oppure da parte di coloro che in questo momento guidano ministeri fondamentali per l'economia!
Ora, lei chiede ulteriori sacrifici e maggiori contributi al nord. Non vorrei - lo ha appena detto un collega della maggioranza - che lei pensasse subito ad una tassa per lo sviluppo. Ma in cambio di cosa lei avanza queste richieste? Forse, in cambio di infrastrutture moderne ed efficienti? Non mi sembra, vista la mancanza di sue dichiarazioni a favore di opere viarie e infrastrutturali importanti per il nord. Al contrario: abbiamo assistito ad una serie di dichiarazioni, da parte dei suoi ministri, contraddittorie e di segno estremamente negativo.
PRESIDENTE. Onorevole Dozzo...
GIANPAOLO DOZZO. Signor Presidente, le chiedo ancora un minuto di tempo. In quelle dichiarazioni ho ravvisato una sorta di intento punitivo verso quella parte del paese che non l'ha votata.
E, ancora, signor Presidente, è sicuro che il nord la voglia seguire sull'introduzione della droga libera e sull'immigrazione incontrollata? Infatti, questi sono gli intendimenti di alcuni suoi ministri. È sicuro che il nord voglia fare da traino ad un Governo che pone come priorità il provvedimento sull'amnistia, facendo sì che siano rimessi in libertà migliaia di malviventi? È sicuro, signor Presidente, che il nord si metta a disposizione di chi, quando era Presidente della Commissione europea, non ha saputo non dico tutelare i cittadini italiani, ma nemmeno quelli europei? Non so se lei ricorda un famoso provvedimento - che sicuramente rammentano i nostri vignaioli - che consentiva di inserire le menzioni tradizionali dei nostri vini sulle etichette dei produttori extracomunitari, facendo sì che queste bottiglie di vino, con le nostre denominazioni tradizionali (Brunello di Montalcino, Chianti, Amarone e quant'altro), potessero essere vendute in Europa.
Lei ha fatto questo e poi dice che bisogna combattere la globalizzazione ed i rischi della globalizzazione stessa! Se il suo modo di governare è quello da lei usato nei cinque anni di Presidenza della Commissione europea, signor Presidente, spero che domenica e lunedì prossimi ed il 25 giugno i cittadini del nord sappiamo dare una risposta contraria alle sue aspettative. Grazie per la sua attenzione, signor Presidente (Applausi dei deputati del gruppo della Lega Nord Padania).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Zanella, alla quale ricordo che ha dieci minuti a disposizione. Ne ha facoltà.
LUANA ZANELLA. Signor Presidente della Camera, signor Presidente del Consiglio, gentili rappresentanti del Governo, colleghe e colleghi, vorrei iniziare il mio intervento esprimendo il più sentito e sincero apprezzamento per il discorso del Presidente del Consiglio, per il profilo alto e solido proposto e l'impostazione strategica di limpida discontinuità politica e culturale rispetto al Governo precedente. Con convinzione ed entusiasmo, non solo voterò la fiducia ma, assieme ai parlamentari Pag. 89Verdi e dell'Unione, mi impegno a sostenere e rafforzare l'azione di governo soprattutto perché posizioni ed orientamenti espressi e condivisi a livello programmatico non abbiano a trovare impedimenti, arretramenti, ma vengano consolidati e portati a progressiva e puntuale attuazione.
Signor Presidente del Consiglio, è di venerdì scorso la sentenza della Corte di cassazione che conferma la condanna, già comminata in appello, dei vertici di Montedison, responsabili di non aver rispettato le norme di tutela della salute dei lavoratori e di salvaguardia dell'ambiente. Si tratta di una sentenza storica che, certo, non risarcisce pienamente il danno umano ed ambientale, enorme ed irreversibile, i morti ed i malati per CVM del petrolchimico di Porto Marghera, la sofferenza dei familiari delle vittime, l'inquinamento di terreni e fondali di un'area vastissima a ridosso della città di Venezia, la cui bonifica, come è noto, richiede uno sforzo economico gigantesco. Questo no, purtroppo: i tempi della giustizia - come lei, signor Presidente, ha sottolineato nel suo discorso - sono lenti, i reati spesso si prescrivono, le normative non sempre sono stringenti, le interpretazioni giurisprudenziali talvolta incoerenti. Tuttavia, questa sentenza rappresenta una svolta: dà ragione alla denuncia di un operaio del petrolchimico di Marghera, Gabriele Bortolozzo, che molti anni or sono, assieme ad un pugno di compagni di lavoro, di ambientalisti ed attivisti di Medicina democratica, fornì la documentazione di base per l'inizio del poderoso lavoro inquisitorio del magistrato Felice Casson, ora collega senatore. Tale sentenza afferma in modo netto ed inequivocabile la centralità e priorità del diritto alla salute e della salvaguardia dell'ambiente, che non possono e non devono essere sacrificati alla logica del profitto e del mercato.
Mentre il comune di Venezia si avvia ad indire una grande consultazione sulla permanenza a Porto Marghera di una chimica legata al ciclo del cloro e del fosgene, noi chiediamo al Governo di affrontare con un approccio davvero innovativo e lungimirante questa come altre cruciali questioni legate alla necessità di trasformazione e di conversione industriale, di uscita dalla crisi sistemica di un modello di sviluppo che ha esaurito, assieme ai beni e risorse sociali ed ambientali, la propria forza propulsiva e competitiva.
C'è un altro punto su cui vorrei richiamare la sua attenzione, signor Presidente: quello della salvaguardia di Venezia e della sua splendida laguna. Nel programma dell'Unione non si fa cenno specifico a come il Governo dovrà porsi rispetto alla tanto discussa chiusura delle bocche di porto con le grandi dighe mobili, meglio note come Mose. Noi riteniamo che sia indispensabile sospendere i lavori e, prima che i danni di un'opera costosissima e pericolosa per gli equilibri idrodinamici e geomorfologici del sistema lagunare siano resi irreversibili, fare quello che non si è mai fatto: un'analisi dei progetti alternativi più duttili, sperimentabili e meno costosi, un'applicazione rigorosa della normativa nazionale e comunitaria in materia di valutazione di impatto strategica.
Sulle grandi opere, condividiamo la scelta di ridisegnare il sistema infrastrutturale, secondo le linee delineate nel programma, e di stabilire, a fronte di risorse limitate, le priorità; come pure condividiamo la scelta di ripristinare il ruolo decisionale e la responsabilità degli enti locali e di coinvolgere le comunità del territorio interessate dalle scelte.
Siamo d'accordo sulla necessità ed il proposito, da lei espressi, di dare un segnale forte - ripeto - di discontinuità rispetto alle politiche delle Governo precedente, per combattere la crisi che pesa sul paese non solo sul piano economico-finanziario ma - e questo è più grave e difficile da contrastare - sul piano culturale ed etico, circa il conflitto di interessi, il pluralismo del sistema dell'informazione e della comunicazione, il ripristino della fiducia tra cittadini ed istituzioni; dobbiamo profondere il massimo dell'impegno e mettere mano a tutte quelle leggi approvate nel corso della passata legislatura che hanno prodotto squilibri e guasti.Pag. 90
Discontinuità, quindi, anche in politica estera, che si traduce fin da ora nella decisione di ritiro delle nostre truppe dall'Iraq, nella volontà di reimpostare la politica sul piano internazionale, scegliendo il multilateralismo, la prevenzione dei conflitti e il prosciugamento dei bacini dell'odio, la costruzione di un ordine giuridico internazionale in sintonia con quanto previsto dalla nostra Costituzione. Discontinuità anche in ordine agli indirizzi di economia e finanza, alle politiche ambientali, sociali e dell'immigrazione, a quelle per la scuola, la ricerca e l'università, in modo tale da garantire in maniera omogenea e uguale, efficace in tutto il paese, la possibilità di crescita e sviluppo in termini di qualità e vera competitività.
Ma, per affrontare una sfida di questa portata, dobbiamo avere il paese, le donne e gli uomini in carne ossa con noi; dobbiamo avere la capacità di interloquire con coloro che non hanno votato per noi, di rispondere ad aspettative, esigenze, preoccupazioni, convinzioni che si sono espresse anche negandoci il voto e la fiducia.
I problemi di una società che nel corso di questi ultimi anni si è impoverita, di un sistema formativo e della ricerca su cui non si è voluto investire, di un mercato del lavoro che non garantisce ai giovani, soprattutto del meridione, buona e sicura occupazione, di un sistema di welfare messo alle strette da nuove incombenze e tagli ai trasferimenti agli enti locali, riguardano tutto il paese. Magari potessimo condividere con l'opposizione almeno il livello dell'analisi delle criticità, la lettura sobria della realtà, e da lì partire per proporre ricette, anche alternative, percorsi e soluzioni differenti e dialetticamente messi a confronto. Sarà molto difficile, purtroppo, ma è una via che si deve tentare.
Un'ultima considerazione, Presidente. Molte parlamentari hanno posto il problema, da lei opportunamente sollevato, della scarsa presenza di donne nella compagine governativa. Io osservo che, nonostante le regole inscritte in quasi tutti gli statuti dei partiti della nostra coalizione, nonostante le affermazioni fatte in tante occasioni, anche qui, in quest'aula, da vari leader, la ricerca dell'equilibrio tra i sessi nella ricerca dei rappresentanti di Governo, non è stato scelto un criterio guida. È stato sacrificato, è evidente, ad altre logiche.
Vi sono state pressioni alla competizione, resa ancora più aspra dalla legge elettorale vigente, tra partiti ed in seguito alla conseguente spartizione dei posti pattuita tra i leader.
Nessuna di noi credo si aspettasse un esito così deprimente. Siamo state spiazzate, ma la lotta per il potere non risparmia colpi, lo sappiamo: le donne o servono allo scopo o spariscono! I titoli, i talenti, le virtù contano di meno o non prevalgono!
Non si tratta solo di correggere il tiro con nuove regole. Questi dispositivi - lo ripeto - sono presenti negli statuti, ma magari bastasse. Quanto è successo è il segno di un'arretratezza politica e culturale. È una criticità del sistema, il segno di una distanza drammatica tra istituzioni e paese reale, tra politica e società.
Credo che non possiamo - donne e uomini dell'Unione, ma non solo - sottrarci ad una profonda riflessione, ad un'assunzione di responsabilità, evitando di rimuovere quei conflitti e contraddizioni che possono essere salutari e utili per produrre quei mutamenti di pratica e cultura politica indispensabili per il buon Governo del paese (Applausi dei deputati dei gruppi dei Verdi e dell'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Belisario, al quale ricordo che ha a disposizione cinque minuti di tempo. Ne ha facoltà.
FELICE BELISARIO. Signor Presidente della Camera, signor Presidente del Consiglio, signori ministri, onorevoli colleghe e colleghi, se volessimo caratterizzare le comunicazioni che il Presidente Prodi ha reso a questa Assemblea potremmo dire, senza incertezze, che esse indicano un diverso modo di intendere la funzione di Governo che deve esprimersi in un clima di serenità, di concertazione e di ottimismo. Non vi è chi non abbia colto nelle sue Pag. 91parole, onorevole Prodi, la preoccupazione di dover lavorare sodo con la squadra, prendendo in mano le redini di uno Stato in cui le contraddizioni economiche, sociali, culturali e politiche, sono state esasperate - chissà se a volte deliberatamente !- ma che devono essere oggi superate in fretta per il bene di tutti i nostri connazionali e non certamente di una sola parte.
Due sono i punti che vorrei brevemente trattare e che stanno molto a cuore all'Italia dei valori: mi riferisco alle condizioni per restituire competitività al sistema economico e stabilità alle relazioni sociali e al funzionamento della giustizia.
In ordine alla prima questione, vorrei ricordare che l'economia liberale si fonda sul rispetto di regole certe e condivise. In Italia, di regole ve ne sono, forse, fin troppe, ma non sempre sono chiare e, a volte, è mancata persino la volontà di farle rispettare, se addirittura non è emersa quella di eluderle.
Il risultato è sotto gli occhi di tutti: l'economia è stata in balia dei più furbi e prepotenti che, in ogni settore della vita pubblica e privata, sono stati portati in continuazione a sfruttare sanatorie, prescrizioni, condoni di varia natura, indulti et similia.
Purtroppo, e lei, signor Presidente, lo conferma nelle sue comunicazioni, è passata l'idea che è possibile, pur violando consapevolmente la legge, sperare di farla franca. Prima ancora dei codici, è stata calpestata l'etica dei comportamenti che deve presiedere ad ogni azione umana.
Al punto in cui siamo, tutti, la famiglia, il mondo dell'istruzione, della cultura e del volontariato, le forze produttive e sociali e, ovviamente, prima degli altri noi della politica dobbiamo sanare questo vulnus pericoloso per i nostri giovani, bombardati da modelli di vita a volte tutt'altro che encomiabili.
Pertanto, per ridare credibilità al nostro sistema va innanzitutto stanato, senza esitazioni e blandizie, tutto quel mondo imprenditoriale sommerso che sottrae risorse fresche ad un'equilibrata politica di risanamento e di investimenti.
Vanno ridati fiducia e sostegno al sistema delle piccole e medie imprese che rappresentano il tessuto connettivo dell'Italia. Pur nella necessaria compatibilità con la libera concorrenza, va salvaguardata la proprietà italiana di grandi imprese che sono strategiche per il paese, connotandone alcune di esse persino l'immagine stessa.
Va combattuta la criminalità organizzata che condiziona almeno quattro regioni, che condiziona visibilmente l'imprenditoria e la vita socioeconomica e che tende più spesso a internazionalizzare influenze e guadagni. È finanche pleonastico sottolineare che gli investimenti stranieri sono destinati ad annullarsi proprio in quelle regioni perché nessuno avrà voglia di investire avendo un partner irritante e pericoloso.
Al riguardo, intendo suggerirle, signor Presidente, il rifinanziamento del fondo antiracket e antiusura proprio per contribuire con forza a liberare il mondo delle imprese, specie nel Meridione d'Italia, dallo strangolamento dell'usura e dal ricatto della malavita.
Ella lo ha affermato: il Mezzogiorno non è un peso, ma è una risorsa. Per questo deve liberarsi al più presto di ogni forma di malaffare.
PRESIDENTE. La invito a concludere, onorevole Belisario.
FELICE BELISARIO. Presidente Prodi, onorevoli colleghi, comprenderete l'attenzione che l'Italia dei Valori presta alla giustizia e al rispetto della legalità. Intendiamo mantenere gli occhi bene aperti: una giustizia più giusta non è quella che consente la dilatazione dei processi penali per un frainteso eccesso di garantismo e neppure quella che non è riuscita a tagliare i tempi dei processi civili, né quella che consente processi amministrativi caratterizzati da un rito fin troppo sommario nella fase cautelare.
Non serviva e non serve la riforma dell'ordinamento giudiziario approvata nella scorsa legislatura, forse in modo confuso e probabilmente con intento punitivo. Pag. 92La riforma va immediatamente sospesa e calibrata per il meglio.
Mi avvio alla conclusione, Presidente. Chiediamo l'attuazione in questa legislatura del processo telematico civile per abbattere i tempi; conosciamo il particolare clima di emergenza che attraversa il mondo penitenziario, ma ritengo che ogni provvedimento vada meditato, preceduto da una chiara indicazione delle priorità della riforma per evitare che diventi un rattoppo.
A pochi giorni dal 2 giugno, nel sessantesimo anniversario dall'avvio dei lavori della Costituente, intendendo qui ribadire l'impegno dell'Italia dei Valori per respingere con il referendum la riforma che, a nostro avviso, stravolge la Costituzione, vorrei rendere un omaggio ai nostri padri costituenti, concludendo con le parole di Piero Calamandrei: «Per fare buona politica non c'è bisogno di grandi uomini, ma basta che ci siano persone oneste, che sappiano fare modestamente il loro mestiere. Sono necessarie: la buona fede, la serietà e l'impegno morale. In politica, la sincerità e la coerenza, che a prima vista possono sembrare ingenuità, finiscono alla lunga con l'essere un buon affare».
PRESIDENTE. La prego di concludere!
FELICE BELISARIO. Noi siamo al suo fianco, Presidente, perché nel suo Governo ci sono anche grandi uomini e professionalità di grande statura: le auguriamo buon lavoro. A questa Assemblea rivolgiamo l'augurio di un impegno costante e proficuo, libera da faziosità e intolleranze (Applausi dei deputati dei gruppi dell'Italia dei Valori e dei Verdi - Congratulazioni).
In conclusione, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.
PRESIDENTE. La Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritto a parlare l'onorevole Barbi. Ne ha facoltà.
Le ricordo che il tempo a sua disposizione è di cinque minuti.
MARIO BARBI. Signor Presidente, colleghe, colleghi, parlo per la prima volta in quest'aula, lo faccio con emozione, ma anche con orgoglio, consapevole della dignità del luogo in cui siedono i rappresentanti della nazione, accomunati, credo, al di là delle diverse appartenenze, dall'amore per l'Italia. Il nostro è un grande paese, merita un Governo all'altezza delle sue possibilità e delle sue ambizioni.
Ecco allora, signor Presidente del Consiglio, che vorrei esprimere un apprezzamento pieno, sincero e convinto per la compagine di Governo e per il programma che lei ha presentato all'esame del Parlamento.
La fiducia che lei chiede al Parlamento è la naturale conseguenza della preferenza che gli elettori hanno mostrato per la proposta dell'Unione di centrosinistra. Questo nostro paese, in cui lunga e intramontabile sembrava la pratica del trasformismo e della cultura della consociazione, ha scelto da un quindicennio ormai la strada del bipolarismo e dell'alternanza.
Lei, signor Presidente del Consiglio, ha contribuito con costanza, tenacia e coerenza a dare forma e sostanza a questa ricostruzione bipolare del sistema politico, tenendo fermo nell'Unione il filo dell'Ulivo. Il filo di un percorso politico che oggi dà il nome al più grande gruppo della Camera, il filo di un percorso politico che presto darà la forma al soggetto democratico e riformista di cui l'Italia ha bisogno per guidare, certo in concorso con gli alleati di centro e di sinistra riuniti nell'Ulivo, quel grande progetto di rinnovamento, indispensabile per il nostro paese se non vogliamo accontentarci di scivolare alla periferia del mondo, come già accadde tra la fine del Rinascimento e l'avvio del Risorgimento nazionale.
Signor Presidente del Consiglio, per la seconda volta, lei ha sconfitto la destra, portando al Governo le correnti e le culture riformatrici di questo paese. Si parla di contrapposizione e paese diviso, ma nella contrapposizione, se vi è la condivisione Pag. 93delle regole, si può vedere anche l'unità del sistema, ovvero quella concordia che lei ha ricordato nel suo discorso programmatico. Concordia, dunque, ma non confusione di ruoli e di proposte, anzi distinzione di ruoli e di proposte, a partire anche dalla politica del nostro paese verso l'Europa, in quanto il ritorno dell'Italia al centro dell'Europa è un'esigenza non solo nostra, ma dell'intera Unione europea. Occorre ricucire lo strappo determinato da quella lettera sulla guerra di Bush in Iraq, alla quale aderì il Governo italiano nel 2003 che, seguendo la decisione unilaterale britannica, suggellò in modo vistoso e grave la disunione europea.
Distinzione vi è anche sulla riforma della seconda parte della Costituzione del centrodestra che sarà sottoposta a referendum il 25 e 26 giugno prossimi. Noi voteremo «no», in quanto non la condividiamo, non ne condividiamo l'impianto squilibrato dei poteri, la macchinosità del processo legislativo, la tendenziale diversificazione dei diritti di cittadinanza. Per questo, per l'unità nazionale, voteremo «no»; dunque, non perché siamo contro le riforme, ma perché siamo per riforme condivise, per un assetto equilibrato dei poteri, per una democrazia governante e per un federalismo solidale nel rispetto assoluto dei valori della prima parte della Costituzione.
Signor Presidente, lei nel suo discorso ha fatto un forte richiamo alle regole e alla necessità di scuotere il paese dal torpore e dalla rassegnazione. Le sue proposte sono importanti e convincenti: la riduzione delle tasse sul lavoro, per liberare risorse per gli investimenti e per migliorare i redditi di lavoro dipendente; le politiche per la famiglia, la natalità e le politiche per i giovani, per l'istruzione, la ricerca e contro la precarietà.
Si tratta delle stesse proposte che lei, Presidente Prodi, ha fatto in campagna elettorale ed è questa una prova di grande serietà. Grande in questo senso e in questa prospettiva è il compito della politica. La sobrietà che lei ha richiamato deve partire dal collegamento degli eletti con il territorio, legame spezzato da questa sciagurata legge elettorale. Spetta alla politica promuovere il civismo e il senso del dovere, a partire dai comportamenti fiscali dei cittadini.
Un'ultima notazione: la politica ha bisogno di più solidità e meno spettacolo, di meno dipendenza dalla televisione e di dipendenza dalle comunità e dai territori. È anche per questo che mi auguro che, tra le priorità dell'azione del suo Governo, vi sia il riordino del sistema delle comunicazioni. Occorrono regole migliori per la concorrenza e il pluralismo. Non è bene che l'azienda del servizio pubblico sia assoggettata alla cultura della televisione commerciale, anche se forse è auspicabile che una parte di questa azienda sia destinata all'attività commerciale; ma, allora, che ciò avvenga a partire da una distinzione societaria che ci consenta un rendiconto e un governo distinto delle due missioni svolte!
Non è poi comprensibile che il pluralismo esterno del sistema televisivo non sia almeno pari a quello che conosciamo per la carta stampata, né è comprensibile che l'inaccettabile concentrazione di risorse e di ascolti, che caratterizza il sistema televisivo tradizionale, continui a crescere anche nel cosiddetto nuovo mondo digitale, accompagnata tra l'altro da un rinnovato legalizzato sacco delle frequenze come negli anni Ottanta.
Signor Presidente del Consiglio, abbiamo fatto molta strada per costruire un sistema politico moderno e stabile. Molta ne resta da fare per migliorare e rilanciare il paese. Con lei non corriamo il rischio di tornare indietro. Sono dunque lieto di votare la fiducia al suo Governo (Applausi dei deputati dei gruppi de L'Ulivo, di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea e dell'Italia dei Valori - Congratulazioni)!
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Marcenaro. Ne ha facoltà.
PIETRO MARCENARO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor Presidente del Consiglio, una fase politica si è chiusa, una nuova si apre. Penso che ciò apparirà con maggiore chiarezza tra alcune settimane, Pag. 94dopo le elezioni amministrative e, soprattutto, dopo il referendum del 25 giugno. Non è difficile, infatti, prevedere che esso avrà conseguenze profonde sugli sviluppi politici. Se vincerà il «no» sarà dissolto il cemento del compromesso politico senza il quale il centrodestra non è più in grado di ambire al governo del paese. In ogni caso, ritorna la questione irrisolta della riorganizzazione del sistema politico italiano, questione che si intreccerà nei prossimi mesi e nei prossimi anni con quella dell'azione di governo e delle sue difficili sfide. La maggiore o minore stabilità politica e l'esito stesso della scommessa del Governo dipenderà dal fatto che entrambe queste «gambe» svolgano la propria funzione e portino il peso con una distribuzione equilibrata.
È in questo quadro che si colloca il progetto dell'Ulivo, che, per questo, non è una questione privata di una parte del centrosinistra. Il cammino che insieme, caro Presidente Prodi, abbiamo iniziato per la costruzione di un nuovo soggetto politico - cammino che ha avuto nella costituzione dei gruppi parlamentari dell'Ulivo una tappa molto importante -, che forse avrebbe richiesto una maggiore solennità, non riguarda solo due partiti, DS e Margherita, nè soltanto la sinistra ed il centrosinistra. Soltanto una sgradevole avarizia e una inguaribile vocazione minoritaria può indurre a pensare in questi termini. Venendo da Torino, non riesco a non pensare ad un riformismo che non sia il risultato del rapporto e della contaminazione delle culture socialiste, cattoliche e liberali.
Qualcuno può davvero pensare che il movimento che già attraversa il centrodestra e che è destinato ad accrescersi sia un fenomeno che non riguarda il centrosinistra e la stessa prospettiva dell'Ulivo? No; se vuole fornire all'Italia quel bipolarismo maturo che ne accresca le energie, ne migliori le performance e che sappia far diventare la politica una risorsa e non un handicap, il centrosinistra deve guardare oltre se stesso.
Si dice sempre, con tanti esempi e richiamando tante ragioni, che il fascismo ha colpito la sinistra; ma forse molto di più il fascismo italiano ha colpito la destra, impedendone per molti decenni un autonomo e significativo ruolo politico. La formazione anche in Italia di una moderna destra europea sarà uno dei punti importanti dell'agenda politica dei prossimi anni. Poiché le forze politiche non sono sistemi chiusi ed autosufficienti, con questo processo anche noi del centrosinistra dovremo fare i conti ed interagire. Anche così si difende e si sviluppa il bipolarismo.
Rasserenare la democrazia italiana è obiettivo più ambizioso di un semplice, anche se non disprezzabile, fair play istituzionale. Rasserenare la democrazia è una questione che non riguarda le élite politiche, che pure hanno grandi responsabilità, ma i cittadini italiani ed il loro rapporto con la politica. I primi destinatari del bipolarismo mite non sono gli avversari, ma i cittadini, per i quali più si alza il volume del suono ed il livello delle grida, più diminuisce la possibilità di capire e di partecipare.
Rasserenare la democrazia è la condizione affinché si possa rispondere alla domanda di serietà, di responsabilità, di sobrietà e di misura, così forte nel paese. Rasserenare la democrazia è la condizione affinché la ricerca del consenso non impedisca né a chi governa né a chi fa l'opposizione di pronunciare accanto alla parola «diritti» la parola «doveri».
Voi, come centrodestra, di fronte alla crisi del rapporto tra la politica e parti importanti della società italiana avete giocato con durezza la carta dell'antipolitica, ma non direi il vero se non rilevassi che questa tentazione non ha riguardato solo voi.
Rasserenare la democrazia è, quindi, una sfida a voi, ma è anche, in primo luogo, una sfida a noi stessi. È una condizione per combattere l'antipolitica e ristabilire una praticabilità del campo per la partecipazione dei cittadini.
Chi di noi non ha conosciuto l'entusiasmo della democrazia diretta per le primarie? Ma, accanto alle primarie, è necessario un solido tessuto di democrazia Pag. 95rappresentativa, della quale i partiti sono e resteranno i protagonisti essenziali. Su questo punto, il professor Giuliano Amato potrebbe rievocare per noi la lezione di Otto Kahn Freund. Ralf Gustav Dahrendorf intitolò un suo celebre libretto Quadrare il cerchio. Forse, allo stesso modo potrebbero essere riassunti i compiti che attendono il suo Governo: rispondere al bisogno di salario e di reddito e, al tempo stesso, ridurre il disavanzo pubblico ed accrescere la competitività; ridurre la precarietà, aumentare la sicurezza e, al tempo stesso, riconoscere il bisogno di flessibilità; ridurre le disuguaglianze e promuovere, al tempo stesso, la libera iniziativa degli individui.
Solo se usciamo dalla logica dei giochi a somma zero, solo se mettiamo in moto giochi a somma positiva, potremo riuscire a quadrare questo cerchio. E questo è il ruolo della politica e della democrazia, se riesce ad essere all'altezza delle sue tradizioni e delle sue promesse.
Buon lavoro, Presidente Prodi (Applausi dei deputati dei gruppi de l'Ulivo e di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea - Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Forlani, al quale ricordo che ha dieci minuti a disposizione. Ne ha facoltà.
ALESSANDRO FORLANI. Signor Presidente, onorevole Presidente del Consiglio, onorevoli colleghi, il Governo che si presenta a questa Assemblea per conseguirne la fiducia evidenza, fin nei suoi albori, condizioni di evidente precarietà e debolezza politica, non soltanto per gli aspetti ormai cronici di eterogeneità culturale tra le forze che costituiscono la coalizione di centrosinistra, più volte rilevati in questi anni dall'odierna opposizione, ma anche per il contesto in cui l'attuale maggioranza si è formata.
L'esito del voto di aprile ha evidenziato un sostanziale pareggio tra le due coalizioni contrapposte e questo significa, sul piano politico, che, in realtà, l'esecutivo appena costituito può ritenersi rappresentativo di una metà degli elettori e non rispondente all'orientamento espresso dall'altra metà. Noi, comunque, rispettiamo questo risultato e la legittimità di questo Governo e ci apprestiamo a concorrere con i nostri alleati allo svolgimento sereno del ruolo di opposizione; un'opposizione forte sul piano politico e parlamentare, soprattutto per il margine assai risicato che si rileva al Senato e che rende precaria la tenuta della maggioranza sui singoli provvedimenti di iniziativa governativa.
Ma un'opposizione forte, numericamente consistente, è anche investita da una pesante responsabilità di fronte al paese, allo stesso modo del Governo. È un'opposizione che può sensibilmente condizionare, in virtù degli strumenti regolamentari, l'attività legislativa ordinaria e l'azione della maggioranza. Ma, proprio per questo, le strategie della minoranza parlamentare devono, a mio giudizio, essere improntate al senso di responsabilità, ad una particolare attenzione alle esigenze, alle priorità del paese e alla tenuta istituzionale. Quindi, non un'opposizione barricadera e pregiudiziale, chiusa alla valutazione critica dei singoli provvedimenti proposti dal Governo e dalla maggioranza, ma un'opposizione attenta al merito dei problemi, ai contenuti delle proposte, alla diversa valenza dei provvedimenti.
Costante preoccupazione di tutti può ritenersi la possibilità di un intento demolitorio nei confronti di un'intensa e organica azione di riforma che ha caratterizzato la lunga fase del Governo di centrodestra nella scorsa legislatura, sotto la guida del Presidente Berlusconi: un periodo di grande travaglio sul piano internazionale, con riflessi particolarmente pesanti per un paese come il nostro, già gravato da croniche criticità (debito pubblico, la carenza di materie prime, la dipendenza da fonti energetiche molto costose); un periodo, tuttavia, in cui si è riusciti a garantire, per la prima volta, la governabilità e la stabilità di una medesima coalizione, di uno stesso primo ministro per un'intera legislatura, come ha Pag. 96riconosciuto, qualche giorno fa, anche il neo eletto Capo dello Stato, cui rivolgo il mio saluto in quest'occasione.
Si è anche riusciti, nella scorsa legislatura, a varare finalmente importanti riforme di settore in grado di concorrere alla crescita e alla modernizzazione del paese, di frenarne le spinte recessive, di garantire condizioni di maggiore equità sociale e di più equilibrata distribuzione del reddito. Si è intervenuti in diversi campi, dalla scuola al mercato del lavoro, dal fisco alla previdenza, dalla sicurezza all'immigrazione, dal diritto societario alle semplificazioni normative, dalla competitività alle politiche familiari. Su questi ed altri aspetti della nostra attività riformatrice siamo pronti a contrastare con fermezza e determinazione ogni iniziativa che tenda a snaturarne i contenuti o a stravolgerne l'impostazione.
Pur non condividendo la logica del muro contro muro, che ha così intensamente caratterizzato il confronto fra le due coalizioni nell'ultimo decennio, ed anzi auspicando che quanto meno su alcuni aspetti fondamentali si torni, prima o poi, a dialogare, difenderemo con estrema decisione le riforme già adottate nell'interesse del paese.
Sotto questo aspetto, già dalle sue parole, signor Presidente del Consiglio, si avvertono dei segnali che, almeno a mio avviso, sono preoccupanti. In particolare, il suo giudizio sulla legge n. 30, del 2003 la cosiddetta legge Biagi, rispecchia quello delle componenti estreme della sinistra e della CGIL, quasi debba ritenersi la riforma stessa, e non la particolare congiuntura economica, la causa scatenante della precarietà occupazionale. Tale legge ha rappresentato, viceversa, un rimedio in grado di offrire prospettive di lavoro, anche a termine, anche flessibile, ma con le adeguate garanzie e tutele e in condizioni di trasparenza, a giovani o meno giovani che in questa fase sarebbero stati altrimenti condannati alla cronica disoccupazione oppure al lavoro sommerso.
Così come siamo preoccupati per le sorti della riforma scolastica dell'ex ministro Moratti, dopo avere ascoltato i propositi enunciati in ordine all'istruzione. Ritengo si tratti di una riforma che ha adeguato il nostro sistema alle sfide del nostro tempo e della globalizzazione, nonché alle rinnovate esigenze del mercato del lavoro. Tra l'altro, nelle dichiarazioni programmatiche, si è qualificata come sbagliata la pretesa liquidazione della formazione tecnico-professionale, quando invece la ratio della riforma è stata proprio quella di qualificare ulteriormente quel canale di istruzione, elevandolo ai livelli dell'istruzione tecnica tradizionale, proprio ai fini di quella valorizzazione la cui necessità viene invece segnalata ed auspicata nelle dichiarazioni programmatiche.
Rispetto poi ad un'altra importante riforma della scorsa legislatura, la cosiddetta Bossi-Fini (la riforma del testo unico sull'immigrazione), che il Presidente del Consiglio bolla nelle sue dichiarazioni programmatiche come demagogica ed inefficace, penso che essa abbia il merito di aver sancito il principio che vincola l'accesso al nostro territorio al contratto di lavoro, per favorire condizioni di vita autosufficienti e dignitose per gli immigrati e per tenere sotto controllo il fenomeno anche sotto il profilo della sicurezza. Si possono certo rivedere taluni aspetti, alla luce dell'esperienza e del monitoraggio, in un settore così delicato e in costante evoluzione; tuttavia, il principio deve essere comunque salvaguardato.
Ho ricordato solo alcune delle riforme di civiltà che potrebbero essere soppresse o stravolte sotto la spinta di culture massimaliste, il cui peso è cresciuto nell'ambito de L'Unione dopo queste elezioni. Verso questi intenti di liquidazione dei frutti di un'intensa e produttiva stagione di Governo appena terminata noi dispiegheremo un costante impegno di resistenza e di contrasto parlamentare, in coerenza con le nostre convenzioni e nel pieno rispetto di quelle dei nostri elettori.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Picano, al quale ricordo che ha 12 minuti a disposizione. Ne ha facoltà.
ANGELO PICANO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il discorso programmatico Pag. 97del Presidente del Consiglio si propone di portare l'Italia a ritrovarsi ad essere un paese normale ed unito. Per paese normale egli intende la dialettica politica come momento di confronto delle idee e dei programmi, e non come occasione di lacerazione della comunità nazionale. Egli è cosciente della stabilità del nostro sistema, che ha retto di fronte a tante spinte disgregatrici, dal terrorismo ai momenti di ristrutturazione del nostro sistema produttivo, alle gravi crisi della finanza pubblica.
Le sfide del XXI secolo, però, sono tante e l'Italia fa fatica ad affrontarle. La prima difficoltà che il paese ha incontrato è quella dei necessari aggiornamenti della Costituzione, necessitati dalle rapide evoluzioni del contesto socio-economico nazionale ed internazionale.
La Costituzione non è una legge come le altre, ma costituisce la base e l'appoggio indispensabile di ogni legge e di ogni indirizzo politico, la cui discrezionalità è, appunto, segnata dai confini della Costituzione stessa. Soprattutto in un sistema di tipo democratico, seppure idealmente considerato nella Costituzione, dovrebbero riflettersi il costume più profondo e stabile di una collettività, la sua identità e i suoi valori più durevoli, quelli cioè destinati ad accompagnare la trasformazione stessa della società. Perciò, il consenso di tipo costituzionale, divenuto problematico per il cedimento dei tradizionali collanti sociali, esige nella società e nelle istituzioni, oggi più che mai, ampi processi dialogici e mediativi e, dunque, una sfera pubblica largamente partecipata ed orientata alla sintesi.
La revisione costituzionale, che nel novembre 2005 è stata approvata in via definitiva dal Parlamento a stretta maggioranza governativa, è ora attesa da un referendum popolare confermativo, ultima tappa prima dell'entrata in vigore e, insieme, ultima occasione disponibile per fermarla. Tale revisione non è riconducibile ad uno scontro tra destra e sinistra, ma chiama in causa il futuro dell'idea stessa di Costituzione e, con essa, la condizione di pensabilità di una democrazia che non sia meramente formale.
Al di là delle scelte di merito, il testo è stato approvato al di fuori di ogni dialogo e, quindi, con chiusura verso ogni logica mediativa. L'attuale revisione costituzionale è stata giocata su equilibri interni alla maggioranza e si compone di istanze, spesso prive di coerenza logica, portate avanti dalle singole forze partitiche nell'alleanza di Governo. È chiaro che, in un sistema così fragile di equilibri, tutti interni alla maggioranza, ogni cedimento all'opposizione avrebbe comportato lo scardinamento della costruzione e con essa, probabilmente, dell'alleanza di Governo. In questo modo, però, tutto il costituzionalismo che, in ultima analisi, è tecnica di contenimento del potere, risulta ignorato e si prepara un'instabilità costituzionale, con la Costituzione coinvolta nel gioco delle rappresaglie tra coalizioni che si alternano al Governo.
Per questi motivi, siamo contrari alle modifiche apportate alla Costituzione dalla vecchia maggioranza di centrodestra e ci comporteremo di conseguenza al prossimo referendum, sulle linee indicate dal Presidente del Consiglio.
Durante un suo discorso, il Presidente Ciampi, in ricordo del giudice Livatino, ebbe ad affermare che la giustizia è il valore fondante di ogni Costituzione democratica. Le parole del Presidente condensano in modo mirabile i concetti basilari della Costituzione che, con l'adesione più totale al principio della separazione dei poteri, è volta a garantire la vita stessa dello Stato mediante un giusto equilibrio di tutte le sue componenti. Infatti, le migliori democrazie hanno i migliori sistemi giudiziari. Anche la contesa sui voti deve essere risolta da corti di giustizia, e l'efficienza del sistema economico dipende dalla rapida e chiara definizione dei rapporti controversi di debito e credito di esecuzione dei contratti, e così via.
La giustizia ha patito moltissimo il durissimo conflitto nella quale è stata coinvolta negli ultimi anni. Per questo motivo, abbiamo molto apprezzato lo spirito Pag. 98di ricostruzione dell'armonia dei poteri dello Stato enunciato dal Presidente Prodi, segnando così la fine della guerra fredda con i magistrati. È possibile oggi sperare che le importanti e necessarie riforme siano ottenute con spirito collaborativo tra tutte le forze politiche e con assoluta attenzione a chi da tempo sostiene che non è ancora superata l'emergenza criminale degli scorsi decenni e che è primariamente necessaria una legislazione rispettosa dei diritti di tutti.
La giustizia, già lenta per una pessima consuetudine mai energicamente combattuta, è stata ultimamente posta in ulteriore difficoltà anche dall'alluvione delle leggi che hanno continuamente mutato le carte, spesso senza una visione organica e non raramente per fini di utilità dei governanti anziché dei cittadini. È necessario perciò agire per modificare le norme di riforma dell'ordinamento giudiziario che mettono a rischio l'indipendenza della magistratura.
È auspicabile, per la chiarezza politica, che si eliminino le leggi approvate per interessi personali, ma occorre nello stesso tempo sfoltire la pletora di disposizioni che generano incertezze in ogni settore, modificare il processo civile, ricorrendo alle competenze che l'università e le professioni possiedono, riordinare i riti alternativi del processo penale, ormai sfuggiti ad una concezione ordinata e ed organica. Nella chiarezza dei programmi e delle linee di indirizzo della maggioranza, la giustizia deve riacquistare efficienza, rapidità, quindi credibilità, nell'interesse del paese. Con questo spirito, ci auguriamo un atto di clemenza che possa sfoltire le carceri e funzionare da segnale di pacificazione sociale.
Abbiamo apprezzato le prime mosse del ministro Mastella, tese a riportare la fiducia dei cittadini nei confronti della giustizia e quella degli operatori di giustizia nei confronti del Governo.
La dichiarazione dell'onorevole Prodi che il Governo intende mettere la famiglia al centro della propria azione nella sfera sociale trova completamente d'accordo l'Udeur. Abbiamo apprezzato i provvedimenti annunciati dal Presidente del Consiglio; noi, come lui, siamo convinti che il problema della famiglia meriti decisamente una assoluta priorità. La politica sembra spesso ignorare questa esigenza, perché continua a far riferimento agli individui, come se l'Italia fosse popolata da single e, non soprattutto, da mariti e mogli, da figli e figlie.
In questa luce, vanno ripensate le modalità di lavoro, l'organizzazione dei servizi, gli orari dei negozi, la struttura stessa della città. È necessario, pertanto, ripensare la politica urbanistica. Negli anni del secondo dopoguerra abbiamo visto affermarsi una concezione massificante e classista della struttura cittadina, per cui i quartieri sono stati progettati per censo: quelli poveri fatti di grandi casermoni senza servizi e quelli ricchi provvisti di tutte le comodità. Ne è venuta fuori una costante frustrazione, specialmente nei giovani abitanti dei ghetti popolari, e spesso è scoppiata la rivolta. L'esplosione dei giovani delle banlieue francesi ne è un esempio.
Bisogna perciò adottare una concezione urbanistica che tenga conto dei quartieri come sedi di una comunità umana, nei quali vanno incoraggiati e resi possibili il dialogo e l'integrazione. Tutti i cittadini devono sentirsi di pari diritto e con le stesse opportunità. In questo modo, daremo un contributo alla costruzione di città belle ed interclassiste, che manterranno gli equilibri sociali e toglieranno la terra sotto i piedi ai violenti.
Le dichiarazioni del ministro Bindi sulle coppie di fatto ci inducono a ricordare che su questa materia non c'è vincolo di coalizione. Perciò, noi Popolari-Udeur esamineremo le varie proposte presenti in Commissione per dare una regolamentazione alle coppie di fatto, a condizione che non siano equiparate al matrimonio, così come previsto dalla Costituzione.
Come è necessario integrare i diversi strati sociali all'interno della città, così si impone la ricerca costante dell'unità nazionale attorno a progetti di sviluppo che coinvolgano tutte le aree del paese. L'idea del Mezzogiorno esposta dal Presidente del Pag. 99Consiglio ridà a quest'area un ruolo geopolitico da protagonista, quale ebbe qualche millennio fa al tempo della Magna Grecia e di Roma. Un ponte tra il sud e l'est del mondo con il nord Europa ha bisogno di infrastrutture, quali porti, strade, ferrovie, ma soprattutto di reti di telecomunicazione. La banda larga deve arrivare dappertutto, anche nei comuni più piccoli, perché in questo modo permettiamo a tutti i giovani, a tutte le famiglie, a tutte le imprese, di uscire dall'isolamento e di collegarsi con il mondo. Le tecnologie dell'informazione costituiscono una delle più grandi svolte della storia dell'umanità, perché coinvolgono e sconvolgono, in termini di estensione e di profondità, tutti i campi delle attività umane.
Signor Presidente, una particolare attenzione va data in questa prospettiva alle piccole e medie aziende del Mezzogiorno, come pure a quelle aree del sud del Lazio escluse ex abrupto, nel 1994, dall'«area Cassa», con la conseguenza che abbiamo dovuto assistere ad una graduale, ma costante deindustrializzazione, che ha provocato molti disagi, ma anche molta disoccupazione.
Signor Presidente del Consiglio, le sfide che attendono il Governo sono tante, ma lei già nel passato ha dato prova di saper governare le difficoltà. Siamo sicuri che anche questa volta saprà dimostrare rispetto per le istituzioni, capacità di governo dell'economia, solidarietà nei confronti dei più deboli e impegno per una politica di pace. In questo cammino avrà il completo appoggio dei parlamentari Popolari-Udeur (Applausi dei deputati del gruppo Popolari-Udeur).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Romani, al quale ricordo che dispone di dieci minuti. Ne ha facoltà.
PAOLO ROMANI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il Governo che si presenta all'esame di questa Assemblea nasce debolissimo: gli elettori gli hanno negato una maggioranza al Senato e concesso una maggioranza esigua e risibile alla Camera. Anzi, il corpo elettorale nel suo complesso, signor Presidente del Consiglio, le ha negato la maggioranza dei voti.
Tralascio le sospette differenze del numero di schede bianche tra Camera e Senato; faccio finta di dimenticare l'improvvisa e, ancora una volta, sospetta diminuzione delle schede bianche tra le elezioni del 2006 e quelle del 2001; mi auguro solo che alle Giunte delle elezioni delle due Camere sia data la possibilità di riesaminare voti, schede e somme dei verbali, per garantire ai cittadini italiani, soprattutto a quel 50 per cento degli italiani che non vi ha votato, che l'attuale maggioranza formale non abbia usurpato la vittoria che oggi vi consente di governare.
Se lei, signor Presidente, dispone, oggi, di una maggioranza, ad esempio al Senato, questo è il risultato di un sistema elettorale che ha mescolato il privilegio dato alle regioni più piccole con il risultato degli eletti all'estero. Piccolo particolare: i cittadini residenti all'estero che vi hanno votato vengono premiati oggi con la soppressione del Ministero per gli italiani nel mondo!
A tutto ciò aggiungasi che ci troviamo in una situazione nella quale risulta sempre più decisivo il ruolo dei senatori a vita, i quali non hanno dietro di loro una legittimazione democratica.
Ora lei, signor Presidente, che può contare su una maggioranza formale così esile nelle due Camere - anzi, in questa Camera, su una maggioranza più forte soltanto perché con 24 mila voti ha preso 63 deputati in più, uno ogni 400 elettori -, lei, signor Presidente, che rappresenta un Governo che è minoranza nel paese e nel corpo elettorale, avrebbe dovuto fare qualcosa di diverso: avrebbe potuto e dovuto riconoscere che il paese è spaccato e che il risultato che ha conseguito non è stato un chiaro risultato elettorale; e avrebbe potuto e dovuto prendere atto della sua debolezza e chiamare, responsabilmente, tutte le forze politiche intorno al tavolo, per decidere come tirare il paese fuori da una situazione così difficile.Pag. 100
Lei, invece, signor Presidente, ha deciso di fare una cosa diversa: ha deciso di mettere in pratica le 281 pagine del suo programma elettorale; ha deciso di portare al Governo forze e personalità politiche così diverse e disparate che già nei primi giorni dal giuramento hanno fatto una quantità incredibile di dichiarazioni tutte in contraddizione fra di loro!
Le faccio solamente alcuni esempi. Il professor Prodi ha parlato della volontà, per quanto riguarda l'azione del suo Governo, di un forte - cito - e costante impegno nella lotta al terrorismo internazionale. Nella politica globale per la lotta al terrorismo - ha ancora detto Prodi - noi saremo partecipi convinti con i nostri valori e le nostre risorse. Peccato che vi stiate preparando a fuggire a gambe levate dell'Iraq, anche se il suo ministro degli esteri, D'Alema, ha avuto la spudoratezza di dire che l'Italia non scappa. Ma, intanto, tutti sembrano d'accordo nel volere il ritiro immediato delle truppe.
Ma non c'è solo il problema della nostra presenza in Iraq. Parliamo anche di Afghanistan. Cito: «ormai, dopo gli ultimi gravi fatti di sangue, ciò che accade a Kabul non è più solo un problema di Rifondazione». Parla così Patrizia Sentinelli, sottosegretario agli esteri e viceministro per la cooperazione allo sviluppo. Secondo la parlamentare di Rifondazione comunista, Prodi - cito sempre - dovrà occuparsi con urgenza dell'Afghanistan e si dovrà affrontare il problema della presenza italiana in Afghanistan. Come se il sacrificio di tanti nostri soldati e lo straordinario lavoro umanitario svolto in questi anni non abbiano avuto alcun significato!
Sulle grandi opere, sulla TAV in particolare, il ministro delle infrastrutture, Di Pietro, ha già tentato - invano - di aprire un dialogo; quindi, se non altro, ha tentato una posizione che non fosse irresponsabilmente di chiusura. Peccato che il sottosegretario all'economia Cento e la già citata collega Sentinelli abbiano già detto chiaramente che la TAV non si farà! Stessa sorte per il ponte sullo stretto di Messina, sul quale il ministro dei trasporti, titolare di un ministero tutto ancora da costruire, il professor Bianchi, ha già detto che si tratta di un'opera dannosa ed inutile, in polemica, anche in questo caso, con il ministro delle infrastrutture Di Pietro.
Anche sulla droga la posizione del ministro Ferrero di Rifondazione comunista è chiara: «La prima cosa sarà quella di abrogare la legge Fini-Giovanardi», non ricordando che l'attuale normativa è in perfetta sintonia con l'indicazione delle Nazioni Unite e con la politica antidroga della stragrande maggioranza dei paesi europei.
Ma il colmo lo raggiungiamo sulla legge Bossi-Fini. È sempre il ministro comunista Paolo Ferrero che chiarisce la sua posizione: «Sulla Bossi-Fini do un giudizio negativo: di fatto è impossibile entrare legalmente nel nostro paese e, quindi, occorre dare un permesso di soggiorno per la ricerca di un posto di lavoro della durata di un anno», dice a tutti i clandestini che sono oggi presenti e che sicuramente in futuro si riverseranno in massa nel nostro paese. Ovviamente, nel frattempo, sempre secondo il ministro comunista al welfare, si dovranno abolire i centri di permanenza (CPT).
Morale: stiamo comunicando ai paesi che si affacciano sul Mediterraneo e all'Europa che l'ingresso nel nostro paese è libero per tutti e che chiunque può acquisire un permesso di soggiorno senza l'obbligo di garantire il rispetto delle regole che il nostro paese si è dato e che, a questo punto, valgono solo per i cittadini italiani.
Tralascio per amore e carità di patria l'incredibile ed avvilente polemica sulla parata militare del 2 giugno. Se una parte importante di questa maggioranza ritiene inopportuno l'omaggio alle nostre Forze armate, che da anni si celebra in occasione della festa della Repubblica, non so proprio dove andremo a finire.
Prima di concludere, vorrei fornire una risposta doverosa al neoministro delle comunicazioni Paolo Gentiloni, il quale, in un'intervista pubblicata oggi su la Repubblica, ha dichiarato «morta» la legge Gasparri. Volevo solamente ricordarle, signor Pag. 101ministro - leggerà poi il resoconto -, che, per quanto riguarda il digitale terrestre, nei due anni di applicazione delle misure contenute nella legge l'Italia ha recuperato tutti i ritardi rispetto agli altri paesi europei e, dopo la Gran Bretagna, è il paese europeo in cui il digitale è maggiormente diffuso (4 milioni di decoder, con una penetrazione del 20 per cento). La data del 2008, data dello swicht off, è ancora quella maggiormente all'avanguardia in Europa e molti paesi si stanno allineando alla scadenza e all'esperienza italiana.
Inoltre, proprio grazie alla razionalizzazione delle frequenze seguita dal digitale, l'Italia è il primo paese europeo che avvierà il servizio di DVB-H sulla televisione mobile, ed anche questo è un primato che viene studiato all'estero.
Il digitale è la grande opportunità per il nostro paese. Sono già diffusi nazionalmente 28 canali - forse non tutti lo sanno - che fanno capo a sette editori diversi (RAI, Mediaset, Telecom, Sport Italia, Il Sole 24 ore, BBC, Class Editori) e, proprio per la legge Gasparri tanto vituperata, nel settore televisivo è inoltre entrato il gruppo L'Espresso, cosa che fino a ieri non si poteva realizzare. Infine, grazie alla legge Gasparri, per la prima volta la RAI è divenuta un'istituzione bipartisan con l'elezione del presidente a maggioranza dei due terzi. Non solo, sempre la legge Gasparri ha istituito la contabilità separata, introducendo i meccanismi per individuare l'utilizzazione delle risorse da canone da quelle commerciali. Penso che avremo tempo per discuterne in modo più approfondito, viste anche le cose che ha detto oggi il ministro Gentiloni.
Signor Presidente del Consiglio, non so se andrete molto lontano. So solo che la sinistra radicale è il pilastro fondamentale della vostra maggioranza e vi procurerà non pochi problemi. Noi faremo un'opposizione dura ed intransigente, nel segno della rappresentanza e in nome di quel 50 per cento e più di cittadini italiani che non vi ha votato, che non ha creduto nelle vostre promesse e che è preoccupato per il futuro dell'Italia (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e della Democrazia Cristiana-Partito Socialista).
PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Musi, iscritto a parlare; si intende che vi abbia rinunziato.
È iscritto a parlare l'onorevole Li Causi, al quale ricordo che ha dieci minuti di tempo a disposizione. Ne ha facoltà.
VITO LI CAUSI. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, onorevoli ministri, onorevoli colleghe e colleghi, condivido pienamente l'attenzione che il Presidente Prodi, nelle sue dichiarazioni programmatiche, ha riservato alle questioni economiche e sociali del nostro paese, in particolare a quelle del Mezzogiorno, consapevole che lo sviluppo della Sicilia - che io ho l'onore di rappresentare - passi non nell'avere quattro ministeri o sessantuno deputati a zero, bensì nella necessità di un progetto che non si inventa, ma si vive, e che venga condiviso dall'intera nazione.
La Sicilia e il Mezzogiorno, infatti, hanno bisogno di quelle risorse finanziarie che, sino ad oggi, sono state limitate. In Sicilia occorrono grandi investimenti infrastrutturali nei porti, negli interporti, nelle strade e nelle reti ferroviarie. Si tratta di opere pubbliche che attribuirebbero al meridione un ruolo centrale in tutta la regione del Mediterraneo, la quale, negli anni a venire, diverrà area di libero scambio. Sono infrastrutture che agevolerebbero anche il circuito turistico, nonché tutte le attività legate alla valorizzazione del suo consistente patrimonio artistico, paesaggistico e culturale. Lo sviluppo del territorio siciliano creerebbe opportunità di lavoro tali da non costringere più i nostri giovani a lasciare la propria terra: a quel punto, signor Presidente, allora sì che saremmo favorevoli alla realizzazione del ponte sullo stretto di Messina!
È necessario, altresì, elaborare un provvedimento che alleggerisca l'attuale, insostenibile situazione delle carceri e che riattribuisca alla esecuzione della pena quello scopo rieducativo che gli è proprio, il quale costituisce un principio cardine Pag. 102del nostro ordinamento. Come non ricordare, a tale riguardo, l'accorato appello del nostro amato Papa Giovanni Paolo II, il quale, in occasione della sua visita al Parlamento, ritenne opportuno rilevare come la politica non avesse fatto nulla e come bisognasse accelerare i tempi e dare un segnale concreto. Si tratta di un segnale che ritengo debba essere lanciato all'inizio di questa XV legislatura.
La maggioranza si è prefissata di perseguire una coesione istituzionale. Bisogna restituire fiducia alla magistratura e concedergli serenità, nel pieno rispetto dell'autonomia del potere giudiziario, così come il medesimo rispetto deve essere garantito alla classe politica nell'esercizio delle sue funzioni. Questo Governo si è prefissato, altresì, l'obiettivo di perseguire la coesione sociale, dandosi obiettivi di pace e lavoro per tutto il nostro paese.
Concludo, signor Presidente del Consiglio, assicurandole che noi deputati del gruppo Popolari-Udeur daremo il nostro pieno appoggio parlamentare, nonché il nostro impegno, affinché il Mezzogiorno d'Italia ed il paese intero trovino una guida ferma nel suo Governo (Applausi dei deputati del gruppo dei Popolari-Udeur).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Santelli, alla quale ricordo che ha quattro minuti di tempo a disposizione. Ne ha facoltà.
JOLE SANTELLI. Signor Presidente del Consiglio, all'indomani di una vittoria quanto mai risicata - è da vedere poi, in sede di Giunta delle elezioni, se sia effettivamente veritiera -, ci si poteva immaginare da lei un comportamento ben diverso, vale a dire ben più istituzionale. Al contrario - immagino come per una sorta di rivincita verso non solo la Casa delle libertà, ma anche quella maggioranza degli italiani che non l'hanno votata -, avete compiuto una brutale occupazione del potere.
Vede, per cinque anni abbiamo ascoltato le vostre invettive: ci avete accusato di arroganza, di occupazione del potere e di non considerare l'opposizione. Ammettiamo con umiltà che, in questa materia, noi eravamo dei «pivellini», mentre voi vi siete dimostrati dei professori universitari!
Avete occupato non solo tutto ciò che vi era da occupare per quanto concerne l'esecutivo, ma anche le cariche istituzionali; almeno, però - poiché vi eravate attribuiti l'appellativo di maestri della politica -, potevate evitarci lo scempio dei Francesco Marini al Senato, oppure la raccomandazione - ben poco istituzionale e precedente all'elezione del Presidente della Repubblica - di far presidiare il Colle da un democratico di sinistra, affinché il primo partito della coalizione non fosse escluso, evitando così ripercussioni sul suo Governo.
In seguito, siete arrivati alla formazione del Governo, e lì vi sono stati ulteriori passi falsi, a cominciare dal primo momento istituzionale che il suo Governo ha vissuto: il giuramento. Hanno giurato ministri di ministeri esistenti, hanno giurato ministri di ministeri che per la legge italiana non esistevano. Poi, avete continuato e mi dispiace soltanto che vi siate fermati a quota 99. Bastava un piccolo sforzo ed eravate a 100, forse a 101; mi auguro soltanto che non siano veritiere le voci giornalistiche secondo cui vi stareste apprestando a nominare un'altra manciata di sottosegretari per accontentare qualche parte particolarmente ingorda della maggioranza che ella presiede.
In più, signor Presidente del Consiglio dei ministri, lei che ci ha richiamato alla serietà, alla sobrietà dei costi della politica, lei che è venuto qui a dirci di limitare le prebende e le auto blu, non so quanto ha considerato il fatto che non vi siete ancora nemmeno insediati a Palazzo Chigi: infatti, se il suo Governo avrà la ventura di durare almeno un anno, costerà a questo paese 15 milioni di euro, e ciò solo per essere entrati!
Ma, vede, oltre alla cifra del potere, mi pare che il suo Governo si caratterizzi anche per essere «contro»: non solo contro tutto quello che ha fatto il Governo Berlusconi - ciò sarebbe legittimo, anche se estremista (siete contro la riforma Moratti, la riforma della giustizia, la riforma Pag. 103del lavoro, la riforma economica) -, ma anche contro l'operato del primo Governo Prodi, e questo è assolutamente avvilente. I suoi ministri contestano il cosiddetto pacchetto Treu, la legge Turco-Napolitano, chiedono la chiusura dei CPT e hanno azzerato - assieme a lei, poiché autore delle nomine - la legge Bassanini. Noi, che facevamo parte di un altro Governo, l'abbiamo dovuta accettare mentre lei, appena arrivato, ha giustamente azzerato una delle riforme principali del suo precedente Governo.
PRESIDENTE. Onorevole Santelli, si avvii a concludere.
JOLE SANTELLI. Concludo rapidamente, rilevando che questa è sicuramente una maggioranza eterogenea. Lei, Presidente Prodi, continua a nascondersi dietro un poderoso - in termini numerici - programma elettorale. Purtroppo, la realtà è diversa e arriverà alle porte. Credo che dovreste fare - se il programma elettorale è usato come il Vangelo - una particolare ricerca ermeneutica per trovare una maggioranza che sosterrà questo Governo (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Zeller. Ne ha facoltà.
KARL ZELLER. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio dei ministri, onorevoli colleghi e colleghe, la SVP ha ascoltato con grande interesse le dichiarazioni programmatiche del Presidente Prodi; esse sono in linea con il programma elettorale della coalizione, condiviso anche dal nostro partito.
Vorrei ricordare all'Assemblea che la decisione di schierarci non era facile per noi, che stiamo storicamente al di fuori dei due blocchi. La SVP non è mai stata e non sarà mai un partito di sinistra poiché, come partito di raccolta delle minoranze linguistiche tedesche e ladine, rappresenta un classico partito di centro. Tanti dei nostri elettori avrebbero preferito una «non scelta» e, quindi, una posizione equidistante tra i due blocchi; però, l'attuale sistema bipolare, imposto anche dalla vigente legge elettorale, non consente una tale scelta, se non al prezzo di essere fortemente penalizzati in termini di rappresentanza politica in Parlamento.
Determinante per la nostra scelta era la personalità del Presidente Prodi, che anche in passato aveva dimostrato di essere un grande amico della nostra terra, delle autonomie speciali e delle minoranze linguistiche, e che ci ha dato ampie garanzie per lo sviluppo dinamico della nostra autonomia.
L'alleanza con le forze del centrosinistra non significa, comunque, che la SVP diventi una parte organica de L'Unione o dell'Ulivo: restiamo un partito di centro con la propria autonomia e indipendenza, sebbene facente parte della coalizione di centrosinistra. Cercheremo, quindi, di rafforzare l'anima centrista della coalizione. Non neghiamo di non essere riusciti a convincere tutto il nostro elettorato della bontà di questa alleanza di cui fanno parte anche i partiti che si ispirano all'ideologia comunista. I nostri elettori si sono, almeno in parte, fatti disorientare dalla campagna di Berlusconi, che dipingeva tutti coloro che non sono e non erano con lui come comunisti. Abbiamo pagato un prezzo politico non indifferente in termini di voti. Il nostro comune impegno deve essere, quindi, quello di recuperare la fiducia dell'elettorato moderato, e ciò non potrà avvenire con belle parole, ma attraverso fatti concreti.
Siamo convinti che con questo Governo saranno finalmente finiti i tempi delle leggi una tantum, dei condoni e dei provvedimenti ad personam e, sicuramente, saranno da revisionare alcune leggi del precedente Governo. Ma siamo assolutamente contrari alla cancellazione indiscriminata di tutto quanto si è fatto. Ciò vale per la legge Biagi, per la legge Bossi-Fini, ma anche per una parte della cosiddetta devolution. Il mondo del lavoro ha sicuramente bisogno di più flessibilità e la precarietà non va combattuta con imposizioni, Pag. 104ma con incentivi per le imprese che decidono di stabilizzare i rapporti di lavoro.
Siamo per una politica sull'immigrazione rigorosa e coerente, che garantisca ai lavoratori extracomunitari una vita dignitosa; ma riteniamo che sia giusto richiedere loro, altresì, il rispetto delle sensibilità, delle tradizioni e dei costumi della popolazione locale.
In ordine alla riforma costituzionale, bisogna riconoscere che, con un voto trasversale, sono stati recepiti i nostri emendamenti a salvaguardia delle autonomie speciali; in particolare, il principio che modifiche statutarie possano avvenire solo di intesa tra Parlamento e assemblee regionali e provinciali. Queste guarentigie devono, comunque, trovare ingresso nella Carta costituzionale, indipendentemente dall'esito del referendum di giugno.
Ma la vera sfida di questo Governo sarà la politica economica e fiscale. Il Governo Berlusconi ci ha lasciato una pesante eredità con un debito pubblico e un deficit alle stelle. Siamo convinti che la via giusta non siano riduzioni fiscali per guadagnarsi facili consensi, ma la riconquista della competitività; il che non sarà possibile senza una significativa riduzione del costo del lavoro. Condividiamo, quindi, l'obiettivo del Governo di tagliare di cinque punti il costo del lavoro da finanziare con la crescita e con i tagli, e certamente non con aumenti della pressione fiscale per le imprese. Ricordo che le tasse sulle rendite finanziarie in Italia sono inferiori di 8 punti rispetto alla media europea.
Condividiamo e siamo, inoltre, convinti che il Governo Prodi farà ripartire il motore dell'autonomia dinamica, eliminando la situazione di stallo degli ultimi cinque anni.
PRESIDENTE. Onorevole Zeller...
KARL ZELLER. Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.
PRESIDENTE. Onorevole Zeller, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
KARL ZELLER. Auguro, quindi, un buon lavoro al Presidente Prodi. In futuro saremo partner leali (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Minoranze linguistiche, de L' Ulivo e dei Popolari-Udeur)!
PRESIDENTE. Il seguito della discussione è rinviato alla seduta di domani.