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INTERVENTI DEI DEPUTATI FEDERICO PALOMBA E DANIELE FARINA IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL DISEGNO DI LEGGE DI CONVERSIONE N. 1838.
FEDERICO PALOMBA. Sotto l'onda emotiva dello scandalo Telecom sui tabulati e gli spionaggi, il Governo ha emesso un decreto-legge, approvato con vistosemodifiche al Senato. Raramente un provvedimento è stato, come questo, frutto di un accordo condiviso tra i poli, tanto all'atto della sua emanazione, quanto nel testo votato all'unanimità dai senatori con la sola eccezione della Lega.
Nell'intenzione dei proponenti, il provvedimento si proponeva di tutelare la privacy dei cittadini ingiustamente colpiti da intercettazioni illecite (cioè non autorizzate da chicchessia) o dall'uso di atti e documento, come tabulati e strumenti informatici, attinenti a forme di spionaggio illegale. L'intento è lodevole. Quanto è venuto fuori ed è oggi alla nostra attenzione, invece, è cosa diversa, se non divergente, da quell'obiettivo. Il testo licenziato dal Senato, infatti, non appaga la mia coscienza di giurista, di deputato, di cittadino, per le vistose incongruenze contenute nella formulazione arrivata alla conoscenza della Camera dei Deputati.
Le prime riserve riguardano il procedimento. Ho profonde riserve nei confronti del procedimento delineato! Se è giusto che debba essere il giudice, e non il pubblico ministero da solo, a distruggere i documenti, tutto il resto, e cioè la concreta costruzione dell'iter procedimentale, non è altrettanto accettabile. Dirò qui alcune delle principali ragioni.
1o) Il procedimento è esso stesso potenzialmente moltiplicatore di violazioni della privacy e di diffusione di notizie che si volevano, invece, tenere segrete, attraverso la distruzione degli atti e la punizione della semplice detenzione dei documenti da distruggere. Infatti, l'avviso alle parti interessate a comparire all'udienza è evidentemente finalizzato a portarle a conoscenza dell'accaduto. Ma poiché la cognizione degli atti non è limitata espressamente soltanto agli aspetti che singolarmente concernono ciascuna persona interessata, si ha la conseguenza che ognuna di esse potrebbe potenzialmente venire a sapere ciò che riguarda tutti gli altri: se l'intercettazione è illegale, la conoscenza del fatto illegale è resa legale proprio dal processo che la vuole evitare. Pag. 102
2o) La distruzione del materiale non è subordinata al consenso della parte interessata cui esso fa riferimento. Ma questa potrebbe scegliere di esercitare un'azione civile risarcitoria contro l'autore delle intercettazioni illegittime. Nella situazione descritta, non avendo essa facoltà di opporsi, con la distruzione essa si vede eliminata la prova dell'illecito. Sarebbe stato giusto, invece, consentirle di opporsi e di estrarre copia autentica degli atti comprovanti l'illecito al fine di produrli nella causa civile.
3o) Non sono previste tante udienze separate (anche se in rapida successione) quante sono le parti interessate per quanto concerne ciascuna di esse, o anche un'unica udienza suddivisa per ogni parte singolarmente Si disegna, invece, un'unica udienza «monstrum» per il caso in cui vi sia un gran numero di persone interessate, ciascuna delle quali saprebbe tutto di tutti.
Oltre queste principali riserve, che definirei di sistema, ne ho di profonde - in questo caso, più tecniche - nei confronti degli aspetti incriminatori, sia per le imperfezioni dell'articolo 3, sia perché esso andrebbe integrato con altre fattispecie riflettenti altrettanti illeciti ivi non previsti, ma parimenti importanti. Così come è inaccettabile che la sanzione pecuniaria a titolo di riparazione nei confronti del giornale che ha pubblicato notizie destinate a rimanere riservate sia commisurata al numero delle copie stampate e non di quelle vendute (dalle quali emerge l'entità effettiva del danno). Ritengo, inoltre, fondate le osservazioni dell'Unione delle Camere Penali, che motivatamente ha espresso serie obiezioni alla conversione del decreto, invitando alla legiferazione in via ordinaria all'interno delle complessive disposizioni sulle intercettazioni all'esame della Commissione giustizia.
In questa situazione ho presentato 15 emendamenti alla stessa Commissione nell'intento di porre rimedio alle più vistose incongruenze presenti nel testo venuto all'esame.
Sono consapevole che quanto finora detto avrebbe rappresentato la motivazione di una decisione contraria alla conversione del decreto nella sua attuale formulazione. E, tuttavia, la determinazione di ritirare i propri emendamenti, espressa dagli altri gruppi della maggioranza, ha costretto a rivedere questa eventualità. Ne ho parlato nel gruppo, ove è emersa l'ineluttabilità di restare legati al vincolo di coalizione per esigenze superiori. Perciò ho deciso di ritirare gli emendamenti. Ma alcune considerazioni, d'accordo col gruppo di Italia dei Valori, debbo farle.
In primo luogo, non capiamo le ragioni del ricorso al vincolo di maggioranza. Infatti, il Governo è al di fuori della vicenda politica che riguarda questo decreto-legge, avendo ottenuto l'accordo dei gruppi di maggioranza e di opposizione. E se la situazione è cambiata, nel senso che il procuratore della repubblica di Milano ha dichiarato che non vi sono intercettazioni illegali nell'indagine che esso sta conducendo sul caso Telecom, l'eventuale non conversione per il venir meno dell'urgenza non potrebbe chiamarlo in causa in nessun modo.
Se poi, invece, vi fossero elementi attinenti ad illegali intercettazioni allocati in altri fascicoli o altre procure, di cui si è sentito parlare nei corridoi, si avrebbe il dovere politico di dire quanto si sa per evitare di affidare una situazione così delicata al chiacchiericcio. In caso contrario, potrebbe alimentarsi il dubbio che una decisione di convertire comunque il decreto-legge, assunta concordemente da maggioranza ed opposizione, consegua alla volontà di coprire estese situazioni che noi non conosciamo. E questo non sta bene.
In secondo luogo, c'è da tutelare la dignità della Camera dei deputati, tanto della Commissione giustizia quanto dell'aula. Noi non possiamo ancora a lungo continuare a rinunciare alla nostra funzione di legislatori, accettando passivamente quanto ci viene trasmesso dall'altro ramo del Parlamento. Non ne faccio una questione di sciocco corporativismo. La questione è assai più seria: è che ogni deputato ha prima il diritto, poi il dovere, di esercitare il ruolo per il quale è stato eletto, con tutta la serietà, la professionalità e l'onestà che tale delicato ruolo Pag. 103impone: altrimenti la frustrazione ci assalirà e ci sarà difficile guardare a noi stessi con un minimo di autoconsiderazione, se non di autostima. E la politica non può essere il luogo della non serietà. D'altra parte, rifugiarci nell'intento di modificare questa legge a poca distanza dalla sua approvazione, nell'ambito della legge generale sulle intercettazioni pure in corso di esame in Commissione, non appare certo molto serio. Io, comunque, almeno prendo sul serio questo proposito e ripresenterò tutti gli emendamenti che ho ritirato nel decreto-legge, avvertendo che, qualora non ravvisassi un'effettiva volontà in tal senso, tutto il provvedimento che andassimo a scrivere potrebbe non avere il mio voto.
Con queste precisazioni, svolte con la fermezza che si deve ad una situazione ultimativa dopo la quale non c'è appello, d'accordo con il mio gruppo, annuncio che il dispositivo della nostra decisione sarà in contrasto con la motivazione finora svolta: come nelle sentenze suicide. Perciò, a malincuore, ed ancora solo per questa volta, e per ragion politica, Italia dei Valori si adeguerà al resto della coalizione votando a favore del testo così com'è al solo scopo di consentirne la conversione nei termini di legge.
DANIELE FARINA. Quando a settembre il Governo ha emanato il decreto oggi all'esame dell'aula le condizioni di necessità e urgenza poggiavano sull'onda di un'inchiesta - che ha coinvolto la Telekom - capace di suscitare profonda preoccupazione e una campagna stampa con pochi precedenti.
Il Governo ha inteso, con un largo consenso tra le forze politiche, agire a contrasto delle intercettazioni telefonici e della raccolta di informazioni illegali.
Se scorriamo il dibattito svoltosi in Senato in sede di conversione, non c'è intervento che non abbia rilevato punti di criticità evidenti: in ordine alle modificazioni dell'articolo 240 del codice di procedura penale circa le modalità di distruzione delle comunicazioni illegalmente acquisite; in ordine all'opportunità di intervenire sulla materia con un decreto limitato nell'oggetto e negli effetti piuttosto che con un disegno di legge organico; in ordine all'introduzione nell'articolo 3 del reato di detenzione e del delicato rapporto con la libertà di stampa; in ordine alla natura della riparazione prevista dall'articolo 4 per pubblicazione di tali materiali.
Non c'è intervento che non abbia rilevato la necessità di un esame più attento di quello consentito dai tempi troppo brevi ivi consentiti.
Consentitemi: sembra un dibattito con la pistola alla tempia. Ciononostante, il Senato approva. Da allora, è passato un mese.
Se scorriamo il dibattito avvenuto presso la competente Commissione giustizia di questa Camera, non c'è intervento che, anche qui, non abbia rilevato le medesime criticità e qualcuna in più originata proprio dalle modificazioni operate dal Senato sul testo emanato dal Consiglio dei ministri. Al punto che, per un certo periodo, è prevalsa l'idea che il decreto potesse decadere e che gli articoli che lo costituiscono potessero essere più adeguatamente ricompresi nella nuova normativa atta a disciplinare le intercettazioni legalmente disposte e acquisite. Normativa già incardinata presso la medesima Commissione.
Tanto più che le notizie faticosamente pervenute al Governo e per suo tramite a noi, provenienti dalla procura di Milano, hanno evidenziato che in quella inchiesta non esistono fascicoli composti da intercettazioni telefoniche illegalmente raccolte, ma altri materiali costituenti i dossier. Di più: che comunque nulla è stato distrutto.
Vengono meno le condizioni di urgenza poste a fondamento del decreto. Tanto è vero che la necessità della nostra approvazione risponde a detta del Governo al vuoto normativo che il decreto ha coperto impedendo una nuova stagione di sospetti e di veleni. Pag. 104
È un'altra pistola alla tempia che agisce sulla responsabilità di evitare che queste o altre scorie tornino in circolo.
Pure l'esigenza di modifica avvertita e in parte esercitata dal Senato è rafforzata piuttosto che indebolita. Ma è inibita completamente dai tempi di approvazione.
Citerò solo la pericolosità che l'articolo 3 rappresenta per quel diritto-dovere di informazione che la Costituzione garantisce.
Noi inseriamo così nell'ordinamento una norma che, volendo virtuosamente difendere la privacy e i diritti dei cittadini, si presta tuttavia ad operazioni controverse e limitative della libertà di stampa.
L'onorevole Pecorella chiedeva se è meglio non approvare nulla e fare dunque decadere il decreto del Governo oppure approvare una legge sbagliata.
È solo il termine di questo dibattito e dei lavori parlamentari che possono aiutare a scegliere il male minore.