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CONSIDERAZIONI INTEGRATIVE DELLA RELAZIONE DEL DEPUTATO NICOLA CRISCI IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL DISEGNO DI LEGGE DI CONVERSIONE N. 2374
NICOLA CRISCI, Relatore per la VI Commissione. Nell'illustrare il contenuto del decreto-legge in esame, occorre innanzitutto rilevare come esso sia stato adottato dal Governo in ragione della straordinaria necessità ed urgenza di emanare disposizioni al fine di adempiere ad obblighi comunitari derivanti da sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee e da procedure di infrazione pendenti nei confronti dello Stato italiano, nonché di ottemperare agli impegni assunti in ambito internazionale in merito alla candidatura della città di Milano per l'Esposizione universale 2015.
In tale ambito saranno evidenziate prioritariamente le disposizioni che riguardano più strettamente la competenza della Commissione Finanze, le quali sono contenute negli articoli 1 e 3 del decreto-legge.
L'articolo 1 reca disposizioni in materia di recupero di aiuti di Stato in forma di esenzioni fiscali e prestiti agevolati.
Nel dettaglio, il comma 1 dà attuazione alla decisione 2003/193/CE della Commissione europea del 5 giugno 2002, con l'intento di porre fine al contenzioso pendente tra la Repubblica italiana e la Commissione europea in materia di agevolazioni fiscali e prestiti agevolati concessi alle cosiddette ex aziende municipalizzate. Infatti, con la sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee, resa in data 1o giugno 2006 nella causa C-207/2005, il giudice comunitario ha condannato l'Italia per non aver proceduto al recupero delle agevolazioni dichiarate illegittime dalla sopra menzionata decisione della Commissione. Si tratta della decisione della Commissione riguardante «l'aiuto di Stato relativo alle esenzioni fiscali e prestiti agevolati concessi dall'Italia in favore di imprese di servizi pubblici a prevalente capitale pubblico - C 27/99». Pag. 24Con tale provvedimento, la Commissione europea aveva riconosciuto come aiuto di Stato - ai sensi dell'articolo 87, paragrafo 1, del Trattato CE - l'esenzione triennale dall'imposta sul reddito concessa a favore di società per azioni a partecipazione totale o maggioritaria degli enti locali (cosiddette ex municipalizzate), nonché la possibilità per queste di stipulare prestiti a tassi agevolati con la Cassa Depositi e Prestiti.
Il Governo italiano non ha però finora provveduto a dare esecuzione alla pronuncia della Corte di Giustizia, con conseguente avvio, da parte della Commissione, della procedura d'infrazione n. 2006/2456, promossa ai sensi dell'articolo 228 del Trattato CE.
La norma intende chiudere il contenzioso con la Commissione europea, riscrivendo ex novo le procedure per procedere al recupero degli aiuti illegittimi in questione, procedure che erano state oggetto di vari interventi normativi nel 2005, i quali ne avevano compromesso fortemente lo svolgimento rendendone i tempi, come anche evidenziato nella relazione governativa al provvedimento in esame, «del tutto incompatibili con l'accelerazione impressa dalla Commissione europea».
Per effetto del comma 1 dell'articolo 1 viene attribuito nuovamente all'Agenzia delle entrate il compito di recuperare gli aiuti concretizzatisi nella mancata corresponsione di imposte, nonché i relativi interessi - calcolati ai sensi dell'articolo 3, comma 3, della menzionata decisione della Commissione -, in relazione a ciascun periodo di imposta nel quale l'aiuto è stato fruito. L'articolo 3, comma 3, della decisione della Commissione stabilisce che l'aiuto da recuperare è produttivo di interessi, decorrenti dalla data in cui l'aiuto è stato posto a disposizione dei beneficiari fino alla data di effettivo recupero, calcolati sulla base del tasso di riferimento utilizzato per il calcolo dell'equivalente sovvenzione nell'ambito degli aiuti a finalità regionale.
Il comma 2 dell'articolo 1 autorizza l'Agenzia delle entrate a liquidare gli importi (le imposte con i relativi interessi) da restituire all'Amministrazione finanziaria. La liquidazione avverrà sulla base delle comunicazioni trasmesse dagli enti locali e delle dichiarazioni dei redditi presentate dalle società beneficiarie delle esenzioni fiscali accordate.
Il comma 2 stabilisce anche che - in caso di mancata presentazione delle dichiarazioni dei redditi da parte delle società beneficiarie - l'Agenzia delle entrate liquidi le somme dovute sulla base degli elementi direttamente acquisiti. L'agenzia provvede al recupero degli aiuti, nella misura della loro effettiva fruizione, mediante apposita comunicazione - da notificarsi entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto-legge, decorrenti pertanto dal 16 febbraio 2007, in base all'articolo 6 - recante l'ingiunzione di pagamento delle somme dovute in relazione a ciascuna annualità interessata dal regime agevolativo.
L'ingiunzione è accompagnata dall'intimazione che - in caso di mancato versamento entro trenta giorni dalla data di notifica - si procederà ad iscrizione a ruolo, a titolo definitivo, delle somme non versate e degli ulteriori interessi dovuti. A tale riguardo, viene richiamato genericamente il decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973, che disciplina anche la riscossione mediante ruoli.
In ogni caso, viene esclusa l'applicazione di sanzioni per violazioni di natura tributaria e di ogni altra specie comunque connesse alla procedure disciplinate dalle presenti disposizioni. Il comma 2 prevede altresì che non siano applicabili gli istituti della dilazione dei pagamenti e della sospensione in sede amministrativa, e stabilisce altresì che la comunicazione dell'Agenzia delle entrate recante l'ingiunzione al pagamento delle somme dovute a titolo di restituzione dell'aiuto costituisce atto impugnabile davanti alle commissioni tributarie, ai sensi dell'articolo 19 del decreto legislativo n. 546 del 1992.
Il comma 2 limita peraltro fortemente la possibilità delle commissioni tributarie di sospendere le ingiunzioni di pagamento, stabilendo che l'autorità giudiziaria - dopo aver previamente accertato la gravità Pag. 25e l'irreparabilità del pregiudizio allegato dal richiedente e pertanto limitatamente a tali casi - potrà disporre la sospensione cautelativa delle ingiunzioni di pagamento comunicate al contribuente dall'Agenzia delle entrate, nelle sole ipotesi di errore di persona, errore materiale del contribuente o evidente errore di calcolo.
Nel disporre la sospensione, l'autorità giudiziaria dovrà in ogni caso tenere conto del preminente interesse nazionale connesso alle condanne irrogabili verso la Repubblica italiana - ai sensi e per gli effetti dell'articolo 228, paragrafo 2, Trattato CE - nonché dell'effetto negativo delle determinazioni della Commissione europea sugli interventi in favore di imprese nazionali.
Il comma 3 dell'articolo 1 prevede un meccanismo particolare per la determinazione degli interessi sugli aiuti illegittimi. In base a tale norma, gli interessi sulle somme da restituire all'Agenzia delle entrate vanno determinati in base alle disposizioni di cui al capo V del regolamento (CE) n. 794 del 2004, il quale stabilisce, al capo V (articoli da 9 a 11), le modalità di determinazione dei tassi di interesse per il recupero degli aiuti illegittimi.
A tale proposito, per quanto riguarda i criteri per la determinazione degli interessi da applicare sugli aiuti illegittimi da recuperare, il comma 3 dell'articolo 1 deve essere letto in combinato disposto con il comma 1 dello stesso articolo, in quanto il rinvio operato ai criteri del regolamento n. 794/2004 sembrerebbe operare per quanto riguarda i criteri generali fissati nel capo V (ad esempio per l'applicazione dell'interesse composto), mentre per il calcolo del tasso di interesse concretamente applicabile opererebbe il rinvio, fatto dal comma 1 dell'articolo 1 in commento, ai criteri dell'articolo 3, terzo comma, della decisione 2003/193/CE, la quale prevede l'applicazione dei tassi di interesse utilizzati per gli aiuti a finalità regionale.
Peraltro, un secondo rinvio viene fatto dal comma 3, sempre per i criteri di calcolo da utilizzarsi per la determinazione dei tassi di interesse, ai criteri già approvati dalla Commissione europea, in occasione del recupero di un altro aiuto di Stato dichiarato illegittimo, e precisamente dell'aiuto classificato nel registro degli aiuti come CR 57/03. Si tratta delle norme che avevano prorogato l'applicazione dei benefici fiscali previsti dalla legge cosiddetta «Tremonti-bis», il cui recupero è stato disciplinato dall'articolo 24 della legge n. 29 del 2006 (legge comunitaria 2005). Un'ulteriore norma che individua il tasso di interesse da applicare è quella dell'ultimo periodo del comma 3, la quale individua come tasso di interesse da applicare quello vigente alla data di scadenza prevista in via ordinaria per il versamento del saldo delle imposte non corrisposte, con riferimento al primo periodo di imposta interessato dal recupero dell'aiuto.
Le società interessate dall'obbligo di restituzione dell'aiuto illegittimo dovranno corrispondere, oltre all'equivalente dell'aiuto ricevuto, anche gli interessi. Questi sono dovuti a partire dal momento della fruizione dell'aiuto, quindi dal primo periodo d'imposta per il quale si è usufruito dell'esenzione IRPEG, ovvero si è avuto a disposizione il credito agevolato, fino al momento in cui avverrà il rimborso effettivo, presumibilmente nell'anno 2007. I tassi da applicare sono quelli utilizzati per gli aiuti a finalità regionale, con applicazione inoltre, in base al regolamento n. 794 del 2004, dell'interesse composto.
I commi da 4 a 10 dell'articolo 1 disciplinano l'unica ipotesi in cui è consentito alle imprese che hanno beneficiato degli aiuti di non restituirli. Si tratta dell'ipotesi in cui le società rientrino nei limiti di applicazione della cosiddetta regola «de minimis».
Il comma 4 dell'articolo 1 stabilisce infatti che - conformemente alla disciplina comunitaria applicabile e alla decisione 2003/193/CE della Commissione europea - gli aiuti rientranti nell'ambito di applicabilità della regola «de minimis» costituiscono deroghe al divieto di aiuti di Stato previsto dall'articolo 87, paragrafo 1, del Trattato CE, e pertanto non sono oggetto di iscrizione a ruolo a titolo definitivo.Pag. 26
Il comma 4 esclude peraltro dalla possibilità di fruire della non iscrizione a ruolo gli aiuti relativi ai settori disciplinati da speciali norme comunitarie sugli aiuti di Stato - adottate in base al Trattato CEE (oggi Trattato CE) o al trattato CECA (oggi non più produttivo di effetti giuridici) - vigenti nel periodo di riferimento.
Ai sensi del comma 5, per individuare gli aiuti «de minimis» nel periodo di riferimento, cioè nel periodo nel quale le società hanno usufruito delle agevolazioni, occorre basarsi sulle norme all'epoca in vigore, cioè sulla comunicazione della Commissione 92/C 213/02 del 20 maggio 1992, che considerava tali gli aiuti non eccedenti l'importo complessivo di 50.000 Ecu - elevato a 100.000 con la comunicazione della Commissione 96/C 68/06 del 6 marzo 1996 - calcolato su un periodo di tre anni decorrente dal primo aiuto «de minimis». Tale massimale - che dovrà essere convertito in euro sulla base dei tassi vigenti per ciascun periodo in cui gli aiuti sono stati concessi - si applica a prescindere dalla forma degli aiuti o dall'obiettivo perseguito attraverso i medesimi.
Secondo il comma 6, per gli aiuti concessi sotto le norme previgenti che regolavano gli aiuti «de minimis», il triennio di riferimento per il calcolo del limite massimo di cui al comma 5 ha carattere fisso, per cui, una volta esaurito un triennio, ne inizia a decorrere uno nuovo. Per la verifica del limite, si sommano tutti gli importi di aiuti «de minimis» di qualsiasi tipologia erogati, nel triennio considerato, a favore del medesimo soggetto. Ai fini dell'applicazione della regola «de minimis» nei confronti delle società beneficiarie, occorre comunque che il risparmio di imposta goduto - dato dalla somma dell'esenzione fiscale fruita per ogni periodo di imposta - sia inferiore al massimale indicato nel comma 5.
Il comma 7 individua i tassi di conversione per gli aiuti erogati in forma diversa dalla sovvenzione diretta in denaro, quali quelli costituiti dalle agevolazioni fiscali in questione. La norma prevede che - conformemente alle indicazioni fornite dalla Commissione europea con la comunicazione 96/C 68/06 del 1996 - l'importo massimo di aiuto corrisposto nel periodo triennale di riferimento venga espresso sotto forma di sovvenzione diretta di denaro. Pertanto, gli aiuti erogati in forma diversa dalle sovvenzioni dirette, quali le agevolazioni fiscali, devono essere convertiti - ai fini dell'applicazione del criterio «de minimis» - in un'equivalente sovvenzione, calcolata al lordo dell'imposta eventualmente gravante sull'aiuto.
Il comma 8 esclude dal cumulo per il computo dell'importo massimo fissato per l'applicazione della regola «de minimis», gli aiuti autorizzati dalla Commissione o rientranti in un regolamento di esenzione per categoria, a meno che la normativa ad hoc non preveda diversamente.
A tale proposito occorre segnalare come tra i regolamenti di esenzione per categoria assuma particolare rilevanza il Regolamento (CE) n. 2204/2002 della Commissione, del 12 dicembre 2002, relativo all'applicazione degli articoli 87 e 88 del Trattato CE agli aiuti di Stato a favore dell'occupazione, che si applica ai regimi che costituiscono aiuti di Stato ai sensi dell'articolo 87, paragrafo 1, del trattato e che prevedono aiuti alla creazione di posti di lavoro, aiuti all'assunzione di lavoratori svantaggiati e disabili o aiuti volti a coprire i costi supplementari legati all'assunzione di lavoratori disabili. Tali aiuti, i quali nell'ordinamento italiano si concretano, ad esempio, nelle previsioni di cui all'articolo 63 della legge n. 289 del 2002, sono considerati compatibili con il mercato comune ai sensi dell'articolo 87, paragrafo 3, del trattato e sono esentati dall'obbligo di notificazione di cui all'articolo 88, paragrafo 3, del trattato.
Inoltre tale tematica è stata oggetto di specifica attenzione della Camera, anche in considerazione delle incertezze interpretative insorte in materia a seguito dell'emanazione della circolare 11/E/2003 dell'Agenzia delle entrate, con la quale si sostiene che gli incentivi in favore dei lavoratori svantaggiati previsti dal citato articolo 63 della legge n. 289 del 2002 devono essere ricompresi tra gli aiuti cosiddetti Pag. 27«de minimis». A tale proposito si può rammentare che, da ultimo, nel corso della discussione della legge finanziaria per il 2007, il Governo ha accolto un ordine del giorno, a mia firma, con il quale si impegna l'Esecutivo ad assicurare che gli incentivi di cui all'articolo 63 della legge n. 289 non siano sottoposti alla regola comunitaria sugli aiuti «de minimis», in conformità al disposto del regolamento 2204/2002/CE.
Il comma 9 stabilisce che le società beneficiarie - che intendano avvalersi della più favorevole procedura prevista dalla regola del «de minimis» di cui al comma 4 - debbano presentare una dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà, ai sensi dell'articolo 47 del Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 445 del 2000, contenente tutte le informazioni relative agli aiuti ricevuti a titolo «de minimis» nel periodo di godimento dell'esenzione fiscale dichiarata aiuto di Stato illegittimo dalla decisione della Commissione 2003/193/CE del 5 giugno 2002, conformemente alla disciplina in quel momento vigente.
Il comma 10 prevede che la documentazione indicata dal comma 9 debba essere consegnata a mano, o inviata a mezzo di raccomandata con avviso di ricevimento, all'ufficio locale dell'Agenzia delle entrate che ha emanato la comunicazione-ingiunzione di pagamento delle somme dovute a titolo di restituzione dell'aiuto. Tale adempimento deve essere compiuto entro quindici giorni dalla notifica della suddetta comunicazione-ingiunzione di pagamento.
Il comma 11 abroga infine i commi da 2 a 6 dell'articolo 27 della legge n. 62 del 2005 (legge comunitaria 2004), che contenevano una diversa procedura, mai utilizzata, per il recupero degli aiuti di Stato dichiarati illegittimi dalla decisione 2003/193/CE del 5 giugno 2002 della Commissione. Tale abrogazione è consequenziale alla nuova procedura di recupero introdotta dal presente articolo 1 del decreto.
L'articolo 3 del provvedimento recepisce alcuni rilievi espressi dalle istituzioni europee nei confronti di disposizioni del nostro ordinamento in materia di diritto societario (nomina di organi societari da parte dello Stato e di enti pubblici in società per azioni non a partecipazione pubblica, comma 1) e diritto tributario (esenzione fiscale dei pagamenti di interessi e di canoni fra società consociate di Stati membri diversi, commi da 2 a 7, e tassa di concessione governativa per iscrizione di atti nel registro delle imprese, comma 7-bis).
Nel dettaglio, il comma 1 dell'articolo 3 abroga l'articolo 2450 del codice civile, il quale prevede che lo Stato o gli enti pubblici, anche in mancanza di una partecipazione azionaria, possano nominare uno o più amministratori o sindaci ovvero componenti il consiglio di sorveglianza di una società per azioni. Tale prerogativa deve fondarsi su una disposizione di legge o dello statuto della società. Nella fattispecie così delineata, qualora uno o più sindaci siano nominati dallo Stato, il presidente del collegio sindacale deve essere scelto tra essi.
Con tale abrogazione si recepisce l'indicazione della Commissione europea, che aveva avviato una procedura d'infrazione (2006/2104), mettendo in mora l'Italia per violazione degli articoli 43 e 56 del Trattato CE sul diritto di stabilimento e sulla libera circolazione dei capitali. Come si legge nella relazione illustrativa del Governo, l'articolo 2450 del codice civile risulta attualmente privo di concreta attuazione nel sistema societario; per di più, a fronte di tale sostanziale inutilità, esso appare in palese contrasto con la normativa comunitaria, essendo caratterizzato dall'attribuzione a soggetti pubblici della possibilità di ingerirsi nella gestione e nel controllo di società di cui non sono neppure soci.
I commi 2 e 3 sono finalizzati a recepire le indicazioni fornite dalla Commissione europea in merito alla corretta trasposizione della direttiva 2003/49/CE («Direttiva del Consiglio concernente il regime fiscale comune applicabile ai pagamenti di Pag. 28interessi e di canoni fra società consociate di Stati membri diversi» - cosiddetta direttiva interessi e royalties).
Il decreto legislativo 30 maggio 2005, n. 143, recante il recepimento della menzionata direttiva, prevedeva - al comma 1 dell'articolo 3 - che le proprie disposizioni si applicassero soltanto agli interessi e ai canoni maturati a decorrere dal 1o gennaio 2004, con esclusione degli importi maturati precedentemente e corrisposti a partire dalla stessa data, sebbene la direttiva 2003/49/CE si riferisca al momento del pagamento degli interessi e dei canoni.
La scelta del Governo italiano di ancorare la decorrenza agli interessi e ai canoni «maturati» dal 1o gennaio 2004, anziché a quelli «pagati», aveva trovato una giustificazione nella necessità, esplicitata ad esempio nella circolare 47/E del 2005 dell'Agenzia delle entrate, di «impedire il ricorso da parte della società estera a pratiche dilatorie volte a ritardare la percezione degli interessi e dei canoni maturati anteriormente alla predetta data allo scopo di beneficiare dell'esenzione».
La Commissione europea aveva pertanto avviato una procedura d'infrazione nei confronti della Repubblica italiana - procedura n. 2006/4136, che è giunta alla fase di emissione del parere motivato n. C 6020 del 12 dicembre 2006 - ritenendo che la scelta operata con il decreto legislativo n. 143 del 2005 avesse ridotto l'ambito applicativo delle norme comunitarie e fosse sproporzionata rispetto alla finalità di prevenire eventuali abusi.
Il comma 2 dell'articolo 3 in esame corregge il menzionato articolo 3, comma 1, del decreto legislativo n. 143 del 2005, in modo da fare riferimento agli interessi e ai canoni pagati a partire dal 1o gennaio 2004: pertanto, viene riconosciuta retroattivamente la vigenza del principio di cassa, anziché di quello di competenza. Di conseguenza, il comma 3 stabilisce che le ritenute sugli interessi e sui canoni maturati fino al 31 dicembre 2003 e pagati dal 1o gennaio 2004 ai soggetti non residenti di cui all'articolo 26-quater, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, sono restituite dai soggetti indicati nel citato articolo 26-quater, comma 1, lettere a) e b), i quali potranno a loro volta recuperare le ritenute restituite, avvalendosi dello strumento della compensazione, disciplinato dall'articolo 17 del decreto legislativo n. 241 del 1997.
Per effetto delle novelle apportate dai commi 2 e 3, sono dunque esentati da ritenute alla fonte i pagamenti di interessi e canoni effettuati da società italiane a consociate comunitarie, anche se maturati anteriormente al 1o gennaio 2004, purché pagati successivamente a tale data. Si prevede, altresì, che le ritenute già versate vengano restituite alle società (o alle stabili organizzazioni) interessate direttamente dalle società pagatrici residenti; queste ultime avranno diritto a recuperare, mediante compensazione, le ritenute restituite.
In base al comma 4 dell'articolo 3, i compiti assegnati all'Agenzia delle entrate ai sensi del decreto-legge devono essere svolti con le risorse umane e finanziarie assegnate a legislazione vigente.
I commi 5 e 6 dell'articolo 3 provvedono alla copertura degli oneri derivanti dalle disposizioni di cui ai commi 2 e 3, mediante utilizzo di parte delle maggiori entrate derivanti dall'applicazione dell'articolo 1. I suddetti oneri sono valutati in 26 milioni di euro per l'anno 2007. Tali maggiori entrate affluiscono in un'apposita contabilità speciale, intestata al Dipartimento per le politiche fiscali del Ministero dell'economia e delle finanze; una parte delle suddette entrate, pari a 26 milioni di euro, è riversata, nell'anno 2007, all'entrata del bilancio dello Stato. Il predetto conto speciale intestato al Dipartimento per le politiche fiscali non è pignorabile.
Il comma 6 autorizza il ministro dell'economia e delle finanze ad apportare, con propri decreti, le necessarie variazioni di bilancio.
Il comma 7 dell'articolo 3 introduce una clausola di salvaguardia finanziaria, prevedendo il monitoraggio da parte del ministro dell'economia delle finanze degli oneri derivanti dall'attuazione delle disposizioni dei precedenti commi 2 e 3, ai fini dell'adozione dei provvedimenti correttivi Pag. 29previsti dall'articolo 11-ter, comma 7, della legge n. 468 del 1978. È inoltre prevista, sempre a fini di salvaguardia, la trasmissione alle Camere degli eventuali decreti adottati dal ministro dell'economia e delle finanze, ai sensi dell'articolo 7, secondo comma, punto 2), della medesima legge n. 468.
Il comma 7-bis dell'articolo 3, introdotto nel corso dell'esame presso il Senato, interviene in materia di tassa di concessione governativa per le iscrizioni nel registro delle imprese, al fine di recepire i rilievi espressi dalla Corte di giustizia delle Comunità europee con la sentenza 11 maggio 2006, nella causa C-197/03.
A tale riguardo si può ricordare che la Corte di giustizia delle Comunità europee ha ritenuto incompatibile con il diritto comunitario l'imposizione di un onere fiscale annuale per il mantenimento dell'iscrizione della società nel registro delle imprese. Con la sentenza del 20 aprile 1993, nelle cause riunite C-71/91 e C-178/91, la corte ha infatti dichiarato che gli articoli 10 e 12, lettera e), della direttiva n. 69/335/CEE, che disciplina l'imposizione indiretta sulla raccolta di capitali, vietano l'esistenza di tributi annuali dovuti in ragione dell'iscrizione delle società di capitali, consentendo invece la riscossione di diritti di carattere remunerativo come corrispettivo di operazioni imposte dalle legge per uno scopo di interesse generale, come, ad esempio, l'iscrizione delle società di capitali. L'entità di tali diritti, che può variare a seconda della forma giuridica della società, deve essere calcolata in base al costo dell'operazione, che può essere determinato forfettariamente.
La tassa di concessione governativa è stata poi definitivamente soppressa, a decorrere dal 1o gennaio 1998, dall'articolo 3, comma 138, della legge n. 549 del 1995.
In conseguenza della sentenza della Corte di giustizia del 20 aprile 1993 si è instaurato un contenzioso in merito alla ripetibilità delle tasse riscosse in violazione della normativa comunitaria, con particolare riferimento al termine di decadenza per la richiesta di rimborso.
In relazione alla problematica relativa alla restituzione delle tasse indebitamente versate, è stato emanato l'articolo 11 della legge n. 448 del 1998, il quale ha dettato disposizioni per il rimborso della tassa di concessione governativa in esame, prevedendo contemporaneamente la rideterminazione in via retroattiva della misura della tassa per gli anni dal 1985 al 1992, attraverso l'interpretazione autentica dell'articolo 61 del decreto-legge n. 331 del 1993.
In conseguenza di questo intervento legislativo, la Commissione delle Comunità europee ha proposto ricorso contro la Repubblica italiana in data 12 maggio 2003 per i seguenti motivi:
a) incompatibilità con il diritto comunitario della tassa forfetaria retroattiva di cui all'articolo 11 della legge n. 448 del 1998. Tale censura è stata considerata fondata dalla Corte di giustizia con la sentenza dell'11 maggio 2006, in quanto la tassa forfetaria non ha carattere remunerativo del servizio svolto, avendo le autorità italiane già riscosso, in occasione dell'iscrizione di atti diversi dall'atto costitutivo, tasse analoghe, che si considerano aver remunerato il servizio reso;
b) incompatibilità con il diritto comunitario delle modalità di calcolo degli interessi applicabili ai rimborsi. La Commissione ritiene che la misura legale degli interessi, stabilita dal citato articolo 11, comma 3, sia inferiore agli interessi che sarebbero spettati in mancanza di tale espressa previsione. Anche tale censura è stata considerata fondata dalla Corte di giustizia nella stessa sentenza 11 maggio 2006, come violazione del principio di equivalenza, elaborato dalla giurisprudenza comunitaria;
c) incompatibilità con il diritto comunitario delle modalità di rimborso della tassa di concessione governativa in esame. Ad avviso della Commissione, le prescrizioni di cui ai commi 4 e 5 dall'articolo 11 e della circolare applicativa n. 32/E del 1999, prevedendo una data d'avvio delle procedure di rimborso, introducendo un Pag. 30plafond annuale di somme destinate ai rimborsi e sospendendo i rimborsi stessi nei casi in cui sia ancora pendente un giudizio di primo grado, determinano, o sono suscettibili di determinare, dei ritardi nella restituzione della tassa. Tale censura è stata considerata non fondata dalla Corte di giustizia nella citata sentenza, in quanto le modalità di rimborso previste non sono state giudicate meno favorevoli di quelle che si sarebbero applicate in mancanza di specifiche previsioni, né tali da rendere impossibile o eccessivamente difficile qualsiasi domanda di rimborso.
Il comma 7-bis dell'articolo 3 novella quindi l'articolo 11 della legge n. 448 del 1998, al fine di adeguare la normativa nazionale alle prescrizioni della sentenza della Corte di giustizia dell'11 maggio 2006 (causa C-197/03).
Innanzitutto, la lettera a) provvede ad abrogare il comma 1 dell'articolo 11, sopprimendo in tal modo la tassa forfetaria retroattiva dovuta per il periodo 1985-1992, dichiarata incompatibile con il diritto comunitario dalla citata sentenza della Corte di giustizia.
La lettera b), oltre ad una modifica di carattere formale, prevede che il rimborso si riferisce a tutte le somme versate nel periodo 1985-1992 in dipendenza di disposizioni censurate dalla Corte di giustizia e non soltanto alla differenza tra quanto versato e quanto dovuto a titolo di tassa forfetaria retroattiva, ai sensi del comma 1 dell'articolo 11, del quale si dispone l'abrogazione.
La lettera c) infine stabilisce che la misura del tasso di interesse da riconoscere sulle somme da rimborsare è quello di cui all'articolo 1 della legge 26 gennaio 1961, n. 29, anziché il tasso di interesse legale vigente alla data del 1 o gennaio 1999, considerato dalla Corte di giustizia incompatibile con il diritto comunitario.
Con riguardo alle altre disposizioni recate dal provvedimento in esame, ad esclusione di quelle afferenti alla competenza della Commissione Agricoltura, per le quali rinvio alle considerazioni del relatore per la XIII Commissione, onorevole Barbatella, l'articolo 2 contiene disposizioni volte ad assicurare la prosecuzione delle attività promozionali per la candidatura di Milano quale sede dell'Expo universale del 2015, dando seguito a quanto previsto dal comma 950 dell'articolo 1 della legge finanziaria 2007.
L'articolo 4, comma 1, abroga l'articolo 4, comma 3, del decreto legislativo n. 300 del 2004, di attuazione della direttiva 2003/33/CE in materia di pubblicità e sponsorizzazione dei prodotti del tabacco. Tale comma, ponendo una deroga al divieto di sponsorizzazione degli eventi e delle attività praticate nell'ambito degli stessi, quando tali eventi o attività si svolgano esclusivamente nel territorio dello Stato italiano, risulta in contrasto con l'articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2003/33/CE.
Il comma 2 interviene in materia di calcolo dei costi per l'accesso e l'interconnessione modificando l'articolo 50 del codice delle comunicazioni elettroniche, di cui al decreto legislativo n. 259 del 2003. Il comma 3 novella il comma 34 dell'articolo 1 della legge n. 239 del 2004, di riordino del settore elettrico, al fine di consentire alle aziende operanti nei settori dell'energia elettrica e del gas naturale che hanno in concessione o in affidamento la gestione di servizi pubblici locali, di esercitare attività indiretta nel settore dei servizi post-contatore, attraverso società separate, partecipate o controllate, od operanti in affiliazione commerciale, fermo restando il divieto di applicare condizioni o concordare pratiche determinanti svantaggi ingiustificati per le imprese concorrenti, nonché di avvantaggiarsi della posizione di privilegio di cui godono nei mercati regolamentati, per assicurarsi posizioni di predominio anche in mercati soggetti alla libera concorrenza, collegati a quelli regolamentati.
Il comma 4 apporta alcune modifiche al Codice della proprietà industriale, approvato con il decreto legislativo n. 30 del 2005, finalizzate all'adeguamento dell'ordinamento interno alla normativa comunitaria. In particolare, viene allungata la durata dei diritti di utilizzazione economica Pag. 31post mortem dei disegni e dei modelli industriali che presentino di per sé carattere creativo ed artistico, (portandola dai 25 dalla morte dell'autore attualmente previsti, a 70 anni) e viene eliminato il termine di dieci anni dalla data del 19 aprile 2001 per quanto concerne l'esclusione della protezione giuridica dei disegni e dei modelli nei confronti di coloro che abbiano intrapreso la fabbricazione, l'offerta o la commercializzazione di prodotti realizzati in conformità con disegni o modelli che erano, oppure erano divenuti, di pubblico dominio.
L'articolo 5 apporta modifiche all'articolo 27 del testo unico in materia di immigrazione, di cui al decreto legislativo n. 286 del 1998, prevedendo, per i lavoratori stranieri che siano dipendenti da datori di lavoro residenti o aventi sede in uno Stato membro dell'Unione europea, che il nulla-osta al lavoro di cui all'articolo 22 del medesimo testo unico sia sostituito da una comunicazione effettuata dal committente, da presentare allo sportello unico della Prefettura - Ufficio territoriale del Governo, ai fini del rilascio del permesso di soggiorno. La disposizione modifica conseguentemente anche la disciplina dell'espulsione amministrativa di cui all'articolo 13, comma 2, lettera b), del citato testo unico.
L'articolo 5-bis affida al Ministero della salute il compito di provvedere - d'intesa con i Ministeri dell'ambiente e dello sviluppo economico e con il Dipartimento per le politiche comunitarie della Presidenza del Consiglio dei ministri - agli adempimenti previsti dal regolamento (CE) n. 1907/2006 sulle sostanze chimiche e designa lo stesso ministero quale «autorità competente» ai sensi dell'articolo 121 del regolamento.
Il comma 3 demanda ad un decreto interministeriale l'approvazione di un piano di attività riguardante i compiti di cui al comma 1 e l'utilizzo delle risorse di cui al comma 5.
Il comma 4 dispone che per l'esecuzione delle attività previste al comma 1, l'autorità competente si avvale del supporto tecnico-scientifico dell'Agenzia per la protezione dell'ambiente e per i servizi tecnici e dell'Istituto superiore di sanità.
L'articolo 5-ter reca modifiche alla disciplina inerente alla professione di consulente del lavoro di cui alla legge n. 12 del 1979. In primo luogo, con disposizioni volte ad adeguare l'ordinamento interno ai principi comunitari, si prevede che le operazioni di calcolo e stampa relative ai fogli paga dei lavoratori delle imprese artigiane e delle piccole imprese possa essere svolta da tutti i centri elaborazione dati, purché assistiti da uno o più consulenti del lavoro, e che tra le condizioni di iscrizioni all'albo dei consulenti del lavoro non sia più richiesto il certificato di residenza bensì la documentazione attestante l'elezione di domicilio professionale. Inoltre, con altra disposizione, si richiede, per l'ammissione all'esame di abilitazione all'esercizio della professione di consulente del lavoro, il possesso almeno di una laurea triennale nelle discipline riconducibili all'area giuridico-economica ritenendo non più sufficiente il possesso di un diploma di scuola secondaria superiore.