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TESTO INTEGRALE DELLA DICHIARAZIONE DI VOTO FINALE DEL DEPUTATO EMERENZIO BARBIERI SUL DISEGNO DI LEGGE N. 2599
EMERENZIO BARBIERI. Onorevoli colleghi, esprimo vivo compiacimento per l'accoglimento delle proposte emendative che hanno soppresso i commi 3 e 4 dell'articolo 1, ridefinendo le procedure di formulazione e deliberazione degli statuti con la partecipazione, ancorché in forma riduttiva, degli organi statutari degli enti interessati.
La formulazione del disegno di legge avrebbe decretato la fine dell'autonomia degli Enti nazionali di ricerca vigilati dal Ministero dell'università e della ricerca, con un danno irreversibile per la ricerca pubblica in Italia. Nel dare atto al relatore di questo risultato positivo, devo comunque esprimere le forti perplessità che nutro sul disegno di legge che ci accingiamo a votare nel suo complesso.
Ho avuto modo di evidenziare nel corso dell'esame degli emendamenti gli aspetti più critici. Oltre al rischio di cancellazione dell'autonomia, alle contraddizioni relative al rapporto tra Statuti e decreti delegati e alle procedure di approvazione degli stessi, ne sono emersi ulteriori che in questa sede mi preme sottolineare in quanto purtroppo permangono nel testo.
Il primo è la mancanza di un disegno strategico del Governo che non ha aggiornato il Programma nazionale della ricerca (PNR), adempimento da espletare annualmente (articolo 1 del decreto legislativo n. 204 del 1998) e non ha esposto analiticamente gli interventi che intende realizzare.
Il Governo, a norma di legge, opera sulla base del Programma nazionale della ricerca, che costituisce il punto di sintesi degli interventi nazionali, in coerenza con le azioni dell'Unione europea. Il PNR è il quadro di riferimento per gli interventi regionali ed è il parametro utilizzato dal Ministro per l'approvazione dei piani di attività di tutti gli enti e per l'assegnazione delle relative risorse.
Il Governo, pur essendo tenuto annualmente all'aggiornamento del Piano, a tutt'oggi opera sulla base del Programma nazionale della ricerca (PNR) 2005-2007 varato dal Ministro Moratti e approvato dal CIPE.
Il Piano non solo non prevede il riordino degli Enti nazionali ma presuppone come funzionanti ed operativi gli attuali enti con assetti organizzativi e missioni ridelineate a seguito, come ricordato dal collega Garagnani nella discussione sulle linee generali, di un lungo iter a partire dalle linee guida varate dal Governo e approvate dal CIPE nel 2002.
Eppure il Governo in alcuni casi ha inciso direttamente sugli assetti organizzativi degli Enti nazionali ancor prima di fissare gli obiettivi, come ricordato nel suo intervento di ieri dalla collega Filipponio Tatarella, che ha richiamato la vicenda del decreto legge «mille proroghe» con il quale è stato bloccato il processo di rinnovamento delle direzioni degli Istituti del Pag. 100CNR con una sospensione per decreto-legge delle procedure di selezione (la maggior parte dei direttori è a capo della stessa struttura in maniera continuativa da dieci, venti anni).
Tutto ciò in un quadro confuso, sul quale il disegno di legge sottoposto all'Assemblea rischia di contribuire negativamente ad aumentare l'entropia.
Il disegno di legge, come è emerso con evidenza dal dibattito, è inadeguato in quanto limita la sua azione di «riordino» agli Enti vigilati dal Ministero dell'università e della ricerca. Per questo l'intervento si pone in aperta contraddizione con l'obiettivo, perseguito da anni, di razionalizzare e coordinare l'intervento pubblico in materia, come stabilisce il decreto legislativo n. 204 del 1998 recante «Disposizioni per il coordinamento, la programmazione e la valutazione della politica nazionale relativa alla ricerca scientifica e tecnologica»: una pietra miliare dell'ordinamento vigente approvato in attuazione delle azioni di semplificazione, decentramento e coordinamento previste dalla legge Bassanini.
Tale limite è stato indicato tempestivamente nell'iter di approvazione del disegno di legge sin dal suo esame in Commissione al Senato. L'unica apertura è stata l'accoglimento da parte del Governo di un ordine del giorno in Commissione al Senato, che ben si poteva trasformare in una modifica del testo.
In secondo luogo una nuova riforma a «costo zero» in coincidenza con ulteriori tagli alla ricerca pubblica rischia di portare al collasso il sistema.
Oltre alle belle parole sull'importanza della ricerca, prima di prevedere interventi occorrerebbe valutare la situazione tra impegni assunti e risultati conseguiti, dovendo fare un sommario bilancio a fronte di importanti impegni: nel programma elettorale dell'Unione si parla di investimenti in ricerca, innovazione e trasferimento tecnologico «obiettivo Lisbona»; nel Documento di programmazione economico-finanziaria per gli anni 2007-2011 del Governo si espone la volontà di effettuare «investimenti in ricerca, sviluppo e capitale umano»; nei 12 punti enunciati prima del voto di fiducia il Presidente del Consiglio rinnova l'impegno forte per ricerca e innovazione; tra le cinque priorità stabilite dal Governo con l'accordo sull'utilizzo del «tesoretto» si ribadisce l'intenzione di rendere disponibili fondi per l'innovazione e la ricerca scientifica; in tutti i richiamati documenti si espone la priorità del precariato.
I fatti per gli Enti di ricerca sono stati drammaticamente negativi: riduzione delle risorse per gli effetti del cosiddetto «taglia spese» applicato anche agli enti di ricerca; riduzione delle disponibilità per effetto degli accantonamenti indisponibili a gravare sul fondo ordinario di finanziamento degli enti di ricerca; riduzione delle disponibilità per il vincolo del 95% delle risorse trasferite nell'anno precedente come riferimento per i bilanci di previsione per il 2007; stanziamenti in finanziaria insufficienti per la stabilizzazione dei precari; recupero solo parziale nel riparto del «tesoretto» degli accantonamenti indisponibili.
Nonostante tale difficile quadro, si procede speditamente riformando gli Enti con «clausola di invarianza», una contraddizione in termini puntualmente individuata nel suo parere «condizionato» dalla Commissione Bilancio.
La modifica degli assetti organizzativi degli Enti comporta, nella migliore delle ipotesi, conseguenze economiche negative per l'instabilità del sistema che diventa inaffidabile e per i costi che qualsiasi riorganizzazione comporta.
Inoltre, prima di riformare è buona norma valutare con attenzione i risultati conseguiti dal precedente riordino che, come emerso dalla discussione sulle linee generali, è stato liquidato con considerazioni sommarie non approfondite. Il relatore motiva con la presunta inefficienza del sistema. Facendo l'esempio del Consiglio Nazionale delle Ricerche, cui il disegno di legge dedica particolare attenzione e che rappresenta per dimensioni la realtà nazionale più significativa, tale valutazione non sembra coerente con dichiarazioni Pag. 101rilasciate ai media da esponenti del mondo produttivo dopo le «audizioni informali» sul disegno di legge in Commissione cultura al Senato e con i contenuti della relazione sul risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), per gli esercizi 2004 e 2005 della Sezione di Controllo Enti della Corte dei Conti. La Magistratura contabile, con una netta inversione di tendenza rispetto al passato, ha espresso una valutazione positiva della gestione di questi anni nonostante la fase di riordino in atto. La stessa Corte dei Conti ha poi auspicato una stabilità normativa del sistema che si riflette inevitabilmente sulla capacità degli Enti di conseguire i propri fini istituzionali.
Tutto ciò non può sfuggire a questa Assemblea, trattandosi di documenti depositati in Parlamento.
Inoltre, occorrerebbe valutare anche l'impatto del riordino sulla realtà degli Enti.
Sempre con riferimento al CNR, questi espone un bilancio di circa un miliardo di euro di cui solo 500 milioni sono trasferiti dal Fondo ordinario degli Enti di ricerca.
Il Ministro della ricerca, nel riordinarlo, deve assicurare che la capacità dell'Ente di ricevere risorse pari al 50% del bilancio a contratto su base competitiva dall'Unione europea, dalle Regioni, da altri enti o organismi pubblici e privati, non sia compromessa da cambi di strategia, missione o organizzazione. I risultati sarebbero evidentemente rovinosi sul sistema.
Per le ragioni esposte, temo che una decisione conclusiva in questo contesto possa ripetere situazioni difficili causate da interventi legislativi non adeguatamente ponderati, come quella della paralisi del sistema della valutazione.
Il Governo ha istituito nel 2006 l'Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (ANVUR) con un articolo ad hoc nel cosiddetto «decreto fiscale» e «blindatura» da parte della maggioranza nell'iter di conversione.
Un atto «straordinario» ed «urgente» con il quale si è disposta l'istituzione della nuova Agenzia e la soppressione del Comitato di indirizzo per la valutazione della ricerca (CIVR), del Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario (CNVSU) e dei Comitati di valutazione di diversi Enti nazionali come CNR e INAF.
È passato un anno e tutto è fermo. Dalla lettura della documentazione pubblicata sulla vicenda emerge anche la forte non condivisione della comunità scientifica sullo schema di regolamento dell'ANVUR. È sufficiente vedere i pareri della CRUI e del Comitato Universitario Nazionale (CUN) pubblicati su Internet.
Nella discussione generale di ieri il collega Walter Tocci ha proposto di cominciare a fare valutazioni senza attendere il lavoro dell'ANVUR e quindi di sbloccare l'attività del CIVR, introducendo un maggior coordinamento, una maggiore integrazione tra enti di ricerca e università.
È evidente la consapevolezza della situazione di stallo, in quanto è illusorio attendere il «lavoro» dell'ANVUR, visto che stiamo ancora attendendo lo schema di regolamento che disciplina la struttura e il funzionamento dell'Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (ANVUR), che il Governo ha approvato il 5 aprile scorso e che ancora deve essere trasmesso per il parere alle Camere.
È inutile commentare la sussistenza dei presupposti costituzionali di necessità ed urgenza rispetto all'intervento normativo con decreto-legge ma è bene ricordare a questa Assemblea che il soppresso CIVR aveva terminato il primo grande esercizio di valutazione di tutto il sistema nazionale della ricerca Università/Enti con oneri nell'ordine di quattro milioni di euro e risultati, con tutti i difetti di un «primo esercizio di valutazione», apprezzati anche a livello internazionale. Quanto meno sullo spreco di queste risorse e del know how acquisito, forse avremmo diritto di sapere qualcosa di più.
Anche l'istituzione in Finanziaria del nuovo Fondo FIRST, pur prevedendo risorse aggiuntive si è rilevata un buco nell'acqua e non sono stati ancora definiti Pag. 102i regolamenti attuativi che dovranno essere sottoposti al Consiglio di Stato e notificati alla Commissione delle Comunità europee per verificarne la compatibilità con le norme in materia di concorrenza. Non si vede quando potranno essere utilizzate le risorse destinate a questo strumento.
Con un ritardo senza precedenti e con i bandi da tempo pronti non sono ancora partiti i PRIN con il conseguente blocco della ricerca anche nell'Università.
Inoltre, è un sistema dipendente dalla politica.
Il testo, al di là delle proclamate buone intenzioni, introduce degli strumenti incisivi di controllo della politica sugli Enti di ricerca. Anche con l'eliminazione dei commi 3 e 4 restano forti critiche su alcune previsioni che possono consentire una interferenza della politica sull'autonomia degli Enti.
Prima di tutto, il comma 6, che prevede il commissariamento in caso di modifiche statutarie: il commissariamento è un atto straordinario, che dovrebbe essere collegato esclusivamente a gravi inadempienze gestionali e nei fatti diventa uno strumento nelle mani del Governo per rimuovere i vertici.
Alcune previsioni specifiche tradiscono una impostazione incoerente con l'autonomia, come quella che stabilisce che la maggioranza dei componenti il consiglio di amministrazione del CNR sia di nomina governativa o quella che introduce «innovative» procedure di nomina del presidente e dei componenti i consigli di amministrazione consentendo al Governo di scegliere i vertici tra rose di nomi proposte da comitati «rappresentativi della comunità scientifica».
Ma i comitati sono nominati dal Governo e quindi non possono essere rappresentativi, in quando il principio fondante il concetto di rappresentanza implica che sia il rappresentato a scegliere da chi farsi rappresentare.
Onorevoli colleghi, la preoccupazione che vorrei esprimere è che con l'approvazione di questa legge si aumenti e non si diminuisca l'influsso della politica sugli Enti, limitando anche in questo caso la loro autonomia.
Mi avvio alle conclusioni auspicando di essere smentito nel fatti. La teoria e i principi più volte esposti, valutazione, merito scientifico, partecipazione, investimenti, sono condivisibili. Gli strumenti prescelti e i risultati attuali meno. Con la forte pressione esercitata il Governo e la maggioranza si assumono la responsabilità di intervenire in fragili equilibri faticosamente raggiunti.