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Seguito della discussione del documento: Documento di programmazione economico-finanziaria relativo alla manovra di finanza pubblica per gli anni 2007-2011 (Doc. LVII, n. 1) (ore 9,35).
(Dichiarazioni di voto - Doc. LVII, n. 1)
PRESIDENTE. Passiamo dunque alle dichiarazioni di voto.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Widmann. Ne ha facoltà.
JOHANN GEORG WIDMANN. Signor Presidente, signor ministro, onorevoli colleghe e colleghi, vista la ristrettezza del tempo che mi è rimasto, mi limito a preannunciare il voto favorevole della componente politica delle minoranze linguistiche del gruppo misto sulla risoluzione presentata dalla maggioranza sul DPEF.
Chiedo alla Presidenza di autorizzare la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale della mia dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. La Presidenza lo consente, sulla base dei consueti criteri.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Del Bue. Ne ha facoltà.
MAURO DEL BUE. Signor Presidente, la nostra delusione rispetto al DPEF non è relativa tanto a ciò che vi è scritto, quanto a ciò che non vi è scritto. Difficile infatti non condividere l'analisi sulle difficoltà economiche italiane. Così pure è impossibile non concordare sugli obiettivi di governo dell'economia. Sviluppo, equità e risanamento rappresentano parole d'ordine, che non possono non unificare questa aula, nonché tutte le forze sociali del paese. D'altronde, è assai difficile individuare qualcuno, che, di converso, proponga recessione, disuguaglianza, indebitamento.
Un noto giornalista, con lo pseudonimo da capo indiano di una tribù a noi amica, ha recentemente scritto: quel Documento è il trionfo di Monsieur De Lapalisse, la celebrazione delle ovvietà e delle buone intenzioni universalmente condivise. Certo condivise dalla maggioranza democratica, che vuole farsi carico dei problemi del paese e non certo da quelle fasce antisistemiche, che pure sono presenti e si sono manifestate recentemente in occasione del dibattito sulle missioni italiane all'estero.
Ciò è legittimo e rispettabile se esprime convinzioni personali radicate, sofferte crisi di coscienza, dissenso coerente, ma lo è meno se l'attuale maggioranza fa affidamento su di esse per governare l'Italia di oggi.
Una volta, signor ministro Padoa Schioppa, si parlava di compatibilità come di un avversario di classe. Si sfidavano le imprese proponendo il salario come variabile indipendente, si spingevano i comuni a fare i bilanci in rosso e venivano definiti «di lotta».
Osservo che una fetta assai rappresentativa di questi maestri di una rivoluzione fortunatamente impossibile è oggi al suo fianco e, nell'altro ramo del Parlamento, addirittura posta in condizioni di determinanza numerica. A costoro interessa soprattutto portare a casa dei risultati. PerPag. 8l'amor di Dio, faccio politica da troppi anni per non sapere che la politica è fatta anche di trofei! Sappia che il prossimo Afghanistan sarà la sua manovra economica e me ne dispiace, perché credo ancora che, sulle grandi questioni di politica internazionale e nazionale, si dovrebbe sviluppare un effettivo dialogo tra maggioranza e minoranza, come sostiene giustamente il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
Se rispetto al dialogo si preferisce, invece, la via dei voti di fiducia, ciò vuol dire, da un lato, che la maggioranza sceglie di andare avanti da sola, ma, dall'altro, che essa è così consapevole della sua debolezza, frutto delle sue divisioni politiche, che non può correre il rischio, sulle questioni più rilevanti, di procedere ad una conta nel merito dei problemi.
Il DPEF presenta i quattro settori in cui intervenire, ossia quelli di previdenza, sanità, pubblico impiego ed enti locali. È difficile, francamente, immaginarne altri se si parla di risparmio di risorse pubbliche. Il problema è che, dopo avere individuato i settori, non si dice con quali strumenti si intenda procedere per raggiungere gli obiettivi fissati.
Si può a buona ragione sostenere che delle tante previsioni del DPEF sono piene le fosse e si può anche aggiungere che, dopo aver tratteggiato una strategia, tutto è rinviato, ovviamente, alla nuova finanziaria.
Bene, obiezione accolta! Allora, però, non vale la pena di riflettere sull'efficacia di un documento del genere, oggi previsto, ma che da più parti viene ritenuto, tutto sommato, inutile? Peraltro, tutte le cifre che vengono segnalate nei vari DPEF del passato, si sono rivelate piuttosto fallaci.
Entriamo quindi più nel merito dei problemi che il DPEF seguita a segnalare. Non vi è alcun dubbio che il disavanzo crescente sia una palla al piede per lo sviluppo e per l'equità. A tale proposito, vorrei richiamare una vicenda che risale agli anni del Governo Prodi, ossia al periodo 1996-1999.
Effettivamente, in quegli anni, signor ministro, si verificò la riduzione del deficit di sei punti percentuali del PIL, ma cinque punti furono dovuti all'effetto del calo internazionale dei tassi e un solo punto alla riduzione della spesa in conto capitale.
Viene spontaneo chiedersi perché nessun intervento fu posto in essere proprio in quegli stessi settori che oggi vengono richiamati come aree di necessaria riduzione di spesa. Non è un caso che, finito l'effetto positivo della riduzione dei tassi, nella primavera del 1999, con il Governo D'Alema ancora in carica, il deficit ricominciò a salire, arrivando alla fine del 2001, con il Governo Berlusconi già in itinere, al 3,2 per cento accertato dalla Commissione europea.
Questa esperienza, consumata direttamente dal Governo Prodi, forse avrebbe dovuto consigliare di evitare il rinvio alle calende greche delle decisioni da intraprendere e di individuare subito le riforme da mettere in campo. Attendiamo con fiducia - al di là della fiducia - di venire presto a conoscenza delle intenzioni dell'esecutivo.
Ciò che finora ci preoccupa, leggendo il documento presentato, è la previsione della crescita, o meglio, l'obiettivo di crescita, con le manovre previste nei quattro settori.
Nei cinque anni futuri vi sarebbe una crescita che oscilla tra l'1,2 e l'1,7 per cento, anche se il ministro in televisione ha parlato della possibilità di raggiungere il 2 per cento: sono cifre insufficienti per combattere l'indebitamento e conseguire l'equità. Il problema di fondo è lo sviluppo. Noi lanciamo una vera e propria crociata per lo sviluppo. Senza sviluppo avremo non solo problemi di occupazione, ma anche meno risanamento e meno equità sociale.
Negli ultimi dieci anni l'Italia è cresciuta dello 0,6-0,7 per cento annuo in meno dell'area dell'euro. Parliamo degli ultimi dieci anni, con Governi di colore opposto, dunque. Evitiamo, per questo motivo, di fare della politica economica uno strumento di speculazione politica.
In questi dieci anni l'indebitamento dell'Italia ha sofferto. Difficile, anzi impossibile,Pag. 9oggi, risanare, senza una crescita economica o con una crescita economica debole e sempre al di sotto della media europea.
Anche adesso proporremo misure per lo sviluppo e per il recupero della competitività, sapendo però che la riduzione del cuneo fiscale che appoggiamo serve più alle grandi aziende che a quelle piccole, per le quali è sì utile, ma non determinante ai fini del recupero della loro competitività sul mercato internazionale.
L'Italia ha progressivamente perso quote di commercio internazionale: dal 4,6 del 1995 si è passati al 3,5 del 2000, fino al 2,7 del 2005. Aggiungiamo che, a fronte di una crescita dello 0,6-0,7 per cento inferiore rispetto agli altri paesi e con una perdita di quote di commercio internazionale pari quasi al 2 per cento, il Governatore della Banca d'Italia ci ha recentemente ricordato che la produttività del lavoro degli ultimi dieci anni ha perso un punto di crescita all'anno.
Inoltre, la dimensione della disoccupazione, in linea con il minimalismo espresso in tutto il suo documento - minimalismo che non è l'alternativa al massimalismo, ma al riformismo - viene stimata nell'ordine dello 0,9 per cento in cinque anni, con una previsione di disoccupazione pari al 6,7 per cento del 2011.
Da tutti questi dati non può che emergere la strategia di un Governo che affida ancora ad una politica dei due tempi - prima il risanamento e, poi, lo sviluppo - la sua sorte. Ne è testimonianza una misura prevista nel cosiddetto decreto-legge Bersani che riguarda la tassazione del mercato immobiliare con efficacia addirittura retroattiva, misura che metterebbe in ginocchio il settore e porrebbe un vero e proprio mattone sulla ripresa.
Adesso, si sono levate voci di disponibilità a rivedere il testo secondo questo metodo davvero nuovo, in base al quale prima si vara un provvedimento e, poi, si consultano le parti sociali e si procede ad altre misure (vedi il caso dei tassisti!): o c'è solo superficialità o c'è mancanza di adesione alla linea che sancisce la priorità dello sviluppo. Ciò non può che preoccupare!
Mi avvio a concludere, signor Presidente. L'allegato al DPEF sulle infrastrutture tenta un aggancio con le previsioni della legge obiettivo del 2001 e con le realizzazioni del Governo Berlusconi. Se vi era un settore in cui lo sviluppo era praticamente vicino allo zero era proprio quello delle opere pubbliche. Negli ultimi cinque anni si sono realizzate, cantierate o affidate, opere per un importo di circa 51 miliardi di euro con risorse pubbliche, private e comunitarie. Ciò ha generato oltre lo 0,5 per cento di PIL annuo, contribuendo a tenere l'Italia lontana dalla recessione. Speriamo che queste opere continuino e che, anche attraverso il grande sforzo delle infrastrutture pubbliche, si possa generare maggiore sviluppo.
PRESIDENTE. Onorevole Del Bue, dovrebbe concludere: il suo tempo è abbondantemente scaduto.
MAURO DEL BUE. Se la maggioranza non si «blinderà» per mascherare la sua debolezza, se non si trincererà in una sorta di ordine di servizio, siamo pronti a un dialogo che può divenire fecondo e utile alla soluzione dei gravi problemi che ci affliggono (Applausi dei deputati del gruppo Democrazia Cristiana-Partito Socialista).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Picano. Ne ha facoltà.
ANGELO PICANO. Signor Presidente, signor ministro, colleghi deputati, il Documento di programmazione economico-finanziaria per gli anni 2007-2011 individua i principali problemi dell'economia e della finanza pubblica e delinea una strategia per affrontarli.
Il Documento contiene l'analisi dei problemi economici italiani che hanno determinato, negli ultimi anni, la caduta del tasso di produttività rispetto all'area dell'euroPag. 10e, nello stesso tempo, l'incapacità di rispettare i vincoli imposti dal Patto europeo di stabilità e sviluppo.
Il quadro programmatico delineato appare soddisfacente ed adeguato. Peraltro, esso è condizionato da un fattore esterno incontrollabile e dal successo, oggi non valutabile, delle riforme che dovranno essere adottate per realizzare gli obiettivi proposti.
Insieme ed interrelati con l'azione di risanamento dei conti vi sono poi gli interventi per il rilancio dell'economia ed il sostegno delle fasce di popolazione in condizione di disagio.
Un'azione di politica economica delle dimensioni indicate richiede interventi su tutte le voci del bilancio pubblico. È necessario coinvolgere tutti i livelli di governo e ripensare l'estensione e le modalità della presenza pubblica nella gestione delle imprese. Perciò, vanno intensificati gli sforzi tesi a liberalizzare il mercato.
Positive sono sembrate le aperture del ministro dell'economia verso una riduzione ulteriore della presenza dello Stato in aziende come ENI ed Enel e la possibilità di aprire ai privati le ferrovie e le poste.
La prima tappa del riequilibrio dei conti pubblici consiste nella realizzazione nel 2007 di un disavanzo inferiore al 3 per cento del PIL. Il conseguimento di questo risultato con un'azione di natura strutturale riporterà il debito su un sentiero di riduzione e segnalerà ai mercati che la situazione dei conti pubblici è sotto controllo.
Il DPEF traccia tre linee di intervento da perseguire simultaneamente: il rilancio dello sviluppo economico, il miglioramento delle condizioni di equità, il risanamento dei conti pubblici. La strategia indicata per promuovere lo sviluppo mira a fornire un quadro di riferimento certo e stabile nel tempo, tale da favorire la scelta di investimenti delle imprese e delle famiglie.
Il sostegno alla competitività ed alla produttività punta sull'azione di miglioramento delle infrastrutture materiali ed immateriali, su incentivi alla innovazione ed alla ricerca, sulla riduzione della componente fiscale dei costi.
Una maggiore concorrenza è ritenuta essenziale per un bilancio produttivo: aumenta l'efficienza del sistema e riduce i costi per i consumatori, abbattendo le rendite di posizione, contribuendo a ciò in maniera determinante. Con il cosiddetto decreto-legge Bersani sono state definite le prime misure volte ad introdurre ed a rafforzare i meccanismi di mercato nella fornitura di alcuni servizi. L'efficacia delle nuove norme dipenderà in molti casi dall'applicazione che ne sarà fatta in concreto dalle amministrazioni locali. Occorre proseguire nell'azione intrapresa e rimuovere sistematicamente in tutti i settori le restrizioni alla concorrenza.
Riconoscendo nel tasso di occupazione un fattore importante del rilancio dell'economia, si programma un intervento di riduzione del cuneo fiscale sull'impiego del lavoro. La riduzione del cuneo può attenuare le distorsioni nel mercato del lavoro. L'effetto complessivo sul sistema economico però dipenderà dalle modalità di finanziamento degli sgravi e dai comportamenti degli operatori economici.
Le politiche di equità delineate nel DPEF mirano a migliorare i meccanismi di sostegno del reddito dei cittadini in condizione di disagio economico, a rafforzare le prestazioni dei servizi sociali, a rilanciare la politica abitativa laddove l'accesso alle prestazioni sia subordinato alle condizioni economiche dei beneficiari.
Va affrontato il problema dell'affidabilità degli indicatori utilizzati in un'economia caratterizzata da significativi fenomeni di sommerso e di evasione. La dimensione complessiva del disavanzo programmato per il periodo 2007-2011 è pari a 3,3 punti del PIL.
Il DPEF fornisce solo indicazioni di massima sulla composizione degli interventi, lasciando alle leggi finanziarie l'articolazione delle norme specifiche. L'azione di riequilibrio riguarda tutti i principali comparti della spesa pubblica: la previdenza, la sanità, le spese di funzionamento delle amministrazioni pubbliche,Pag. 11la finanza decentrata. Se le misure investiranno tutte le componenti del bilancio pubblico, esse potranno rallentare l'aumento della spesa senza incidere sulle più importanti funzioni economiche e sociali dell'intervento pubblico. Le misure sarebbero finalizzate, in primo luogo, a correggere inefficienze, squilibri ed arretratezze degli apparati di spesa. Si tratta di risparmi che andrebbero perseguiti in ogni caso, indipendentemente dall'esigenza di risanamento.
Una maggiore efficienza consente di migliorare le prestazioni senza ridurne i livelli.
Sul fronte delle entrate, si perseguono obiettivi di equità, sviluppo e semplificazione. Il DPEF indica come prioritario l'intervento di contrasto all'evasione ed all'elusione. Il successo di questa azione consentirebbe, ridistribuendo il carico fiscale su una più ampia platea di contribuenti, di ottenere riduzioni delle aliquote del prelievo: se ne trarrebbero benefici in termini di minore distorsione sulle decisioni delle famiglie e delle imprese, con un miglioramento dell'efficienza del sistema economico.
Va avviato con decisione un processo di graduale riduzione della pressione fiscale complessiva. Va attentamente monitorata la realizzazione degli interventi di correzione del disavanzo, per verificare la correttezza delle previsioni e l'efficacia dei provvedimenti. In passato, anche escludendo gli effetti sui saldi degli errori di previsione della crescita economica, i risultati di bilancio si sono rivelati, a consuntivo, frequentemente peggiori di quelli programmati sulla base degli andamenti tradizionali indicati nel DPEF degli anni immediatamente precedenti e delle valutazioni ufficiali dell'impatto delle misure correttive. Lo spostamento è stato significativo: in media, circa un punto percentuale del PIL nel quadriennio 2002-2005.
Mentre l'Europa si integra sempre di più e si espande sempre di più, si avverte la necessità crescente di moderne infrastrutture che permettano all'Italia di non essere emarginata nei traffici internazionali. Per questo, preoccupa moltissimo l'allegato infrastrutturale al DPEF del 2006, da cui si evince che le spese per gli interventi previsti dalla legge obiettivo hanno una copertura finanziaria pari soltanto al 30 per cento. Le risorse che mancano sono ingenti e non è pensabile reperire coperture esclusivamente con stanziamenti di bilancio. È opportuno, perciò, aprire ai capitali privati, cercando di orientare su di noi il capitale internazionale.
Gli investimenti esteri, però, hanno bisogno dell'efficienza della pubblica amministrazione, di un sistema legale che funziona e della tutela dei diritti di proprietà. Ciò significa che il basso grado di efficienza della pubblica amministrazione risulta disfunzionale alla localizzazione degli operatori stranieri in Italia, con effetto deprimente sulla capacità di attrazione di tutte le regioni sia del centro-nord che del Mezzogiorno. Caso forse unico, l'Italia non ha mai perseguito una specifica politica di attrazione degli investimenti esteri comparabile, negli obiettivi, nella stabilità degli interlocutori istituzionali, nella prolungata carenza temporale, nel variegato menu di offerte al capitale straniero, a quelle adottate in Irlanda, in Gran Bretagna, in Spagna ed in Francia.
Sia il Presidente del Consiglio sia lei, signor ministro, avete affermato di scorgere nel DPEF in esame uno strumento da utilizzare anche allo scopo di contrastare, in nome di una maggiore equità, le disuguaglianze economiche del nostro paese. Tra la metà degli anni Settanta e i primi anni del Duemila, la quota di reddito da lavoro dipendente in rapporto al valore aggiunto è scesa di ben 10 punti (dal 48 al 38 per cento), mentre la quota dei profitti del settore privato saliva del 6 o 7 per cento già a metà degli anni Novanta e si manteneva stabile in seguito. I dati sulle diseguaglianze economiche, sulla loro entità e sulla loro storia attestano che, al fine di ridurle stabilmente, almeno in qualche misura la leva fiscale può essere utile, ma non sufficiente. Occorrerà pensare ad altri strumenti redistributivi convergenti, a partire da un aumento del salario reale, inPag. 12una crescita del reddito effettivamente disponibile, quanto meno al 20 per cento delle famiglie a reddito basso.
La coesione sociale, signor ministro, è la premessa della civile convivenza, ma anche di una politica di sviluppo. Per questo, noi ci auguriamo che il Governo voglia perseguire con determinazione le premesse...
PRESIDENTE. Onorevole Picano...
ANGELO PICANO. ... poste nel Documento di programmazione per una maggiore equità sociale, in maniera da favorire lo sviluppo, ma anche per difendere l'equità (Applausi dei deputati del gruppo dei Popolari-Udeur).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Zanella. Ne ha facoltà.
LUANA ZANELLA. Signor Presidente, il Documento di programmazione economico-finanziaria in esame, il primo della legislatura, individua le linee di intervento dell'esecutivo per i prossimi anni e predispone un progetto di politica economica che consenta, prima di tutto, il risanamento dei conti pubblici, lasciati praticamente fuori controllo dal precedente Governo Berlusconi.
Contestualmente, consente di raggiungere quegli obiettivi sotto il profilo sociale, ambientale ed industriale indispensabili per un vero sviluppo sostenibile del nostro paese. Si tratta di un DPEF che, per la prima volta, copre l'intero arco della legislatura con un impianto complessivo sufficientemente realistico, finalmente lontano dagli obiettivi per lo più propagandistici a cui ci aveva abituato annualmente il precedente Governo nei suoi documenti di finanza pubblica. Nel Documento in esame si individua un percorso di rientro dei conti pubblici impegnativo, sì, ma credibile, fattibile, dove le infinite una tantum sulle quali il Governo di centrodestra aveva basato gran parte delle sue politiche delle entrate, che hanno avuto esiti piuttosto discutibili, vengono finalmente sostituite da interventi per lo più di natura strutturale. Tali interventi consentiranno di rispettare gli impegni presi con l'Unione europea per un rientro sotto il 3 per cento del rapporto deficit-PIL già nel 2007, e per un rapporto tra debito e PIL al di sotto del 100 per cento alla fine di questi cinque anni. A garantire tale discesa nel rapporto debito-PIL sarà la ricostruzione dell'avanzo primario, completamente azzerato - è bene ricordarlo - dai cinque anni di Governo Berlusconi, e che si prevede di riportare ad un livello superiore al 4 per cento alla fine del quinquennio.
Il DPEF costituisce inevitabilmente il presupposto della manovra economica del prossimo autunno e non può che fotografare le pesanti difficoltà in cui si trova la nostra economia in termini di crisi di competitività, di produttività, di finanza pubblica, individuando una cura, un percorso di uscita dall'attuale situazione assai pesante. Tale cura non sarà facile e leggera e non dovrà mai perdere di vista l'obiettivo dell'equità, dell'equilibrio sociale nella distribuzione delle risorse. L'esigenza di risanamento dei conti, di rilancio del nostro sistema produttivo dovrà, infatti, coniugarsi con la necessità di non penalizzare le categorie sociali più a rischio che hanno visto, soprattutto negli ultimi anni, ridurre il proprio potere di acquisto, la qualità delle prestazioni sociali erogate. Questo è ciò che promette e premette il DPEF e questo dovrà essere il punto fermo delle future scelte di politica economica.
Il vero banco di prova per il Governo della volontà di non far pagare a chi in questi anni ha già abbondantemente dato sarà certamente la prossima legge finanziaria: su questo punto noi Verdi saremo molto attenti. Ci dà, comunque, garanzie il costante richiamo nel DPEF a voler favorire una crescita ed uno sviluppo che garantiscano i principi di equità, di tutela sociale, di attenzione alle parti fragili ed infragilite della società.
Per quanto riguarda un tema caro a noi Verdi, l'ambiente, va detto che nel DPEF esso trova finalmente la sua giusta considerazione -Pag. 13come sottolineava la collega Francescato nell'intervento in sede di discussione sulle linee generali - dopo essere stato ignorato, anzi fortemente penalizzato e danneggiato, dai cinque anni di Governo di centrodestra. Al tema della salvaguardia ambientale viene finalmente riconosciuta la valenza trasversale rispetto alle politiche socio-economico-produttive, una componente essenziale di una strategia volta a rafforzare la competitività nel nostro paese. Si tratta, quindi, e va riconosciuto, di una significativa svolta. Finalmente, l'ambiente è inteso non come un vincolo, un ostacolo allo sviluppo, ma un'opportunità, una ricchezza, come uno degli strumenti per far recuperare competitività al nostro paese.
Pensiamo, per esempio, all'ipotesi di introdurre indicatori ambientali e all'adozione di un sistema di contabilità ambientale che tenga conto dei costi e dei vantaggi dello sfruttamento delle risorse ambientali. Il DPEF prevede, infatti, a fianco dei tradizionali indicatori macroeconomici, alcuni indicatori ambientali nonché la possibilità di adottare anche un sistema di contabilità ambientale nell'ambito del bilancio dello Stato e degli enti territoriali; dunque, oltre i limiti della sola sostenibilità economica.
Il Documento individua positivamente cinque direttrici da seguire per l'azione del Governo in campo ambientale: la valutazione ambientale strategica, che consente di valutare l'impatto di ogni intervento sul territorio, non solo sotto il profilo squisitamente ambientale; la difesa del suolo e la gestione delle acque; la tutela della natura, attraverso la necessità di avviare una politica di conservazione che integri e superi la mera applicazione della legge quadro sulle aree protette; le due grandi aree di intervento costituite dalle bonifiche e dalla gestione dei rifiuti; infine, una più attenta politica di tutela e valorizzazione del patrimonio marino ed una efficace gestione integrata della fascia costiera.
Detto questo, non devono essere nascoste anche alcune perplessità, laddove nel Documento si afferma, per esempio, che il rispetto degli obblighi derivanti dal Protocollo di Kyoto e dalla direttiva Emission trading implicherà, con ogni probabilità, oneri significativi sia per le imprese sia per la finanza pubblica. La verità è che arrivato il momento di ribaltare questa ottica. Sarà, infatti, il mancato rispetto di questi obiettivi a determinare nel breve e, soprattutto, nel medio e lungo termine alti costi che l'Italia sta già iniziando a pagare per il mancato investimento in tecnologie e fonti energetiche pulite. Insomma, il rispetto degli obblighi contenuti nel Protocollo deve rappresentare un'occasione di sviluppo anche al fine di individuare fonti energetiche alternative al petrolio che consentano di aumentare il risparmio energetico.
Riteniamo, invece, pienamente condivisibile il Documento di programmazione economico-finanziaria laddove afferma che i parametri del Protocollo e i nuovi obiettivi di riduzione dei gas serra richiedono un ripensamento sulle forme di produzione, consumo e risparmio energetico oltre che sulle modalità di trasporto. È evidente che la politica infrastrutturale debba rispondere a questi orientamenti. Questa è la direzione che lo sviluppo del nostro paese deve seguire ed è per questo che noi Verdi vigileremo e ci batteremo. Insomma, questo DPEF, seppure con alcune carenze e incertezze, risulta complessivamente più realistico e coraggioso rispetto ai precedenti. Certamente, si tratta di un Documento di programmazione...
PRESIDENTE. Onorevole Zanella...
LUANA ZANELLA. ...e, quindi, può soltanto individuare una cornice entro la quale dovranno essere assunte concretamente le future decisioni di politica economica del Governo, a cominciare dalla prossima manovra economica.
Non ho tempo per intrattenermi sull'allegato infrastrutturale e sulla necessità - che è stata sottolineata anche ora dal ministro - di fissare le priorità delle opere in base sia alla valutazione strategica sia anche ad approcci sistemici di qualità delle innovazioni e delle infrastrutturazioni.
PRESIDENTE. Onorevole Zanella...
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LUANA ZANELLA. Concludo, signor Presidente, sottolineando la differenza tra le previsioni contenute in questo DPEF e quanto realizzato finora in base a scelte quali la realizzazione del ponte sullo Stretto di Messina o del MOSE del quale - è vero - è stata contabilizzata la posa della prima e anche della seconda pietra, ma assolutamente non è stato previsto, riguardo ai piani di manutenzione, né quanto né chi, concretamente, pagherà.
Mi scusi, signor Presidente, per il tempo ulteriore che ho utilizzato (Applausi dei deputati del gruppo dei Verdi).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Napoletano. Ne ha facoltà.
FRANCESCO NAPOLETANO. Signor Presidente, signor ministro, signori rappresentati del Governo, onorevoli colleghi, credo che il paese reale, ossia i cittadini che sono fuori dal Parlamento, poco inclini alle conflittualità politiche e che auspicano che al di là degli interessi di parte si pongano gli interessi del paese al primo posto e, quindi, una maggiore costruttività nei rapporti, guardino con molta attenzione a questo dibattito sul Documento di programmazione economico-finanziaria, che non è inutile che il Parlamento svolga. Infatti, le passate edizioni delle «finanze allegre» non avevano Documenti che dettassero direttive a cui l'esecutivo dovesse conformarsi. Le politiche finanziarie necessitano, invece, di un documento che dia una svolta alla politica economica e sociale del paese.
La situazione è così seria che, il nostro, che è un grande paese, non può rassegnarsi ad occupare gli ultimi gradini in Europa su temi quali la crescita economica, la produttività, la competitività ed i conti pubblici. Abbiamo bisogno di interventi decisi, che tolgano questo paese dal rischio di una progressiva marginalizzazione.
Ebbene, mi pare vi sia un accordo di tutti sull'analisi alla base di questo Documento. Che paese riceviamo? È un paese con gravi problemi, come rilevato, sulla produttività e sulla competitività ed anche con una gravissima difficoltà nei conti pubblici, che nessuno può sminuire. La conseguenza di tutto ciò non è solo il ristagno della crescita del paese, ma anche la progressiva diminuzione del potere d'acquisto delle retribuzioni e delle pensioni. Occorre una svolta. La situazione è così seria, cari colleghi, che è persino peggiore di quella del 1992, che viene considerato un po', nel recente passato, una sorta di spartiacque, se è vero che l'avanzo primario è stimato nel 2006 addirittura allo 0,4 per cento, praticamente nullo, se si eccettuano alcuni interventi di manovre del recente passato, a fronte dell'1,8 per cento sul PIL, così come il rapporto del debito con il PIL è addirittura inferiore di due punti e mezzo rispetto al 1992. Si tratta di cifre che, ahinoi, parlano da sole.
Ebbene, signor ministro, la bontà di questo Documento, prima ancora che sia attestata dal Parlamento, è stata riconosciuta dall'Europa, quella stessa Europa che, a fronte dello «squasso» dei conti pubblici, aveva aperto una procedura di infrazione per deficit eccessivo ed avrebbe potuto proseguire nel suo iter, se non avesse creduto ad un Documento posto a base della prossima legge finanziaria, la quale su tale Documento, appunto, dovrà fondarsi. Quindi, abbiamo ricevuto un credito dai nostri partner europei. Altro che documento «lapalissiano», come alcuni colleghi l'hanno definito! Se precedenti Documenti fossero stati impostati in modo analogo in passato, forse non si sarebbe avuto un aggravamento della situazione come quello attuale, che ci obbliga non a manovre tampone, non a finanza creativa, a condoni o a manovre temporanee, ma ad affrontare finalmente i nodi strutturali di una spesa pubblica che, al di là di tutto, va tenuta sotto controllo e le cui dinamiche non possono procedere incontrollate, senza un intervento di monitoraggio e di atti governativi, per ricondurla in ambito più rispondente ai fabbisogni e ai conti pubblici. Questo, purtroppo, non è avvenuto. Il Documento sarà anche un libro diPag. 15sogni, come qualcuno lo ha definito, ma noi vogliamo che si affrontino finalmente a 360 gradi le problematiche.
Ciò che ci convince soprattutto in questo Documento, nella sua filosofia di fondo, è il fatto che non vi è la politica dei due tempi: prima i sacrifici, ma a scapito di coloro che li hanno sempre fatti in questo paese, e poi il risanamento. Ci convince questo nesso inscindibile tra crescita, risanamento ed equità. Infatti, nel momento in cui si chiedono sacrifici al paese, dobbiamo rispondere con misure di equità. Dobbiamo spostare risorse e redditi dalla rendita improduttiva verso coloro che la ricchezza la producono; dobbiamo mettere nelle mani dei cittadini un maggiore potere d'acquisto, con misure eque, che si devono trasformare in maggiore redditività e, quindi, in aumento della domanda. In caso contrario, quando dovranno ripartire in questo paese le imprese e i consumi? Dunque, l'abbinamento tra sviluppo ed equità mi sembra l'elemento più importante ed innovativo di questo Documento. D'altronde, l'abbattimento delle rendite di posizione è già cominciato con la manovra di fine giugno e verrà presto all'esame anche di questo ramo del Parlamento.
Pensare all'economia e al recupero di risorse con cui poter far fronte ai conti pubblici e favorire le condizioni per gli investimenti è importante, da una parte, ma, dall'altra, non si trascura la valorizzazione dei servizi sociali, della cultura e dell'occupazione. Infatti, questo è ciò che ci preoccupa di più: dare risposte ai nostri giovani, a coloro che hanno un lavoro precario e non possono ipotecare il futuro. Le politiche dell'occupazione ci sembrano al centro di questo Documento in quanto la crescita si fonda sull'occupazione. L'aver previsto un piano nazionale per favorire l'occupazione giovanile e femminile ed interventi per limitare l'area del precariato nel lavoro ci sembra una risposta importante e diversa rispetto al passato.
Tra i nodi strutturali, è importante quello di tenere sotto controllo la qualità della spesa. Certo, vi sono elementi che ci pongono degli interrogativi e ci lasciano delle preoccupazioni. Comprendiamo l'esigenza di riequilibrare i quattro grandi comparti della spesa, così come sono stati evidenziati, ma bisogna stare attenti: quando si parla di pensioni, pur apprezzando il mutamento metodologico e la scelta di procedere lungo i canali di una necessaria concertazione con i rappresentanti sindacali (oltre che con quelli degli enti locali, per quanto riguarda la finanza decentrata), dobbiamo dividere una buona volta la previdenza dall'assistenza e, solo successivamente, discutere sulla sostenibilità dei sistemi previdenziali. Con riferimento a questi ultimi, in particolare, mi auguro che i cosiddetti scaloni vengano eliminati, per evitare le conseguenze ingiuste che altrimenti si produrrebbero. Così anche in materia di sanità: certo, è importante mettere un freno, ma bisogna stare attenti ai tagli, in quanto è sicuramente importante bloccare la spesa sanitaria - che non è certamente la più alta d'Europa - ma anche far corrispondere ad essa il massimo dell'efficienza. La verità è che, date le risorse disponibili, bisogna favorire una riqualificazione della spesa.
Da ultimo, un pensiero sugli enti locali, che in questi ultimi anni sono stati strangolati dalle leggi finanziarie, che ne hanno ridotto in modo forte l'autonomia. A tale riguardo, noi facciamo riferimento non tanto ai tetti fissati sugli aggregati di spesa, quanto ai saldi complessivi. Certo, teniamo anche presente i pareggi di bilancio relativamente alla spesa corrente, ma questi vanno considerati al netto degli investimenti perché, se è necessario che anche gli enti locali contribuiscano al risanamento, altrettanto necessario è realizzare investimenti nel paese.
Concludo, rivolgendo una raccomandazione al Governo. Noi abbiamo apprezzato l'impianto di fondo di questo DPEF, ma invitiamo l'esecutivo ad una maggiore collegialità, specie all'interno della maggioranza. Il fine è quello di svolgere una discussione preventiva che ci consenta di predisporre una proposta di legge finanziaria da sottoporre anche al vaglio dellePag. 16opposizioni, in modo tale che il paese, alla fine, ne guadagni tramite rapporti differenziati, ma costruttivi. A questo guardano i lavoratori, i ceti meno abbienti ed anche le imprese, cioè i ceti produttivi di questo paese (Applausi dei deputati del gruppo dei Comunisti Italiani).