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Informativa urgente del Governo sui tragici fatti di Catania e sulle misure per contrastare il fenomeno della violenza negli stadi (ore 9,35).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di un'informativa urgente del Governo sui tragici fatti di Catania e sulle misure per contrastare il fenomeno della violenza negli stadi.
Dopo l'intervento del rappresentante del Governo, interverranno i rappresentanti dei gruppi in ordine decrescente, secondo la rispettiva consistenza numerica, per otto minuti ciascuno. Un tempo aggiuntivo è attribuito al gruppo Misto.
(Intervento del ministro dell'interno)
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il ministro dell'interno, Giuliano Amato.
GIULIANO AMATO, Ministro dell'interno. Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, ciò che vi devo dire inizia con un resoconto sui fatti che hanno preceduto lo svolgimento di quella partita e che l'hanno seguita. La partita Catania-Palermo doveva svolgersi, secondo il calendario ufficiale della Lega calcio, domenica 4 febbraio 2007, ma la partita destava da tempo forti preoccupazioni, sia per l'accesissima rivalità tra le due tifoserie, sia per la concomitanza con la festività di Sant'Agata, una festa popolare fortemente seguita, occasione di manifestazioni e cortei piuttosto partecipati.
Dagli inizi di gennaio si erano tenute diverse riunioni del comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, nel corso delle quali veniva rilevata la necessità di sensibilizzare la Federazione gioco calcio per un eventuale differimento dell'incontro. Anche la società Catania calcio riferiva al prefetto di aver reiteratamente richiesto alla Lega calcio di spostare l'incontro, ma di non aver ricevuto alcuna risposta.
La situazione richiamava l'attenzione dello stesso Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive - che, come sapete, è in funzione, dopo i ripetuti interventiPag. 2del mio predecessore, l'ex ministro Pisanu - composto da rappresentanti del Ministero dell'interno e ora del Ministero per le attività sportive, oltre che dagli esponenti del mondo sportivo, con il compito di compiere un monitoraggio costante verificando anche le singole situazioni.
Nel corso di una riunione tenutasi il 25 gennaio scorso, cui ha partecipato il questore di Catania, l'Osservatorio, valutata la situazione, collocava l'ipotesi dello svolgimento della partita a livello «tre» di rischio, che è il livello massimo nei criteri dell'Osservatorio, e su questa base approvava il differimento della partita a data da definirsi.
Nel corso della riunione tenuta dal comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica il giorno successivo, ossia il 26 gennaio, il questore di Catania riferiva che, nella riunione del giorno precedente dell'Osservatorio, pur essendo emerso l'orientamento di proporre il differimento della partita a data da destinarsi, era stata anche profilata l'ipotesi di far svolgere la partita il 2 febbraio, di venerdì, ma alle ore 15, anziché il 4 febbraio. Come sapete, il rischio è ritenuto minore, in questo mondo per me un po' «kafkiano» del calcio valutato come «occasione bellica», se la partita si svolge nelle ore diurne - e questo è facilmente comprensibile - piuttosto che nelle ore notturne.
Nella successiva riunione del comitato, svoltasi il 27 gennaio ultimo scorso, arrivava una nota scritta del segretario generale della Lega calcio, il quale, in relazione alla impossibilità, per ragioni inerenti alla sicurezza e all'ordine pubblico, di disputare la gara nei giorni di sabato e domenica, stante l'affollamento del calendario della stagione sportiva 2006-2007, che prevede impegni agonistici in tutte le settimane immediatamente successive a quella in oggetto, insisteva perché la gara si svolgesse il 2 febbraio, perché, quindi, non si pensasse a differimenti a data da destinarsi e perché, in considerazione della giornata infrasettimanale, la gara si svolgesse non alle ore 15, ma alle 18. Ciò in forma di auspicio.
Anche l'amministratore delegato del Catania faceva presente che l'eventuale inizio della partita alle ore 15 sarebbe stato fortemente penalizzante, considerate le difficoltà di raggiungere per tempo lo stadio data la giornata lavorativa; vi erano, inoltre, i contratti stipulati con la televisione. Insomma, venerdì 2 febbraio alle 18.
Anche il rappresentante provinciale del CONI esprimeva un avviso favorevole all'ipotesi del 2 febbraio alle 18.
Alla fine, in questo clima e in questo ambiente, il prefetto aderiva a questo insieme di suggerimenti, di pressioni e di valutazioni ed accettava di far svolgere la gara venerdì 2 febbraio alle 18.
A quel punto, il dipartimento della pubblica sicurezza decideva di mettere a disposizione della questura catanese 410 unità di rinforzo e, per lo svolgimento di questa partita, venivano così nell'insieme impegnati 1.350 operatori delle forze dell'ordine.
La partita ha avuto inizio alle 18. C'erano 20 mila spettatori locali e dovevano arrivare i tifosi ospiti che, come ormai è noto, sono giunti in ritardo per un insieme di ragioni.
Vi leggo quanto mi è stato predisposto. I tifosi palermitani, che viaggiavano a bordo di 6 pullman e di almeno 60 autovetture private scortati da personale delle forze dell'ordine, hanno lasciato il capoluogo siciliano alle ore 14,45, in ritardo rispetto ai tempi programmati, malgrado le continue sollecitazioni operate dal personale della questura.
Poi, i quattro pullman fanno un errore di percorso e, alla fine, arrivano in prossimità di Catania quando la partita ha già iniziata. Dopo le previste operazioni di filtraggio, giungono allo stadio alle ore 19,15. Quindi, siamo già nel secondo tempo della partita.
Quando i tifosi del Palermo sono arrivati allo stadio, un consistente numero di ultrà catanesi ha tentato di aggredirli. I disordini hanno avuto inizio con reiterati lanci di pietre e altri corpi contundentiPag. 3contro le forze dell'ordine da parte di squadre di teppisti che stazionavano all'esterno dello stadio.
Al fine di riportare l'ordine, le forze di polizia hanno attuato interventi di alleggerimento, ricorrendo anche all'uso di alcuni lacrimogeni per disperdere i facinorosi che facevano uso di spranghe di ferro e di bastoni continuando nel contempo a lanciare bulloni, pietre, bombe carta ed altri oggetti. Tra le due tifoserie, grazie a questi interventi, non vi sono stati contatti.
Però, nel frattempo, tra i lacrimogeni utilizzati dalle forze dell'ordine e i fumogeni accesi dai tifosi e scaraventati verso il campo, si è creato un ambiente nel quale l'arbitro ha ritenuto di sospendere la partita, che è ripresa dopo circa mezz'ora.
Al termine dell'incontro, gli ultrà della curva nord continuavano gli scontri con il sostegno di altre persone che, all'esterno dello stadio, tentavano di colpire sul fianco i reparti di polizia.
Qui inizia la parte che credo molti di voi abbiano visto in televisione, grazie all'emittente che si è messa in diretta e ci ha fatto vedere quello che stava accadendo fuori dallo stadio.
È stato a questo punto che rimanevano feriti numerosi militari dell'Arma dei carabinieri ed agenti di pubblica sicurezza e vi è stato l'incidente che è costato la vita a Raciti; un incidente di cui ancora non sappiamo esattamente quando è accaduto ciò che ha provocato la sua morte.
Raciti si trovava nella macchina di servizio. Quando vede il fumo, scende dalla macchina e gli esplode addosso la bomba carta; viene allora portato all'ospedale Garibaldi (tra l'altro, le agenzie lo danno per morto subito, ma non è così, perché morirà un'ora dopo). Si è scoperto che ciò che ha provocato la morte è stato un trauma addominale con fratture multiple del fegato compatibili - scrive il linguaggio medico - con un corpo contundente di importante adeguatezza lesiva.
Quindi, questo nostro funzionario era stato colpito da qualcosa - forse, una spranga, un masso -, ma ha continuato a lavorare, nonostante gli fosse accaduto un fatto del genere; poi il contatto con la bomba carta ha provocato un trauma che deve essere intervenuto, ma il fattore determinante della morte è stato l'effetto di questo oggetto che lo aveva colpito. Non sappiamo da chi evidentemente l'oggetto possa essere stato lanciato.
Sino ad ora - mi scrivono ieri pomeriggio - sono state arrestate 33 persone (ora sono diventate 34 con l'arresto del custode dello stadio, in circostanze e per ragioni che fanno capire quale era il clima ed il contesto nel quale la vicenda è accaduta), di cui 22 adulti e 11 minorenni ritenuti responsabili di resistenza, violenza e lesioni a pubblico ufficiale, danneggiamenti aggravati ed altro.
Sono stati ispezionati i luoghi, lo stadio, eseguite perquisizioni anche nelle sedi dei circoli di tifosi e nelle abitazioni dei principali responsabili dei circoli. Sono stati sequestrati stupefacenti, oggetti idonei all'offesa, spranghe, catene, bastoni e poi vi è stato l'ultimo reperto all'interno dello stadio che ha portato all'arresto del custode stesso.
Sono state, inoltre, visionate le videoregistrazioni effettuate dalle telecamere dislocate all'interno dello stadio e nelle sue adiacenze. Ci si sta ancora lavorando ed è grazie a questo che sono avvenute diverse identificazioni.
Il procuratore di Catania sta lavorando con il massimo impegno e ha affermato che, allo stato, non può escludersi che i gravi disordini siano stati espressione di un preordinato attacco che ha avuto come unico e reale obiettivo le forze di polizia, nei confronti delle quali, già nel recente passato, si sono dovute registrare reiterate manifestazioni di violenza verbale e fisica.
Qui termina, al momento, il racconto dei fatti.
Questi fatti di Catania, in realtà, ci dicono due cose. Il primo fatto che emerge è che certamente a Catania vi è una situazione specifica che è essa stessa fonte specifica di violenze e di tale situazione specifica ci dobbiamo fare carico. La dobbiamo capire e dobbiamo rendercene conto. Siamo alle prese con una città nella quale i quartieri periferici sono diventati - in parte avevano cessato di esserlo, poiPag. 4evidentemente il degrado ha ripreso il sopravvento - una sorta di Bronx in mano, in parte, alla povertà e alla mancanza di lavoro e, in un parte, alla criminalità. Ieri, mentre stavamo andando al funerale, il prefetto mi diceva che molti dei bambini e dei ragazzi che vivono in taluni quartieri di Catania hanno i genitori, il padre «dentro» oppure in procinto di andarci oppure che ne è da poco uscito, e per loro lo «sbirro» è il nemico. Quindi, esiste questa psicologia, poi alimentata da moduli di vita nei quali ciascun ragazzo finisce per cercare l'identità nell'esercizio della violenza e nell'autoaffermazione di sé, nei modi che sono possibili nell'ambiente in cui vive. Questo ci porta al tema generale della violenza, che certo non nasce negli stadi, finisce per connettersi con gli estremismi politici e trova alimentazioni diverse in situazioni diverse. Indiscutibilmente, questo è un grande problema che abbiamo tutti davanti: il responsabile dell'economia, il responsabile del governo del territorio, la scuola, le nostre famiglie.
Più vado avanti nel mestiere che sto facendo più mi rendo conto che spesso mi trovo con un pentolino in mano a togliere l'acqua da una barca nella quale ci sono tante falle attraverso le quali l'acqua entra. Napoli è un'altra situazione nella quale viene da fare questo tipo di riflessione. Quindi, c'è un grande tema: la violenza nella società del nostro tempo, le ragioni che la determinano.
Inoltre, dai fatti di Catania ci viene un secondo insegnamento: il calcio finisce per essere uno dei grandi catalizzatori di questa violenza ed è difficile dire quanto coaguli violenza che ha radici altrove, quanto diventi esso stesso occasione che ne forma di sua, che le dà la possibilità di organizzarsi, che le offre canali, occasioni, simboli attraverso i quali e in ragione dei quali esprimersi. Non c'è dubbio che questo secondo aspetto finisce per avere una sua specificità e per esigere la nostra attenzione.
In realtà, l'attenzione c'è stata, perché nel corso degli anni il fenomeno ha acquistato una sua corposità, e nella scorsa legislatura vennero adottate misure indiscutibilmente forti e capaci di una loro efficacia, tanto che oggi possiamo senz'altro dire che una parte dei fenomeni che ci troviamo a fronteggiare sono dovuti alla non ottemperanza complessiva a quelle misure. Indiscutibilmente questo va detto e guai se non venisse detto. Con l'esperienza che siamo venuti facendo ci accorgiamo, però, anche dei limiti che queste hanno dimostrato e della necessità, oltreché di portare all'ottemperanza, anche di raddrizzare ciò che non ha funzionato e di collocare in un orizzonte che finora è mancato la prospettiva dell'utilizzazione degli impianti sportivi.
Sapete quali sono le misure: riguardano il prefiltraggio e l'ingresso selezionato degli spettatori, il biglietto nominativo, la possibilità di controllare elettronicamente all'ingresso la corrispondenza tra il nome scritto sul biglietto e la persona che entra, la separazione delle tifoserie negli stadi, la videosorveglianza.
Insomma, occorre creare una situazione in ragione della quale la possibilità che all'interno dello stadio si verifichino disordini sia fortemente attenuata da tutto il filtraggio che avviene all'esterno. In più, occorre organizzare la partenza, il viaggio e l'arrivo delle tifoserie della squadra ospite e a questo sono dedicati appositi decreti e circolari.
Non tutto ha funzionato: molti impianti sportivi non solo sono rimasti lontani rispetto agli adempimenti dei requisiti indicati dai decreti del mio predecessore - l'onorevole Pisanu, oggi senatore - ma chiaramente molte società hanno dimostrato di non avere alcuna intenzione di farlo.
La testimonianza più evidente di questo è il disarmante dato che ho sulla certificazione della capienza di numerosi impianti sportivi. Sapete che gli standards previsti dal decreto Pisanu valgono per stadi dai diecimila spettatori in su. Io mi trovo diversi stadi - non ne faccio il nome qui, ma si sanno - certificati per 9.999 spettatori ...!
LUCA VOLONTÈ. Faccia i nomi, faccia i nomi, che serve!
GIULIANO AMATO, Ministro dell'interno. Si tratta degli stadi di Cesena, Vicenza, Cremona, Foggia. Poi, ne ho diversi che sono certificati per 9.900, uno per 9.500 spettatori e così via.
È chiaro che quando uno si trova davanti ad una situazione del genere capisce che siamo di fronte non alla prospettiva di un completo adeguamento alle normative esistenti, ma ad una chiara volontà di elusione di queste.
La vicenda delle tifoserie è forse la più sfortunata - se vogliamo - nel tentativo che c'è stato di organizzarne i movimenti allo scopo di evitarne la turbolenza. In realtà, questi movimenti organizzati hanno finito per diventare essi stessi occasione per l'esercizio di violenze.
Questi conglomerati di tifosi hanno esteso la violenza dallo stadio, in cui hanno intenzione di arrivare, all'intero percorso di andata e anche a quello di ritorno. Ho dovuto leggere con qualche disagio le istruzioni date ai questori con una indicazione analitica delle aree di sosta autostradali maggiormente o minormente - scusate il pessimo italiano - a rischio rispetto ad altre.
Mi aspetto che queste siano le istruzioni che ricevono i nostri soldati quando si muovono sul terreno del Libano. Trovo impensabile che dobbiamo organizzare la nostra vita collettiva in modo tale da dover fare i conti con questo tipo di situazioni di rischio. I treni, dopo questi viaggi, concorrono - come ben sapete - al disavanzo delle Ferrovie dello Stato!
Del resto, gli effetti, che erano stati positivi nella prima attuazione di quelle normative, nel passaggio tra il campionato 2005-2006 al campionato 2006-2007 hanno cominciato a rovesciarsi. Ora, confrontando i periodi per le prime venti giornate del campionato 2005-2006 con quello 2006-2007, arrivando perciò fino a gennaio, abbiamo nuovamente un incremento degli incidenti.
Quindi, a parte la crescita del personale impiegato, il totale dei feriti è tornato ad aumentare. Vi rendo noti questi numeri: il totale dei feriti nelle forze di polizia è stato di 338 nel 2004-2005, 158 nel 2005-2006, 228 nel 2006-2007. I dati si riferiscono al medesimo periodo, dall'inizio del campionato a gennaio.
Diminuisce, invece, il totale dei feriti civili, ma trovo doveroso e giusto, da parte mia e da parte vostra, considerare l'aumento dei feriti tra le forze dell'ordine. È aumentato, inoltre, il totale degli arrestati, da 118 a 136, e il totale dei denunciati, da 293 a 564.
Quindi, c'è stata una ripresa di questi fenomeni. Una buona parte della responsabilità ricade proprio su Catania. Se guardo agli impianti sportivi nei quali si sono verificati maggiormente gli incidenti, in quello di Catania, su 24 incontri disputati, ve ne sono stati 10 con incidenti, per un totale di 147 feriti, di cui 118 tra le forze dell'ordine. Naturalmente, gli eventi dell'ultima settimana portano questa media particolarmente in alto, perché questi numeri includono anche l'incontro Catania-Palermo.
A Napoli, su 26 incontri disputati, ve ne sono stati 12 con incidenti, con 37 feriti, di cui 27 tra le forze dell'ordine; a Bergamo (Atalanta), su 25 incontri disputati, 8 con incidenti, con 27 feriti, di cui 21 tra le forze dell'ordine; a Taranto, su 26 incontri disputati, 4 con incidenti, con 41 feriti, di cui 36 tra le forze dell'ordine. Ho altri dati, che lascerò a vostra disposizione.
È stato in questo contesto che ho detto che non avrei più mandato le forze dell'ordine a rischiare la vita e a riportare ferite in quelle condizioni. I poliziotti e i carabinieri sanno di svolgere un mestiere rischioso, ma non ha senso alcuno che il rischio debba essere corso massimamente quando si svolge un evento che dovrebbe far parte della vita ludica, di un momento in cui ci si distrae e ci si rilassa passando una domenica allo stadio, come diceva una vecchia canzone: con tutta la buona volontà, si mette a repentaglio la lealtà al proprio lavoro, da parte di chi è costretto a lavorare in quelle condizioni.Pag. 6
Ieri, credo che tutti siamo rimasti impressionati dalla straordinaria forza morale dimostrata da questa giovanissima donna, che ha perso suo marito. Tutti gli italiani l'hanno vista, con la sua bambina, che parlava di suo padre (Applausi).
Prima di loro aveva parlato un poliziotto, che, con la voce rotta dal pianto, dopo che era stato letto il messaggio del Capo dello Stato, ha voluto dire a quest'ultimo: «Noi ci crediamo ancora!». Questo - vi assicuro - è stato per me non meno commovente di ciò che ho sentito dire dalla signora e da sua figlia. «Noi ci crediamo ancora!»: è un messaggio di cui avevamo bisogno e al quale dobbiamo rispondere dicendo basta a quello che è successo! Voltiamo pagina davvero e facciamo in modo che non debba accadere più!
È in queste circostanze che, insieme al ministro Giovanna Melandri, alla dirigenza del CONI e ad un commissario straordinario per il calcio, che si è rivelato un uomo di grandissima qualità, la sera del 2 febbraio eravamo pronti a decidere che il campionato dovesse fermarsi. Tuttavia, è stato proprio il commissario a dirlo prima di noi, nonostante anche nei suoi confronti fossero esercitate le stesse pressioni che avevano portato allo svolgimento della partita.
Vi ho letto analiticamente quei passaggi sul telegramma della Lega calcio e sul rappresentante del CONI per farvi capire la situazione che si determina in sede locale, dove anche un prefetto di valore - come quello di Catania, che conosco da anni e che stimo molto - ha finito per adottare una decisione che forse avrebbe potuto essere evitata, vale a dire quella di far svolgere la partita in un giorno e in un'ora sbagliati. Tuttavia, vi era una così forte pressione da parte dell'ambiente, che tutti hanno finito per dire al prefetto che la partita si poteva svolgere.
Devo sottrarre i poliziotti al rischio che corrono per una partita di calcio, ma anche i prefetti a quello di adottare decisioni non opportune. Allora, basta con l'apertura degli stadi in deroga!
La legge consentiva questa possibilità e io stesso, sbagliando, ho firmato a dicembre un provvedimento che autorizzava i prefetti a derogare di volta in volta all'assenza dei requisiti, verificando caso per caso. Ciò non deve essere più possibile: se gli impianti non sono a norma, in quegli impianti il pubblico non può entrare! Si possono svolgere le partite a porte chiuse fino a quando non interviene l'adeguamento, ma non vi deve essere più la possibilità che accada una cosa del genere!
In queste ultime settimane, qui a Roma, mi è capitato più volte di passare la tarda mattinata della domenica nei pressi dello stadio e ho visto tante famiglie avvicinarvisi con i bambini già verso l'una o le due. Vanno per vedere la partita, i bambini sono allegri. Dunque, ha senso che dopo due ore queste famiglie rischino - anche se a Roma questo rischio è minore - di trovarsi coinvolte in una guerriglia, perché ci sono dei pazzi organizzati che si addestrano per far questo in occasione di una partita di calcio?
Di questo dobbiamo essere consapevoli. In questi giorni vi sono state dichiarazioni più o meno smentite di personaggi del mondo del calcio. Non vi è dubbio che da questo mondo verrà una pressione affinché, come si suol dire, lo spettacolo continui: il calcio è una cosa grossa, perché in tanti si dipende dal calcio, le entrate dello Stato e delle società, dipendono da esso! Abbiamo il dovere verso le forze dell'ordine e verso i nostri cittadini di resistere a queste pressioni, di mantenere il senso delle proporzioni, di sapere che non solo la vita che si è persa e quelle che non vogliamo si perdano, ma anche il diritto alla serenità delle famiglie italiane che la domenica vogliono andare allo stadio valgono di più degli interessi economici che pretendono che lo spettacolo continui come se nulla fosse accaduto.
È un'occasione che non dobbiamo perdere per cambiare. Cambiare non vuol dire soltanto essere più severi nei confronti di chi non abbia ottemperato e nei confronti delle persone che si rendano responsabili della violenza, ma è anchePag. 7saper dare una prospettiva, nella quale sia credibile che questo sistema nel suo insieme cambia.
Questo deve essere detto, con la stessa realistica serenità con la quale ho ritenuto di dire - e lo confermo - che apprezzo e apprezziamo le misure che sono state adottate nella precedente legislatura. Bisogna anche aggiungere che tra le ragioni che hanno condotto alla loro solo parziale attuazione vi è la perdurante incertezza sul destino futuro degli impianti sportivi e, quindi, sulla responsabilità della loro gestione. Infatti, se gli impianti sportivi, affidati alle società sportive per le partite di calcio, restano di proprietà degli enti locali, rimane oggettivamente aperta la questione di chi dei due debba spendere denaro. In altri termini, perché la società sportiva deve spendere tanto denaro per quell'impianto? Ed il comune che cosa fa? Ciò determina una incertezza e la necessità di creare una prospettiva diversa, quella che è stata delineata da parte di molti che, in queste giornate, hanno espresso le loro opinioni. Secondo tale prospettiva, gli impianti sportivi devono essere posti sotto la responsabilità e nella gestione delle società sportive; a quel punto, la Polizia potrà tutelare la sicurezza all'esterno mentre la società la assicurerà all'interno dell'impianto. Questa è la prospettiva verso la quale intendiamo andare, e dobbiamo muoverci subito in tale direzione. Soltanto questa soluzione, tra l'altro, permette il controllo da parte delle società, all'interno, e della Polizia, all'esterno.
Se a ciò si aggiunge l'attuazione delle misure decise dall'ex ministro Pisanu per quanto riguarda i tornelli, il «filtraggio», il biglietto nominativo, il controllo elettronico e la videosorveglianza, il compito del controllo interno allo stadio diviene sufficientemente gestibile da parte di steward e non più necessariamente da parte delle forze dell'ordine. Questi due elementi, quindi, si connettono tra loro. Ad oggi, nella situazione esistente, non saremmo in condizione di dare luogo ad una separazione di responsabilità, che sarà sempre relativa ma, comunque, sarà una separazione. Perciò, un versante sul quale il Governo intende intervenire subito, e che rientra nella prioritaria responsabilità del ministro per le attività sportive, sarà quello di costruire un sistema impianti sportivi-società sportive, che ne abbiano la integrale responsabilità.
Sul terreno degli interventi più immediati, già sapete quanto è emerso dagli incontri di ieri sera, ai quali la stampa ha preteso di far seguire una immediata comunicazione; del resto, era anche giusto che fosse così. Al di là della decisione di lasciare gli stadi vuoti finché non saranno a norma secondo i decreti richiamati, fondamentalmente vi sarà una chiara discontinuità rispetto alla parte che meno ha funzionato in questi anni, quella dei viaggi organizzati delle tifoserie, che si sono rivelati occasioni di ulteriori violenze. Noi intendiamo intervenire alla radice di questo problema, cioè sulla riserva di un ampio numero di biglietti per le tifoserie della squadra che sarà ospitata. Tutto questo verrà a cessare e non ci sarà più il passaggio di biglietti che la società ospitata, successivamente, metteva a disposizione, non delle famiglie palermitane che desideravano andare a Catania, ma delle tifoserie. Tale passaggio diventava, infatti, il salvacondotto collettivo utilizzato per organizzare quei pullman e quegli sciagurati viaggi in treno. I biglietti saranno disponibili nelle forme tradizionali, per cui ciascuno deve pensare a se stesso.
Vi saranno rafforzamenti di altre misure. Abbiamo bisogno che coloro che commettono questi atti vengano puniti seriamente e che non si trovino fuori il giorno dopo la partita. Se hanno avuto l'interdizione a frequentare gli stadi, l'interdizione dovrà essere efficace e non rimanere soltanto sulla carta. Ne discendono norme che verranno adottate per aggravare taluni dei reati che sono commessi, per estendere nuovamente la quasi flagranza alle 48 ore sulla base dell'identificazione effettuata dalle telecamere e dal sistema video, considerando il tempo necessario all'identificazione di qualcuno colto sul fatto non direttamente dall'occhio umano ma dalla videocamera. È giustoPag. 8adeguare la flagranza a questo modo di scoprire la commissione del reato; serve il tempo per verificarlo.
Vi è, inoltre, una modifica del divieto di assistere alle partite, oggi ancorato alla commissione di un reato, il che esclude che il divieto possa essere comminato ai minorenni. Se il divieto avesse per presupposto non la commissione del reato, ma un fatto accaduto durante la partita assunto come indice di pericolosità, esso potrebbe essere configurato (è nostra intenzione farlo) come misura di prevenzione e come tale comminabile anche ai minori senza modificare l'età per l'imputabilità penale di un minore, fatto che troverei aberrante. Non c'è bisogno di fare ciò, ma di impedire, ad un minore che compia atti violenti, di andare alle partite nelle domeniche successive. Ed impedire significa impedire davvero.
Il sistema della firma, infatti, viene con facilità aggirato da quanti si recano a firmare immediatamente prima dell'inizio della partita e poi vanno tranquillamente alla partita. Non sarà facile organizzare ciò, ma se sarà regolato in un numero sufficiente di casi, la prescrizione dovrà essere non la firma ma l'assolvimento di un compito di rilievo sociale e collettivo. La prima cosa che viene in mente, un po' «crudele», è mandare a pulire i gabinetti, ma si possono anche andare a pulire delle scritte o prestare assistenza a qualcuno. Ciò naturalmente esige una capacità di gestire la situazione da parte dell'ente locale, ma dobbiamo riuscire a farlo.
Si deve percepire, in Italia, in questo ambito e altrove, che la cultura della legalità non è un argomento da «conferenza della domenica» ma un ingrediente della nostra vita quotidiana. Alla lunga, il dramma vero, dentro e fuori dagli stadi, è che la legalità perde ogni credibilità perché c'è indifferenza dinanzi alla sua violazione e la sola presa d'atto che le cose vanno in questo modo e non riusciamo a cambiarle. Non cambieremo tutto, ma dobbiamo cambiare abbastanza da dare la percezione che vi sono limiti invalicabili nel rispetto degli altri ed anche nell'esercizio delle proprie libertà.
Io faccio di mestiere l'educatore e nessuno mi leverà, per così dire, dalla testa che il modo principale per togliere i nostri giovani da questo limbo nel quale sono caduti sia l'educazione che viene dalla scuola e dalla famiglia; ma non posso assolutamente negare - e anzi affermo esattamente il contrario - che, a fronte di comportamenti trasgressivi, specie se ripetuti, la punizione è un elemento essenziale di un'ordinata convivenza civile. Forse, non dovevamo neppure aver bisogno di fatti gravi quali quelli verificatisi a Catania per attivare le misure che oggi intendiamo apprestare (Applausi).
(Interventi)
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Burtone. Ne ha facoltà.
GIOVANNI MARIO SALVINO BURTONE. Signor Presidente, prima di entrare nel merito delle valutazioni svolte dal ministro, il pensiero nostro, di parlamentari de L'Ulivo, va all'ispettore capo Filippo Raciti, che ha perso la vita per compiere il suo dovere, e forse anche qualcosa di più. Alla sua famiglia, alla moglie, ai due figli esprimiamo il nostro sincero cordoglio; la nostra solidarietà è ancora più forte di fronte ad incaute e inopportune dichiarazioni di autorevoli dirigenti del mondo del calcio e della politica. Vorrei chiedere a loro e a tutti noi se questa mobilitazione vi sarebbe stata qualora il povero ispettore Filippo Raciti fosse stato solo ferito seriamente o se, invece, la vicenda sarebbe stata piuttosto derubricata a «causa di servizio».
Signor ministro, si è trattato - lei lo ha dichiarato, e noi ne conveniamo - di un delitto consumato durante un'imboscata, scrupolosamente preparata da delinquenti, che purtroppo hanno invaso il mondo del calcio. Tale tesi investigativa ha trovato conferma nelle parole dei magistrati della procura della Repubblica di Catania che stanno indagando sui fatti, il procuratore aggiunto Papa ed il sostituto Fonzo, i quali hanno dichiarato: l'agguato è stato premeditato,Pag. 9i filmati lo dimostrano chiaramente; vi sono gruppi di criminali che nulla hanno a che fare con i tifosi; questi delinquenti vanno allo stadio solo per aggredire le Forze dell'ordine e le tifoserie delle squadre avversarie.
Purtroppo, i fatti di Catania, ma anche tanti altri episodi di violenza - non vorremmo si dimenticassero il linciaggio e la morte di un dirigente avvenuti in un piccolo campo calabrese, lontano dai riflettori dei campionati nazionali ma gravissimi per la brutalità con cui sono accaduti -, confermano l'inefficacia del decreto varato nella scorsa legislatura. Gran parte di quelle norme si sono rivelate inadeguate e sono rimaste inapplicate; non hanno esercitato un potere deterrente perché chi viene fermato, se incensurato viene anche subito rilasciato e viene denunciato a piede libero in attesa di processo.
Le società non hanno investito nella sicurezza degli stadi; sì, è vero, sono state «bloccate» da questo equivoco tra la loro competenza e quella degli enti locali. Ma, diciamolo pure con franchezza: le società sono motivate a potenziare l'organico delle proprie squadre, non a rendere sicure le strutture in cui avvengono le competizioni.
Si è mantenuto il rapporto perverso tra alcune società di calcio ed i gruppi violenti, nella convinzione che il tifo oltranzista, cieco e violento, fosse la degenerazione circoscritta della passione sportiva.
Dunque, signor ministro, noi conveniamo con lei: vi è bisogno di leggi severe e di pene certe perché i prepotenti non prevalgano; ma, anche e soprattutto, vi è bisogno di educazione alla convivenza ed allo sport, e su tale fronte scuola e famiglia debbono essere in prima linea. Condividiamo la decisione annunciata di voler seguire la strada di un provvedimento di emergenza e di lungo periodo che cambi in modo radicale la situazione recando misure relative all'ordine pubblico, al diritto penale, alla nuova gestione della sicurezza degli stadi e prevedendo, altresì, norme più severe dal punto di vista della giustizia sportiva, con una responsabilizzazione delle società calcistiche dentro e fuori gli stadi. Tutto ciò, però, potrebbe essere insufficiente se non si dovessero porre sul tappeto, più responsabilmente, anche i problemi complessi presenti nell'organizzazione del mondo del calcio, che è divenuto sempre più un'industria corrosa dagli interessi.
Due ultime considerazioni. Tra gli arrestati a seguito dei tragici fatti di Catania del 2 febbraio c'è un'alta percentuale di giovanissimi, di minorenni, arrivati allo stadio dalle periferie urbane, ma anche dai quartieri dove vive la cosiddetta città bene. Si tratta di un fatto inquietante, che interroga tutti noi e che sollecita tante domande.
Perché il tifo di questi ragazzi non si limita all'incoraggiamento della propria squadra? Perché la passione sportiva si trasforma in violenza furiosa, in odio? Siamo di fronte a tifosi violenti che pongono un problema di ordine pubblico ovvero c'è qualcosa di più serio, legato al degrado delle nostre città, al conseguente disagio giovanile che si esprime con gli ultrà negli stadi, ma anche con il bullismo nelle scuole e nelle strade? Perché, la domenica, anche nei polverosi campi di calcio di periferia, dove giocano bambini dai sei ai quindici anni, sugli spalti non mancano gli episodi di violenza? In questi casi, i genitori, per la voglia di affermazione dei propri figli, suggestionati dal desiderio di farli entrare in un mondo dorato superpubblicizzato, dimenticano la funzione di educatori ed individuano, di volta in volta, nell'arbitro, nella squadra avversaria o nella polizia l'ostacolo al raggiungimento dei propri obiettivi.
Queste domande non riguardano solo Catania, ma tutto il paese: riguardano le nostre case, le nostre famiglie, la nostra scuola, le nostre istituzioni.
La seconda riflessione, signor ministro, riguarda Catania, la città vittima di tanta inaudita violenza. Quello che è accaduto non può essere relegato solo a problema di violenza nello stadio: la partita è stata, purtroppo, la scintilla. C'è un malessere profondo, sempre più in crescita, nelle aree più degradate della Sicilia ed in quella di Catania. In questi territori, si èPag. 10affievolita la spinta alla partecipazione civica, ed è sempre più cresciuta un'azione qualunquista che alimenta l'odio antisistema. Interi quartieri, signor ministro, sono scivolati nell'illegalità e sono finiti sotto il controllo di cosche mafiose. Il 24 gennaio, a Librino, un quartiere di Catania, mentre stavano sequestrando armi e droga in un palazzo, finanzieri e poliziotti sono stati presi a sassate e sputi da singoli cittadini incensurati. Si tratta di un episodio gravissimo, sottovalutato delle istituzioni, dalla politica, dagli organi di informazione. Racket delle estorsioni, traffico e spaccio di droga ed appalti sono tornati ad essere il terreno di coltura di una mafia ancora più forte ed incisiva...
PRESIDENTE. La invito a concludere.
GIOVANNI MARIO SALVINO BURTONE. ... anche se, come si suole dire, inabissata: una condizione d'allarme che deve portare il Governo ad iniziative di repressione, accompagnate da politiche di prevenzione che possano incidere...
PRESIDENTE. La prego di concludere.
GIOVANNI MARIO SALVINO BURTONE. ... nel fragile tessuto - sto concludendo, signor Presidente - economico e sociale.
Siamo fiduciosi. Siamo convinti che il Governo saprà varare un provvedimento in grado di coniugare sicurezza, legalità e passione per lo sport, norme che valorizzeranno e responsabilizzeranno il mondo del calcio, ma anche le istituzioni, la famiglia e la scuola. Infatti, non c'è repressione senza attività di prevenzione e di promozione di una cultura...
PRESIDENTE. Grazie...
GIOVANNI MARIO SALVINO BURTONE. ... in cui torni centrale la massima «L'importante è partecipare», in cui la vittoria non sia sganciata dalla lealtà: sono questi lo sport ed il calcio che noi vogliamo (Applausi dei deputati dei gruppi L'Ulivo, Comunisti Italiani e Italia dei Valori - Congratulazioni)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Pescante. Ne ha facoltà.
MARIO PESCANTE. Signor ministro, abbiamo apprezzato la sua informativa, ma soprattutto la sua dichiarazione di qualche giorno fa, ferma, determinata; due sole parole, che esprimono anche il sentimento nostro e della stragrande maggioranza del paese, due parole significative: ora basta! Lei ha detto: la violenza è ovunque, ma negli stadi è inammissibile ed intendo curarla - cito le sue parole -, anche con provvedimenti punitivi. È una riflessione che giro a qualche collega del Parlamento, al quale mi riferirò dopo.
Vede però, signor ministro, per esperienze già vissute fui io, nel 1995, a sospendere il campionato di calcio, per l'assassinio di un tifoso a Genova. Devo riconoscere che quello fu - più che un messaggio ed un invito alla riflessione - un atto di impotenza, tant'è vero che dodici anni dopo siamo di fronte ad un altro assassinio: il secondo in due settimane.
Questa volta siamo tutti d'accordo: strapparsi le vesti per poi tornare a comportarsi come sempre, sarebbe davvero imperdonabile! È giunto il momento di prendere di petto questo virus della violenza nel calcio. Una partita di calcio non vale la vita di nessuno, tanto meno di un poliziotto che cerca di fare al meglio il suo dovere.
Non entro nel merito degli specifici provvedimenti che il Governo ha in animo di adottare, complessivamente condivisibili. Sottolineo però due aspetti, che a mio parere non sono stati ben considerati dall'intervento governativo. Il primo riguarda il problema degli stadi e della loro sicurezza, che ha giustamente monopolizzato l'attenzione del Governo, senza però tener conto, signor ministro, a mio avviso, che gli incidenti più gravi, mortali addirittura nel caso di Catania, avvengono fuori degli stadi: avvengono nelle piazze, nelle strade, nei cosiddetti treni speciali,Pag. 11negli autogrill. Ebbene, nel caso di Catania i tornelli automatici, i biglietti nominativi, non sarebbero serviti a nulla. Per combattere questo tipo di folle violenza criminale che si manifesta fuori degli stadi servono ben altri strumenti di carattere normativo, incisivi, severi.
In secondo luogo, non mi pare sia stato evidenziato e considerato il fatto che abbiamo a che fare non con tifosi esagitati, ma con vere e proprie bande criminali! Branchi armati, che, per provare il brivido di sentirsi qualcuno, trasformano la miserabile identità di pseudotifoso in guerriero della curva! È da tempo che non si ascoltano più negli stadi gli allegri, se pur cattivi, insulti dell'«arbitro venduto», o altre espressioni che finiscono in «uto». Si ascoltano invece cori di odio, di violenza, di rancore contro tutti, tranne che a favore della propria squadra, e di razzismo.
Le bande di teppisti sono diventate - concordo con l'intervento di chi mi ha preceduto - gruppi di potere che tengono in scacco il mondo del calcio - gli stessi tifosi, i club, i presidenti, i giocatori - e che spesso hanno evidenti legami con la criminalità comune organizzata, per esempio nel campo dello spaccio degli stupefacenti. La fede sportiva, signor ministro, per carità, è solo una copertura! E così, dagli scontri tra tifoserie siamo passati alle aggressioni sistematiche alle Forze di polizia. È in atto un vero e proprio attacco premeditato alle istituzioni delle Forze dell'ordine, non solo a Catania, e certi vergognosi slogan che si inseguono per tutta Italia ne sono la dimostrazione.
La domanda che allora ci poniamo, signor ministro, è la seguente: lo Stato può accettare questa violenza criminale, che in ogni stagione si espande? No, sicuramente no. I provvedimenti preannunciati servono come valido strumento di contrasto? Personalmente nutro qualche dubbio. Da sempre, nonostante le norme in vigore, gli stadi e gli spazi antistanti vengono considerati territorio franco. Sembra che ciò che avviene sugli spalti non abbia alcuna rilevanza penale e, diciamo la verità - ieri ne abbiamo avuto una riprova -, i reati da stadio non hanno mai «scaldato» i magistrati. La legislazione vigente inoltre non consente azioni di contrasto realmente efficaci. Si fa riferimento, spesso solo teorico, alla legislazione inglese.
Ebbene, in Inghilterra, chi lancia in campo oggetti, di qualsiasi tipo, viene arrestato immediatamente! In un paese civile, che ha creato l'Habeas corpus nel 1200, il tifoso che infrange la legge, che grida slogan aggressivi ed insulti razzisti, viene portato in cella, spesso nello stesso stadio e, all'indomani, viene giudicato dal magistrato competente! Nulla di tutto ciò è consentito alla nostra legislazione.
Pertanto, credo che anche che in Italia si debbano prevedere norme, non speciali, visto che quest'espressione mette paura, ma specifiche per i reati di violenza nello stadio, sanzioni penali più severe, ma soprattutto la certezza della pena.
Qualche altra indicazione. La prima riguarda gli steward. In Gran Bretagna, hanno la delega dell'autorità di polizia per identificare e persino per arrestare. In Italia, non sono previste norme che li tutelino. Se uno di loro ferma un teppista, rischia un'incriminazione per sequestro di persona. Servono steward veri, che possano perquisire, espellere, e non fantocci che, in curva, latitano, per una paura comprensibile o per inadeguatezza.
Basta passamontagna! Sanzioni più pesanti per i possessori di razzi, di bombe carta, di fumogeni! Varrebbe la pena di esaminare - ma parlo a titolo personale - il problema del tifo organizzato e decidere, così com'è stato fatto in Francia, di scioglierlo.
Le forze dell'ordine devono tornare a presidiare gli stadi e le curve da dove sono state ritirate - adopero un termine che mi fa piangere il cuore - ormai da anni, perché, in mancanza di norme che le tutelassero, rischiavano il massacro! Ritengo, signor ministro, che ci sia ancora molto da fare ed è comprensibile. Non si possono certo colmare ritardi decennali in una settimana!
Il Presidente del Consiglio ha chiesto anche la collaborazione dell'opposizione: se sarà sposata la linea dell'intransigenza,Pag. 12anche nei confronti del mondo calcistico, beninteso, l'avrà. Ci accingiamo, come Forza Italia, a presentare un'apposita proposta di legge, ma non abbassiamo la guardia. Il buonismo (o se vogliamo chiamare in un altro modo un certo peloso ed ideologico garantismo) è dietro la porta ed è quello che vanifica ogni legge.
In Italia, quando accade una tragedia e si piange il morto, segue l'esacrazione e lo sdegno. Siamo tutti d'accordo nell'intervenire, ma poi, a ciglio asciutto, cominciano le divisioni.
PRESIDENTE. La prego di concludere...
MARIO PESCANTE. Sto terminando, signor Presidente.
Da parte dell'opposizione, quindi, vi è collaborazione, ma, signor ministro, credo, con tutta sincerità e senza polemica, che alcuni problemi li dovrà risolvere a casa sua, dove autorevoli membri di Governo portano la loro solidarietà in carcere a ultrà che sono ivi detenuti, per non parlare (ma non voglio infierire) del contributo del noto cultore della legalità, ossia l'onorevole Caruso, che ha chiesto che i poliziotti rechino un numero identificativo sul casco. Il problema per Caruso è quello di identificare o probabilmente di fare identificare i poliziotti e non di identificare coloro che portano i passamontagna e che sono assassini!
PRESIDENTE. La prego di concludere.
MARIO PESCANTE. Una richiesta - e concludo - all'onorevole Caruso: visto che, in ogni caso, ha avuto parole di cordoglio per la morte dell'ispettore Raciti, chiedo se possa sostenere la nostra richiesta al Presidente Bertinotti di intitolare un'aula della Camera - in modo che sia distante dall'aula che, al Senato, è stata intitolata a Carlo Giuliani - anche ad un servitore dello Stato assassinato nel compimento del suo dovere (Applausi dei deputati dei gruppi Forza Italia, Alleanza Nazionale, UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro) e Misto-Movimento per l'Autonomia).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Catanoso. Ne ha facoltà.
BASILIO CATANOSO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, siamo al giorno dopo, alle lacrime di coccodrillo; siamo alle polemiche di chi oggi parla di eventi che, forse, avrebbero potuto essere evitati.
Il Governo di centrodestra nella scorsa legislatura ha operato e lavorato in modo che si potessero evitare queste situazioni e, nello specifico, anche il gruppo che oggi ho l'onore di rappresentare, Alleanza Nazionale, aveva presentato disegni di legge in tal senso, uno a firma dell'onorevole Buontempo, che era stato parte di quel decreto-legge poi convertito nella «legge Pisanu, che metteva nelle condizioni di evitare drammatiche situazioni, come quella che viviamo in Italia in questi giorni.
Lei, signor ministro, poc'anzi, ha parlato di pazzi organizzati. A nostro avviso non si tratta di pazzi, ma di più o meno organizzati delinquenti, ovvero di persone che vogliono fare del male e che pensano al delinquere come all'unica vera possibilità di esprimersi nella loro vita. Riteniamo siano delinquenti da combattere non solo coloro i quali delinquono per ideologia, per rappresentare un'idea o per portare un pezzo di pane a casa, ma anche e soprattutto coloro i quali, per futili motivi, arrivano a togliere la vita ad un connazionale e, in questo caso, ancora di più, ad un tutore dell'ordine.
Allora, quella certa sinistra che troppo spesso ci ha abituato a parlare di poveri incompresi ci lascia spaventati. Non si tratta di poveri ragazzi incompresi, ma di delinquenti che hanno bisogno di pene certe e non certo di un indulto, che, così come è stato deliberato da queste Camere, avrà sicuramente dato una mano a coloro i quali organizzano questo tipo di sfide contro le forze dell'ordine. Abbiamo fatto il possibile perché questo non accadesse, ma, purtroppo, il lassismo giudiziario, anche quello di queste aule, ha messo nella condizione di proseguire su questa strada.
È bene sapere che oggi ci troviamo nella condizione per la quale questa poveraPag. 13vedova, che ha fatto piangere non solo la città di Catania, ma tutta l'Italia e che ieri ci ha dato una lezione, avrà la possibilità di vivere con i 500 euro previsti dalla legge, che per fortuna è in vigore perché si è riusciti ad approvarla nel 2003 con il Governo di centrodestra, dopo che i governi di centrosinistra precedenti non l'avevano nemmeno promossa.
Un'idea potrebbe essere quella di equiparare la situazione che si è determinata a quella prevista da quella legge per coloro i quali sono vittime di mafia o di terrorismo, per mettere la vedova nella condizione di portare avanti una famiglia che è stata distrutta da una violenza fine a se stessa.
Ieri la moglie dell'ispettore capo Raciti parlava di suo marito non solo come un buon poliziotto, ma anche come un buon educatore. In una parte della legge approvata dal Parlamento nel 2005 si parlava del ruolo del Ministero della pubblica istruzione e di quello del Ministero dei beni culturali, della possibilità cioè che fosse prevista non solo la repressione, che è assolutamente ovvia, ma anche la possibilità di educare. Lo Stato non può abbandonare questo suo preciso e specifico dovere, immaginando invece di chiudersi nel tentativo di dimenticare responsabilità o di nascondersi dietro la falsità dei poveri ragazzi incompresi che, per vari motivi, non riescono ad esprimersi nella società in modo diverso.
Queste sono le ragioni per le quali il centrosinistra ci spaventa, soprattutto quella parte del centrosinistra che oggi continua ad appoggiare il Governo e che in questi giorni con i suoi esponenti estremisti ha attaccato addirittura le forze dell'ordine, quella polizia che ogni giorno lavora per tutelare noi, cittadini per bene, e che addirittura è attaccata da chi siede sui banchi di questo Parlamento. Sono gli stessi che erano presenti al G8 e che ci hanno messo nella condizione di notare con quanto scarso attaccamento alla patria costoro possono sedere in questo Parlamento.
Su questo il Presidente Bertinotti non può «fare spallucce», come è avvenuto ieri nelle interviste e negli incontri con la stampa, dicendo che non è il tutore di alcuno. Non lo può fare perché, come sapete, la legge che ci ha smesso nella condizione di rappresentare il popolo italiano in questo Parlamento prevede che i candidati vengano indicati dai partiti. Quindi, chi ha avuto tale responsabilità - anche se rivestiva sicuramente un altro ruolo - non può ora far finta di non averla!
Oggi prendiamo atto di quanto il Governo sta facendo. L'Esecutivo avrebbe potuto certamente evitare, secondo noi, di proseguire con le proroghe alla normativa vigente. La cosiddetta legge Pisanu, infatti, prevedeva l'entrata in vigore delle sue norme all'inizio del campionato in corso. Ci chiediamo, dunque, per quale motivo l'attuazione di questa normativa sia stata prorogata ancora una volta. Perché, in altri termini, è stata concessa la possibilità di differire l'applicazione di tali disposizioni, trovandoci oggi nella stessa condizione di un anno fa, con cinque o sei stadi che sono a norma mentre tutti gli altri, invece, dovranno essere chiusi per fare proseguire il campionato?
Credo che non dovremmo vergognarci di guardare agli stadi dei paesi che si sono saputi organizzare prima di noi. In Inghilterra e in numerosi altri paesi d'Europa, infatti, sono stati realizzati alcuni interventi in due tempi: prima è stata applicata la normativa, poi è avvenuto il passaggio della proprietà degli impianti alle squadre o comunque ai privati. Ciò, quindi, metterebbe in condizione di responsabilizzare gli stessi club: si tratta, del resto, di coloro i quali fanno di questa attività sportiva un business, ma che fino ad oggi, secondo noi, sono stati troppo esonerati da ogni assunzione di responsabilità.
Forse dovremmo riflettere anche, signor ministro, circa la possibilità di rivedere quella decisione volta ad evitare...
PRESIDENTE. La prego di concludere!
BASILIO CATANOSO. Finisco subito, Presidente.
Come stavo dicendo, forse sarebbe il caso di rivedere la misura volta ad evitarePag. 14il collegamento dei club con l'acquisto o la vendita dei biglietti: probabilmente, ciò potrebbe rappresentare una modalità idonea ad individuare i personaggi che vengono «a fare il tifo» negli stadi.
Con la speranza che si possa arrivare al più presto all'applicazione della legge Pisanu e che quindi si giunga ad adottare i biglietti nominativi, auspichiamo che l'Italia venga riconosciuta come una nazione »civile« e non più - purtroppo, come è stato finora - come un paese che non riesce mai a venir fuori dai «pasticci creati» da quella violenza, che non si riesce mai a controllare (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Nazionale).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Mascia. Ne ha facoltà.
GRAZIELLA MASCIA. Signor Presidente, le prime parole non possono che essere di profondo cordoglio per l'ispettore capo Filippo Raciti. Si tratta di un cordoglio sincero per una vita umana, che consideriamo sempre preziosa, ma che vuole soprattutto sottolineare l'assurdità e l'inaccettabilità che si possa perdere la propria vita in questo modo.
Voglio innanzitutto prendere le distanze da parole ciniche come quelle pronunciate dal signor Matarrese, il quale, mentre si svolgono le esequie dell'ispettore Raciti, non ha di meglio che sostenere che lo spettacolo deve continuare e che i morti fanno parte del sistema e dell'industria calcio. Noi vorremmo che il calcio tornasse ad essere solo un gioco ed uno sport popolare, dunque accessibile a tutti. Perciò, non solo siamo estranei ed indisponibili per gli interessi dell'industria calcio, ma vorremmo indagare proprio questi, metterli in discussione e capire meglio.
Riteniamo che tutti, a partire dai grandi protagonisti di questo sistema - vale a dire, le società sportive - debbano assumersi le proprie responsabilità. I nostri interrogativi partono, pertanto, dal senso di impotenza che credo avvertiamo tutti (Governo, Parlamento e forze dell'ordine), considerato che dal 1989 ad oggi abbiamo alle spalle ben cinque leggi speciali approvate senza successo.
Vorrei aggiungere che, forse, dovremmo provare anche a mettere da parte ogni strumentalità. Ho sentito infatti invocare pene più severe, un maggiore ricorso al carcere e una più forte repressione, come se questa fosse la soluzione. Sappiamo tutti che non è così; anzi, abbiamo già determinato, attraverso il cosiddetto decreto Pisanu, nuove discipline speciali, come la flagranza differita, che introduce nel nostro ordinamento penale un'altra normativa emergenziale. Molti nel centrosinistra non l'avevano condivisa, infatti si è dimostrata del tutto inefficace: quindi, confermo la nostra contrarietà a tale strumento.
Capisco che sia più facile e immediatamente comprensibile per i cittadini che sono fuori da quest'aula fare appello al «pugno di ferro», chiedendo l'inasprimento delle pene, che scoprire le cause che ancora lasciano campo libero a chi, in modo organizzato, è in grado di agire con violenza, fino ad arrivare all'assassinio di un agente.
Dico subito che lascerei da parte il problema dell'addestramento delle forze dell'ordine. Non è certo questo il problema, né tanto meno la loro eventuale presenza negli stadi. Nessuno lo chiede, sia perché la loro presenza determinerebbe altre tensioni, sia perché lì si esporrebbe inutilmente ad ulteriori rischi.
I temi posti dal Governo, come la sicurezza degli stadi, la responsabilità delle società sportive e il rapporto di queste con le tifoserie sono giusti e su di essi torneremo quando affronteremo nel merito i provvedimenti del Governo.
Sarei più prudente rispetto ad altre voci, che in questi giorni si sono ascoltate, nel fare paragoni con la realtà inglese, non tanto per quanto concerne le misure utilizzate all'interno degli stadi o per l'utilizzo degli steward, quanto nel sostenere che lì il problema sarebbe risolto. Il problema forse è stato risolto all'interno degli stadi, ma a dire di molti gli hooligans, che peraltro hanno caratteristiche ben diverse dalle nostre tifoserie, non agiscono più all'interno degli stadi ma compiono le loro violenze all'interno dei pubs.Pag. 15
In ogni caso, vorrei proporre il tema degli ultrà, nel senso di non fare di tutta l'erba un fascio. In questa sede non mi interessano le analisi sociologiche. Se il calcio è uno sport popolare è evidente che al suo interno troviamo spaccati della società, con le proprie inquietudini, i disagi e le contraddizioni, né mi meraviglia che all'interno del tifo organizzato possano trovare cittadinanza o comporsi le intemperanze giovanili tipiche, alla ricerca di un'identità collettiva e di un senso di appartenenza. Ciò non dovrebbe preoccuparci, ma dobbiamo farlo nel momento in cui il senso di appartenenza si trasforma in «logiche di branco».
Mi piacerebbe comprendere meglio un altro aspetto. Ho sentito molti ragazzi appartenenti alle tifoserie delle curve sostenere che le violenze organizzate coinvolgono gruppi molto ristretti. Sento e leggo esperti del settore che parlano di questi gruppi ristretti come di veri e propri gruppi di potere, che condizionano e ricattano le società per scopi meramente economici, che hanno un ruolo nella gestione della vendita dei biglietti, nel merchandising e che persino in quest'aula saremmo stati in qualche modo condizionati da certe pressioni per salvare le società.
Se questo è il tema e se, come qualcuno racconta, questi gruppi di potere organizzati vestono spesso, magari all'insaputa degli stessi ragazzi che li seguono, una maglia pseudo-politica, allora il problema è un altro. Il problema non è rappresentato dai ragazzi delle periferie, da coloro che vanno allo stadio o nelle trasferte con sciarpe e bandiere, che si sentono parte di una tifoseria, perché a volte anch'essi pagano le conseguenze dei pochi e potenti gruppi organizzati, che forse non sono particolarmente interessati al tifo sportivo.
Mi interrogo sul fatto che dei trentaquattro ragazzi arrestati ben undici siano minorenni. Mi preoccupo della cultura da cui questi ragazzi sono attratti, di quali siano i valori o i disvalori che li portano a farsi trascinare da determinati slogans, spesso razzisti, comunque «machisti», competitivi e violenti.
So che il tifo organizzato ha prodotto e produce anche culture democratiche. Si organizzano campionati anti-razzisti, con tifoserie provenienti da tutta Europa. Se in quelle occasioni cinquemila ragazzi di squadre diverse possono dormire l'uno accanto all'altro in tende questo ha un significato.
Qual è oggi la realtà prevalente? Chi decide, organizza o comanda, di fronte ad eventi così drammatici? Sento spesso parlare di «zone grigie» nei rapporti tra questi gruppi ristretti e le società sportive, che dichiarano spesso di essere ricattate e ricattabili. Ci vogliono controlli e prevenzione, ma per essere efficaci non è forse necessario rompere anche un fronte di paure e di omertà? Non ho certo la presunzione di dare risposte, ma poiché mi pare che nessuno abbia risolto il problema, proverei ad andare fino in fondo a questioni che finora si è preferito affrontare soltanto in superficie.
Per questa ragione l'unica proposta che mi sento di fare, è che nelle sedi deputate ad affrontare i problemi siano coinvolti tutti i protagonisti, compresi i responsabili dei club e delle tifoserie, come molti amministratori locali a Genova - ma non solo - hanno saputo fare in questi anni.
Forse troveremmo dei suggerimenti - come, ad esempio, il Progetto ultras di Bologna ha saputo fare - e daremmo loro il coraggio e la forza per isolare ed espungere dalle stesse chi ormai da almeno dieci anni determina certe situazioni, con i risultati che abbiamo visto a Catania.
Naturalmente, sono necessari una sinergia e un impegno collettivo delle istituzioni, dei media e di ogni soggetto sociale che abbia a cuore una convivenza civile.
Perché non provare, ad esempio, ad agire sulle azioni positive? Se invece dei razzetti e dei fumogeni (tanto cari alle società sportive, perché fanno scena nelle photo opportunity) si valorizzassero cori, canzoni, iniziative che esprimono identità positive, forse potremmo sperimentare un percorso fin qui inedito.
Tra le tante dichiarazioni che ho letto in questi giorni una sola mi pare meriti di essere ripresa, quella della signora MarisaPag. 16Grasso: «I ragazzi riflettano, la sportività è una cosa bella, la violenza fa male. Essere grandi si dimostra con il rispetto!» (Applausi dei deputati del gruppo Rifondazione Comunista-Sinistra Europea).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Ciocchetti. Ne ha facoltà.
LUCIANO CIOCCHETTI. Signor Presidente, signor ministro, colleghi, intanto permettetemi, a nome del gruppo dell'UDC, di ribadire i sentimenti di cordoglio per la morte dell'ispettore Raciti alla moglie, ai figli e alle forze dell'ordine. Queste, ormai da anni, non soltanto Catania, sono sottoposte a ripetute violenze da parte di alcune bande che con fatica definirei di tifosi, essendo io un tifoso di calcio. Si espongono striscioni inneggianti alla violenza e al razzismo, striscioni contro le forze dell'ordine, striscioni contro presidenti di squadre di calcio che con coraggio, in questi anni, hanno cercato di rompere il legame assurdo che, purtroppo, è esistito ed esiste ancora tra alcuni «club organizzati» di cosiddetti ultrà, alcune squadre di calcio ed alcune dirigenze.
Credo che dobbiamo partire da qui, signor ministro, perché altrimenti rischiamo, come purtroppo è accaduto in questi giorni in molti casi, di limitarci ad alcuni fatti, formulando qualche buona intenzione e molte parole.
Ritengo che si debba analizzare più profondamente il fenomeno per cui alcune bande di delinquenti, anche minorenni, manovrati da persone più grandi e in qualche modo anche dalla delinquenza organizzata, a Catania come in tutti gli stadi e in tutte le città d'Italia, anche nei campionati dilettantistici (quanto è avvenuto qualche settimana fa ne è l'esempio più eclatante), sviluppano azioni violente non solo verso le altre tifoserie (questo è l'altro punto su cui forse in questi ultimi anni si è parlato troppo poco), ma anche verso le forze dell'ordine e lo Stato. Con il pretesto dei diffidati e di una serie di interventi previsti dalla normativa vigente, che in questi anni hanno portato a rafforzare la presenza dello Stato in queste vicende, si è creata una reazione ed una strumentalizzazione di tanti giovani, sui quali dobbiamo aprire una riflessione più ampia. Proprio come avvenne il 6 giugno 2005, quando fu approvata la legge Pisanu, che reiterava, in larga parte, una legge del 25 aprile 2003.
Il grande problema, a mio avviso, in questo paese è l'applicazione delle norme. La gente non crede più, e questa diventa la grande scommessa che dobbiamo vincere: convincerla del contrario! Lo si potrà fare solo attraverso una presa di coscienza collettiva, dando tutti prova di senso di responsabilità.
Per questo motivo siamo pronti, anche dall'opposizione, a lavorare insieme al Governo per cercare di trovare le soluzioni a questo problema attraverso i provvedimenti che lo stesso Governo ha annunciato questa mattina e che porterà all'esame del Parlamento.
Noi pensiamo che bisogna agire su tre livelli, assicurando: il rispetto delle leggi già esistenti; la chiusura degli stadi non a norma, come da lei affermato nel corso del suo intervento, e il filtro all'esterno degli stadi. È quest'ultimo un aspetto sicuramente importante, che la legge Pisanu già prevede e tuttavia non si agisce come si dovrebbe.
L'esperienza dei mondiali di calcio in Germania dimostra che il filtro fuori dagli stadi funziona bene se attuato con attenzione. In quel caso, tale compito veniva svolto non dalla polizia, ma da steward opportunamente formati, con poteri simili a quelli dei vigilantes negli aeroporti e con delega da parte dell'autorità di polizia.
Gli steward presenti oggi all'interno dei nostri stadi non servirebbero assolutamente a nulla, poiché farebbero parte della stessa logica che, in qualche modo, regola il rapporto con i club e l'organizzazione dei tifosi. Bisogna rompere tutti i legami, l'intreccio patologico che lega le società ai gruppi di tifosi organizzati, i cosiddetti ultras.
È inaccettabile, ministro, che parti delle tribune (vedi curve) siano off limits per chiunque, forze dell'ordine comprese. Non devono più esistere aberranti regole territoriali.Pag. 17Non soltanto a Catania, ma nella stessa curva sud dello stadio Olimpico di Roma (il più sicuro di questo paese) non credo che la polizia possa entrare e non credo che lo possano fare molti steward, perché, altrimenti, provocherebbero i tifosi presenti.
Le bande possono tenere in scacco anche i giocatori, come, ad esempio è accaduto in occasione del derby Roma-Lazio del 2004. In questo caso, vi è anche una responsabilità forte da parte della magistratura. Credo che quell'esempio (ieri è stata emessa la sentenza) dimostri che una riflessione sulla magistratura e su tali questioni debba essere svolta. Chi era allo stadio quel giorno sa cosa è successo e ricorda quale clima che si era creato! Ci poteva essere non uno, ma 200 morti, perché la curva sud fu messa a fuoco! Il pubblico fu costretto ad uscire dal campo di calcio.
Vi sono evidenti legami con la criminalità organizzata, per esempio per lo spaccio di stupefacenti, e la fede sportiva, in molti casi, è solo una copertura.
Lo Stato deve appoggiare i presidenti che vogliono rompere questi legami. In questo ultimo anno e mezzo, allo stadio Olimpico di Roma nella curva nord, quando gioca la Lazio, vi sono striscioni contro il presidente della Lazio da parte di alcuni gruppi di cosiddetti tifosi. Quegli striscioni, ministro, non sono stati mai rimossi, sono rimasti per tutta la partita senza alcun intervento da parte dell'autorità competente. Eppure, anche nel decreto Pisanu gli striscioni che inneggiano alla violenza sono vietati.
L'altra strada da imboccare subito, evidenziandosi un forte problema culturale nella nostra società, consiste nell'utilizzare la leva della scuola e della famiglia.
In tutto il mondo si studia da piccoli l'educazione civica, contrariamente a quanto accade da noi. Il calciatore Zola, che ha avuto una certa esperienza in Inghilterra, ha ricordato che i suoi figli nella scuola inglese hanno come materia fondamentale l'educazione civica.
Dare un senso civico alle giovani generazioni è più importante di qualsiasi altra materia. Bisogna dare un segno di educazione vera contro il bullismo, contro i telefonini usati per filmare violenze, insegnando il rispetto degli altri, dell'avversario, delle regole, della dignità, di se stessi, il valore della sconfitta e della vittoria. Un cittadino si forma attraverso questi principi.
Inoltre, bisogna stabilire, in tempi medi, regole certe in base alle quali sia considerato reato tutto quello che può nuocere all'ordine pubblico nello stadio e fuori dello stadio; per esempio, entrare nello stadio, salire sui treni, sui pullman e sulle auto da e per una partita in stato di ebbrezza o sotto l'effetto di droghe.
È reato minacciare con grida, cori, cartelli e striscioni. È reato introdurre coltelli, armi, bengala, botti e fuochi d'artificio. È reato lanciare qualsiasi cosa in campo o in altri settori. È reato entrare in campo, gridare slogan osceni ed insulti razzisti.
Deve essere prevista l'espulsione immediata dallo stadio per un gesto o una parola di troppo. Bisogna sciogliere tutti i club dove si predichi violenza, che abbiano esponenti diffidati o condannati per reati legati allo stadio, che espongono striscioni violenti ed intimidatori.
In queste ore abbiamo ascoltato molte dichiarazioni irresponsabili ed inaccettabili da parte di politici, di esponenti del Governo, di colleghi parlamentari, anche di esponenti del mondo del calcio. L'impegno deve essere di tutti, perché si tratta di un problema sociale e culturale.
Sulla certezza della pena, signor ministro, si è già soffermato e mi pare che questo punto sia parte di un intervento su un'eventuale disegno di legge di delega che il Governo presenterà.
PRESIDENTE. La invito a concludere.
LUCIANO CIOCCHETTI. Occorre che chi è stato colto in flagrante, anche con il differimento delle 48 ore, rimanga certamente in cella, che vengano attribuite quelle multe salate che normalmente, purtroppo, in questi ultimi tempi non sono state date. Al mondo del calcio bisognaPag. 18chiedere di promuovere i valori veri dello sport: il CONI, le federazioni, le società debbono investire in promozione. Agli stadi bisogna riservare parti di tribune per le famiglie, prevedere ampie aree per questa popolazione portatrice di valori sani (Applausi dei deputati del gruppo UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro) - Congratulazioni).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Caparini. Ne ha facoltà.
DAVIDE CAPARINI. Signor Presidente, purtroppo siamo stati facili profeti, allorquando nella scorsa legislatura, con il Governo Berlusconi, abbiamo contestato in alcune parti il decreto Pisanu. Riteniamo che il contrasto della violenza negli stadi non si faccia con la militarizzazione, ma siamo altresì convinti del fatto che la flagranza di reato, pur essendo uno strumento efficace, non è risolutivo, così come purtroppo si è dimostrato. Anzi, è un manifesto dell'impotenza di questo Stato, uno Stato che non riesce ad intervenire all'interno degli stadi per garantire la sicurezza e, quindi, deroga ad altro luogo e ad altro momento il suo intervento.
Quando discutemmo il decreto Pisanu, la Lega Nord propose, per esempio, di bandire l'introduzione, il possesso e il lancio di oggetti, fuochi artificiali, botti e quant'altro: ci fu risposto che quegli elementi facevano scenografia. Di fatto, allora il Parlamento ha confermato che lo stadio è e deve rimanere un «mattatoio»: nessuna norma di sicurezza, impunità assoluta per chi commette una qualsiasi violazione di legge e, soprattutto, possibilità di procurarsi armi ed oggetti pericolosi. Insomma, con il decreto Pisanu, purtroppo, le forze dell'ordine sono diventate il bersaglio, il primo soggetto da colpire perché rappresentano la repressione.
Signor ministro, lasciamo stare le analisi socio-economiche, il disagio giovanile, la disoccupazione e quant'altro perché quelle c'erano anche a Liverpool e a Manchester nella metà degli anni Settanta, quando è nato e si è sviluppato il fenomeno hooligans. Proprio per questo non devono essere un alibi per non intervenire e, soprattutto, è importante attingere all'esperienza di altri paesi - in particolar modo l'Inghilterra, laddove il fenomeno si è sviluppato prima che qui - per individuare le misure migliori. Il problema fondamentale sul quale, signor ministro, abbiamo sempre posto l'attenzione è quello della sicurezza negli stadi. Gli stadi sono diventati un luogo di scorribanda, dal quale le famiglie sono scappate semplicemente perché non sono più sicuri e sono inadatti ad ospitarle. Infatti, non hanno posti numerati - malgrado la legge dica che ci debbano essere -, le persone sono stipate fino all'inverosimile nelle curve e la selezione naturale nello spettatore avviene proprio su quelle fasce di popolazione con l'età tipica del tifo organizzato.
Allora, impariamo dall'esperienza degli altri paesi e da coloro che hanno finalmente e realmente sconfitto il fenomeno del teppismo nel calcio.
La prima risposta in Inghilterra al fenomeno hooligans è stata identica a quella dell'Italia: militarizzazione degli stadi, barriere tra settori e tra tifosi, polizia in assetto di guerra. Andare allo stadio si trasformava in un atto epico, soprattutto per una persona pacifica come ritengo sia la stragrande maggioranza delle persone che ancora con grande difficoltà oggi frequentano stadio.
Tuttavia, signor ministro, c'è sempre un punto di non ritorno. In Inghilterra, questo è stato il 15 aprile del 1989, a Hillsborough. Era una semifinale di FA Cup tra il Nottingham Forest e il Liverpool: vi furono 95 morti. Allora, il Governo inglese affidò a Lord Justice Taylor il compito di individuare quali fossero i punti di intervento necessari, quali le misure da adottare nell'immediato e quali quelle da pianificare.
Le misure le conosciamo. Tuttavia, questo Parlamento e in particolar modo il Governo, signor ministro, sebbene le abbiano ben presente, purtroppo non le hanno ancora attuate: monitoraggio del pubblico da parte delle forze dell'ordine o, meglio, degli steward; minore densità degli spettatori, riduzione dei posti,Pag. 19perché - lei ha detto bene - lo stadio Olimpico rispetta il decreto Pisanu, e tuttavia, come anche il questore di Roma avrà confermato, nella curva sud è impossibile intervenire. Ciò vuole dire che, comunque, la previsione di legge oggi è inefficace. Infatti, pur essendovi dei posti a sedere, non vi sono spettatori seduti, e in questo c'è una bella differenza! In altri stadi non vi è nessuna recinzione, mentre nei nostri - purtroppo anche con il decreto Pisanu - vi sono una serie continua di barriere e di ostacoli. Soprattutto, è importante la possibilità di intervento e di identificazione in ogni settore ed in ogni posto dello stadio. Questo è ciò di cui parlano le nostre proposte di legge. Non si tratta di quelle presentate oggi, bensì di quelle di dieci anni fa. Infatti, abbiamo iniziato a proporre queste misure fin dalla XIII legislatura.
Siamo convinti che bisogna imparare da chi meglio di noi è riuscito ad affrontare e a risolvere questo problema. Quindi, bisogna anche individuare nuove fattispecie di reato come la turbativa della quiete pubblica, nonché la condotta idonea a creare pericolo.
Quella di prevenire piuttosto che quella di reprimere, è sicuramente una necessità imprescindibile all'interno di un luogo pubblico così frequentato come gli stadi. Il tema della certezza della pena è stato più volte affrontato, ma soprattutto siamo convinti che la sicurezza degli stadi può e deve essere garantita attraverso strutture moderne, polifunzionali, che consentano alle famiglie di ritornare a vivere quei luoghi e alle comunità di tornare ad appropriarsene, come accadeva in passato.
Dunque, signor ministro, siamo convinti che il modo migliore per rendere omaggio alla memoria dell'ispettore capo Filippo Raciti è far sì che i fatti di Catania non si ripetano più. Pertanto, queste misure diventano ora imprescindibili. Questo è il punto di non ritorno per il nostro paese.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Belisario. Ne ha facoltà.
FELICE BELISARIO. Signor Presidente, signor ministro, onorevoli colleghi, anch'io, a nome dell'Italia dei Valori, esprimo in modo convinto e con un'intima emozione i sentimenti più profondi di umana solidarietà alla famiglia del compianto ispettore Raciti per la perdita di un servitore dello Stato nell'adempimento del suo dovere.
Signor ministro, ho molto apprezzato la sua posizione e le sue parole. I nostri poliziotti non possono morire per gesti criminali e balordi che, con preordinata violenza, intendono destabilizzare non solo il calcio, ma l'intera nostra comunità. Sappiamo bene che ogni vita umana è sacra davanti a Dio ed agli uomini e che il perdono è un valore cristiano in cui crediamo, ma nel caso che ci occupa ritengo fuori luogo mettere sullo stesso piano la vita di un poliziotto ed un ultrà e, d'altra parte, trovo fuori da ogni responsabile comportamento le affermazioni di chi, ritenendo il calcio come uno scontro tra gladiatori in cui qualcuno può morire, afferma che lo spettacolo debba continuare comunque.
In questa vicenda e in questi giorni si vedono molti «medici pietosi» che, tuttavia, non si stanno guardando allo specchio. Vorrei chiedere al presidente del CONI se egli era in vacanza ai tempi di «calciopoli», dei bilanci truccati e dei passaporti falsi; vorrei sapere perché ha dormito davanti all'insicurezza degli stadi, che egli conosceva bene, e perché è passato dal CONI alla FIGC e di nuovo al CONI. Se egli si dimettesse darebbe un contributo al cambiamento anche dello sport italiano. E, pur credendo nell'autonomia dello sport, è giunto il tempo che il Governo consideri con attenzione anche l'attività del CONI; probabilmente non solo la Federazione italiana gioco calcio deve essere in commissariamento. Ero presente nel 1985 allo stadio Hesyel, a Bruxelles. Ho conosciuto direttamente la violenza in quella famosa curva, la violenza degli hooligans, ma oggi negli stadi inglesi non vi sono reti di protezione e non vi sono poliziotti durante le partite.Pag. 20
Noi, signor ministro, non dobbiamo inventare molto; dobbiamo far rispettare le leggi e le norme che già esistono ed adattare alla realtà nostra le disposizioni che dall'Inghilterra abbiamo conosciuto. I delinquenti, anche nel calcio, vadano in carcere e ci restino perché questi sono crimini odiosi, senza indulgenze, senza garantismi ideologici, senza indulti! La gente deve sapere che quando una norma viene violata vi è una sanzione equa e giusta, ma una sanzione che va rispettata. Ho l'impressione che spesso noi variamo norme imperfette: il precetto sì, ma la sanzione quasi mai e, spesso, attenuata.
Bene la flagranza di reato nelle 48 ore successive al fatto, bene il blocco delle trasferte organizzate, bene la rottura del rapporto tra società di calcio ed ultrà! In molti casi, specie, signor ministro, nei campi minori, troppo stretta è questa vicinanza, a volte per modificare i risultati, per intimidire gli arbitri e i tifosi ospiti.
Alle squadre di calcio, ormai senza guida da anni, perché rincorrono solo un profitto a tutti i costi, anche a scapito della sicurezza, chiediamo di trovarsi un governo al loro interno, vero, non fittizio.
È chiaro che alcune società sono quotate in borsa e molte vogliono fare business. Poiché fare profitto da un industria non è una cattiva parola, lo si faccia, ma senza abbassare la guardia, così come il commissario Pancalli, in questi giorni, ci ha dimostrato, con fermezza. Al commissario Pancalli va il nostro convinto apprezzamento.
Noi siamo convinti, signor ministro, che il Governo proporrà misure forti ed appropriate. Il Parlamento le guarderà con attenzione e, se necessario, le integrerà e le modificherà e, comunque, farà pervenire i suoi suggerimenti.
Rivolgiamo una raccomandazione, però, al Governo e al Parlamento e, in questo senso, intendiamo lavorare: non facciamo di quanto è successo un rituale, di cui, tra vent'anni, ci ricorderemo ancora, così com'è accaduto dal 1964 ad oggi, da quando, cioè - parliamo del calcio moderno -, si muore negli stadi italiani o nelle loro immediate adiacenze (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole D'Elia. Ne ha facoltà.
SERGIO D'ELIA. Signor Presidente, signor ministro dell'interno, non nascondo di essere molto preoccupato per quanto potrà essere deciso sulla scia emotiva dei fatti di Catania. Lei ha già indicato alcune misure. La fretta non è solo cattiva consigliera. Ritengo sarebbe anche sbagliato, in questo come in altri casi, agire con metodi e logiche di emergenza, con leggi di eccezione o misure speciali.
Noi tutti partecipiamo al dolore che ha colpito la famiglia Raciti, le siamo vicini, come siamo vicini alle Forze di polizia. Riteniamo che il modo più giusto per rispettare questo dolore sia quello di operare con giustizia e con rigore, il rigore rispettoso del diritto e della legge, ma anche della verità.
Dalla sua informativa emerge che, dopo quattro giorni, non sappiamo ancora come si sono svolti i fatti e quali siano le cause specifiche che hanno portato alla morte dell'ispettore Raciti.
Esistono già oggi, nel calcio e contro la violenza negli stadi, leggi speciali che prevedono sanzioni durissime. Il cosiddetto decreto Pisanu antiviolenza è già pieno di eccezioni alla legalità costituzionale come, ad esempio, l'arresto in quasi flagranza (ovvero 36 ore dopo il fatto), sulla base di immagini televisive, e di fortissimi aggravamenti della pena rispetto alle fattispecie ordinarie, che, in altri casi, sarebbero punite con pene minori, ma che, se avvengono in uno stadio, prevedono una sanzione sino a tre anni di reclusione.
Proprio per questo, non crediamo che, estendendo alle 48 ore la quasi flagranza, peraltro di rara applicazione, e introducendo il cosiddetto DASPO (il divieto di accedere a manifestazioni sportive ) in via preventiva, a prescindere dalla fattispecie di reato, si possano ottenere quei risultati che, fino ad oggi, non abbiamo raggiunto.
Ovviamente, ciò non toglie che il problema esiste. Non può accadere che, aPag. 21causa di alcune centinaia di giovani invasati, ogni domenica, dentro e fuori gli stadi (pochi e soliti, per la verità), debbano essere mobilitati, ogni volta, migliaia di agenti, giovani anch'essi, mal pagati, che sono lì a fare il loro dovere.
Non mi convincono certe analisi sociologiche. Non è colpa della società, dell'emarginazione, del degrado delle periferie o della disoccupazione. Più che un fenomeno sociale, l'eccesso di violenza negli stadi è quasi esclusivamente legato a certa politica, nel senso della strumentalizzazione del fenomeno calcio e della non adeguata gestione dell'ordine pubblico.
La situazione oggi è la seguente: oltre la metà degli stadi di serie A è fuori dalle norme di sicurezza, sia per l'emergenza, sia per l'ordine pubblico e, nonostante questo, da anni vengono autorizzate le partite in quegli stadi.
Per i mondiali del 1990, in Italia, furono spesi migliaia di miliardi di lire per stadi fuori legge, anche in odore di malaffare, nessuno ha pagato per questo e i responsabili hanno fatto carriera.
Le partite a rischio vengono fatte giocare di sera, nonostante si sappia che ciò le rende più pericolose e meno gestibili, perché così vogliono le major televisive, le istituzioni calcistiche, le grandi società, i cui proprietari, di solito legati al potere politico, si alimentano dei diritti televisivi per comprare e pagare giocatori a prezzi drogati.
Inoltre, da anni, l'attività della Digos in Italia si dedica ai gruppi ultrà, con tutto quello che ne consegue in termini di criminalizzazione e, quindi, anche di alimentazione artificiale del fenomeno e di sua strumentalizzazione politica.
Gli ultrà, il tifo organizzato in quanto tale, non è un fenomeno criminale, anzi proprio perché conosciuto, riconosciuto dalla società, riconoscibile e plateale, spesso costituisce un argine alla violenza gratuita, individuale, del cane sciolto, che è quella a parer mio più pericolosa.
Sarebbe grave e anche criminogeno, causa di nuova e più grave violenza, se si decidesse ad esempio di procedere alla messa fuori legge dei gruppi dei cosiddetti ultrà - è stato proposto anche questa mattina -, prevedendo reati associativi ad hoc. Buttarli nella clandestinità equivarrebbe a renderli più pericolosi.
Il problema invece è rappresentato da chi usa il calcio a fini politici; si tratta di gruppi politici fin troppo noti, violenti, xenofobi, nati fuori dagli stadi e cresciuti grazie alle politiche di criminalizzazione del tifo ultrà. Su questi semmai si tratta di intervenire, ma non lo si fa.
Ora va di moda il modello inglese. Se per modello inglese si intendono stadi moderni, sicuri e rispettosi delle regole, siamo d'accordo; tuttavia, non dobbiamo nascondere che anche lì, come in Italia, gli incidenti avvengono fuori dagli stadi e anche lì la violenza si è spostata verso la politica. Sono cresciuti infatti i gruppi xenofobi e violenti.
In più, in Italia, si registra un problema diverso, concentrato nel sud - in particolare in Campania e in Sicilia -, che riguarda la criminalità. Pertanto, il minorenne, per fare carriera nell'organizzazione criminale, dimostra attraverso il calcio di essere di valore; ma ciò non riguarda il calcio, bensì la criminalità e la soluzione non sta nella lotta al tifo calcistico, ma nella lotta alla criminalità organizzata.
In conclusione, non credo ci sia bisogno di leggi speciali, ma di accertare la situazione attuale, il rispetto delle leggi e soprattutto la loro utilità, nonché la certezza del diritto.
Si tratta di capire più che di reprimere, anche perché, se il pugno duro viene da istituzioni che non hanno fatto rispettare e non rispettano le leggi, non servirà a nulla. Sarebbe molto più opportuna un'indagine conoscitiva sulla realtà del calcio e sul perché le leggi non sono rispettate, cercando soprattutto di accertare le responsabilità di chi ha lucrato sugli stadi insicuri, sugli orari inopportuni e pericolosi in cui si svolgono le partite.
Dal ministro dell'interno vorrei sapere, ad esempio quanti stadi sono in regola, non con la legge Pisanu, ma con le norme di sicurezza oggi in vigore; vorrei sapere perché viene data ogni domenica l'autorizzazione;Pag. 22perché le partite vengono giocate di sera, nonostante i sindacati di polizia chiedono il contrario; come avviene la gestione dell'ordine pubblico, la preparazione degli agenti, l'adeguatezza dei mezzi a loro disposizione e perché la partita Catania-Palermo è stata giocata di sera e non è stata applicata la norma che consente, in caso di rischio, di giocare a porte chiuse.
Signor ministro, dalla sua informativa ho capito che il prefetto avrebbe potuto non far giocare la partita di sera, ma che non lo ha fatto perché ha subito pressioni. È inaccettabile che su un prefetto possano agire pressioni che non gli consentono di adottare decisioni opportune.
Non ci servono leggi eccezionali o autoritarie che favoriscano svolte di regime per la società in genere e per il business dei soliti noti. Eccezionale sarebbe se venissero applicate le leggi ordinarie esistenti e se fossero rispettati il diritto e la Costituzione vigente (Applausi dei deputati dei gruppi La Rosa nel Pugno e Comunisti Italiani).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Licandro. Ne ha facoltà.
ORAZIO ANTONIO LICANDRO. Signor Presidente, signor ministro, innanzitutto, a nome non soltanto del gruppo dei Comunisti Italiani ma dell'intero partito, esprimo cordoglio alla famiglia, agli amici e ai colleghi dell'ispettore capo Filippo Raciti. Al tempo stesso, esprimo ancora solidarietà alle forze dell'ordine e profonda ripugnanza per ciò che di offensivo e vergognoso è stato affermato sulla tragica fine di Raciti da isolate voci del mondo del calcio e della politica. È bene, nonostante le smentite, che Matarrese torni semplicemente alla sua vita privata.
Il Governo si appresta ad approvare provvedimenti duri e comprensibili. Li valuteremo, signor ministro, e valuteremo quale efficacia sapranno dispiegare, anche con le riserve che sono state avanzate dall'onorevole D'Elia. La condanna delle società che tollerano tali fenomeni è certamente irriducibile, la condanna per le tifoserie violente è ancora più netta e la condanna è anche per quel sistema, di cui parla Matarrese, incapace di assicurare trasparenza, attraversato da formidabili interessi economici e ancora da una profonda corruzione. Tuttavia, non accetteremo ipocrisie e non le accetteremo più da chi ha compiti istituzionali e il dovere di assicurare l'ordine pubblico e la sicurezza dei cittadini, anche di quelli in uniforme.
Assieme a tanti altri, con sgomento, nei giorni scorsi ho udito l'insolenza - la definisco così - di taluni interventi scritti che intendevano circoscrivere la responsabilità della tragica vicenda a un gruppo di scalmanati, di minorenni, di teppisti legati esclusivamente al mondo del calcio. Signor ministro, si tratta di ben altro: si tratta di una esplosiva miscela di terrore, di teppismo barbaro, certamente, che prolifera nelle periferie suburbane degradate, ma anche dell'innesto di esecrabili ideologie, come quella neonazista che alligna nelle curve degli stadi italiani e si propaga senza freno nella società. Troppo, troppo si è tollerato da parte di chi è proposto ad indagare e prevenire. Infine, vi è ancora una saldatura profonda con la criminalità organizzata.
Le dinamiche degli incidenti ancora una volta a dimostrano che si trattava non di poche decine o centinaia ma, addirittura, di migliaia di pseudo tifosi organizzati che si muovevano dietro a precisi ordini per colpire, innanzitutto, le forze dell'ordine. Improvvisamente, la curva dello stadio si è svuotata e migliaia e migliaia di persone, non qualche decina di minorenni, ovviamente all'ordine di adulti, che ingaggiavano con le forze dell'ordine una guerriglia urbana.
Bisogna colpire duramente le tifoserie e le società colluse, senza alcun timore, ma occorre anche - questo le chiediamo - una freddezza di analisi, a partire del Governo e da lei, signor ministro. Vi erano state avvisaglie precise, informative del CESIS e un rapporto dell'Arma dei carabinieri, ma uno dei nodi principali è stato proprio quello della gestione dell'ordine pubblico. La partita era stata anticipata per ragioni di sicurezza, ma tutto si è fattoPag. 23tranne che garantire la sicurezza. Vi è stato un tragico cumulo di errori. Perché si è consentito che si svolgesse nelle ore serali, se è noto che il buio rende più difficili le operazioni preventive e di contrasto? Perché non si è dato ordine di effettuare controlli e perquisizioni all'ingresso dello stadio, come dicono gli stessi tifosi? Perché nella mattinata si è consentito l'allestimento di un mercato che ha impedito alle forze dell'ordine, per molte ore, di effettuare una accurata sorveglianza? Quale coordinamento è stato assicurato? Mio malgrado, mi sono trovato a polemizzare con i vertici istituzionali che descrivevano una città tranquilla, con una delinquenza comune entro limiti fisiologici e con una criminalità organizzata pressoché ridimensionata.
Perché, nonostante lo stadio Cibali non fosse a norma, tutti hanno consentito che si continuasse a giocare? Perché vi è stata tanta sottovalutazione? Questa è la domanda che rivolgo a lei, signor ministro, perché la possa e voglia porre al prefetto e al questore di Catania.
Non sottrarsi alle pressioni non è una giustificazione o un'attenuante e di ciò il Governo deve prendere atto ed essere conseguente. Catania è una città complessa, difficile, delicata, una città di frontiera e bisogna mandare il meglio.
La politica ha anch'essa grandi responsabilità. La violazione sistematica delle regole è un patto politico elettorale con quegli ambienti ed è quella cultura che l'onorevole Catanoso attribuisce alla sinistra, ma appartiene alla «sua» destra, che governa la regione Sicilia, la provincia ed il comune di Catania. Il disastro finanziario, da anni, si nasconde nella violazione delle leggi grazie anche ad un apparato burocratico rapace e spregiudicato.
Spero che lei, signor ministro, legga con attenzione l'articolo oggi pubblicato su l'Unità, firmato da Vincenzo Vasile, che fornisce una fotografia nitida della situazione (e chiama anche pesantemente in causa la procura), che evidenzia la mancanza di un'azione forte ed incisiva contro il malaffare e la corruzione. Il degrado morale e civile della nona città d'Italia si iscrive, anzi è possibile leggerlo, capirlo ed interpretarlo, alla luce di un'enorme responsabilità della politica e delle altre istituzioni, una responsabilità che ha fatto di Catania (non esito a definirla così) una città ormai priva di sorveglianza.
Abbiamo paura, signor ministro. Hanno paura i cittadini catanesi onesti e democratici, perché è stata consentita una micidiale diffusione dell'illegalità e lo sprezzo selvaggio verso le regole, anche quelle minime e più banali. Non è solo lo stadio una zona franca, ma l'intera città.
Signor ministro, Catania piange uno dei suoi figli, lo Stato un suo uomo, la società un lavoratore, la famiglia un padre ed un marito. Tuttavia, le grandi responsabilità collettive - ripeto - della politica e delle altre istituzioni obbligano il Governo a guardare a Catania come ad un caso nazionale (Applausi dei deputati del gruppo Comunisti Italiani).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Pellegrino. Ne ha facoltà.
TOMMASO PELLEGRINO. Signor Presidente, signor ministro, onorevoli colleghi, innanzitutto voglio esprimere la più sentita solidarietà del gruppo Verdi alla famiglia dell'ispettore Filippo Raciti, e la stessa solidarietà è diretta alle Forze di polizia. Di fronte ai fatti di Catania esprimiamo la nostra più severa condanna e certamente non possiamo accettare nessuna forma di sociologia giustificazionista, ancor di più essendo il nostro partito pacifista ed avendo anche la bandiera della pace nel nostro simbolo. Le immagini di guerriglia rappresentano una brutta e triste parentesi per il nostro paese.
È importante, comunque, svolgere un'attenta analisi non solo dei drammatici fatti di Catania. Nell'ascoltare i numeri che lei, signor ministro, ha comunicato, è evidente che ormai, troppo spesso, assistiamo ad episodi di violenza estrema proprio in occasione delle partite di calcio, che invece dovrebbero essere un momento di spensieratezza, di aggregazione per tanti giovani e per tante famiglie.
Proprio dallo sport dovrebbero arrivare segnali positivi rispetto ad una società che,Pag. 24sempre più, è alla ricerca di quei valori fondamentali indispensabili in questo momento di difficoltà. Invece, sempre più diventa un momento per dare libero sfogo ai propri istinti violenti e, alcune volte, addirittura, come abbiamo visto a Catania, può rappresentare un momento di violenza per vere e proprie organizzazioni criminali.
Certo, è sbagliato condannare tutta la tifoseria, e dobbiamo partire proprio dai tifosi veri, dai tifosi onesti che ancora credono nei valori dello sport e - fortunatamente possiamo dirlo - sono ancora in tanti. Sempre più, proprio i veri tifosi stanno diventando, essi stessi, delle vittime, perché costretti ad allontanarsi dagli stadi.
Allora, a quei delinquenti, a quei criminali che pensano di utilizzare il calcio per le loro losche strategie di illegalità e di violenza, lo Stato e le istituzioni devono dare una risposta ferma e decisa, con condanne immediate e certe. I provvedimenti che si collocano in tale direzione sicuramente possono rappresentare un motivo di fiducia per tanti cittadini onesti.
Certo, è giunto anche il momento, per le società di calcio, di assumersi le proprie responsabilità; diversi e troppi sono i fenomeni di illegalità nel mondo del calcio, dal bagarinaggio, ancora presente in molti stadi nonostante il biglietto nominativo - in alcuni casi, addirittura vengono venduti anche i biglietti omaggio emessi dalle società stesse -, agli striscioni offensivi che inneggiano alla violenza. Con quanta facilità vengono portati negli stadi!
Analogamente, non è possibile che si facciano entrare veri e propri arsenali di guerra senza alcun tipo di controllo (e tralascio peraltro di soffermarmi sui tanti slogan violenti e razzisti). A fronte di questi fatti, le società non possono continuare a restare senza responsabilità.
Avere appreso di quella sorta di truffa che, compiuta addirittura dalle società sportive - in taluni casi con l'avallo anche di enti pubblici - consisterebbe nel certificare una capienza inferiore degli stadi tale da ottenere l'agibilità con standard minori di sicurezza deve certamente indurci a compiere una profonda e seria riflessione. Dobbiamo comprendere che non possiamo più continuare a dare segnali che non si situano certo nella direzione del rispetto della legalità. Chi cerca di aggirare le regole, commette un reato; né è meno responsabile chi dovrebbe controllare il rispetto di quelle stesse regole.
Lei ha ragione, signor ministro, la cultura della legalità non può essere un argomento di discussione della domenica; sempre più i segnali di legalità devono provenire - e abbiamo un dovere al riguardo - da chi dovrebbe costituire un esempio. Mi riferisco anzitutto alle diverse istituzioni che rappresentano questo paese, ai partiti, alle società sportive, ai dirigenti ed ai tanti atleti che spesso, invece, non rappresentano un modello per tanti giovani. Ebbene, anzitutto da costoro devono provenire i segnali di legalità.
Basta con le tifoserie stipendiate! Il tifo non può essere trasformato in lavoro ed è sbagliato definire tifosi questi personaggi che sono, invece, dei teppisti e dei delinquenti. Nel definirli tifosi, si offendono i tanti, anzi i tantissimi, cittadini onesti che sono i veri tifosi nel nostro paese.
Certo, è evidente un certo disagio giovanile nella nostra società; bisogna adottare delle misure di prevenzione, a partire dalle scuole. È, infatti, indispensabile l'educazione allo sport; lo è altrettanto il rispetto dell'avversario. Si deve far capire ai più giovani che si può anche perdere; è indispensabile il rispetto per le istituzioni, per le regole, per la legalità e per le Forze di polizia che rappresentano lo Stato. Bisogna anche potenziare sempre più quei servizi sociali che possono sicuramente recuperare tanti giovani.
L'obiettivo principale, però, deve restare la sicurezza dei cittadini nel nostro paese e la possibilità per le famiglie di tornare allo stadio. Non si deve più assistere a veri e propri assetti di guerra ogni volta che ci si reca a vedere una partita di calcio! Altrimenti, è bene chiudere gli stadi, non consentire queste scene, che purtroppo sono tristi e non generano certamente fiducia in tanti giovani, in tante famiglie e in tanti cittadini.Pag. 25
I luoghi dove non esistono regole o dove, in ipotesi, non vengono rispettate o non siano applicabili, sono un terreno di facile penetrazione per soggetti criminali; ormai, come hanno dimostrato anche i fatti di Catania, gruppi criminali che, sempre più organizzati, si avvicinano allo sport ed al calcio!
Pertanto, signor ministro, esprimo il pieno sostegno del nostro gruppo all'iniziativa del Governo per contrastare in modo sempre più efficace questi fenomeni delinquenziali recentemente verificatisi nel nostro paese (Applausi dei deputati del gruppo Verdi).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Adenti. Ne ha facoltà.
FRANCESCO ADENTI. Signor Presidente, signor ministro dell'interno, prima di esprimere le nostre valutazioni in ordine alla tragedia di Catania, che ha segnato così negativamente la vita sportiva del nostro paese, desidero, a nome del gruppo Popolari-Udeur, ricordare commosso il sacrificio dell'ispettore Raciti ed esprimere un sincero cordoglio alla famiglia ed anche alle forze dell'ordine. Nel contempo, desidero ricordare anche tutti coloro che nel corso degli anni hanno perso la vita: sportivi, tifosi, dirigenti ed anche giocatori, vittime del clima di odio, di violenza di follia che ormai da troppo tempo percorre il mondo del calcio.
Da uomo di sport, ed anche da arbitro benemerito della Federazione italiana giuoco calcio, qualifica che sono orgoglioso di ricoprire da quasi trent'anni, ho vissuto in prima persona questo clima, che non ha nulla a che fare con lo sport e che - ve lo assicuro - comporta il graduale ed inesorabile allontanamento della gente dal mondo del calcio. Oggi dobbiamo prendere atto a malincuore che sempre meno gente va allo stadio. Non solo. Oggi, sempre meno gente si reca a seguire le gare dei campionati minori, perché anche in questo contesto accadono episodi di intolleranza e di litigiosità che, non poche volte, hanno come protagonisti i genitori. Ciò dimostra come sia necessaria, accanto a provvedimenti che, senza tentennamenti, consentano alle istituzioni di affermare il principio di legalità durante le manifestazioni calcistiche (negli ultimi tempi, il principio sembra, obiettivamente, molto affievolito), una serie di azioni, anche di natura culturale ed educativa, volte al recupero dei veri valori dello sport.
Condividiamo le esortazioni del ministro Melandri a combattere, prima di tutto, la «cultura del nemico», che sempre più chiaramente si sta diffondendo nel tessuto sociale senza distinzioni di classe, generazioni e livello di istruzione. Per fare ciò, tutte le componenti del calcio, nessuna esclusa, devono sentirsi parte in causa e devono unire le forze per respingere il tentativo in atto di trasformare le partite di calcio da momenti di sano divertimento, e di crescita sociale, in contenitori dove esplodono le tensioni, le contrapposizioni, le violenze, le intolleranze e gli interessi individualistici presenti nella nostra società.
In merito all'ultimo, grave atto di violenza di cui siamo stati attoniti spettatori, riteniamo giusta, doverosa e necessaria la decisione del commissario Pancalli di sospendere i campionati, dando finalmente - e dico «finalmente» perché la morte dell'ispettore Raciti non è che l'ultimo di una lunga serie di episodi più o meno gravi, preceduto dalla morte del dirigente di una società sportiva calabrese del campionato dilettantistico, da risse tra tifosi e giocatori, da aggressioni agli arbitri, da esposizioni di striscioni razzisti e devastazioni che, ogni domenica, ledono la dignità del gioco del calcio, non solo ai massimi livelli, ma anche sui campi minori - il segnale, forte ed inequivocabile, che le istituzioni non possono più tollerare che si vada avanti in questo clima contrario ai valori dello sport.
Ora, che fare? Noi siamo per la linea dell'intransigenza e del rispetto delle regole; noi siamo per la «tolleranza zero» nei confronti della violenza e della sopraffazione; noi riteniamo che il Governo, che sosteniamo in modo convinto nella sua azione, debba adottare tutte le misure adeguate alla gravità della situazione, secondoPag. 26i tempi che risulteranno necessari per ripartire con garanzie assolute. Noi non auspichiamo sospensioni dei campionati sine die, soprattutto di quelli minori del settore giovanile, che non devono essere penalizzati; noi chiediamo, però, che si riparta avendo individuato percorso, misure e provvedimenti, attraverso un patto istituzionale tra tutti gli attori interessati che sappia dare tranquillità e serenità al mondo del calcio ed agli sportivi che non hanno, nonostante tutto, abbandonato l'idea di tornare allo stadio.
Non so se servano leggi speciali. Certamente, occorre cominciare ad applicare con puntualità e rigore le leggi esistenti, in certi casi inasprite, a partire dal cosiddetto decreto Pisanu, in parte rivisto, sulla sicurezza negli stadi, che è stato parzialmente disatteso mediante deroghe, proroghe e surroghe che non hanno fatto altro che lasciare spazio a comportamenti devianti. In quest'ultimo ambito, non è più immaginabile che il costo della ristrutturazioni degli stadi sia addossato soltanto agli enti locali: le società sportive devono trovare i giusti equilibri economici perché sia prevista una loro compartecipazione ai costi di mantenimento ed ammodernamento e, laddove possibile, anche l'acquisizione delle strutture. Certamente, occorre adottare specifiche - ed esemplari - misure preventive e punitive che cancellino, una volta per tutte, lo strapotere dei gruppi di ultrà. Si ha l'impressione - e, forse, qualcosa di più - che questi ultimi godano di impunità: arrivano a ricattare le società sportive, a dettare legge nei loro confronti, a decidere le sostituzioni dei tecnici e ad influenzare le scelte societarie!
In tale ambito basta assistere alle devastazioni, da parte di questi pseudosostenitori, di luoghi delle città, di carrozze ferroviarie, di mezzi pubblici, di saccheggi negli esercizi commerciali sulle autostrade, di violenze e minacce gratuite nei confronti dei cittadini. Le società sportive da parte loro devono impegnarsi ad allontanare i violenti dagli stadi, collaborando con le istituzioni ed assumendosi, con grande senso di responsabilità, l'onere di spezzare una volta per tutte il filo ambiguo che le lega a questi gruppi di facinorosi finanziandone l'attività, riconoscendone il ruolo, talune volte difendendone i comportamenti, non denunciandone i soprusi.
Un altro aspetto, che va valutato con la giusta attenzione e senza pregiudizi, ma con realismo, è il ruolo di certe trasmissioni sportive in onda sul piccolo schermo. Anche qui, senza pretendere di censurare alcunché, bensì di responsabilizzare i media, bisogna porre freno ai dilaganti sproloqui a cui assistiamo da parte di certi personaggi, purtroppo anche di certi presidenti di società, che si dilettano a partecipare non a discussioni costruttive, ma a scontri tanto caotici, quanto privi di contenuto, perché basati essenzialmente su faziosità e su ignoranza regolamentare. Non solo, ma radio e televisioni locali spesso si trasformano in arene di scontro e di incitamento alla violenza, ospitando addirittura i capi delle tifoserie ultrà, accolte con tutti gli onori. Talune di queste trasmissioni, lo dico senza enfasi, rischiano di mettere ulteriore benzina sul fuoco delle polemiche, creando tensioni che si trasferiscono nelle società e nei loro entourage.
Nel condividere e sostenere l'azione del ministro Amato, desidero a nome del gruppo Popolari-Udeur esprimere anche la nostra gratitudine e la nostra profonda riconoscenza alle forze dell'ordine per lo spirito di servizio, la preparazione ed il buon senso che hanno sempre dimostrato nel garantire la sicurezza nel corso delle manifestazioni sportive, anche nelle situazioni più drammatiche e tragiche. Ci sentiamo anche di accomunare nella condanna sia i vergognosi ed irresponsabili giudizi nei confronti delle forze dell'ordine del deputato Caruso, e per la verità anche di esponenti del Governo, con i quali le nostre distanze sono inequivocabili ed abissali, sia le scritte gravemente offensive comparse sui muri di alcune città. Alle forze dell'ordine, rispetto a queste situazioni, desideriamo esprimere la nostra solidarietà e la nostra vicinanza.Pag. 27
Già in una recente interrogazione al ministro dell'interno...
PRESIDENTE. Onorevole Adenti, la invito a concludere.
FRANCESCO ADENTI. ...sottolineavo come non sia più possibile e giustificabile immaginare di impiegare migliaia di agenti tutte le domeniche per mantenere l'ordine pubblico negli stadi, distogliendoli così dai compiti istituzionali e in certi casi mandandoli allo sbaraglio, a rischio della loro incolumità e con ingenti costi a carico per la collettività. Bisognerà rivedere questa organizzazione.
Infine, e concludo, desideriamo richiamare anche i vertici dello sport calcistico italiano, che hanno l'onere in questo momento delicato di fare gioco di squadra, di dimostrare saggezza e lungimiranza e non cinismo, di cui purtroppo si è fatto interprete il presidente Matarrese. Ciò, al fine di rianimare il mondo del calcio ed assicurargli un futuro nel quale gli imbecilli e i delinquenti non trovino mai più cittadinanza (Applausi dei deputati del gruppo Popolari-Udeur)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Del Bue. Ne ha facoltà.
MAURO DEL BUE. Il Governo, signor ministro, intende emanare un decreto-legge per rispondere all'emergenza della violenza nel mondo del calcio e poi un disegno di legge per indicare un modello. Penso sia giusto ed opportuno. Prendo atto che il Governo non ha risposto positivamente alle sollecitazioni di qualche esponente della sua maggioranza, che invece lo invitava a compiere un'analisi sociologica. È bene dire, con la massima franchezza, che non è colpa del disagio sociale o addirittura del buio, delle partite in notturna, o magari di Matarrese - che forse ha tante colpe, ma non questa -, il proliferare della violenza nel mondo del calcio, in particolare negli stadi.
Dispiace che ci siano voluti due morti, che coprono l'intera dimensione del mondo del calcio, che va dalla terza categoria alla serie A - le morti di Licursi e di Raciti -, per sensibilizzare le istituzioni ad agire concretamente per prevenire e reprimere questo grave fenomeno di violenza che sta infestando lo sport più bello e più popolare del mondo, che è il gioco del calcio.
Indichiamo due forme per combattere questo fenomeno. La prima è quella dell'applicazione integrale della cosiddetta legge Pisanu, con le due ulteriori modifiche del decreto-legge oggi in elaborazione e domani all'attenzione del Consiglio dei ministri per la relativa approvazione, riguardanti la sospensione di tutte le deroghe - che, nel corso di questi anni, sono diventate regole - e l'eliminazione delle trasferte organizzate, tenendo presente che la sospensione delle deroghe provocherà problemi alle società sportive, soprattutto nel rapporto con i loro abbonati, e che l'eliminazione delle trasferte può provocare qualche rischio. Infatti, quando si parla di non organizzare le trasferte, ma di dare la possibilità ai tifosi di comprare i biglietti, si possono generare equivoci e rischi, confondendo i tifosi ospiti con i tifosi locali.
La seconda forma che indichiamo per combattere questo fenomeno è quella di approntare leggi specifiche per gli stadi, come avviene in Inghilterra e come è stato ricordato opportunamente dall'onorevole Pescante. Se, signor ministro, giro per strada con un fumogeno, un bastone o un coltello, non compio alcun reato intenzionale, perché posso utilizzare in diversi modi questi oggetti, ma se entro in uno stadio con un coltello, con un bastone o con un fumogeno sono intenzionato a compiere un reato. In Inghilterra, questo viene punito con il carcere; in Italia assolutamente no. Mi chiedo se questo sia giusto, visto che prospettiamo come modello della gestione e della sicurezza degli stadi quello inglese.
Vorrei aggiungere una cosa sul primo punto, ossia sulla cosiddetta legge Pisanu e sulla questione dei biglietti nominativi: si dice che la polizia non voglia entrare nelle curve per paura. I biglietti nominativi sono stati creati, in particolare, per le curve,Pag. 28perché è difficile pensare che in tribuna si possano compiere reati (qualche volta accade anche lì, con persone insospettabili); generalmente, si vuole mettere sotto controllo gli spettatori delle curve, facendoli sedere ognuno al proprio posto. Ma non c'è curva in Italia, come lei sa, in cui il pubblico ultrà stia regolarmente seduto al proprio posto. Lei immagina, forse, che in quel luogo, dove hanno paura ad andare i poliziotti armati, vi possano entrare i cosiddetti steward? Probabilmente, verrebbero cacciati dalle curve. Forse, lo può supporre.
Quindi, il vero problema è combattere la violenza organizzata dentro e fuori dagli stadi. Qualche deputato ha detto (prima ho ascoltato con interesse il discorso dell'esponente di Rifondazione Comunista) che non tutti gli ultrà, non tutti i tifosi estremi sono uguali. Certo, dice cose giuste che condivido; ma guardi, nel corso delle interviste sia televisive sia giornalistiche che sono state fatte in queste ultime giornate, non ho sentito un ultrà fare una dichiarazione di questo tenore: siamo pronti a denunciare chiunque compia atti di violenza all'interno del nostro gruppo.
Non basta, dunque, la presa di distanza generica dalla violenza! Voglio che si spezzi quell'omertà che esiste all'interno di queste organizzazioni, in base alla quale, come succedeva - lei si ricorderà benissimo - ai tempi degli «anni di piombo», anche gli estremisti che compivano atti violenti e reati punibili per legge erano considerati compagni che sbagliavano.
Dobbiamo rompere questa logica. Se queste organizzazioni sono regolate sulla base di tale logica - omertà e copertura di coloro che compiono reati -, come mi pare avvenga oggi nella maggioranza dei casi delle organizzazioni estremistiche del tifo, dobbiamo applicare le leggi. E piuttosto che vedere steward presi a sassate da ultrà solo perché impongono ad ognuno di loro di restare seduto al proprio posto, preferirei vedere, al posto degli ultrà, giovani, anziani e famiglie che popolano gli stadi italiani, come avviene in Inghilterra, Spagna e Germania.
Ho letto ieri un articolo de Il Corriere dello Sport che trattava di tre giornalisti che venivano inviati, rispettivamente, a Madrid, a Brema e a Londra per assistere ad incontri di calcio. La cosa che veniva notata, senza che nessuno dei tre probabilmente scambiasse le proprie opinioni con l'altro, è che si trattava di tre stadi (il Bernabeu di Madrid, lo stadio di Brema e lo stadio del Tottenham, in cui giocava una partita importante il Manchester United) in cui i posti erano tutti esauriti, pieni di gente, contrariamente a quelli italiani che ormai sono deserti e dominati solo dalla cultura ultrà. Ecco, questo vorrei vedere anche in Italia: stadi pieni, gente seduta, famiglie allo stadio e violenza allo stato «zero», come avviene nelle altri parti d'Europa, sapendo che, se vogliamo importare in Italia il modello europeo e, in particolare, quello inglese, dobbiamo comportarci esattamente come gli inglesi, perché non si può importare un modello, importandone soltanto una parte; a volte, se si importa una parte del modello, si importa una contraddizione: o un modello lo si importa integralmente o se ne impone un altro. Questo dobbiamo fare e la sollecito a fare, signor ministro, nella stima e nella fiducia che ho sempre avuto nelle sue capacità. (Applausi dei deputati del gruppo Democrazia Cristiana-Partito Socialista).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Bezzi. Ne ha facoltà.
GIACOMO BEZZI. Signor Presidente, i fatti gravissimi di Catania hanno imposto al calcio uno stop. Doveva succedere che morisse un poliziotto perché ci fermassimo a riflettere su quanto sta accadendo nel calcio e nella nostra società. La terribile violenza, cui tutti, attoniti, abbiamo assistito e le immagini della guerriglia fuori dallo stadio di Catania sono, purtroppo, una triste metafora della realtà. Il calcio, quel calcio che Pier Paolo Pasolini definiva l'ultima rappresentazione sacra del nostro tempo, l'unica rimastaci, di sacro non ha più nulla. Dove sono finiti i sogni di quando eravamo bambini? DovePag. 29sono la passione e le emozioni vere? Dove la lealtà sportiva, quella capacità di perdere e quell'orgoglio di vincere che ci facevano crescere?
Tutto è andato. Oggi lo stadio non è più per le famiglie o per le gite domenicali dei club e molti di quelli che ci vanno lo fanno per apparire ed imporre il colore del proprio tifo - ahimè - troppo spesso tragico e, comunque, a tinte troppo forti su quello degli altri. Abbiamo sentito in un'intervista di un ultrà nei giorni scorsi che poco importa se la squadra vince o perde, ciò che conta è gridare più forte ed avere la meglio sulla squadra avversaria, non in campo, non sul terreno di gioco, ma dagli spalti. Parliamoci chiaro: la colpa di tutto questo è solo nostra, è del sistema, che ha sbagliato. Abbiamo lasciato e voluto che il calcio e la sua gestione diventassero sempre più una cosa politica, un mercato, una macchina che producesse interessi e che muovesse capitali. Abbiamo tolto al calcio l'anima, per riempirla di soldi, di diritti televisivi e di apparenze. Abbiamo fatto diventare il mondo del calcio un pallone vuoto, ma grosso, gonfio da scoppiare. Adesso basta! Ha ragione lei, signor ministro: mandi pure i minori a pulire i gabinetti, così crescono meglio! Che la morte di Filippo Raciti abbia un senso, che questo sacrificio segni una battuta d'arresto che non duri solo due giornate sul calendario sportivo!
Noi autonomisti trentini, signor ministro, le rivolgiamo questo invito: ridiamo al calcio e al mondo del calcio una dignità, recuperiamone un minimo di sacralità, di sogno e aiuteremo anche l'Italia, attraverso il nuovo calcio, a fermare una decadenza progressiva che, in questo nostro paese, sta venendo avanti! Grazie per il suo lavoro (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Minoranze linguistiche)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Reina. Ne ha facoltà.
GIUSEPPE MARIA REINA. Signor Presidente, signor ministro, ieri eravamo ai funerali in cattedrale a Catania e, con noi, c'erano anche altri colleghi; alcuni sono rimasti, altri si sono allontanati.
Permettetemi di dirvi anzitutto che l'angoscia e il dolore che abbiamo provato, al momento della notizia della morte dell'ispettore capo Raciti e delle modalità con cui questa è avvenuta, e che sono stati poi rinnovati in chiesa dalle vive testimonianze della moglie, della figlia, del collega e di altri che di lui ci hanno parlato, sono almeno pari in questo momento alla triste e desolante mortificazione di un'aula del Parlamento praticamente vuota, dove si sono susseguiti gli interventi dei rappresentanti dei vari gruppi parlamentari, come se fossimo a teatro, anche di fronte a scolaresche che, nel frattempo, si sono a loro volta susseguite sulle tribune.
Voi pensate seriamente che il tema che ci troviamo a trattare, vale a dire la questione che il paese ha di fronte, sia semplicemente la violenza negli stadi o in prossimità dei campi di calcio? Io vi dico che siamo di fronte ad un problema ben più grave.
Da tempo, almeno trent'anni, si parla infatti della difficoltà di agibilità degli stadi. Vorrei ricordare che già trent'anni fa si realizzavano film, a volte anche scherzosi, su come gli ultrà gestivano, di fatto, il calcio insieme alle società sportive.
Rendere sicuri i campi di calcio è una parte, doverosa e necessaria, del nostro lavoro. Per questo motivo, noi deputati della componente politica Movimento per l'Autonomia del gruppo Misto abbiamo presentato già da ieri una proposta di legge di delega finalizzata ad invitare il Governo ad agire in una certa direzione. Mi fa anche piacere, peraltro, che lo stesso ministro Amato, in qualche misura, abbia anticipato alcune delle linee che l'Esecutivo intende seguire in tal senso e che noi in parte condividiamo.
Non possiamo non chiederci, tuttavia, come mai sia potuto accadere ciò che è successo a Catania, anche se ciò poteva verificarsi in qualsiasi altra città del nostro paese. Ci domandiamo, in altri termini, come mai sia accaduto che, di fronte ad avvisaglie precise, in quel momento, in quella giornata ed in quella circostanza siaPag. 30stato possibile far svolgere una partita che dietro di sé poteva nascondere, come molti sapevano, queste difficoltà.
La verità è che, ormai, siamo una società decadente, nella quale la sacralità della vita ed il rispetto della persona umana hanno sempre meno valore, mentre dovrebbero essere sempre anteposti a quegli altri valori che, attraverso la televisione ed il sistema di vita, noi offriamo ai giovani e che, purtroppo, sono all'ordine del giorno. Mi riferisco ai «valori» dell'arrivismo, del compromesso, della concorrenza, della riuscita, del business e del denaro.
Forse noi che occupiamo questi scranni abbiamo per primi, rispetto al popolo, una maggiore responsabilità. Dobbiamo interrogarci su tali questioni ed agire in modo diverso a partire proprio da questa Assemblea, carissimi colleghi.
PRESIDENTE. La prego di concludere.
GIUSEPPE MARIA REINA. Concludo, Presidente. Come abbiamo fatto ieri, rinnoviamo anche oggi in Parlamento, in questa circostanza, il nostro cordoglio alla famiglia Raciti.
È morto un uomo importante per la sua famiglia, per lo Stato e per il corpo di Polizia, ma questa tragedia ci deve indurre, così come ci ha espressamente chiesto la moglie in cattedrale, a far sì che il nostro dovere nei confronti della nazione ci porti a trasformare le cose ed a costruire un percorso diverso. Questo non dovrà avvenire solo attraverso le leggi, le quali, da sole, non possono sicuramente aiutare a raggiungere questi obiettivi.
PRESIDENTE. È così esaurito lo svolgimento dell'informativa urgente del Governo.
Sospendo la seduta, che riprenderà alle 15.
La seduta, sospesa alle 12,05, è ripresa alle 15,05.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE GIORGIA MELONI