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TESTO INTEGRALE DELL'INTERVENTO DEL DEPUTATO FRANCESCO BRUSCO IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL DISEGNO DI LEGGE DI CONVERSIONE N. 2193-A
FRANCESCO BRUSCO. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, ritengo certamente positivo - e questo è un punto che voglio premettere ad ogni successiva argomentazione - il fatto di veder finalmente riconosciuta alla politica estera e di difesa l'importanza che essa merita, soprattutto in questa epoca in cui diventa sempre più difficile governare le grandi emergenze sociali e le gravi tensioni politiche che rendono la sicurezza un bene sempre più prezioso e prioritario.
II mondo è cambiato. Dagli scenari post coloniali e della guerra fredda, le vicende attuali ci proiettano verso equilibri planetari e molto complessi.
Sono sul tappeto problematiche che minacciano seriamente il futuro dell'umanità: la povertà, la penuria di risorse energetiche tradizionali e innovative, il degrado dell'ambiente e, soprattutto, le minacce alla pace e alla stabilità, segnate anche dal sorgere di nuove grandi potenze regionali e, in prospettiva, mondiali.
Questi mutamenti sono in parte originati dalla profonda trasformazione subita dal quadro delle minacce e dei rischi. La fine del confronto tra i due blocchi ha di fatto allargato la possibilità di condurre guerre «limitate»: locali, regionali o anche «specialistiche» (come la guerra al terrorismo).
Nuove minacce, fortemente «asimmetriche», portano a guerre anch'esse più «asimmetriche» di quanto si ritenesse probabile.
La progressiva globalizzazione dei fattori economici, finanziari, culturali, tecnologici, e, naturalmente, anche dell'informazione e delle comunicazioni, è parte integrante del processo di sviluppo economico, ma è anche un terreno aperto al verificarsi di nuove sfide, per la ragione che l'interdipendenza del mercato porta con sé la ineluttabilità dello scontro, con gravi problemi giuridici, di costo e, più in generale, di governabilità internazionale.
I rischi di conflitto non possono più essere identificati solo sulla base delle capacità militari dell'avversario, bensì sulla base dell'impatto che essi possono avere sulle percezioni di sicurezza, di benessere o di stabilità dell'opinione pubblica: la dimensione mediatica dei pericoli e delle scelte strategiche che debbono contrastarli diviene prevalente e complica notevolmente il quadro previsionale.
In questa situazione, lo strumento militare non si organizza tanto in funzione di una minaccia precisa e ben identificata, quanto in funzione delle operazioni che può essere chiamato a condurre. Gli scenari prevedibili escludono, per il momento, l'ipotesi di una guerra generalizzata che coinvolga l'intero continente europeo. In compenso, sono prevedibili numerose crisi sia nell'area geograficamente più vicina all'Italia e all'Europa (Mediterraneo, Balcani, Medio Oriente) sia in aree più lontane (Caucaso, Asia Centrale, Africa subsahariana, eccetera), con il coinvolgimento di importanti interessi europei.
Proprio la complessità di questo scenario, e le difficoltà che i nostri paesi incontrano per affrontarla in maniera accettabile, sono causa di serie problematiche di carattere politico e finanziario al livello dei singoli Stati e determinano la necessità di fare ricorso alle alleanze, ossia a un consorzio di forze in grado di garantire, mediante interventi militari integrati, una più efficace risposta a ogni tipo di minaccia.
Nel quadro di queste situazioni e di queste prospettive l'Italia, insieme a paesi amici e/o alleati, partecipa agli sforzi della comunità internazionale per governare le principali crisi del pianeta.
Lo fa principalmente con le sue Forze Armate.
Lo fa grazie a tanti giovani delle nostre contrade che ogni anno si arruolano e danno vita a uno straordinario volontariato Pag. 82in armi, saldamente ancorato ai valori della Costituzione e della tradizione civile e umanistica del nostro popolo.
A loro, a questi «soldati della Repubblica» e a questi «cittadini in divisa» vanno il mio pensiero e il mio profondo apprezzamento, che desidero rinnovare di fronte a voi.
Come già, in passato, a Beirut, in Iraq del nord, in Mozambico, in Somalia, in Etiopia/Eritrea, a Timor Est, in Sudan e, attualmente, nei Balcani, in Afghanistan e nel Libano, le nostre Forze Armate, su mandato delle Nazioni Unite o inserite nelle missioni a guida NATO, sono parte significativa di uno sforzo e di una sfida formidabile per la tutela della pace e della stabilità internazionali.
E per assolvere efficacemente questi nuovi e impegnativi compiti, esse, nell'ultimo decennio, si sono rinnovate e rimodulate attraverso trasformazioni epocali, quali: la sospensione del servizio di leva, con la conseguente immissione di un notevole numero di volontari; l'inserimento dell'elemento femminile; i mutamenti ordinativi e strutturali, che hanno puntato a dare maggiore connotazione interforze all'organizzazione, all'insegna di un più elevato standard di efficienza e di qualità. In tale periodo, in particolare, sono stati compiuti passi decisivi per fare assumere allo strumento militare nuove responsabilità nel campo della difesa e della sicurezza europea, sviluppando una politica che non si è posta in antitesi al rafforzamento del pilastro europeo dell'Alleanza Atlantica, nel quadro del citato progetto ESDI. I primi tentativi in questa direzione sono stati orientati a creare nuovi meccanismi e moderne strutture per consentire all'Unione Europea di intervenire con efficacia e tempestività in tutte le situazioni di crisi nei più diversi scenari politico-strategici (il processo in corso prevede anche un progressivo avvicinamento tra gli strumenti militari nazionali e il passaggio dalla interoperabilità alla standardizzazione dei sistemi d'arma); è stato portato avanti un articolato programma di formazione permanente del personale, che ha consentito alla Difesa di disporre di ufficiali, sottufficiali e volontari professionalmente ben preparati, con sensibilità, cultura ed esperienza giunte a maturazione per operare in contesti interforze e multinazionali; sono stati posti in essere strumenti normativi per incentivare la vocazione al volontariato e rendere il mondo militare più competitivo sul mercato del lavoro.
Per le nostre Forze Armate, la stagione delle missioni internazionali - senza minimamente sottovalutare l'opera da esse svolta per la difesa del territorio nazionale, per la sorveglianza degli obiettivi sensibili, per la lotta al terrorismo e alla criminalità organizzata, per dare cornice di sicurezza allo svolgimento di importanti eventi nazionali (G8, eventi NATO, olimpiadi invernali, ecc.) e per soccorrere le popolazioni in occasione di calamità naturali - è diventata quanto mai onerosa sia per l'entità del personale coinvolto sia per le difficoltà logistiche sia per la mutevolezza delle condizioni ambientali e del livello di minaccia.
In ogni giorno dell'anno, militari dell'Esercito, della Marina, dell'Aeronautica e dell'Arma dei Carabinieri sono impegnati in ogni parte del globo: attualmente più di diecimila uomini e donne sono distribuiti tra Bosnia, Kosovo, Albania, Macedonia, Afghanistan (risale a poche settimana fa l'operazione «Itaca» che ha visto rientrare in patria più di duemila soldati italiani dall'Iraq), Libano (l'ultimo impegno d'oltremare che ha comportato lo schieramento nella terra dei cedri di circa tremila militari), senza contare le altre missioni a Cipro, Malta, Hebron, in Marocco, India, Pakistan, Medio Oriente, Congo e nel Sahara occidentale.
Per sostenere tutti questi onerosi impegni di carattere internazionale si impone l'utilizzazione di almeno quarantamila militari, dovendo far fronte al periodico avvicendamento del personale nei diversi teatri operativi (a tutto questo vanno poi sommati almeno altri trentamila soldati che fino a qualche mese fa hanno contribuito a garantire il soddisfacimento delle esigenze nazionali cui accennavo prima).Pag. 83
La vocazione internazionale delle Forze Armate italiane è confermata, infine, dal contributo assicurato ai principali organismi interalleati ed europei che si occupano di sicurezza.
Il quadro generale presentato, pur nella sua scarna essenzialità, descrive apoditticamente l'ampiezza e la latitudine dei nuovi compiti e delle responsabilità operative che il Parlamento e il Governo della Repubblica, anche per rispondere alle numerose chiamate della comunità internazionale, hanno affidato alle Forze Armate nazionali.
L'esperienza da esse maturata in tante operazioni d'oltremare fa sì che i nostri soldati si dimostrino sicuramente all'altezza delle capacità espresse dai principali alleati e partner europei ed extraeuropei: ne è testimonianza il fatto che, in più circostanze, sia stata e sia anche oggi attribuita all'Italia la responsabilità di comando di missioni interalleate.
I successi conseguiti dalle Forze Armate in Italia e sulla scena internazionale le hanno viste accreditate di una rinnovata attenzione e sensibilità da parte del mondo politico, dei mass media e dell'opinione pubblica, talché, all'alba del terzo millennio, l'Esercito, la Marina, l'Aeronautica e l'Arma dei Carabinieri possono autorevolmente proporsi al paese come: un organismo compatto, omogeneo e motivato; un punto di riferimento nazionale e internazionale di alto livello; un'organizzazione animata da valori forti, nella quale la disciplina, la concezione etica della vita e dello Stato e l'impegno civile si fanno intimo convincimento e straordinaria forza morale.
Ma questi successi sono dovuti anche al fatto che le Forze Armate nel nostro paese non sono separate dal popolo ma sono dentro la volontà popolare, come è scritto nella Costituzione e come è scritto nell'esperienza di più di mezzo secolo di storia repubblicana, durante il quale esse hanno esercitato, secondo la peculiarità delle specifiche funzioni, lealmente e fino in fondo il loro dovere.
Possiamo affermare con legittimo orgoglio che oggi sediamo al tavolo dei negoziati internazionali con l'autorevolezza che ci consente di riscuotere piena accoglienza alle nostre idee e alle nostre proposte politiche.
Ma se siamo ascoltati e rispettati, questo si deve, prioritariamente, alle scelte occidentali che l'Italia ha fatto nel secondo dopoguerra e, nondimeno, alla circostanza che lo strumento militare ha contribuito a rafforzare il nostro prestigio sulla scena internazionale, consentendo al paese di assumere e onorare i difficili impegni sul terreno della difesa comune e della tutela dei diritti dei più deboli.
All'interno di queste riflessioni si colloca il tema della proroga della partecipazione italiana a missioni umanitarie e internazionali, con particolare riferimento al nostro impegno militare in Afghanistan.
Su questa materia voglio essere molto chiaro. L'attuale Governo, ignorando l'ultimo invito della NATO e dell'Amministrazione americana, tenta in ogni modo e disperatamente di mettere al riparo il voto sul rifinanziamento dalle trappole che vengono preparate dalla sua maggioranza al Senato.
Una scelta, obbligata ma mortificante, che impedisce di mettere a fuoco una delicata problematica di politica estera, artatamente stemperata dal proposito (manifestamente surrettizio) di organizzare a Roma una conferenza internazionale di pace (in verità ancora molto vaga), che i partiti della sinistra estrema vogliono contestualizzare nel decreto in discussione.
Una iniziativa dalle finalità assai ambiziose, che necessita di tempi lunghi e che potrebbe non trovare valore di concretezza prima dell'offensiva di primavera (anche questa ignorata dal Governo Prodi) dei talebani e dei tanti terroristi di diverse nazionalità che quotidianamente si infiltrano nel sud dell'Afghanistan.
Siamo ormai vicini a una situazione di schizofrenia politica («vorrei, ma non posso»): un atteggiamento che nuocerà certamente agli eccellenti risultati fin qui ottenuti e di cui l'Italia è giustamente orgogliosa.Pag. 84
Nei cinque anni del Governo Berlusconi abbiamo portato avanti e onorato un impegno militare, civile e umanitario che colloca il nostro paese tra i maggiori contributori alla sfida di riportare quella lontana nazione alla pace e al progresso civile dopo trent'anni di guerre e di devastazioni.
Con il suo procedere pudibondo e con le sue scelte basate sulla lesina, questa maggioranza rischia di compiere un pessimo gesto politico, disattendendo, tra l'altro, gli impegni assunti dal nostro paese, nel 2005, di rafforzare il contingente nazionale in vista dell'offensiva cui facevo cenno.
La politica estera è fatta certamente di tante cose, ma arriva sempre un momento fatale in cui essa deve essere fatta di iniziative ferme e decise, implicanti anche l'uso della forza per difendere i più deboli e tutelare la certezza del diritto, la pace e il progresso dei popoli.
Anche in questa circostanza non è possibile credere che la politica internazionale del nostro paese si possa basare sulle fiaccolate pacifiste o sulle esternazioni di irresponsabili urlatori.
Il gruppo politico cui mi onoro di appartenere, coerentemente con le scelte coraggiose e responsabili operate nella precedente legislatura in materia di politica estera, e più significativamente ancora prima, quando per cinque anni Forza Italia è stata forza di opposizione, voterà a favore del rifinanziamento delle missioni umanitarie e internazionali.
Un voto che è espressione della convinta consapevolezza che oggi l'Italia è un grande paese, rispettato e rispettabile nel concerto europeo e mondiale; che contiamo non perché siamo aggressivi, ma perché siamo autorevoli; che siamo autorevoli anche perché le nostre scelte occidentali, la nostra cultura e la nostra umanità ci hanno portato a partecipare, soprattutto negli ultimi anni, alla costruzione di un mondo migliore; che contiamo per la nostra capacità di intelligenza e di lavoro, per una vocazione alla pace, che appartiene a una nostra attitudine più autentica, per i valori della nostra Costituzione, per la tradizione civile e umanistica del nostro popolo e, non ultima ragione - come rimarcavo più sopra -, per le prove di efficienza, professionalità e umana solidarietà che le Forze Armate nazionali hanno saputo fornire nell'assolvimento dei difficili compiti di ristabilimento e di consolidamento della pace nelle aree più tormentate del pianeta.
Ecco, noi vogliamo che questo prestigio, questa politica, questa autorevolezza e questa rispettabilità vengano tutelati e consolidati. E siamo convinti che, per riuscirci, non possiamo e non dobbiamo sottrarci alle chiamate della comunità internazionale.