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Si riprende la discussione del testo unificato delle proposte di legge costituzionale n. 648-A ed abbinate.
(Dichiarazioni di voto finale - A.C. 648-A ed abbinate)
PRESIDENTE. Passiamo alle dichiarazioni di voto finale.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Adenti. Ne ha facoltà.
FRANCESCO ADENTI. Presidente, a nome del gruppo Popolari-Udeur riconfermiamo la nostra soddisfazione per il testo all'esame, rimandando alle considerazioni già espresse nel corso della discussione generale, che qui ricorderò brevemente.
La nostra Carta costituzionale è un preziosissimo patrimonio che siamo tutti chiamati a valorizzare e a difendere, che, allo stesso tempo, però, deve essere anche inteso quale testo dinamico, capace di interpretare anche le evoluzioni dello sviluppo storico e culturale, del mutare delle condizioni sociali e politiche del nostro paese.
Così com'è avvenuto di recente sull'abolizione della pena di morte, anche oggi, con l'approvazione - come ci auguriamo - di questa proposta di modifica dell'articolo 12 della Costituzione, ci troviamo di fronte, a nostro parere, ad un improcrastinabile intervento di modifica costituzionale.
Il tema della lingua nazionale non può non essere analizzato se non si tiene conto di due fenomeni che interessano l'evoluzione culturale e sociale del nostro paese.
Dobbiamo chiederci che senso abbia oggi procedere alla costituzionalizzazione di un principio, che è già presente, in effetti, nell'ordinamento, che stabilisce il ruolo della lingua italiana quale elemento costitutivo e identificante della comunità nazionale a prescindere dalle diversità localistiche. Da una parte, infatti, tale provvedimento potrebbe essere interpretato come miope, di fronte ad un mondo che si muove verso la globalizzazione, un patetico intervento legislativo volto a fermare un identità locale.
Dall'altra parte, potrebbe sembrare un intervento destinato ad arginare possibili degenerazioni localistiche interne, o tentativi di porre in contrapposizione l'identità nazionale del nostro popolo con le tradizioni storiche e culturali locali: nulla di tutto questo. Noi Popolari-Udeur riteniamo che costituzionalizzare questo principio sia un atto dovuto a tutela del patrimonio storico e culturale del nostro Paese. Ciò, anche alla luce della pregnante autonomia riconosciuta alle regioni in materia di istruzione e cultura, ai sensi del nuovo articolo 117 della Costituzione. Non possiamo dimenticare in alcun modo, infatti, il significato storico-politico che, soprattutto in epoca risorgimentale, la ricerca e la formazione di una lingua comune Pag. 84a tutti gli italiani ha assunto nella costruzione della nostra coscienza nazionale, intesa come senso di appartenenza ad un'unica nazione, erede di una storia e di una civiltà comune, benché soggetta a frammentazioni locali nel corso dei secoli passati. Ne consegue la necessità di preservare questo elemento di comunione, simbolo, al pari del tricolore, dell'unità e dell'indivisibilità della Repubblica, solennemente affermato dall'articolo 5 della Costituzione. Inoltre, crediamo che tale provvedimento, così come risulta dal testo espressione dei lavori d'Assemblea, in nessun modo voglia recare pregiudizio all'identità delle minoranze linguistiche.
Infine, crediamo che in materia debba anche essere sollecitata una significativa azione politica di affermazione del ruolo della lingua italiana nel contesto dell'Unione europea, di cui siamo parte avendo contribuito, tra l'altro, alla sua formazione. In tal senso, auspichiamo un'azione che sostenga il ruolo della lingua italiana accanto alle altre lingue dei principali paesi europei, in particolare dei paesi fondatori.
Per queste motivazioni, annuncio il voto favorevole del gruppo Popolari-Udeur nei confronti di questo provvedimento (Applausi dei deputati del gruppo Popolari-Udeur).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Villetti. Ne ha facoltà.
ROBERTO VILLETTI. Signor Presidente, credo che non solo l'Assemblea, ma anche tutti i cittadini si siano interrogati sul significato da attribuire a queste proposte di legge. Infatti, lo spirito della nostra Costituzione - e forse anche il suo aspetto letterale - contempla sicuramente la lingua italiana come lingua ufficiale della Repubblica; del resto, questo è ciò che normalmente avviene negli uffici pubblici e in tutte le occasioni.
Oggi, il Presidente della Camera ha più volte richiamato i colleghi della Lega Nord ad utilizzare la lingua italiana, quindi, in qualche modo si tratta di un dato del tutto scontato.
Perché nel dibattito parlamentare è stata invece sollevata tutta una serie di interrogativi? Mi sembra ci sia stato il timore che l'introduzione in Costituzione dell'italiano come lingua ufficiale potesse essere avvertita come una sorta di tentativo volto all'omogeneizzazione delle diverse realtà presenti nel nostro Paese.
Vedete, noi come gruppo parlamentare della Rosa nel Pugno, come radicali e come socialisti, siamo stati sempre per il pieno rispetto delle diversità, per la piena valorizzazione dell'individuo, per i diritti delle minoranze: è questo, del resto, il modo in cui ci siamo sempre comportati rispetto alle garanzie dei cittadini. È con questo spirito e con questa visione che ci siamo mossi nel dibattito parlamentare.
Vedete, questa mattina si è determinata una sorta di convergenza tra posizioni diverse che, in qualche modo, intendevano tutelare i diversi idiomi locali che esistono nel nostro Paese. Questo è avvenuto soprattutto da parte dei Verdi, dell'onorevole Boato, ma anche da parte dei colleghi della Lega Nord.
Ecco, individuo in questo una contraddizione che voglio sottoporre all'Assemblea. Oggi, da parte dei colleghi della Lega, ho sentito assumere tutta una serie di posizioni di grande apertura nei confronti del rispetto dei diritti delle minoranze, delle minoranze linguistiche e degli idiomi locali. Ci sono state, addirittura, delle espressioni da parte di un collega che ha voluto sottolineare come la Lega sia contro il nazionalismo, il centralismo e il razzismo.
Mi sono chiesto allora: ma quel metro che voi usate nei confronti degli idiomi locali, del rispetto delle minoranze, non è lo stesso metro che corrisponde ai principi universali per cui si deve sostanzialmente rispettare le minoranze degli immigrati che vengono nel nostro paese a lavorare, che vivono gli stessi travagli e gli stessi drammi che hanno vissuto gli italiani quando sono emigrati in America? Al di là del fatto che, naturalmente, si deve chiedere all'immigrato di rispettare l'italiano, non si deve forse rispettare anche la loro lingua (Commenti di un deputato della Pag. 85Lega Nord Padania)? È chiaro che, se viene per delinquere, l'immigrato deve andare in galera, ma se viene per lavorare, e molto spesso proviene da paesi che soffrono, che hanno difficoltà, che non hanno cibo e hanno da sfamare una famiglia, naturalmente dovrà parlare italiano, ma nella sua comunità deve poter parlare la propria lingua, come fanno ancora certi italiani nelle comunità argentine o italiane.
Le lingue straniere che si parlano nel suolo italiano non sono anche quelle un patrimonio che arricchisce la cultura italiana piuttosto che impoverirla? Il rispetto, fondamentale, che deve essere manifestato nei confronti delle diversità deve essere condotto a 360 gradi! Questa è la nostra visione. È una visione di rispetto dei diritti delle minoranze, legata alla sussidiarietà, che vede nell'individuo un motore fondamentale della nostra società, oltre che della famiglia e delle istituzioni. Questo è il senso del contributo al dibattito che noi abbiamo portato.
Si parla molto della lingua italiana, e da questo punto di vista non vorrei che si arrivasse ad una sorta di parossismo per cui se all'interno di un discorso c'è una battuta in dialetto questa deve essere censurata. Mi sembra veramente troppo, lo dico anche al Presidente della Camera, che vi sia una censura, perché se io faccio una citazione in inglese non vengo censurato, mentre se faccio una battuta in sardo, in siciliano o in romagnolo posso esserlo. Non arriviamo a queste forme estreme.
Ci troviamo in una realtà che sta molto cambiando. Nelle manifestazioni politiche negli Stati Uniti, molto spesso è accaduto nelle convenzioni dei democratici, si parla l'inglese, ma molti rappresentanti parlano in spagnolo. Un sociologo, molto noto perché parlò dei conflitti religiosi che si sarebbero verificati dopo la caduta del muro di Berlino, mi riferisco a Samuel Hungtinton, ha sostenuto che gli Stati Uniti, perdendo come base culturale l'inglese e diventando un paese bilingue, sostanzialmente venivano messi in crisi nella propria identità nazionale. Questa realtà, che molto spesso è stata chiamata glocal, rappresenta una valorizzazione degli aspetti locali, ma anche una valorizzazione della società universale e multietnica. Se noi vogliamo difendere l'italiano dobbiamo, però, mobilitare risorse, fare in modo che l'italiano possa essere studiato all'estero, che le nostre comunità italiane abbiano i mezzi per diffonderlo.
C'è un lavoro da svolgere. Penso che questo dibattito, come tutti i dibattiti parlamentari, sia servito e possa essere utile, e mi ha fatto piacere che - anche da parte di Alleanza Nazionale, che ha sostenuto con forza questo provvedimento - ogni volta che si è parlato della lingua ufficiale italiana, si è anche detto di voler rispettare la tutela delle minoranze linguistiche. Su ciò il Parlamento si può ritrovare insieme. Penso che ogni volta che ci ritroviamo insieme non è, onorevoli colleghi, una disgrazia: è una fortuna per il paese. Noi dovremmo dividerci su alcune questioni molto importanti, molto rilevanti, quelle sulle quali l'elettorato si pronunzia, ma su grandi questioni, specialmente quando riguardano la Costituzione, dovremmo essere uniti ed esprimere un voto unitario.
È per questo motivo, onorevoli colleghi, signor Presidente, che noi, come gruppo de La Rosa nel Pugno, come socialisti e come radicali, esprimeremo un voto favorevole a questa modifica costituzionale. È un voto che noi esprimiamo convintamente: non riteniamo che questa modifica fosse indispensabile, credendo che il principio che essa sottende fosse già presente all'interno dello spirito della Costituzione, ma di fronte ad un'affermazione condivisibile non si può altro che votare in modo favorevole. Faremo ciò, e lo diciamo a tutti i colleghi, non pensando di aver cambiato qualcosa nel modo in cui il nostro paese si comporta nei confronti delle particolarità, delle situazioni locali, degli idiomi locali, delle minoranze, delle minoranze straniere. Vi è un paese che ha alle spalle una grande civiltà, e tale grande civiltà è stata quella del rispetto di tutti, nella valorizzazione delle culture di tutti e credo che ciò sia il modo migliore per cui la Rosa nel Pugno, i socialisti e i radicali possano motivare il proprio voto favorevole Pag. 86a questa modifica della Costituzione (Applausi dei deputati dei gruppi La Rosa nel Pugno e L'Ulivo).
PRESIDENTE. Constato l'assenza del deputato Zeller, che aveva chiesto di parlare per dichiarazione di voto: s'intende che vi abbia rinunziato.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Franco Russo. Ne ha facoltà.
FRANCO RUSSO. Signor Presidente, anzitutto affermo, in maniera che sia inteso dai colleghi e dalle colleghe che mi ascoltano il nostro «no», l'intenzione di voto di Rifondazione Comunista-Sinistra europea riguardo a questo disegno di legge costituzionale e cercherò, nei dieci minuti a mia disposizione, di motivare il nostro «no», ma soprattutto avrei l'ambizione, e spero di riuscirci, di conquistare a questa nostra posizione le posizioni degli altri gruppi parlamentari: lo dico esplicitamente soprattutto ai nostri colleghi dell'Ulivo, con cui condividiamo l'esperienza di Governo.
Il nostro, signor Presidente, non vuole essere un «no» che ribadisce l'unità, l'indivisibilità della nostra Repubblica; non è solo ciò, perché tale principio è già contenuto nella nostra Carta costituzionale. Noi ci stiamo muovendo con consapevolezza verso un'articolazione dei poteri della Repubblica e siamo assolutamente convinti che lo Stato, la sovranità, come era una volta intesa, non spetti più alla nazione, ma spetti ad una pluralità di istituzioni e mi dispiace, per questo motivo, che i colleghi le colleghe della Lega Nord credano ancora che da una concezione comunista della società scaturisca un'unitarietà della concezione del potere: non è assolutamente così, se mai lo è stato. Per noi è giusto affermare il pluralismo ed anche affermare il pluralismo delle lingue delle culture, perché sarebbe molto contraddittorio avere una concezione pluralistica delle istituzioni e della sovranità e non affermare, al contempo, il pluralismo delle culture. Siamo tanto pluralisti che diciamo che affermare, in questo momento, la lingua italiana ufficialmente nella nostra Carta costituzionale è, invece, un atto identitario, che colpisce, quindi, il pluralismo, che colpisce il nuovo pluralismo. Ha ragione - e in ciò condivido le sue affermazioni - l'onorevole Villetti: la verità è che quando oggi, nel 2007, si vuole affermare la lingua italiana a livello costituzionale, si ha in mente un'operazione politico-culturale molto negativa, e molto drammatica allo stesso tempo. Non si vuole affermare che l'identità di un popolo, l'identità di una nazione, se vogliamo ancora usare questo termine, non è un dato naturale, non è un dato prodotto dalla natura, ma è un dato storico.
Il popolo si costruisce storicamente attraverso l'incontro delle culture; sappiamo che così è stato nella storia e così vogliamo oggi consapevolmente affermarlo; ma noi miriamo coscientemente ad un popolo meticcio in cui non si affermi una identità etnica, ma una pluralità di rapporti culturali diversi che costituiscono il popolo. Un mosaico, dunque, all'interno del quale esista un mezzo che accomuna tutta la popolazione, che è naturalmente la lingua italiana, oltre naturalmente alla Carta costituzionale e ai suoi valori.
Onorevoli colleghi, rileggete l'articolo 6 della nostra Carta costituzionale, nel quale si prevede che la Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche - siamo pieni di giuristi, per fortuna, in quest'aula -; sappiamo benissimo che i ragionamenti possono funzionare al contrario e che un'affermazione, un riconoscimento, potrebbe escludere qualche altra cosa, ma, in questo caso, nell'affermare che esistono delle minoranze linguistiche, si riconosce l'esistenza di una maggioranza, che parla italiano. D'altra parte, onorevoli colleghi, non bisogna richiamare De Mauro per ricordare - ce lo diceva stamattina il Presidente Bertinotti - che in quest'aula si parla l'italiano e che la nostra Carta costituzionale è scritta in italiano. Ma allora perché i nostri padri costituenti non hanno riconosciuto l'italiano come lingua ufficiale (eppure, nelle precedenti esperienze costituzionali, questo riconoscimento della lingua nazionale era già stato Pag. 87previsto)? Per un motivo semplicissimo, onorevoli colleghi: nel 1948, provenendo da una esperienza fascista, che aveva italianizzato tutte le nostre regioni ai confini, che aveva snazionalizzato, colpito tutte le minoranze linguistiche, giustamente, i nostri padri costituenti hanno voluto affermare il valore delle minoranze linguistiche e lo hanno sancito con uno dei principi fondamentali (tant'è vero che sta nei primi 12 articoli della nostra Carta costituzionale).
Dunque, l'Italia afferma i diritti delle minoranze; ma una Costituzione, d'altra parte, può affermare i diritti della maggioranza? Se una Costituzione affermasse i diritti della maggioranza, una maggioranza politicamente forte, cadremmo nell'ambito di un'altra concezione di Costituzione, non più a garanzia dei deboli e dei meno forti. Una Costituzione afferma i diritti delle persone, come singoli e nelle loro formazioni sociali, e delle minoranze.
Si sostiene che stiamo vivendo una fase di globalizzazione, che vi sono i flussi migratori e che va sostenuta l'identità: è proprio questo che va messo in discussione! Si parla di identità nel momento in cui l'Italia sempre di più si batte per stare in Europa! Da una parte vogliamo costruire un popolo europeo, allo stesso tempo affermiamo una identità nazionale! Io penso che dobbiamo «costruirci» insieme agli altri popoli europei.
Vorrei dire all'onorevole Biancofiore, che questa mattina ho ascoltato con interesse, ma - devo confessare - sempre con molto turbamento, che mi è venuto in mente di esaltare l'impero austro-ungarico, perché in quel contesto, nonostante si esercitasse il dominio proprio di un impero, si parlavano e venivano riconosciute decine di lingue. Quando nel 1866 - vado a memoria - venne creato l'impero bicefalo, venne riconosciuta una pluralità di lingue ufficiali. Tutte le citazioni che sono state fatte questa mattina, dalla Carta costituzionale spagnola a quella austriaca, affermano il diritto delle minoranze.
Quindi, penso che in questo momento commettiamo un errore gravissimo, culturale prima ancora che politico, ad affermare una identità attraverso l'ufficializzazione della nostra lingua italiana.
È stata spesso citata - ho qui il documento e voglio ricordarlo anch'io -, questa famosa audizione dell'Accademia della Crusca, che, nel dire che dobbiamo difendere l'italiano, chiaramente fa il suo mestiere. Badate che Rifondazione comunista-Sinistra europea non mette in discussione la ricchezza, la storia, la cultura, entro cui si sono espresse decine di generazioni, del popolo e degli intellettuali.
Riconosciamo l'importanza della lingua italiana e il contributo che essa ha dato alla civiltà mondiale. Non vogliamo affatto sottovalutarla. I linguisti dicono «...di questa particolare mobilità dell'italiano, risultato della sua singolare storia di formazione, sarà piuttosto il caso di ricordarsene, quando si dovessero riaffacciare i propositi inaccettabili di sottoporre la nostra lingua ad una sorta di normazione ufficiale». Viva Dio! Che cosa facciamo se non normare la lingua?
I linguisti della Crusca, inoltre, precisano che, mentre, la lingua francese è stata imposta con la costruzione dello Stato nazionale, nel nostro paese, la lingua è stata un prodotto spontaneo. Anche questa mattina, si sono ricordati gli apporti della Corte di Federico II, di Dante e degli idiomi regionali. Ciò significa che la lingua italiana è nata dal basso. D'altro canto, una lingua è un organismo storico naturale, così ci viene insegnato da linguisti come Chomsky, ma voglio citare anche Marx, quando fa gli esempi sulla lingua. Essa, quindi, non si può normare a livello ufficiale, ma nasce dal modo in cui viene parlata ed arricchita.
Inoltre, trovo francamente provinciale il discorso che si muove contro gli apporti stranieri (si pensi al question time), ma bisogna tener conto che ci sono tante parole che vengono acquisite, in quanto indotte dalla comunicazione o dalla relazione fra i popoli. Sapete perché, oggi, l'inglese è la lingua più potente? Lo è non solo perché è frutto dell'impero, ma anche perché è la più flessibile ed ingloba continuamente nuovi termini al suo interno. Pag. 88Non dimentichiamoci poi che in Inghilterra, fino al 1400, la lingua ufficiale era il francese.
In conclusione, mi pare che questo discorso sull'ufficialità delle lingue sia culturalmente sbagliato e storicamente approssimato e, soprattutto, scatenerebbe quelle pulsioni identitarie che dobbiamo assolutamente combattere (Applausi dei deputati del gruppo Rifondazione Comunista-Sinistra Europea).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Venier. Ne ha facoltà.
IACOPO VENIER. Rinuncio al mio intervento.
PRESIDENTE. Sta bene. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Barani. Ne ha facoltà.
LUCIO BARANI. Signor Presidente, dopo il question time e, soprattutto, dopo che molti colleghi sono alla buvette, nulla da dire sul fatto che la lingua italiana è la lingua ufficiale della nostra Repubblica, così come il nostro tricolore ne è la bandiera ufficiale, allo stesso articolo 12, fatto che andrebbe solennemente ricordato. E mi rivolgo soprattutto al collega di Rifondazione Comunista che mi ha preceduto e proprio ad una certa sinistra massimalista che spesso la confonde con molte altre bandiere nazionali. Non mi ha affatto sorpreso il voto contrario di Rifondazione.
Tuttavia, ritengo che la questione della lingua sia già stata risolta nei secoli passati, ad iniziare dal volgare del Dolce Stil Novo e da Dante, per terminare «con l'andare a lavare i panni in Arno» del Manzoni.
Naturalmente, poi, mentre ci preoccupiamo di questo, (con particolare riferimento ai territori italiani dove l'italiano è la lingua di minoranza), non ci preoccupiamo affatto che gli italiani, statisticamente, rispetto ai paesi avanzati, leggano pochissimo sia i libri che i giornali, abituati ad un linguaggio televisivo che presenta, nell'espressione linguistica, le stesse caratteristiche spazzatura identiche ai contenuti dei format e che i giovani sempre più comunicano attraverso i codici telegrafici simbolici e sintetici sms dei telefonini. Allo stesso tempo, mentre ci preoccupiamo ad esempio dell'Alto Adige, il nostro Governo non interviene in sede di Consiglio d'Europa, dove l'italiano non è neppure degno di traduzione e sono giudicate inutili le spese per gli interpreti di lingua italiana.
La lingua italiana è stata cancellata da tutte le conferenze stampa, salvo quella del mercoledì tenuta dai commissari dell'Unione europea - in particolare, da Frattini -; quindi, essa è stata esclusa dal gruppo delle cosiddette lingue stabili dell'Unione al quale appartengono francese, inglese, tedesco e spagnolo. Il fatto riveste una notevolissima importanza politica considerando che l'attuale Presidente del Consiglio, fino a poco tempo fa, ricopriva una certa carica in Europa, e la ricopriva perché ne era il Presidente. Quindi, non ha venduto solamente l'IRI: ha venduto anche la lingua italiana!
Per la prima volta, infatti, se non sbaglio, l'opinione pubblica italiana è informata per un tramite che può ben definirsi ufficiale; la notizia poc'anzi da me riferita è stata data dal portavoce del Presidente Barroso. Il nostro paese non sarà tra le nazioni guida dell'Unione, ma occuperà un posto di seconda fila: è questa una conclusione obbligata, come ha avuto modo di rilevare in un brillante articolo Ernesto Galli della Loggia. Se l'italiano è lingua poco considerata in patria, è poco probabile che abbia un ruolo primario in Europa.
Vi sarà tempo per discutere se un tale esito fosse evitabile o se fosse invece, in un certo senso, scontato da sempre; oggi dobbiamo prendere atto di questo dato politico decisivo ovvero che dal far parte del novero dei principali iniziatori della costruzione europea ne siamo diventati dei semplici comprimari. Ma non si tratta solo di ciò: attraverso la prospettiva della lingua, siamo messi d'improvviso di fronte ad un ulteriore aspetto fondamentale della Pag. 89suddetta costruzione europea, rimasto fin qui occultato dalla valanga di retorica che ci viene abitualmente 'rovesciata addosso' quando si parla di Europa. Mi riferisco all'argomento secondo il quale questa Europa non sembrerebbe affatto destinata a diventare un vero soggetto sovranazionale quanto, piuttosto, una struttura plurinazionale sottoposta alla leadership permanente, sia pur bisognosa di consenso, di un ristrettissimo gruppo di Stati nazionali. Le formazioni statali piccole e medie lentamente perderanno vigore e consistenza ma gli Stati grandi, quelli leader, certamente invece rimarranno nel pieno del loro rango e del loro potere (e specialmente di quello simbolico). È questo quanto, precisamente, rivela il modo in cui la questione della lingua si sta ponendo.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE GIULIO TREMONTI (ore 17,42).
LUCIO BARANI. L'italiano cessa di essere una lingua dell'Unione, ma non già a favore di una fantomatica ed inesistente lingua europea, bensì a vantaggio del francese, del tedesco, dell'inglese e dello spagnolo. Lingue che, se non sbaglio, appartengono a quattro Stati, Francia, Germania, Gran Bretagna e Spagna, i quali, quindi, risultano accresciuti quanto a cultura, società e tradizioni storiche; in definitiva, risultano accresciuti come Stati nazionali, appunto: altro che superamento dei medesimi in nome dell'Europa! Altro che quanto dichiara Rifondazione Comunista; lì, in quei paesi, Rifondazione non c'è, se Dio vuole! Quindi, riescono ad identificarsi nella cultura e nella tradizione che, come fa la bandiera, unisce un popolo e tengono in giusta considerazione - come giustamente ha fatto più volte nei suoi interventi la collega Lussana - le lingue regionali, le lingue locali, lingue che sono il nostro patrimonio; ed abbiamo sbagliato a non rafforzarle affermandole nella nostra Costituzione.
In tutto ciò, ovviamente, paghiamo anche errori nostri, come giustamente ha ricordato il Presidente dell'Accademia della Crusca, Francesco Sabatini; la decisione di Bruxelles è anche il frutto della svogliataggine e della pigrizia burocratica con cui, complice non trascurabile la cronica mancanza di stanziamenti, gli enti e le amministrazioni italiane preposte alla diffusione della nostra lingua e della nostra cultura interpretano da decenni il loro ruolo. La Dante Alighieri da gran tempo sopravvive a se stessa; gli istituti italiani di cultura all'estero, dal canto loro, sono pochi, privi di mezzi e per lo più considerati dalla Farnesina come l'ultima delle sue preoccupazioni; il ministro D'Alema sta sbianchettando la nostra cultura in Europa e nel mondo. Più in generale - e ciò che più è grave -, manchiamo da sempre della visione di guide politiche che comprendano come una delle principali carte che l'Italia possiede per consolidare ed illustrare il proprio ruolo sulla scena del mondo è la carta rappresentata dalla sua straordinaria vicenda culturale. I risultati si vedono; con l'ultima liberalizzazione, abbiamo tolto anche le guide professionali turistiche in Italia. Contemporaneamente, le nostre periferie si arricchiscono di una Babele di lingua etniche a fronte delle quali non solo non siamo in grado di mettere la padronanza dell'italiano come condizione di integrazione, ma abbiamo pure il timore di mettere nelle scuole i segni della nostra cultura per cui offende il crocifisso, offende il presepe e ben presto offenderà anche il tricolore. All'onorevole Evangelisti - che, riferendosi a me parlava di involuzione culturale - vorrei ricordare che, un anno fa, quando era assessore alla cultura della provincia di Massa Carrara, è stato cacciato dai partiti dell'Unione perché non era in grado di amministrare quella cultura.
Inoltre, quando in un momento come questo, il cardinal Ratzinger ripropone la messa in latino per non perdere la tradizione della Chiesa, come potremmo spaventarci di inserire nella nostra Costituzione la lingua italiana quale lingua che unisce tutto il popolo, con i suoi idiomi e dialetti regionali?Pag. 90
Noi voteremo a favore del provvedimento in esame e lo faremo convintamente. Certo, una volta che la lingua italiana sarà inserita nella Costituzione, l'Italia dei Valori dovrà pensare bene a come votare, perché qualche ministro potrebbe essere costituzionalmente incompatibile se non conosce i verbi, la sintassi e i congiuntivi (Applausi dei deputati dei gruppi Democrazia Cristiana-Partito Socialista e Lega Nord Padania)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Lucchese. Ne ha facoltà.
FRANCESCO PAOLO LUCCHESE. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, i primi documenti di volgare italiano, scritti in un linguaggio che voleva essere ufficiale e dotto, risalgono ad un periodo compreso tra il 960 e il 963. Si trattava di quattro testimonianze giurate rese nel corso di una lite sui confini di proprietà tra il monastero di Montecassino e un piccolo feudatario locale, Rodelgrimo d'Aquino.
Dopo oltre mille anni di storia, di cultura e di arte italiana, oggi il nostro è uno dei pochi paesi occidentali in cui la Costituzione non prevede espressamente il riconoscimento della lingua nazionale quale lingua ufficiale dello Stato.
GUIDO DUSSIN. Parla italiano!
FRANCESCO PAOLO LUCCHESE. Eppure, tentativi di colmare questo vuoto normativo ce ne sono stati fin dalla XIII legislatura; tentativi andati poi a vuoto per una serie di circostanze e di veti incrociati. Tale vuoto normativo ha incontrato anche oggi alcune contrarietà, ognuna con diverse e rispettabilissime motivazioni.
C'è chi ha ripercorso le vicende della lingua italiana dall'unità ad oggi, chi ha voluto ancora puntare sulla costituzionalizzazione degli idiomi e dei dialetti locali, chi ha voluto vedere in questo riconoscimento il ritorno ad elementi di nazionalismo, chi proprio nella difesa dell'identità nazionale ha trovato maggiori motivazioni e chi ha visto in questo riconoscimento un tentativo di affievolire la tutela delle minoranze linguistiche. Noi crediamo che introdurre questo principio sia importante essenzialmente per fornire un primo elemento dell'identità di un paese.
I Placidi cassinesi precedono di un millennio la nazione e lo Stato italiano, ma costituiscono un primo tentativo di identificazione di un paese.
ANGELO ALESSANDRI. Ma che lingua parla?
FRANCESCO PAOLO LUCCHESE. Nel momento in cui ci si innesta in una comunità sovranazionale, nel momento in cui si assiste al tentativo di altri paesi di normalizzare l'uso della propria lingua nelle relazioni commerciali e diplomatiche e, nel caso dell'Unione europea, all'interno delle istituzioni, quando vediamo che molti di questi Stati hanno già inserito il riconoscimento della loro lingua nella Costituzione, perché mai dovremmo avere quasi paura di fare altrettanto (Commenti dei deputati del gruppo Lega Nord)?
Presidente, loro vogliono il dialetto e non vogliono che io parli il siciliano? Sto parlando con un'intonazione siciliana, che è un qualcosa che anche loro difendono; dunque, non capisco questa contraddizione.
PRESIDENTE. Era mia impressione che fosse meglio lasciar proseguire piuttosto che animare il dibattito.
FRANCESCO PAOLO LUCCHESE. Signor Presidente, se lei non mi difende, mi difendo da solo! Probabilmente si accetta solo la cadenza veneta, le altre non valgono. La mia è una cadenza italiana, come le altre (Commenti dei deputati del gruppo Lega Nord Padania)! D'altra parte, la lingua italiana è nata in Sicilia.
Semmai dovremmo sollecitare i nostri rappresentanti al Parlamento europeo per una significativa iniziativa politica di affermazione della lingua italiana nel contesto dell'Unione europea, di cui siamo parte e tra i paesi fondatori, auspicando Pag. 91una azione che sostenga il ruolo della lingua italiana accanto alle altre lingue dei principali paesi europei.
L'ufficializzazione della lingua italiana è un atto dovuto e non scontato, proprio nel momento in cui si sollecita e si affronta il problema dell'estensione della cittadinanza. Non si vogliono creare ostacoli contro qualcuno; anzi, è proprio attraverso la piena conoscenza dell'italiano che potrà avvenire quella integrazione con il resto della comunità.
Con questo non vogliamo andare contro quegli idiomi che non hanno riconoscimento ufficiale. Anche se lo ha fatto già un altro collega, vorrei al riguardo citare nuovamente il professor De Mauro. Egli ha affermato che, nel confronto europeo e mondiale, c'è qualcosa di fondamentale e specificatamente italiano ed è proprio la tenace e millenaria persistenza delle differenziazioni linguistiche e culturali delle popolazioni che hanno convissuto e vivono in Italia.
Onorevoli colleghi, credo che oggi si siano trovati i giusti equilibri per inserire questa norma nella Costituzione e credo anche che le ragioni siano state più forti dei rispettabili dissensi, per cui si può finalmente inserire quest'ultimo principio tra quelli fondamentali della nostra Repubblica.
Per tale motivazione, annuncio il voto favorevole del gruppo dell'UDC, con buona pace dei deputati della Lega Nord Padania [Applausi dei deputati del gruppo UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro)].
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Cota. Spero di non avere sbagliato la pronuncia del suo cognome... Prego, onorevole Cota.
ROBERTO COTA. Signor Presidente, quantomeno ho capito ciò che lei ha detto (Commenti).
Questa proposta di legge costituzionale potrebbe sembrare soltanto un provvedimento inutile e, oggettivamente, lo è. Abbiamo perso una giornata del nostro lavoro parlamentare per capire che si parla l'italiano, che lo si parla in questa Assemblea e lo si parla al di fuori di essa. Obiettivamente, mi sembra che questa non sia stata una bella dimostrazione, all'esterno, dell'utilità dei lavori parlamentari. Con tutti i problemi che ci sono fuori di qui, con tutte le questioni urgenti che devono essere affrontate, noi abbiamo perso, quest'oggi, un giorno di lavoro per stabilire che si parla l'italiano. Tra l'altro, come giustamente mi suggeriscono i colleghi, lo si parla anche male, visto che abbiamo fatto fatica a comprendere alcuni interventi.
Tuttavia, non è questo il punto. Noi non abbiamo nulla contro l'italiano e, anzi, avremmo anche espresso voto favorevole su questa proposta di legge costituzionale. Sappiamo che quella italiana è la lingua ufficiale, quella che tutti noi parliamo, e sappiamo che, in Parlamento e fuori di esso, la si parla. Però, nel momento in cui, dopo 60 anni, si vuole inserire questo concetto all'interno della Carta costituzionale, evidentemente si vuole dare a questo inserimento un significato politico. Questo significato è evidente alla luce del fatto che, insieme al riconoscimento della lingua italiana, non si è voluto dare un riconoscimento anche alle lingue locali, alle lingue regionali, con tutto il portato di storia, di costumi, di tradizioni e di cultura ad esse collegato.
Il segnale che è stato dato è quello di un'affermazione del centralismo e del nazionalismo, di un'affermazione della cultura unica e di una negazione delle identità locali e del federalismo. Il federalismo, infatti, non è soltanto fiscale. Certamente, quest'ultimo è importante; tuttavia, accanto ad esso c'è anche il federalismo culturale, il rispetto della cultura dei territori. Non accettando le nostre proposte emendative, evidentemente, si è voluto dare questo segnale.
Avremmo anche accettato una legge inutile. Purtroppo, nonostante tutti i problemi che ci sono al di fuori da questa Assemblea, a questo costume ormai ci siamo abituati, in questi giorni. Vi è l'esigenza di rilanciare le nostre imprese, c'è il problema della sicurezza e così via. Ebbene, Pag. 92si parla di sicurezza soltanto quando si organizzano manifestazioni o quando la Lega Nord Padania pone il problema nelle sedi competenti.
Si preferisce parlare di Dico e dei massimi sistemi. Si preferisce sprecare la giornata di oggi a discutere della lingua italiana.
Tuttavia, ripeto che questa legge, oltre ad essere inutile, è anche dannosa perché certamente ha il significato di riaffermare il centralismo ed il nazionalismo e non tutela le identità locali. La Lega ha invece il dovere di portare avanti le istanze del territorio che tutti avrebbero dovuto avere a cuore. Ricordo soltanto che nel 2000 anche l'Italia ha sottoscritto la Convenzione per la tutela delle lingue regionali e locali, che non è stata ancora ratificata. La bocciatura dei nostri emendamenti vuol dire aver bocciato anche quella Convenzione che invece per noi costituisce un impegno internazionale.
E non è vero che negli altri Stati la lingua ufficiale viene specificata senza prendere in considerazione le lingue locali. Negli Stati federalisti - e pensiamo che il nostro così dovrebbe essere - le lingue locali sono assolutamente prese in considerazione. In Spagna ad esempio addirittura esiste il bilinguismo, riaffermato fermamente anche nel nuovo statuto della Catalogna applicato da Zapatero.
Inoltre, esiste anche un'ulteriore questione politica che si riallaccia al merito di questo provvedimento. Infatti, oggi abbiamo assistito al preoccupante «inciucio» avvenuto in quest'aula. Tale «inciucio» segue quanto avvenuto ieri al Senato dove l'UDC ha sostenuto il Governo Prodi con una operazione politica da noi contestata fermamente e che soprattutto è contestata dalla gente per le strade. I cittadini non hanno accettato che nelle ultime elezioni ci si sia schierati da una parte per poi fare da stampella al Governo, sostenendolo in Parlamento nel corso di una votazione delicata.
ANGELO COMPAGNON. Sostenendo una mozione! Devi dire le cose come stanno!
ROBERTO COTA. Ieri abbiamo assistito a questa strana convergenza che si sta ripetendo anche in sede di I Commissione affari costituzionali dove si sta discutendo la legge sulla cittadinanza. Sta prendendo piede l'affermazione di un principio su cui non siamo d'accordo, ovvero il principio dello ius soli secondo il quale sarebbero cittadini tutti i figli degli immigrati, forse compresi quelli senza fissa dimora. In proposito alcuni nostri alleati della Casa delle Libertà non hanno fatto un'opposizione convinta, presentando invece emendamenti indirizzati verso tutt'altra direzione.
Siamo preoccupati perché non affermare oggi la tutela delle identità locali vuol dire allargare le maglie al processo di globalizzazione e di cancellazione della nostra identità. L'immigrazione selvaggia si contiene difendendo la nostra identità. Oggi invece si vuole sradicare una pianta con tutte le sue radici. Lo sradicamento delle piante porta alla conseguenza che le frane colpiscono direttamente le case perché non esiste più il contenimento garantito naturalmente dagli alberi grazie alle loro radici. Oggi state staccando un pezzo delle nostre radici!
Quando poi si parlerà di cittadinanza, disporremo di un'identità più debole perché questo Parlamento sancisce oggi che la nostra identità non è un valore da tutelare. L'identità è quella dei territori, delle regioni, delle lingue locali, della storia, della tradizioni e della cultura. Noi vogliamo difendere tali identità e per questo motivo voteremo in senso contrario a questa legge, approvata senza gli emendamenti da noi presentati (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Boato. Ne ha facoltà.
MARCO BOATO. Signor Presidente, confermo ed annuncio il voto favorevole del gruppo dei Verdi alla proposta di legge costituzionale in esame, anche se in sede di esame degli emendamenti - e ci dispiace - è stato respinto il nostro emendamento Pag. 93(che prevedeva, in aggiunta, che la Repubblica valorizza gli idiomi locali) che, comunque, avrebbe positivamente integrato la norma costituzionale che ci accingiamo ad approvare. Le questioni di carattere più generale le ho affrontate nell'ormai lontano 12 dicembre 2006, nel corso della discussione sulle linee generali, ma voglio richiamare anche l'intervento che il nostro capogruppo, Angelo Bonelli, ha svolto questa mattina in sede di discussione degli emendamenti.
Signor Presidente, colleghi, se la proposta di legge costituzionale verrà definitivamente approvata con la doppia deliberazione prevista dall'articolo 138 della Costituzione, per la prima volta, dal 1948 ad oggi, si modificherà - meglio, si integrerà - uno dei principi fondamentali della Costituzione, inserendo un nuovo comma all'articolo 12, che è appunto l'ultimo dei principi fondamentali. Mi auguro e ci auguriamo che, fra qualche mese, sarà possibile avanzare un'analoga iniziativa integrativa e di arricchimento sul piano dei principi fondamentali anche per quanto riguarda l'articolo 9 della Costituzione, introducendo - come già facemmo in prima lettura, nella scorsa legislatura, all'articolo 9 - anche i principi che riguardano la tutela dell'ecosistema e degli animali. Ho presentato, a nome dei Verdi, una proposta di legge costituzionale sia in questa che nella precedente legislatura: oggi è l'atto Camera n. 1782, che fra poco verrà approvato in un testo unificato; nella XIV legislatura avevo presentato l'atto Camera n. 2289 anche con i colleghi Bressa e Amici; in questa legislatura ho anche sottoscritto, a nome dei Verdi, la proposta di legge costituzionale Zaccaria ed altri, atto Camera n. 1849, che richiamo con particolare forza perché ha proposto e propone esattamente il testo che oggi verrà approvato dall'Assemblea così come è stato licenziato in sede referente dalla Commissione affari costituzionali.
Noi Verdi riteniamo che occorra depotenziare al massimo la carica ideologica - nazionalistica e ostile alla tutela delle minoranze linguistiche - che, purtroppo, era contenuta nelle relazioni alle due proposte di legge costituzionali presentate dal gruppo di Alleanza Nazionale, anche se debbo dare atto che da parte di tale gruppo questi toni e questi accenti oggi non sono stati riproposti in aula. Bisogna anche evitare qualunque uso strumentale di questo principio costituzionale - che qualcuno ha tentato di fare - contro gli immigrati, che in molti casi costituiscono, fra l'altro, nuove minoranze linguistiche rispetto a quelle storiche. È evidente che la conoscenza della lingua italiana è un fattore di positiva integrazione sociale e culturale degli immigrati, ma è altrettanto evidente che questo non c'entra assolutamente nulla con la riforma costituzionale, la quale ha una lunga storia alle spalle. Nessuno in quest'aula ha mai messo in dubbio che l'italiano sia la lingua ufficiale della Repubblica da sempre, principio che - ben prima della stessa Repubblica ma, comunque, a partire dallo Stato unitario - è sempre stato parte del nostro ordinamento. Comunque, bisogna ricordare che, durante tutto il regime fascista, per vent'anni si è tentato di cancellare, di reprimere, di espropriare e di conculcare tutte le minoranze linguistiche, in modo particolare la minoranza linguistica tedesca in Alto Adige. Per questo, sono state di pessimo gusto le dichiarazioni che abbiamo ascoltato anche in quest'aula questa mattina, in riferimento polemico con la minoranza linguistica tedesca dell'Alto Adige Südtirol.
Proprio perché c'è stata l'oppressione e la repressione da parte del regime fascista nei confronti delle minoranze linguistiche, la Costituente ha inserito tra i principi fondamentali della nostra Costituzione l'articolo 6, che, come tutti sanno, recita: «La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche».
Anzi, come ho già ricordato, inizialmente la Commissione aveva proposto questa disposizione costituzionale nell'ambito del Titolo V, seconda parte della Costituzione. Nella Costituente, invece, venne deciso di anticipare la disposizione sulle minoranze linguistiche fino ai principi fondamentali, non a caso, dopo l'articolo 2 sui diritti inviolabili dell'uomo Pag. 94dopo l'articolo 3 sulla pari dignità di tutti senza distinzione di lingua, dopo l'articolo 5, relativo alla Repubblica una e indivisibile e che riconosce e promuove le autonomie locali, nonché prima dello stesso articolo 7, sui rapporti tra Stato e chiesa.
Tuttavia, onorevoli colleghi, ci sono volute - a parte gli statuti speciali del 1948 - ben tredici legislature per arrivare ad attuare l'articolo 6, con la legge n. 482 del 15 dicembre 1999 «Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche», approvata per l'appunto dal Parlamento di quella legislatura. E verso la fine di quella stessa XIII legislatura fu approvata anche la legge n. 38 del 2001, per la tutela della minoranza slovena nella regione Friuli-Venezia Giulia. Già la citata legge n. 482 del 1999 affermava - e afferma, in quanto è ancora in vigore - all'articolo 1: «La lingua ufficiale della Repubblica è l'italiano ». Questo è del resto un principio - come ho già detto - contenuto in numerose norme dell'ordinamento, a partire dalla legge n. 89 della 1913 sul Notariato, all'articolo 54. Tuttavia, nella XIII legislatura la prima proposta di legge costituzionale in questa materia era - purtroppo - proprio finalizzata ideologicamente e nazionalisticamente quasi allo scopo di compensare e ad attenuare - impropriamente e polemicamente - la legge appena allora approvata (la n. 482 del 1999, sulla tutela delle minoranze linguistiche storiche). Non è un caso che non andò in porto in quella legislatura. Per questa carica ideologica, soprattutto contro la minoranza linguistica di lingua tedesca in Alto Adige Südtirol, purtroppo, tale proposta di legge è sempre riapparsa in quelle presentate da Alleanza nazionale, anche nella scorsa legislatura, oltre che in quella attuale; basta leggersi le relazioni che l'accompagnano.
Lo ripeto: per fortuna, non ho sentito da parte del gruppo di Alleanza nazionale riecheggiare in quest'Aula contenuti di questo tipo, sebbene purtroppo li ho sentiti da parte di qualche esponente di Forza Italia.
Come ho già detto io stesso, a nome dei Verdi, ho tuttavia presentato una proposta di legge costituzionale sia nella scorsa che nella attuale legislatura. In quest'ultima, ho sottoscritto a nome dei Verdi anche la proposta di legge costituzionale Zaccaria.
Dopo un ampio e difficile dibattito, nel testo approvato in sede referente della I Commissione, è risultato condivisibile e più equilibrato il rispetto dei testi originali, proprio perché ha recepito alla lettera, e non solo, il principio ovvio - ma che è giusto introdurre in Costituzione - che l'italiano è la lingua ufficiale della Repubblica, oltre all'affermazione che ciò è riconosciuto «nel rispetto delle garanzie previste dalla Costituzione e dalle leggi costituzionali». In quest'aula sono stato altresì presentati un emendamento di Forza Italia ed uno di Alleanza nazionale che tendevano a sopprimere questo periodo e, fortunatamente, sono stati entrambi ritirati.
Il riferimento alla garanzie previste dalla Costituzione e dalla legge costituzionali riguarda ovviamente gli articoli 2, 3 e 6 della Costituzione - che ho già citato - oltre che gli statuti delle regioni a statuto speciale, dove sono riconosciute le minoranze linguistiche. Si tratta di statuti che - come si sa - sono leggi parificate a quelle costituzionali.
In questo modo, noi riteniamo che ogni strumentalizzazione identitaria nazionalistica è evitata in radice nel testo costituzionale che approveremo, anche se più di una volta le ho sentite riecheggiare in quest'aula.
Il nuovo principio già presente nell'ordinamento come più volte ho detto, assume di certo rango costituzionale, senza tuttavia in alcun modo poter violare le altre garanzie costituzionali per la minoranze linguistiche. Questo principio, del resto, è già inserito nella costituzione francese, all'articolo 2, comma 1; in quella portoghese all'articolo 11, comma 3; in Austria, all'articolo 8; in Spagna, all'articolo 3 ed in altre Costituzioni. Il testo spagnolo è il più coerente e completo, come ho già avuto modo di dire stamattina in quest'aula.
In ogni caso, nell'ambito della legislazione regionale è possibile valorizzare gli Pag. 95idiomi locali, tanto più che esiste anche il patto internazionale relativo ai diritti civili e politici. Tale patto è già stato ratificato nel nostro paese da trent'anni. Inoltre, vi è la Carta europea delle lingue regionali e minoritarie, il cui provvedimento di ratifica il Governo - proprio poco fa - si è impegnato a ripresentare.
Queste sono le ragioni per cui il gruppo dei Verdi voterà a favore di questa proposta di legge costituzionale che abbiamo noi stessi contribuito a presentare e di cui siamo anche cofirmatari. Grazie, signor Presidente (Applausi dei deputati del gruppo Verdi e La Rosa nel Pugno).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Belisario. Ne ha facoltà.
FELICE BELISARIO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, a nome dell'Italia dei Valori annuncio il voto favorevole sulla proposta di legge costituzionale.
In Italia, a differenza di altri paesi anche a noi vicini, come la Francia, la lingua ha avuto, fin dai primi secoli del secondo millennio, una funzione unificatrice sul territorio, sia tra persone di cultura, sia in seno al popolo. Quando la bandiera della Repubblica ancora non esisteva, la lingua italiana era un tratto unificante negli usi e nei costumi di tutta la nostra penisola. La nostra stessa unità politica, arrivata solo dopo la metà dell'ottocento, per molti versi risulta il punto di arrivo proprio del lento processo linguistico. A Metternich, il quale diceva che l'Italia era solo un'espressione geografica, rispondeva, qualche decennio più tardi, il Carducci dicendo: «Certamente è un'espressione letteraria».
Dell'ufficialità della lingua italiana, però, non esiste alcuna menzione all'interno della Carta costituzionale. Il motivo è fin troppo semplice: sessant'anni fa nessuno avrebbe mai pensato che potesse essere necessario specificarlo. Bisogna considerare, evidentemente, anche quel periodo storico.
Diversi paesi europei - lo ricordava il collega che mi ha preceduto - hanno sentito la necessità di inserire nelle proprie Costituzioni il riferimento alla lingua ufficiale fin dall'approvazione del Trattato di Maastricht. Certamente, ciò è avvenuto in Francia, con la modifica dell'articolo 2 della Costituzione francese, e già in precedenza numerosi altri paesi europei avevano inserito nelle loro Carte fondamentali il riconoscimento della lingua ufficiale. Ciò è avvenuto anche in contesti plurilinguistici, quali l'Irlanda, la Finlandia e la Spagna, pur con le tutele previste, sia in ambiti sostanzialmente omogenei, quali il Portogallo e l'Austria. È interessante sottolineare che soprattutto le Costituzioni più recenti hanno inteso valutare il dato linguistico, quali la Spagna, il Portogallo e il Belgio.
Oggi, in epoca di globalizzazione, la lingua italiana va quindi tutelata attraverso una legge costituzionale che ne sottolinei l'ufficialità.
L'italiano è e deve continuare ad essere una lingua viva, a disposizione di tutti coloro che temporaneamente o stabilmente decidano di fare dell'Italia la propria casa. Queste persone devono avere un idioma unico attraverso cui relazionarsi con gli altri. Anche in vista delle nuove norme sulla cittadinanza e di una società dal profilo sempre più multietnico, la lingua italiana costituisce sempre più uno strumento prezioso per l'integrazione, una koiné dialectos, un linguaggio comune che, come tale, va costantemente valorizzato e salvaguardato.
La stessa tutela delle minoranze linguistiche, ad esempio, presente all'articolo 6 della Costituzione, a rigor di logica ha senso solo se esiste una lingua ufficiale. Tutto ciò - è bene sottolinearlo - non è una novità assoluta sotto il profilo giuridico. Infatti, la specifica in questione è già presente nell'ordinamento italiano: la legge n. 482 del 1999, recante norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche, dispone all'articolo 1 che la lingua ufficiale della Repubblica è l'italiano; inoltre, i nostri codici impongono l'uso della lingua italiana negli atti pubblici ed in quelle giudiziari.Pag. 96
Per questo motivo, la modifica dell'articolo 12 della nostra Costituzione non rappresenta nulla di nuovo, ma certamente qualcosa di doveroso: di doveroso - questo sì! - nei confronti dell'italiano, da sempre tratto distintivo del nostro popolo, della nostra cultura e della nostra identità.
Per queste ragioni, ribadiamo, come gruppo di Italia dei Valori, il nostro voto favorevole sul provvedimento in esame (Applausi dei deputati dei gruppi Italia dei Valori e L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole La Russa. Ne ha facoltà.
IGNAZIO LA RUSSA. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, nel presentare la proposta di legge costituzionale a mia prima firma mi aspettavo qualche difficoltà: provenendo da un partito di minoranza, pensavo che una simile proposta, non essendo sottoscritta da deputati della maggioranza - che pure avrebbero potuto farlo, rientrando la materia anche nelle corde di diversi di loro -, potesse trovare l'appoggio di tutta la Casa delle libertà e, semmai, potesse determinare la necessità di un confronto dialettico con esponenti della sinistra (almeno con alcuni).
Non ho sbagliato del tutto nel prevedere un confronto dialettico con alcuni esponenti della sinistra, ma debbo rilevare con sincero rammarico che ho trovato un atteggiamento di chiusura, a mio avviso anche comprensibile, per certi versi, in considerazione del momento politico, ma ingiustificato nei contenuti e nelle modalità - per la drammaticità che ne ha caratterizzato la manifestazione -, da parte degli amici della Lega. Allora, tocca a me tentare di fare un brevissimo esame del testo unificato al nostro esame (del resto, l'ho già fatto intervenendo su un emendamento).
Non è che si tratti di inserire nella Costituzione un articolo nuovo, magari anche a casaccio! Il testo in esame propone di modificare l'articolo 12 della Costituzione, che attualmente recita: «La bandiera della Repubblica è il tricolore italiano: verde, bianco e rosso, a tre bande verticali di eguali dimensioni». Nell'articolo non c'è scritto che sono riconosciuti gli stendardi comunali e gli stendardi regionali, che rappresentano molto per noi, tanto è vero che li innalziamo durante le nostre manifestazioni; eppure, non è venuto in mente ad alcuno - nemmeno alla Lega - di introdurre nella Costituzione tale tutela. Allo stesso modo, non è venuto in mente a noi - a me almeno - che aggiungere all'articolo 12 un comma ai sensi del quale «L'italiano è la lingua ufficiale della Repubblica nel rispetto delle garanzie previste dalla Costituzione e dalle leggi costituzionali» implicasse ciò che, esattamente come gli stendardi comunali e regionali, è già patrimonio comune, acquisizione ormai generalizzata del nostro pensiero, vale a dire il fatto che sono tutelate le minoranze linguistiche e gli idiomi locali. Peraltro, le minoranze linguistiche sono tutelate dall'articolo 6 della Costituzione.
Certo, se qualcuno avesse intenzione di presentare una proposta di legge, anche di portata costituzionale, per aggiungere all'attuale testo dell'articolo 6 («La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche») un comma che riconoscesse e in qualche modo salvaguardasse le lingue storiche e gli idiomi locali, patrimonio culturale comune della nostra nazione, della nostra patria, sarei assolutamente favorevole, ed anche il gruppo di Alleanza Nazionale, se inserita in quel contesto, esprimerebbe sulla predetta proposta, qualora fosse presentata, un voto favorevole.
Non è colpa mia se la Lega fino ad ora non ha mai avanzato un disegno di legge di questo tipo, non è colpa mia se oggi stiamo discutendo di un'altra cosa, dei segni distintivi dell'identità nazionale, che sono la bandiera e la lingua, senza bisogno di subordinate!
Vedete, la lingua - lo spiega bene l'Accademia della crusca, che ha mandato una relazione che vi prego di leggere - ha un significato oggi assai più importante di quello che poteva avere per i fondatori della patria, più esattamente per i padri Pag. 97della Costituzione, quando questo tema non venne affrontato perché, nell'immediato dopoguerra, era dato per scontato che la lingua ufficiale fosse l'italiano e che non ci potesse essere da parte di nessuno la volontà di mettere in discussione questo dato. Era pacifico e fu quello il motivo per cui tale previsione non venne inserita nella Costituzione, come il fatto che il sole sorge al mattino e tramonta alla sera!
Oggi, a distanza di qualche decennio, ma non per un fenomeno interno, non per pericoli di secessione, ma perché tutte le lingue europee, di fronte al nuovo contesto socioculturale (come dice non Ignazio La Russa, non la destra, ma la relazione che abbiamo ricevuto dall'Accademia della crusca), hanno acquistato una centralità prima impensabile, le lingue dei grandi paesi hanno bisogno di acquisire una più precisa riconoscibilità: è questa la motivazione che ci viene dall'alto luogo da cui promana il documento in questione, a firma di Francesco Sabatini, Nicoletta Maraschio e Vittorio Coletti.
Allora, in questo contesto abbiamo sentito la necessità di riaffermare l'ufficialità della lingua che parliamo ogni giorno e che scriviamo. Nessuno più di me è innamorato dei dialetti: scherzando, sono andato persino a canticchiare una canzone in lombardo, io che non ho mai rinnegato le mie origini e radici siciliane! Potrei fare lo stesso con canzoncine venete e liguri perché amo, come molti di voi, come molti di noi, i dialetti e li considero un patrimonio inalienabile della cultura italiana; ma che c'entra questo con la contrapposizione?
Ricordo fra l'altro che l'unità nazionale, di cui anche la lingua è segno distintivo, venne, a costo del sacrificio della vita, realizzata da moltissimi patrioti lombardi e veneti. Non voglio essere retorico ma ne citerò uno. Amatore Sciesa, milanese, mentre veniva condotto al patibolo, venne fatto fermare di fronte alla propria madre, alla moglie, ai propri parenti, perché rinnegasse la propria fede e si dicesse contrario al sentimento di unità nazionale. Amatore Sciesa, milanese, rispose in dialetto, disse «Tiremm innanz!» in lombardo per santificare il suo sacrificio a favore della nazione italiana.
Credo, quindi, anche con questo modestissimo esempio, che non vi possa essere contrapposizione fra l'uso degli idiomi locali e la necessità di identificarsi in una lingua, in un linguaggio, in un modo di scrivere con i crismi di ciò che significa lingua comune, con le parole che servono alla ufficialità.
Prima l'ho detto in un intervento occasionale: è vero, l'Italia ha una serie di lingue neo-italiane, chiamiamole così, che nascono tutte dal latino e che hanno tutte la stessa dignità. La Sicilia, per bocca di un collega, ha rivendicato la primazìa nella nascita della lingua italiana, del volgare; la Toscana ancor di più: potremmo fare a gara da questo punto di vista, ma potremmo anche dire che eguale o, forse, ancora maggiore antica tradizione aveva il Veneto; sicuramente ha una sua struttura di lingua il sardo, la ha sicuramente il friulano, ma sta di fatto che in questo coacervo di lingue, tutte discendenti dallo stesso ceppo, il latino, si affermò, e non a caso, il volgare, cioè l'italiano, con Dante, Boccaccio e con tutto ciò che la cultura italiana ha successivamente prodotto.
Oggi, credo si debba essere orgogliosi di questa produzione letteraria, per cui noi parliamo e scriviamo in italiano. Sfido chiunque - compreso me, orgogliosamente amante dei dialetti - a scrivere in siciliano o in milanese e sfido i veneti a scrivere «cse», esattamente come lo pronunciano, ma non lo si fa mai (Commenti dei deputati del gruppo della Lega Nord Padania).
GIANPAOLO DOZZO. Xe!
IGNAZIO LA RUSSA. Non protestate perché il mio tono è amichevole.
Come dicevo, non lo facevano i veneti, non lo faceva il doge, che scriveva in latino. È vero, si parlava il veneto, ma si scriveva in latino: né a Venezia né nel Friuli si è mai verificata la possibilità che la lingua parlata venisse tradotta in scrittura ufficiale, se non in casi eccezionali.
Allora amici, vi prego, tuteliamo gli idiomi locali nel luogo e nella sede opportuna, Pag. 98ma non mettiamo in atto una contrapposizione che offre solo il destro a chi continua a cianciare di volontà ipernazionalistica: stiamo parlando dell'orgoglio di sentirsi italiani, dell'orgoglio di un'identità comune. Siamo orgogliosi di precisare in Costituzione che siamo figli della stessa Patria e parliamo la stessa lingua (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Nazionale e di deputati del gruppo Forza Italia). Alleanza Nazionale ha il piacere di promuovere in un Parlamento che non vede una maggioranza di centrodestra la condivisione di questo valore che per noi è fondamentale, uno dei motivi pregnanti del nostro impegno politico (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Nazionale e di deputati del gruppo Forza Italia).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Zaccaria. Ne ha facoltà.
ROBERTO ZACCARIA. Signor Presidente, questo è il secondo intervento sulla Costituzione in questa legislatura. Ricordo che alcune settimane fa, questa Assemblea, a grande maggioranza, ha avviato la procedura di revisione costituzionale in riferimento all'articolo 27 della Costituzione.
Come è stato ricordato, questo è un intervento che riguarda l'articolo 12 e nasce da un'iniziativa del gruppo di Alleanza Nazionale, rammentata ora dall'onorevole La Russa. Naturalmente, in questa legislatura ci troviamo anche di fronte ad un obbiettivo che deve essere dichiarato in maniera molto esplicita. Ammoniti dalla recente esperienza referendaria - che aveva consentito interventi di ampia portata, spesso realizzati con maggioranze esigue - siamo impegnati a ricercare una convergenza sulle modifiche che toccano il quadro costituzionale. Si tratta di modifiche la cui urgenza è diversamente valutata dai soggetti proponenti e, come ho detto, questa iniziativa era stata originariamente pensata nell'ambito di un contesto derivante da precedenti legislature; l'iter è stato ricordato molto bene dall'onorevole Boato nell'ambito della discussione sulle linee generali. Quindi, non si tratta di un'iniziativa nata all'improvviso, ma che grazie al concorso di diversi soggetti poteva acquistare - a mio modo di vedere questo è avvenuto - un significato che va molto al di là dell'originario disegno. Dall'altra parte, nel momento stesso in cui dichiariamo di volere testi ampiamente condivisi, non possiamo sorprenderci poi se su questi testi convergono diverse parti dello schieramento politico con motivazioni che a volte possono essere diverse nelle loro radici ideali.
È chiaro che noi non affrontiamo a cuor leggero revisioni della Costituzione, sappiamo, infatti, che quest'ultima è stata modificata oltre trenta volte attraverso interventi di revisione - trentasette volte, per la verità - e attraverso leggi costituzionali trentaquattro o trentacinque volte: quindi, abbiamo alle spalle esperienze molto significative in questi sessant'anni di esperienza costituzionale.
Interventi che hanno riguardato anche la prima parte, perché lo stesso articolo 10 della Costituzione ha visto una legge costituzionale che ne ha modificato in parte il significato. È venuta spesso fuori, nel corso della giornata di oggi e durante la discussione sulle linee generali, la considerazione: che bisogno c'era di scrivere questa norma se non l'hanno scritta i padri costituenti nel 1948?
Nel 1948 vi era una realtà diversa nel paese e semmai vi era l'esigenza, di fronte ad un certo uso che è stato fatto della lingua e ad una certa considerazione anche sul piano normativo che era stata fatta di questo fenomeno, di difendere in modo prioritario le minoranze. Da lì nascono le norme, in particolare quella presente nell'articolo 6, ma anche quelle contenute nell'articolo 2 e nell'articolo 3 della Costituzione, che fanno riferimento a questa realtà articolata e complessa e che parlano del pluralismo e dei pluralismi. Questo nel nostro paese è stato affermato. Con riferimento alle autonomie speciali tutto ciò è stato poi ribadito negli statuti e nelle leggi costituzionali che si riferiscono a queste autonomie.Pag. 99
Noi dobbiamo quindi dire con franchezza che la norma che stiamo varando oggi non poteva essere la stessa norma che si sarebbe scritta nel 1948, perché allora vi erano esigenze storiche e politiche diverse nel paese. Oggi, noi abbiamo una necessità diversa, una necessità che non abbiamo sentito soltanto nel nostro paese. Molti paesi europei, lo hanno ricordato in tanti, anche con motivazioni diverse, hanno introdotto norme di uguale tenore sostanzialmente in relazione ad un fatto storico di grande portata, il processo di costruzione europea, è stato proprio quel processo a far emergere l'esigenza di dare un significato anche a questo elemento.
Tra i vari interventi che ho sentito oggi ho colto una breve, sintetica, ma, a mio modo di vedere, significativa espressione di un'atleta che oggi siede in Parlamento, l'onorevole Di Centa, che ha detto: quando sono nella mia terra o mi confronto tra altri italiani ho l'orgoglio di parlare la mia lingua regionale, di esprimermi con parole che mi sono proprie in questo contesto. In questo ha perfettamente ragione. Ha detto anche, però, che quando partecipava alle gare di livello internazionale sentiva la necessità, impellente, di utilizzare la lingua italiana. Non è un caso, infatti, che, quando capita di vincere qualche gara, venga sventolata la bandiera nazionale.
Oggi, in questo momento storico, chi non riesce a cogliere questo elemento a mio modo di vedere compie un errore. Qualche tempo fa, il 15 febbraio, il Corriere della sera titolava un suo articolo «Difendere l'italiano nelle istituzioni comunitarie». Era un accenno ad una sparuta manifestazione di alcuni italiani che cercavano di arrivare al Presidente della Repubblica. Il sostegno, diceva in quel caso da Strasburgo l'articolista, del Presidente della Repubblica alla fine lo hanno avuto; Giorgio Napolitano si è schierato in difesa dell'uso dell'italiano nelle istituzioni comunitarie.
Si tratta di una piccola notiziola, che forse non dovrebbe avere neanche il rilievo della sottolineatura, ma più che a questa notiziola vorrei dare risalto ad un passaggio contenuto in un altro articolo del Corriere della sera, questa volta a firma di Francesco Sabatini. Sabatini è uno dei tre professori dell'Accademia della Crusca che hanno consegnato quelle quattro paginette, che voi potete trovare anche sul sito Internet dell'Accademia, che in molti di noi hanno determinato un cambiamento di ottica su questo problema. Sono pagine significative ed emblematiche.
Francesco Sabatini dice: «Nel seminario alla Bocconi sul multilinguismo in Europa relatori di otto paesi hanno confermato che rifioriscono le lingue nazionali. Nessuno nega il bisogno di una lingua mondiale che, almeno per ora, è l'inglese, ma si riconosce ormai che questo strumento di comunicazione tra tutti i popoli del globo non è sufficiente; anche quella ipotesi di mondializzazione, di globalizzazione linguistica che avviene attraverso la lingua inglese (gli stessi inglesi non riconoscono più quella lingua, che loro non appartiene e, infatti, nei convegni internazionali, amano differenziarsi), ma» dice ancora Sabatini «stiamo riscoprendo la funzione vitale delle lingue nazionali, anche in presenza di una lingua irradiata su tutto il pianeta. Si ripensano, perciò, i progetti di insegnamento delle lingue, evitando i propositi di massiccio ed esclusivo insegnamento di un inglese perfetto».
Credo che sia questa la prospettiva nella quale collochiamo, nella Costituzione, oggi, il riferimento alla lingua italiana. Si tratta di un riferimento che avviene, ed è importante rilevarlo, grazie ad un'intesa in Commissione sulla formulazione, che è stata ripetuta più volte, ma è breve e sintetica, come devono essere le formule costituzionali, ossia che «l'italiano è la lingua ufficiale della Repubblica nel rispetto delle garanzie previste dalla Costituzione e dalle leggi costituzionali».
PRESIDENTE. Onorevole Zaccaria...
ROBERTO ZACCARIA. Ho concluso, signor Presidente. Noi non l'avremmo scritta così e non l'avrebbero scritta così i padri costituenti, ma la formula «(...) nel rispetto delle garanzie previste dalla Costituzione e dalle leggi costituzionali» Pag. 100vuole preservare tutte quelle esigenze di pluralismo alle quali oggi alcuni hanno fatto riferimento. Questa è l'intenzione di chi ha scritto questa norma: non volevamo «calare un coperchio» sulla ricca realtà del nostro paese, ma soltanto proporre un'indicazione che collocasse l'Italia nel contesto internazionale, dotata di un simbolo di unificazione. Ha detto, e concludo su questo aspetto, il presidente Violante, nell'introdurre la discussione sulle linee generali, che siamo in un paese in cui, in qualche modo, vive il pluralismo, a volte frantumato, ed a volte anche con elementi di disgregazione. Cercare, in questi contesti, momenti di unità può essere un valore che rilancia con forza tutto il nostro paese (Applausi dei deputati del gruppo L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Santelli. Ne ha facoltà.
JOLE SANTELLI. Signor Presidente, nel dichiarare il voto favorevole di Forza Italia su questo provvedimento, vorrei sottolineare alcuni dati. Credo che questo testo unificato sia importante e che sia parimenti importante approvarlo in questo momento, a larga maggioranza nel Parlamento; anzi mi rammarico che alcune forze politiche non abbiano consentito a questa Assemblea di esprimersi all'unanimità, perché sarebbe stato un bel risultato.
Questo è un provvedimento che, se me lo consentite, ha un occhio rivolto al passato, perché, come hanno già detto altri colleghi, è il riconoscimento di quanto la lingua abbia fatto quale elemento unificante del paese, ma anche e soprattutto come fattore di sviluppo sociale. Ricordiamoci che all'atto dell'unità d'Italia pochissimi erano i nuovi italiani che conoscessero la lingua italiana. In precedenza, parlando con l'onorevole Di Centa, - lo dico sorridendo ai colleghi della Lega - ricordavo che tempo fa trovai alcune vecchie cartoline spedite dal mio bisnonno a sua madre durante la prima guerra mondiale: erano scritte in francese. Non conoscevano l'italiano, la lingua ufficiale era il francese, oltre al calabrese ed ai dialetti locali.
La lingua è, quindi, soprattutto, uno strumento di sviluppo e di progresso sociale, di emancipazione, specialmente per le classi più deboli; dobbiamo riconoscerlo.
Quello al nostro esame è anche un provvedimento rivolto all'attualità e al futuro. È rivolto all'attualità perché ci confrontiamo con altri paesi e la lingua è anche uno strumento di progresso e di sviluppo per il nostro commercio, per le nostre istituzioni. Molti paesi investono nella diffusione della conoscenza della propria lingua, perché i giovani che studiano come seconda o terza lingua l'italiano avranno rapporti con il nostro paese, che per noi sono importanti. Purtroppo, sinora la nostra lingua o, meglio, la politica sulla lingua non è stata sufficientemente supportata, mentre è importante che ciò oggi accada.
È altrettanto importante sostenere la lingua al nostro interno, proprio perché, in un grande momento di transizione, in questo passaggio epocale, noi come italiani ci rivolgeremo ad altre persone che giungeranno nel nostro paese.
Prima di tutto, ci dovremmo chiedere che cosa fa sì che noi stessi siamo italiani. La lingua, per dirla alla Manzoni, è uno dei fattori che fa questo paese. Noi ci porgeremo verso di loro anche con questo strumento. Colleghi della sinistra, riconoscere la lingua non è uno strumento contro l'immigrazione - come ho sentito dire da voi -, ma uno strumento per l'integrazione, uno strumento di conoscenza, per consentire a chi arriva nel nostro paese di avere le nostre medesime possibilità.
Proprio a tale proposito, mi vorrei rivolgere ai colleghi della Lega. Noi scriviamo oggi questo testo per gli altri, per le altre nazioni che già l'hanno fatto, come rivendicazione del nostro orgoglio nazionale, della nostra identità; lo scriviamo per coloro che arrivano nel nostro paese. Non abbiamo bisogno, come Parlamento italiano, di dire che l'italiano è la lingua ufficiale di questo paese, questo è il punto! Pag. 101Non lo scriviamo per noi, ma per gli altri! Poi, fra di noi, ci diciamo anche che, accanto alla lingua italiana, il patrimonio storico e culturale di questo paese è composto anche da altre lingue, da altri idiomi, e troviamo la strada per coltivare e arricchire anche la consapevolezza e la cultura su queste materie.
Colleghi, nell'università calabrese da qualche anno è stato inserito l'insegnamento del dialetto, perché anche noi teniamo alle nostre tradizioni; ma siamo calabresi e siamo italiani; siamo veneziani e siamo italiani; siamo triestini e siamo italiani. Affronteremo la questione in un altro momento; avete ragione a porre il problema, ma questo non è il momento adatto, perché stiamo parlando ad altri.
Per concludere, mi auguro che, nel prosieguo dell'esame del provvedimento al Senato, alcune forze politiche scelgano una strada diversa, non perché esse sottopongano all'attenzione temi sbagliati, ma perché non siamo nella sede giusta.
Mi rivolgo ai molti colleghi che più volte hanno paventato, nell'introduzione di questo articolo, una sorta di pericolo per le zone nelle quali esiste il bilinguismo. Do per scontato che sessant'anni di democrazia in questo paese abbiano insegnato tanto a tutti: il fatto che si scriva che la lingua italiana è la lingua ufficiale dello Stato non impedisce di tutelare le minoranze linguistiche, come sempre abbiamo fatto.
Abbiamo presentato alcuni emendamenti, perché ci sembrava organicamente più coerente inserire questo tema all'articolo 6 della Costituzione. Io li ho ritirati, soprattutto perché mi ha convinto quello che ha detto l'onorevole Zaccaria: abbiamo sessant'anni di giurisprudenza costituzionale e di dottrina alle spalle; evitiamo che il cambiamento di impostazione del legislatore sia interpretato in diverso modo. Mi ha convinto una notazione giuridica, non una notazione politica. Sinceramente, mi sembra inutile inserire tutti quegli incisi all'articolo 6 o all'articolo 12, perché ciò mette in rilievo quanta paura noi stessi abbiamo del legislatore italiano, dimostrando che forse non confidiamo abbastanza nella nostra capacità politica e di riconoscimento nazionale (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia e di deputati de L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Sanna. Ne ha facoltà.
EMANUELE SANNA. Signor Presidente, prendo la parola con amarezza, in dissenso rispetto al mio gruppo, per dichiarare il mio voto contrario alla proposta di inserire in Costituzione la norma che definisce l'italiano lingua ufficiale dello Stato. Il mio voto contrario a questo provvedimento nasce da tre fondamentali ragioni.
In primo luogo, le modifiche costituzionali, anche se limitate, vanno affrontate con la più larga partecipazione di tutti parlamentari ed anche con il più ampio coinvolgimento dei cittadini. In questo caso, il circuito democratico è stato molto asfittico e sbrigativo.
In secondo luogo, questa modifica incide su uno dei capisaldi della coesione dell'identità nazionale e non può essere, a mio avviso, varata senza un'attenta valutazione delle conseguenze istituzionali, giuridiche e culturali, che la nuova norma determina nella vita dei cittadini.
In terzo luogo, nel 1947, onorevoli colleghi, i costituenti tennero conto del ricco patrimonio linguistico di cui erano e sono tuttora depositarie le diverse comunità territoriali e regionali che compongono lo Stato nazionale unitario. A me sembra che questa modifica costituzionale sia pericolosamente anacronistica e prescrittiva di una lingua di Stato, in una fase storica in cui siamo in cammino verso un assetto federale della nostra Repubblica e mentre, sia pure a fatica, nasce la Costituzione europea degli Stati e soprattutto delle regioni e dei popoli europei, con le loro peculiarità storiche, culturali e linguistiche.
Per queste ragioni, signor Presidente, come parlamentare italiano e come deputato della Sardegna, non posso votare questo provvedimento (Applausi di deputati Pag. 102dei gruppi L'Ulivo, Lega Nord Padania e La Rosa nel Pugno).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Attili. Ne ha facoltà.
ANTONIO ATTILI. Anch'io parlo in dissenso rispetto al mio gruppo e voterò contro il provvedimento. Gli argomenti utilizzati in tutto questo lungo dibattito non mi hanno persuaso dell'utilità di questo provvedimento.
Anzitutto, il legame che si è voluto istituire così stretto tra l'identità e la lingua è riduttivo, perché l'identità di un popolo si compone di tanti elementi e di tanti fattori e sicuramente noi non possiamo né dobbiamo inserirli tutti nella Costituzione. Oltre alla lingua, infatti, c'è la religione, ci sono le tradizioni popolari, c'è una storia condivisa e mi sembra davvero singolare che molti colleghi che hanno esaltato l'importanza della lingua, magari, danno un giudizio negativo della Resistenza, che pure dovrebbe essere un elemento fondamentale della nostra storia.
La seconda questione per me non convincente è una ricostruzione dell'influenza che ha avuto la lingua italiana nella costruzione dello Stato unitario, che è assolutamente inaccettabile. Non è la lingua che ha fatto lo Stato, ma la lingua è stata imposta da una scelta statale voluta a metà dell'Ottocento, quando, legittimamente e coscientemente, si scelse la lingua italiana, allora minoritaria, come lingua della scuola e della pubblica amministrazione.
La verità va detta: oggi noi facciamo una scelta politica, perché, quando si parla di lingua, si parla di politica, come già acutamente ci diceva Antonio Gramsci. Facciamo una scelta che, per fortuna, non avrà nessun effetto pratico, né sulla lingua italiana né sulle lingue minoritarie, che, teoricamente, sono sullo stesso piano, ma che ha invece un grande valore simbolico, che valuto negativamente. Stiamo di nuovo gerarchizzando le lingue che si utilizzano in Italia. Ci sono voluti cinquant'anni per attuare l'articolo 6 della Costituzione e questo provvedimento rappresenta un pericoloso passo indietro. Per questi motivi, voterò contro il provvedimento (Applausi di deputati dei gruppi L'Ulivo e Lega Nord Padania).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto a titolo personale l'onorevole Caparini. Ne ha facoltà.
DAVIDE CAPARINI. Signor Presidente, oggi stiamo consumando una violenza nei confronti della nostra storia. Sino alla fine del Risorgimento, nessuna autorità, né politica né religiosa, aveva tentato di imporre la lingua toscana come lingua nazionale.
L'italiano era certo presente nella letteratura, e sicuramente era adoperato come utile strumento di colloquio tra gli Stati e tra le autonomie; ma non era certamente una lingua imperiale: non era stato imposto, come il francese; neppure era un dialetto imposto con la forza delle armi come avvenne nel caso dell'Inghilterra. Dite di voler...
PRESIDENTE. Mi scusi, ma ha già utilizzato il tempo concessole per il suo intervento a titolo personale; un minuto è già trascorso.
DAVIDE CAPARINI. È lo stesso tempo a titolo personale che ha concesso all'altro collega intervenuto!
PRESIDENTE. L'altro gruppo non l'aveva ancora consumato.
DAVIDE CAPARINI. Scusi, ma a me risulta che il tempo a titolo personale sia uguale per tutti. Il deputato de L'Ulivo, dianzi intervenuto, glielo può confermare. Quindi, mi deve almeno dare il tempo concesso all'ultimo intervenuto.
PRESIDENTE. Concluda...
DAVIDE CAPARINI. Grazie, Presidente; molto gentile. Comunque, considerato che mi chiede di concludere il mio intervento, sarò breve.Pag. 103
Quindi, si tratta di conferire dignità alla nostra identità, alle nostre tradizioni ed alle nostre culture.
Avete sostenuto in molti interventi che le lingue regionali devono e possono avere maggiore dignità: ebbene, è sufficiente che voi approviate il provvedimento che da tanto, troppo tempo, giace dinanzi alla Commissione competente senza essere preso in esame in alcun modo. Oppure, sarebbe sufficiente che venisse approvata la carta europea sulle lingue. Insomma, la verità è che state tentando di compiere è un'operazione prettamente ideologica; è un'affermazione...
PRESIDENTE. Adesso è davvero trascorso il tempo...
DAVIDE CAPARINI. Però, Presidente, le sembra questo il modo di condurre i lavori dell'Assemblea, considerato il rumore...
Comunque, concludo.
Caro La Russa, sicuramente voi oggi state compiendo un'operazione ideologica, state affermando principi a voi cari (Commenti del deputato Salerno); all'insegna del motto di «uno Stato, una nazione, una lingua», state ancora riproponendo il vostro cavallo di battaglia.
ROBERTO SALERNO. Vergogna!
DAVIDE CAPARINI. Lei si sente orgoglioso di essere italiano; io, dopo questa giornata, continuo ad essere orgoglioso e fiero di essere lombardo.
ROBERTO SALERNO. Vergogna!
DAVIDE CAPARINI. Soprattutto mi sento tale, vedendo come avete mal speso il tempo per approvare una legge inutile e ideologica! Una legge di cui il paese assolutamente non aveva bisogno (Commenti dei deputati dei gruppi L'Ulivo e Alleanza Nazionale - Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).
ROBERTO SALERNO. Vergogna!
DAVIDE CAPARINI. Una legge contro le identità, contro le nostre tradizioni e contro la storia di quel paese che lei tanto vanta di voler difendere in questo Parlamento, ma purtroppo, mio caro La Russa...
ROBERTO SALERNO. Vergognati!
DAVIDE CAPARINI. ...stavolta non ha onorato il suo impegno (Commenti dei deputati del gruppo L'Ulivo - Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Fugatti. Ne ha facoltà.
MAURIZIO FUGATTI. Signor Presidente, intervengo solo brevemente per evidenziare un profilo che rafforza il nostro voto contrario sul provvedimento. Questa maggioranza e questo Governo hanno respinto un ordine del giorno che semplicemente chiedeva di tutelare il patrimonio culturale veicolato dalle lingue diverse dall'italiano e di tenere conto della speciale condizione in cui si trovano le minoranze linguistiche residenti nel territorio dello Stato. Per me, che provengo da una provincia autonoma e che so quanto tutto ciò sia importante, francamente è di difficile comprensione assistere al voto contrario del centrosinistra su un semplice ordine del giorno - come sappiamo, tale atto non è una legge; si tratta, invece, quasi di una semplicissima dichiarazione di intenti - mentre poi ministri e sottosegretari, nelle valli trentine, vengono a parlarci di minoranze, di autonomia: tengono lezioni su tali questioni mentre, poi, votano contro!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Campa. Ne ha facoltà.
CESARE CAMPA. Signor Presidente, intervengo a titolo personale per osservare che approvare questa proposta di legge, il cui articolo unico dispone: L'italiano è la lingua ufficiale della Repubblica nel rispetto delle garanzie previste dalla Costituzione Pag. 104e dalle leggi costituzionali« è opera molto buona; ma altrettanto buono sarebbe stato approvare la modifica che avrebbe aggiunto un successivo comma - che non sarebbe stato in contrasto - dal seguente tenore: «La Repubblica tutela altresì le lingue che, con legge regionale, sono riconosciute come lingue storiche regionali». Non vi sarebbe stato contrasto tra commi mentre sarebbe stato molto utile e opportuno.
Sono veneto, ma mi sento veneto e italiano: non vi è contrasto tra le due previsioni. Qualcuno invece ha voluto in questa sede strumentalizzare la questione. Penso che prossimamente avremo modo di riprendere tale questione, per far sì che ciascuno si senta a casa propria nel nostro paese con le proprie tradizioni e con la propria cultura.
La Repubblica se tutela anche le lingue che, con legge regionale, sono riconosciute come lingue storiche e regionali, non fa altro che valorizzare la nostra tradizione e la nostra cultura. In un momento di globalizzazione, valorizzare la specificità delle nostre terre non fa altro che bene!
Per tale motivo, sono rammaricato per il non voto sul secondo emendamento, mi accontento per ora del primo capoverso. Sono sicuro che molto presto modificheremo questo errore madornale che stiamo compiendo (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Allasia. Ne ha facoltà.
STEFANO ALLASIA. Signor Presidente, non c'è peggior sordo di chi non vuole ascoltare perché, se fossero stati ascoltati gli interventi, le nostre posizioni sarebbero state accolte.
Vorrei ricordare che il pronunciamento del primo re d'Italia, Vittorio Emanuele II, il padre della patria, è stato fatto in lenga piemonteìsa. Pertanto, manteniamo una posizione ferma, da veri piemontesi: Bogianen (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Allam. Ne ha facoltà.
KHALED FOUAD ALLAM. Signor Presidente, intervengo a titolo personale.
Penso che nei prossimi anni avremo bisogno di nuovi strumenti di integrazione e la lingua italiana, la lingua nazionale, costituisce un enorme strumento di integrazione, in quanto occorre guardare alla dinamica linguistica attraverso il fatto che andremo sempre di più verso una società di tipo plurale e diverso.
La lingua è il fattore essenziale dell'integrazione, non bisogna assolutamente pensare alla questione della lingua nazionale e al suo inserimento nella Costituzione come ad una deminutio rispetto ai dialetti o alle lingue locali (Applausi dei deputati dei gruppi L'Ulivo, Rifondazione Comunista-Sinistra Europea e di deputati del gruppo Alleanza Nazionale).