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Svolgimento di interpellanze urgenti.
(Intendimenti del Governo in relazione alla chiusura del reparto dell'ospedale di Baghdad finanziato dall'Italia - n. 2-00453)
PRESIDENTE. L'onorevole Germontani ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00453 (vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 4).
MARIA IDA GERMONTANI. Signor Presidente, signor sottosegretario, l'interpellanza, presentata da me e da altri colleghi, riguarda una questione di interesse internazionale e di forte interesse sociale. Infatti, a seguito della conclusione della missione italiana in Iraq, l'attuale Governo Prodi non ha provveduto a rifinanziare il Medical city hospital della capitale Baghdad, privando molti malati della necessaria assistenza medica e centinaia di persone - mi riferisco al personale medico e paramedico e a coloro che beneficiano dell'indotto - dei posti di lavoro.
Qual era l'antefatto? Nel marzo del 2003, nel quadro della lotta internazionale al terrorismo, una coalizione guidata dagli Stati Uniti ha intrapreso l'operazione Iraqi freedom. Dopo il rovesciamento del regime di Saddam Hussein, in Iraq si è aperta una difficilissima fase post conflitto, che si poneva come obiettivo la creazione delle condizioni indispensabili per lo sviluppo politico, sociale ed economico di quel paese. In un incontro che si è svolto a Londra il 15 aprile 2003 e in successive riunioni, i ministri della difesa dei paesi partecipanti alla forza di stabilizzazione internazionale da inviare in Iraq ne hanno definito i compiti e, il 22 maggio 2003, il Consiglio di sicurezza dell'ONU ha approvato la risoluzione n. 1483. Essa fa appello agli Stati membri affinché assistano il popolo iracheno nello sforzo per riformare le istituzioni, ricostruire il paese e si contribuisca a creare condizioni di stabilità e di sicurezza.Pag. 50
La conclusione della prima fase del conflitto iracheno aveva comportato una reale e completa disintegrazione del sistema sanitario locale. Per tale motivo il Governo di allora, presieduto dall'onorevole Berlusconi, ha deciso di concedere un finanziamento alla Croce rossa italiana, finalizzato a fronteggiare l'emergenza sanitaria e a ridurre la mortalità prodotta dal conflitto.
L'ospedale ha operato dall'aprile al settembre 2003, curando complessivamente quasi 40 mila pazienti; contemporaneamente alla cessazione dell'attività sanitaria di quella struttura, la stessa è proseguita, a seguito degli accordi sottoscritti con il ministro degli esteri iracheno e grazie al finanziamento reso disponibile dal Ministero degli affari esteri italiano, all'epoca guidato dall'onorevole Gianfranco Fini, presso alcuni reparti del Medical city hospital di Baghdad, che sono stati bonificati e ristrutturati a cura del contingente italiano.
Da relazioni della Croce rossa risulta quanto sia stato fatto, quanti vantaggi siano derivati dall'impegno di tale organizzazione, ad esempio, la cura di un grande numero di ustionati. La Croce rossa sottolineava, infatti, la carenza di strutture specialistiche, dopo che l'unico centro grandi ustioni a Baghdad era andato distrutto; inoltre, gli ospedali locali nella priorità di trattamento, considerata la situazione di crisi in cui versavano, indirizzavano le loro risorse ad altri settori specialistici e si limitavano per i pazienti ustionati ad un primo soccorso. Grandi erano insomma stati i vantaggi per la popolazione di Baghdad, derivanti dalla presenza del reparto grandi ustioni presso l'ospedale della capitale irachena.
L'attuale Governo non ha disposto nuovamente il finanziamento di tale struttura, nonostante il Presidente del Consiglio e il ministro degli affari esteri, Massimo D'Alema, abbiano dichiarato ripetutamente che le missioni civili debbono essere aumentate e rafforzate rispetto a quelle militari. Nonostante queste importanti e condivisibili affermazioni, nulla è stato fatto, per poter continuare a garantire i servizi del reparto italiano del Medical city hospital di Baghdad.
Il senso della nostra interpellanza è rivolto a sapere quali siano gli intendimenti del Governo, rispetto alla grave situazione che si è creata dopo la chiusura del reparto finanziato dall'Italia e se si ritenga opportuno ed urgente destinare un nuovo finanziamento alla struttura, per mantenere gli impegni assunti dal nostro paese a favore delle popolazioni civili irachene.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per gli affari esteri, Gianni Vernetti, ha facoltà di rispondere.
GIANNI VERNETTI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la presenza della Croce Rossa italiana a Baghdad ha visto, finora, sostanzialmente due fasi.
Infatti, dal maggio del 2003 all'ottobre dello stesso anno (quindi, circa sei mesi) è stato attivato - con un contributo sul canale d'emergenza della cooperazione italiana - un ospedale da campo, ubicato nelle vicinanze dell'ospedale Al Wasati in Baghdad. Cinque mesi dopo l'avvio dell'intervento, a seguito di accordi presi con le controparti locali, le attrezzature medico-sanitarie sono state completamente trasferite presso l'adiacente struttura ospedaliera irachena.
Dall'ottobre del 2003 fino all'agosto del 2005, la Croce Rossa italiana è stata attiva presso la struttura del Medical city (l'ospedale ampiamente ricordato dall'interpellante), sempre a Baghdad, con personale italiano incaricato di aiutare il personale sanitario iracheno a sviluppare e perfezionare una capacità autonoma, soprattutto nel settore della cura delle ustioni.
Risultati concreti verso tale obiettivo si sono già avuti nella primavera del 2005. Di conseguenza, a partire dall'agosto 2005 non ha più operato a Baghdad nessuna unità di personale italiano della Croce Rossa italiana. I fondi successivamentePag. 51erogati in virtù della convenzione tra Ministero degli affari esteri italiano e la Croce Rossa sono serviti, quindi, a migliorare le strutture dell'ospedale ed a consentire alla CRI di svolgere attività di assistenza a distanza.
Come da intese con le autorità irachene, la struttura sita nel Medical city è passata sotto la totale responsabilità del Ministero della sanità iracheno a partire dal 1o gennaio del 2007.
Vorrei precisare, quindi, che non vi è stata nessuna forma di abbandono unilaterale, e neanche una chiusura istantanea e immediata di strutture sanitarie, ma un naturale, previsto, programmato e progettato passaggio di responsabilità, nella gestione del reparto inizialmente istituito ed organizzato dalla Croce Rossa italiana, alle autorità irachene.
Devo dire che simili episodi si verificano anche in teatri nei quali è confermata la nostra presenza militare: penso all'Afghanistan, al Kosovo ed alla Macedonia, nelle quali talvolta un intervento si prefigge l'obiettivo di restituire, poi, la piena titolarità delle strutture alle autorità locali, sia sanitarie, sia di altro genere.
Peraltro, ritengo che ciò sia in coerenza con l'obiettivo che, fin dall'inizio, aveva ispirato l'azione della Croce rossa italiana, vale a dire favorire uno sviluppo ed una capacità autonoma di gestione di tale reparto da parte irachena.
D'altronde, nel caso iracheno, il Governo italiano ha scelto, coerentemente con gli obiettivi ed i programmi dell'Esecutivo in carica, di concludere la missione. Anche per quanto concerne il caso dell'Afghanistan, che seguiamo ed in cui abbiamo ancora oggi una presenza militare e civile molto significativa, abbiamo l'obiettivo di restituire, progressivamente, strutture sanitarie, nonché capacità di formazione e militari autonome alla realtà di quel paese.
Infatti, naturalmente, non possiamo sostituirci ai soggetti locali per decenni, ed abbiamo un programma di riduzione progressiva del nostro impegno, proprio al fine di restituire quella che, in inglese, si chiama la ownership. Mi riferisco, onorevole Germontani, alla restituzione della proprietà e della titolarità delle strutture a quel paese, il quale ha vissuto un conflitto o, come da lei ricordato, una crisi post conflitto.
Non a caso, nella legge di conversione del decreto-legge 31 gennaio 2007, n. 4, sulla proroga della partecipazione italiana alle missioni internazionali, è prevista una allocazione di 1 milione e 350 mila euro per la cooperazione con l'Iraq nel settore sanitario.
Noi prevediamo di destinare ancora risorse finanziarie. Infatti, abbiamo scelto di concludere l'impegno militare, ma non quello civile; anzi, per alcuni versi, in alcuni settori abbiamo addirittura rafforzato la cooperazione civile con quel paese, che vive ancora oggi una situazione così difficile. A tale riguardo, onorevole Germontani, le voglio comunicare qualche dato.
Seicentomila euro saranno utilizzati per la fornitura di attrezzature per le strutture sanitarie della provincia di Dhi Qar (che, come ricordate, era l'area nella quale, per alcuni anni, abbiamo avuto la titolarità di una presenza non solo militare, ma anche politica e civile), ad integrazione di quelle già effettuate a valere dei fondi sul decreto 2006 per l'ospedale di Nassiriya (capoluogo, per l'appunto, della provincia di Dhi Qar).
Cinquecentomila euro serviranno per fornire cure e attrezzature e formare il personale iracheno per la cura della talassemia e per interventi di cardiochirurgia infantile nella regione autonoma del Kurdistan iracheno, quindi la regione a nord di Herbil e Suleymania.
I restanti 250 mila euro finanzieranno il seguito del progetto «Sorrisi in Iraq» per proseguire l'attività di sostegno ai bambini iracheni, con gravi esiti di ustioni e deformità del volto quali ad esempio labiopalatoschisi (labbro leporino), interventi rivolti quindi a quel tipo di malattie.
Vorrei segnalare, infine, che, proprio nello spirito di una prosecuzione della collaborazione nel settore sanitario, nelPag. 52dicembre 2006 rappresentanti della Croce rossa italiana si sono recati in missione a Baghdad per discutere con le competenti autorità irachene possibili forme di ulteriore assistenza che sono attualmente allo studio.
Quindi, io credo che il nostro impegno su questi settori sia destinato ancora a continuare, anche con una discreta dotazione finanziaria.
PRESIDENTE. L'onorevole Germontani ha facoltà di replicare.
MARIA IDA GERMONTANI. Signor Presidente, vorrei ringraziare il sottosegretario della risposta e sottolineare quale sia stata l'origine della nostra interpellanza. Quando in aula abbiamo discusso del rifinanziamento delle missioni militari, io avevo presentato un ordine del giorno, non accolto dal Governo in quella sede, che l'attuale interpellanza riproduce, anche se irrobustita da alcuni dati.
E allora, ci siamo chiesti come mai, davanti agli impegni che il Governo ha assunto nei confronti di queste popolazioni, una missione di carattere umanitario come questa non dovesse essere prevista e finanziata.
Quindi, ringrazio il sottosegretario delle delucidazioni, soprattutto perché volevamo delle rassicurazioni affinché si potesse attingere ai fondi stanziati dalla legge finanziaria per la cooperazione allo sviluppo. Fa piacere, infatti, avere una risposta esauriente in merito, anche se, ovviamente, avremmo voluto che quel finanziamento, che tanto aveva consentito di fare per quelle popolazioni in un momento così difficile, potesse essere confermato anche in questa fase, visto e considerato che purtroppo la fase post bellica non si è ancora esaurita e che forse quel personale medico e paramedico ha ancora bisogno di essere assistito ed affiancato dal nostro personale con un impegno finanziario più consistente di quello che lei, comunque cortesemente, signor sottosegretario, ci ha riferito.