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Discussione della mozione Gibelli ed altri n. 1-00024 sulla riorganizzazione del sistema scolastico italiano in relazione al fenomeno dell'immigrazione (ore 15,06).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Gibelli ed altri n. 1-00024 sulla riorganizzazione del sistema scolastico italiano in relazione al fenomeno dell'immigrazione (Vedi l'allegato A - Mozioni sezione 1).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione della mozione è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
Avverto che sono state altresì presentate le mozioni Sgobio ed altri n. 1-00164, Capitanio Santolini e Volontè n. 1-00165, Frias ed altri n. 1-00166, Froner ed altri n. 1-00167 e Bertolini ed altri n. 1-00168
(Vedi l'allegato A - Mozioni sezione 1) i cui testi sono in distribuzione, che, vertendo sullo stesso argomento, saranno discusse congiuntamente.
(Discussione sulle linee generali)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritto a parlare l'onorevole Gibelli, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00024. Ne ha facoltà.
ANDREA GIBELLI. Signor Presidente, devo ammettere che la calendarizzazione di questa mozione, a ridosso della campagna elettorale che si è appena conclusa, dà un sapore diverso e meno incerto - lo devo ammettere - alle tante considerazioni che un progetto di legge che porta la mia firma, sia nella passata legislatura che in questa (un'iniziativa che non ha nulla di provocatorio, ma che è assolutamente pragmatica), aveva suscitato.
Ritengo che il fatto che l'Assemblea ne discuta costituisce anche un modo per rompere un tabù di natura ideologica e politica, soprattutto per una sinistra sconfitta, un centrosinistra che al nord ha visto la sua Caporetto politica per un motivo tra tanti - lo testimonia anche la distinzione geografica così netta che anche i principali quotidiani oggi in edicola non hanno potuto non evidenziare - dovuto sostanzialmente a ciò: non solo dove c'è la Lega Nord si vince, ma anche dove ci sono i temi della Lega Nord.
Quando viene banalizzato il fatto che il nostro movimento politico sostenne, in maniera molto forte, una politica molto pragmatica e anche dura su certi aspetti in tema di immigrazione, si trascura però che poi la Lega Nord ha avanzato delle proposte concrete, che possono essere discusse. Ho notato il tono polemico delle mozioni dei colleghi del centrosinistra e della sinistra - di Rifondazione Comunista e dei Comunisti italiani in maniera molto polemica - i quali si sono richiamati alla Carta dei diritti dell'uomo e quant'altro. Mi spiace, lo spirito che anima questa mozione è quello di un atteggiamento assolutamente pragmatico.
Questa mozione non è contro gli immigrati, mi dispiace dirlo. Mi rendo conto che la vostra è una tesi ideologica: è nelle vostre mozioni l'idea di una scuola dove non si impara, ma ci si incontra, dove le materie vengono poste in maniera interdisciplinare e multiculturale, come se la storia non avesse un punto di vista. Mantenere un punto di vista serve a confrontarsi con tutte le altre storie, non per avere la verità in tasca, ma come punto di vista. Un'interpretazione storica è la somma di una serie di valori che hanno portato la nostra società ad essere quella che è, nel bene e nel male, con gli errori che ci sono stati.
Il fatto che uno di questi elementi sia legato al test di ingresso per i figli degli extracomunitari nelle nostre scuole è stato giudicato, verrà giudicato ed è già scritto nelle mozioni come una sorta di tentativo di apartheid, un tentativo di isolazionismo, una sorta di segregazione razziale, avvalorato dal secondo punto che abbiamo voluto nella mozione, dove abbiamo chiesto - vivaddio! - l'introduzione nel nostro Pag. 60ordinamento delle classi di inserimento temporaneo, non definitivo. Abbiamo chiesto ciò per tre motivi, perché è prassi costante, e le scuole del nord lo dimostrano, il grandissimo disagio sociale.
Ci sono tre ordini di problemi. Il primo è che spesso i figli degli immigrati non conoscono una parola di italiano e, quindi, vedono la scuola come un luogo altro, dove non c'è relazione, e il numero elevato delle presenze di bambini extracomunitari nelle nostre scuole non permette un'integrazione.
Seconda questione: i nostri figli non imparano nulla, vi sono ritardi nella formazione (basta parlare con i genitori, non è necessario essere dei sociologi).
Terzo: gli insegnanti vivono in una babele linguistica e culturale e, alla faccia del multiculturalismo, non si riesce ad insegnare.
Allora, abbiamo fatto una prova: la prova dei cuginetti che vengono dal Marocco, dove il padre di uno di questi bimbi è una persona che viene a lavorare in Italia, che ha capito che qui c'è una cultura di riferimento, e che mantenendo la propria identità, crea le condizioni - magari nelle scuole materne o d'obbligo - per aiutare il figlio a relazionarsi con i propri vicini di casa in maniera da imparare qualcosa di italiano; magari, questo bambino marocchino arriverà a sei anni sapendo un numero sufficiente di parole, e riuscirà a confrontarsi nella lingua del Paese che lo ospita entrando automaticamente, con un brevissimo e semplicissimo test, nelle scuole insieme agli altri.
Il cuginetto, invece, magari è figlio di un invasato integralista islamico il quale afferma che non c'è nulla da imparare dalla cultura di questo Paese e non gli insegna una parola di italiano; magari lui lavora in Italia da venti o trent'anni e conosce l'italiano, ma non insegna niente della seconda lingua al proprio figlio e magari sono parenti con il bambino di prima. Questo secondo bambino andrà in una classe di inserimento temporaneo - nel nostro progetto di legge la durata è di due anni - dove verranno rimodulate semplicemente le materie, dove semplicemente si affronterà maggiormente l'attitudine alla lingua e alla comprensione, alla lettura e alla scrittura concentrando l'attenzione in maniera molto più forzata sull'italiano rispetto agli aspetti minimali nozionistici, per poi entrare nella terza classe insieme a tutti gli altri.
Questo non è apartheid e consente di mettere alla prova gli immigrati e di valutare la volontà di integrarsi nella nostra società. Si dà loro uno strumento ad hoc, per un tempo determinato, e vi assicuro che abbiamo pensato molto a questo titolo: classi di inserimento temporaneo; non tutto il corso degli studi isolati dal corpo scolastico, anche perché, come sapete, noi siamo contrari alle scuole coraniche, alle scuole madrase. Siamo per l'insegnamento comunque nelle scuole pubbliche o private e sicuramente mi auguro che in futuro ci siano sempre più scuole private. Ma qui c'è una cultura di riferimento e a quella bisogna far luogo.
Quindi, la mozione che presentiamo tenta di superare un problema molto serio nelle scuole soprattutto del nord, dove molti genitori esasperati dalla scarsa formazione dei loro figli decidono magari di trasferirli in altre scuole perché non imparano nulla, perché c'è questa babele linguistica e culturale, perché molti genitori ritengono che la scuola sia un luogo sì di incontro, ma soprattutto un luogo dove si apprende. È una scuola di vita, naturalmente, un momento di incontro con gli altri, ma è un posto dove si inizia a imparare qualcosa. Ciò - le assicuro rappresentante del Governo - non accade in molte scuole e sarà sempre peggio con le leggi che approverete, attraverso le quali in maniera ideologica volete costruire una società a tavolino. Lo si capisce dalle mozioni del centrosinistra, lo si capisce dalla definizione di scuola come luogo di incontro, e dalle materie, ad esempio la storia. Mi deve spiegare cosa si intende per «nozioni multiculturali». Ad esempio, la battaglia di Lepanto viene posta da venticinque punti di vista diversi, dove tutto deve essere visto in maniera asettica; lo stesso vale per l'assedio di Vienna ed altro. Ma lo sa, rappresentante del Governo, che Pag. 61i nostri figli - ed è uno scandalo per la storia di questo Paese - sanno tutto magari di Giovanna d'Arco, non sanno nulla di padre Marco d'Aviano? Non sanno nulla di tanti momenti della nostra storia, in ragione dei quali magari anche il nostro mondo e la nostra società non sarebbero quelli che sono.
E noi che cosa facciamo? Per evitare di offendere qualcun altro, con un'altra cultura, dimentichiamo la nostra storia, la cancelliamo e raccontiamo, come si apprende parlando con gli insegnanti e i genitori, le favole. Questa è la fine dell'identità dell'Occidente e del nostro Paese.
Quindi, temo di comprendere quale sarà il giudizio sulla mozione in esame, però invito il Governo a effettuare una lunga riflessione senza tabù.
Nella passata legislatura, sul problema della tossicodipendenza ne abbiamo sentite di tutti i colori. Oggi, il Ministro Turco riesce a sorprendere anche il centrodestra con le sue posizioni: se noi ci fossimo comportati allo stesso modo, avreste portato milioni di persone in piazza a protestare rispetto a una tale deriva plebiscitaria del centrodestra - o della destra - con tutte le vostre definizioni, come, ad esempio quella del collega Diliberto che ci chiama semplicemente «destre», anche se ciò viene sconfessato dai fatti perché al nord la Lega, che non è né di destra né di sinistra ma affronta i problemi, vince indipendentemente dalle etichette.
Quindi, invito il Governo a svolgere una seria riflessione su tale opportunità. La mozione ha una connotazione politica, e mi auguro che non ci si trinceri dietro l'aumento dei costi, il potenziamento del mediatore culturale (come ho sentito dire da qualcuno) e il rafforzamento dei tutor.
Bisogna considerare che un conto è avere uno, due o tre studenti di lingue diverse in una scuola, un conto è averne, come succede, in numero superiore al 15, 20 o 30 per cento (non sono ancora la maggioranza, ma in alcuni istituti potrebbero diventarlo).
Se si valutasse la possibilità, solo ed esclusivamente per due anni, di istituire classi di inserimento temporaneo, faremmo un grande favore ai nostri figli, ai genitori dei bambini (che pretendono che la scuola sia un luogo di insegnamento) e, paradossalmente, anche ai figli degli immigrati, in quanto si darebbero loro gli strumenti per capire che in questa società c'è una cultura di riferimento, e che il non comprendere la lingua non è un buon motivo per bivaccare in una scuola ritenendola solo un luogo di incontro.
I luoghi dell'incontro possono essere anche tantissimi, e ci devono essere. Dico ciò in quanto ho visto figli di immigrati iscritti regolarmente alle scuole pubbliche, ad esempio nella città di Cremona, ma poi sottratti dai loro genitori, perché troppo occidentali, troppo legati ad una cultura alla quale loro non appartengono, e quindi iscritti regolarmente a delle madrase, naturalmente clandestine.
Questo è il rovescio della medaglia che dimostra come, in questo Paese, ci sia una forza del centrosinistra che non vuole una cultura di riferimento.
Io mi auguro che il Governo prenda spunto da questa mozione per svolgere un servizio ai nostri concittadini e anche a quegli immigrati che si vogliono misurare con la nostra cultura, e non (come ci capita molto spesso di registrare) a chi invece si autoghettizza, a chi crea società nelle società o crea un isolazionismo voluto e pensa di essere a Teheran, al Cairo o a Baghdad, mentre è al centro delle nostre città. Ciò accade perché qualche imam gli dice, nella loro lingua madre, che è tutto male l'Occidente. Invece, c'è anche qualcosa di buono: la democrazia, la solidarietà ed il capire, in maniera pragmatica, anche i problemi degli altri.
Con tale mozione vogliamo mettere alla prova il Parlamento sulla volontà, senza tabù e senza ideologie preconfezionate, di risolvere un problema che è fortemente sentito al nord e rischia, con la vostra politica sull'immigrazione, di diventare una questione irrinunciabile, nei prossimi anni, nelle nostre scuole (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Capitanio Santolini che illustrerà Pag. 62anche la sua mozione n. 1-00165. Ne ha facoltà.
LUISA CAPITANIO SANTOLINI. Signor Presidente, si parla molto di scuola in questo periodo, e non solo in questo periodo, perché effettivamente la scuola è al centro di molti problemi, di molte contraddizioni e di grandi difficoltà in cui versa da anni, per riforme e controriforme non attuate, per il tentativo costante di cercare la migliore soluzione possibile che, se è dettata da ideologie di varia natura, non viene trovata.
Dunque, la discussione sul problema degli immigrati e della presenza di bambini immigrati nelle scuole mi sembra di grande attualità e mi auguro che sia motivo di particolare attenzione da parte delle forze politiche.
Il fatto che in quest'aula siamo in pochi e siano presenti solo coloro che illustrano le mozioni non significa che l'argomento non sia cruciale per il Paese, perché è da tali questioni che si misura il grado di civiltà e il modo con cui un intero Paese reagisce alle sfide che ha davanti.
Credo che occorra affrontare seriamente il problema, fuori dalle ideologie, fuori da una «pre-comprensione» dei fatti e da un «pre-giudizio», che è prima culturale, poi diventa politico e poi, eventualmente, economico, per trovare le risorse. Dobbiamo affrontare la questione, quindi, in maniera certamente pragmatica, ma anche nutrita di quei valori e di quei principi di cui il Paese non può fare a meno.
Certamente il problema degli immigrati è più recente in Italia rispetto ad altri Paesi europei, dove il fenomeno migratorio è in atto da molti anni: il nostro Paese, in qualche modo, arriva ultimo rispetto al resto dell'Europa, ma riscontra una crescita di stranieri estremamente più rapida rispetto al resto dell'Europa e vede le scuole riempirsi di bambini stranieri in termini rapidissimi. Non è un fatto a priori negativo, da stigmatizzare o da vedere con paura o con sfiducia. Il problema è regolare, regolamentare e dare un senso a questa presenza.
Gli studenti di cittadinanza non italiana, in questi ultimi anni, sono praticamente più che raddoppiati: siamo arrivati a 430 mila presenze negli anni 2005-2006 e ricordo che, soprattutto in alcune città del nord, i bambini stranieri rappresentano più del 50 per cento degli alunni in una classe.
Trasmissioni televisive alle quali molti di noi hanno assistito riportavano testimonianze di mamme italiane che si sentivano addirittura in minoranza rispetto alla presenza massiccia di bambini stranieri nella classe. Il fenomeno, in costante ascesa, non può essere, nel modo più assoluto, rimosso o ignorato, soprattutto dal Governo, dal Ministero della pubblica istruzione e da coloro che hanno la responsabilità di dare risposte ai bambini immigrati e alle loro famiglie, ai bambini italiani e alle loro famiglie. Ci sono tanti soggetti che stanno discutendo sulla questione, che non è solamente un problema da Assemblee parlamentari.
Il ruolo della scuola è decisivo, perché le aule scolastiche sono il primo luogo di integrazione, dove si può in qualche modo cercare di creare quel clima positivo che poi si riverbera nell'intero Paese. La scuola deve garantire a tutti il diritto all'istruzione: non è poco, perché essa ha, da questo punto di vista, un compito assolutamente straordinario. Le famiglie degli immigrati o le famiglie italiane, da sole, non ce la faranno mai a creare un clima positivo di integrazione: lo desideriamo tutti, ma vorremmo che ciò si realizzasse in un modo corretto, che non crei tensioni, paure, sospetti e rifiuti. Invece, se lasciamo andare alla deriva un problema del genere, il rischio è molto alto.
La scuola deve, inoltre, garantire non solo il diritto all'istruzione, ma anche la minore dispersione scolastica possibile, che rappresenta una piaga del nostro Paese e non solamente dei bambini stranieri: purtroppo, il fenomeno del drop out interessa anche i bambini italiani, e bisogna recuperare l'entusiasmo e la voglia di imparare non solo dei bambini italiani, ma anche di quelli stranieri.Pag. 63
Non si può immaginare di abbandonare il sistema scolastico italiano sia alla pressione esercitata dai bambini extracomunitari, o comunque di bambini stranieri, sia a risposte assolutamente diversificate. È vero che le scuole sono autonome e, come tali possono decidere in maniera autonoma in quanto hanno ampi margini garantiti dalla legge e possono agire come meglio credono, ma è altrettanto vero che bisogna dare un quadro generale di indicazioni affinché le scuole non creino in alcuni luoghi dei ghetti o modi sbagliati di fare integrazione.
Credo che il sistema dell'istruzione debba dare delle risposte. Soprattutto, dobbiamo superare i dislivelli linguistici, di cui si parla troppo poco. Il Ministero della pubblica istruzione ha preso molte decisioni - che contesto e critico - ma le problematiche relative ai dislivelli linguistici e alle difficoltà di integrazione dei ragazzi stranieri non mi pare siano state oggetto di grande impegno da parte del Ministero in questo ultimo anno. Sicuramente, qualche misura sarà stata adottata, ma non ci possiamo accontentare.
Non si può negare che moltissime volte l'integrazione segua la logica dell'emergenza, che cioè non vi è una reale innovazione del sistema scolastico, ma si procede con schemi vecchi, superati, che non risolvono i problemi e, quindi, non si riesce a dare risposte a questi bambini, che possono davvero diventare fautori o vittime di violenza. Credo, pertanto, che dobbiamo tutti prendere atto dell'esistenza di questo problema. È vero che la scuola, ripeto, va rinnovata e incentivata in tutti i modi, dandole anche le risorse necessarie.
Si parla di riforme, ma il Ministero della pubblica istruzione, senza avere il coraggio di passare per le aule parlamentari - quindi, senza dibattito parlamentare - ha praticamente smontato la riforma Moratti e ne ha fatto un'altra cosa (sono state cambiate moltissime cose di quella riforma). Quello seguito è un metodo che contesto; la nuova maggioranza può avere il diritto di cambiare le riforme in atto, ma dovrebbe avere anche il coraggio di riconoscere il ruolo del Parlamento, cosa che in questo anno non è stata fatta. Infatti, abbiamo potuto osservare riforme della scuola transitare attraverso liberalizzazioni e «lenzuolate» di liberalizzazioni di Bersani, attraverso la legge finanziaria e moltissimi altri strumenti, ma non si è mai svolto quest'anno un serio dibattito sulla scuola, di cui invece sarebbe valsa la pena (i nostri figli avrebbero meritato un impegno in questo senso).
Tutto ciò premesso, quello della scuola non si esaurisce certo col problema degli immigrati, ma è una tematica estremamente attuale ed importante. Non si può lasciare, quindi, la scuola ad una specie di fai da te, per cui ogni preside risponde e decide come vuole e ogni insegnante ha la licenza di fare quello che crede.
Chiediamo, e lo chiediamo con convinzione, che il tema della scuola venga affrontato in maniera responsabile sia da parte del Governo sia da parte del Parlamento, che è poi chiamato ad esprimersi. Chiediamo anche che venga fatto un confronto con ciò che su questo tema si sta facendo negli altri Paesi europei, come ad esempio in Francia e in Germania.
Vi sono Paesi che hanno affrontato il problema dell'integrazione scolastica degli immigrati da moltissimo tempo. Noi, invece, siamo decisamente indietro. Bisogna cercare delle nuove figure che, all'interno della scuola, possano aiutare a realizzare una maggiore integrazione.
Allora, occorre un mediatore interculturale che possa agire di concerto con le strutture della scuola (per strutture intendo ovviamente i consigli di classe, i consigli dei docenti, tutta l'organizzazione di ogni scuola); una figura che possa garantire un passaggio graduale, non traumatico, di questi ragazzi nelle nostre scuole, attraverso un percorso formativo per il personale della scuola.
Non possiamo ignorare il fatto che il nostro personale della scuola è impreparato ad affrontare tali problemi e non è possibile inventarsi risposte estemporanee, secondo le sensibilità o secondo le idee di ognuno. Questo problema nelle nostre scuole è una novità, si sta intensificando ed è in rapida ascesa: dobbiamo anticipare Pag. 64i problemi fornendo al personale della scuola gli strumenti per capire i fenomeni, interpretarli e agire di conseguenza. Pertanto, auspichiamo una scuola che abbia il coraggio di intraprendere percorsi innovativi nei confronti del problema in esame, formando il personale - sia quello docente sia quello non docente - nel modo più adeguato possibile.
Infine, bisogna cercare di sostenere l'integrazione linguistica, ma anche culturale, perché questi giovani stranieri devono sentirsi accolti in Italia, devono sentirsi capiti e bisogna ripristinare - so che per il Governo la cosa potrebbe essere non gradita, ma credo che invece la scuola ne trarrebbe un grande vantaggio - la figura del tutor che non si capisce per quale ragione l'attuale maggioranza ha eliminato. Quella del tutor era una delle pochissime figure che garantiva un raccordo costante tra la scuola e le famiglie degli alunni. Il tutor è stato eliminato ed è una figura che non esiste più. Si potrebbe cercare di ripristinarlo, affinché operi con i ragazzi - per un'integrazione linguistica fatta come si deve - e soprattutto con le loro famiglie. Non capisco perché si parla tanto di immigrati, si parla tanto dei loro problemi e non si distingue mai il fatto che tali immigrati sono costituiti da famiglie. Abbiamo tutti l'esperienza di bambini che vanno a scuola e magari imparano in fretta (perché i giovani hanno la straordinaria abilità di imparare in fretta) e le mamme restano escluse invece da tale apprendimento, perché nessuno le accompagna, perché nessuno le aiuta, e vi sono delle buone signore, magari nel condominio o in qualche associazione, che si prendono in carico le mamme, che altrimenti restano tagliate fuori da un dialogo nella scuola, perché non imparano la lingua. Vogliamo allora impegnarci anche a dare una mano alle famiglie, alle mamme, affinché non si sentano perennemente straniere e vengano accolte nelle nostre scuole, dicendo loro che sono in un Paese che li accoglie volentieri, ma a condizione che accettino le regole di questo Paese, che accettino la cultura, la lingua? Un'integrazione vera si realizza quando queste persone si sentono veramente appartenenti all'Italia e a quello di cui l'Italia è portatrice. Occorre una figura che faccia da raccordo tra le famiglie e la scuola, altrimenti rischiamo che queste famiglie vengano abbandonate a se stesse e non si rendano neanche conto dei pericoli che corrono. Secondo l'indagine conoscitiva che abbiamo effettuato in XII Commissione, il problema dei bambini abbandonati e che girano nelle nostre città è enorme e lo riscontriamo in tutte le città. Ebbene, la scuola può risolvere, può dare delle risposte a questi bambini che sono in stato di abbandono; famiglie che a volte non si rendono conto di ciò che sta succedendo e quindi si verificano degli autentici drammi familiari, con bambini che non si ritrovano o che comunque sono dei drop out, che cioè abbandonano i percorsi scolastici.
Mi auguro davvero che la nostra mozione - ma non solo la nostra - sia accolta con il dovuto senso di responsabilità e che da questa sede esca una risposta per tutti quegli immigrati e per tutti quegli italiani che si aspettano da noi delle indicazioni precise.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tranfaglia, che illustrerà anche la mozione Sgobio n. 1-00164, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.
NICOLA TRANFAGLIA. Signor Presidente, dai discorsi che abbiamo finora ascoltato mi sembra che su alcuni aspetti i punti di vista delle diverse forze parlamentari non siano lontani tra loro, nel senso che effettivamente si sente l'esigenza di destinare, di fronte ai fatti che avvengono, maggiori fondi alla scuola. Su ciò siamo d'accordo anche noi. Il problema è sul modo di affrontare il problema.
Prima di tutto riteniamo che i principi della Costituzione repubblicana, così come quelli della Dichiarazione universale dei diritti umani e della Convenzione sui diritti dell'infanzia, che è stata già ratificata dall'Italia e che quindi fa parte in qualche modo della nostra legislazione, sono tutte ragioni che ci fanno pensare che il problema Pag. 65di cui si discute non possa essere risolto dalla sola mozione presentata dal gruppo della Lega Nord Padania. Al contrario, si tratta, da una parte, di salvare questi principi di fondo della nostra convivenza civile e quindi puntare ad un'effettiva integrazione degli studenti stranieri, dall'altra di trovare le forme perché questo possa realizzarsi.
In primo luogo, si tratta di puntare a un maggiore finanziamento delle risorse destinate al Fondo per l'inclusione sociale degli immigrati previsto al comma 1267 della legge del 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria per il 2007), al fine prima di tutto di potenziare la figura professionale del mediatore culturale, il cui intervento dovrà essere obbligatorio nelle scuole di ogni ordine e grado dove risulti la presenza di studenti stranieri. Questo è il primo punto importante. In effetti, nelle scuole italiane, a differenza di quello che succede in altre scuole europee, non ci sono mediatori culturali, cioè persone che abbiano fatto studi e pratiche necessarie per affrontare i problemi che nascono dalla presenza di studenti stranieri, il cui numero è notevole dal punto vista quantitativo, sebbene bisogna anche ricordare che alcuni studenti stranieri sono già integrati e frequentano le scuole di secondo grado o addirittura l'università.
Il secondo punto riguarda l'organico dei docenti. È, infatti, importante che dove ci sono studenti stranieri il numero di studenti in ogni classe sia minore in modo da favorire meglio questa integrazione e permettere ai docenti di intervenire efficacemente sui problemi di lingua come su altri problemi culturali o di comportamento che possono nascere dalla presenza di una sempre più ampia società multietnica.
Inoltre, a mio avviso, occorre che lo Stato collabori con gli enti locali in quanto questi ultimi possono svolgere un'opera positiva ai fini di questa integrazione. A me risulta che già esistono degli esperimenti in questa direzione svolti in molte scuole dell'Italia del centro e del nord. Abbiamo davanti l'occasione per intervenire in uno dei campi più importanti e più significativi, senza nascondere il problema e senza fare finta che i problemi non esistano, ma invece cercando di intervenire in modo efficace.
Riteniamo necessario sia l'intervento dei mediatori culturali, sia quello volto a fare sì che il numero dei docenti, in molte scuole, sia adeguato alle particolari esigenze di questa situazione, sia l'intervento diretto a valorizzare il riconoscimento dei titoli di studio non europei, in maniera tale che si favorisca la libertà degli stranieri che in futuro arriveranno in Italia dopo aver compiuto i propri studi in altri Paesi.
Poiché apparteniamo ad un Paese democratico, con una Costituzione repubblicana coerente sia con la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo sia con la Convenzione per i diritti dell'infanzia sia con un atteggiamento aperto nei confronti di chi vuole vivere in Italia, dobbiamo svolgere un'opera positiva piuttosto che negativa o repressiva o separativa tra italiani e stranieri, in modo che si possa cominciare a realizzare l'integrazione e fare in modo che la società italiana cresca in modo più armonico, evitando che contrasti o discriminazioni possano generare quei frutti negativi che costituirebbero una strada assolutamente contraria al nostro ordinamento.
Noi sosteniamo pertanto una mozione che affronta il problema e cerca di predisporre le risorse necessarie affinché lo stesso possa essere affrontato. Mettiamo da parte qualunque discriminazione e ci battiamo affinché chi arrivi in Italia e voglia studiare almeno fino ai diciotto anni - è un altro punto per cui noi ci battiamo, proseguendo la politica iniziata dall'attuale maggioranza - possa effettivamente diventare, a poco a poco, cittadino italiano.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Frias, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00166. Ne ha facoltà.
MERCEDES LOURDES FRIAS. Signor Presidente, penso che nessuno qui stasera - nessuno di noi lo ha fatto - neghi che vi siano dei problemi da risolvere per Pag. 66quanto riguarda l'inserimento dei figli di immigrati nelle scuole.
L'onorevole Gibelli ha parlato di polemiche, facendo riferimento alla nostra proposta. Non ci sono posizioni neutre quando si tratta di persone, di bambine e bambini, di scuole e di istituzioni. Possiamo concordare nell'analisi del problema fino ad un certo punto, però la lettura che ognuno di noi offre di tali problemi riflette la propria ideologia: non sono ideologici solo gli altri. Soprattutto le risposte che noi diamo ed il modo in cui ci attrezziamo a dare quelle risposte esprimono la cultura, anche quella politica, che noi abbiamo. La proposta che sto per illustrare riflette il nostro pensiero per quanto riguarda l'inserimento dei ragazzi stranieri nella scuola, e non è soltanto riferita alla scuola ma all'intera società.
Desidero far notare che probabilmente si è verificato un errore di battitura nel testo della mozione Gibelli ed altri n. 1-00024 nella parte in cui si fa riferimento alla crescita di alunni stranieri registrata nell'anno scolastico 2005-2006, che non è, a mio avviso, pari a 500 mila studenti. Quest'ultimo è il numero complessivo cui si è arrivati e rappresenta effettivamente il 5 per cento della popolazione scolare, così come gli immigrati in Italia rappresentano il 5 per cento della popolazione totale.
La distribuzione territoriale per cui in alcune zone ci sono più bambini stranieri, rispetto ad altre, riflette anch'essa la distribuzione della popolazione immigrata, che - lo voglio dire - è costituita da lavoratori e lavoratrici che contribuiscono all'economia nazionale e allo sviluppo delle imprese (stiamo parlando dei figli dei lavoratori). Poiché non stiamo parlando soltanto di «braccia», esiste anche il diritto alla riunione familiare e, considerato che si tratta di una popolazione demograficamente in età produttiva (e di conseguenza anche in quella riproduttiva), c'è il diritto alla riunione familiare e dunque anche quello allo studio per gli studenti che fanno parte di tali famiglie.
Ma non è soltanto una dichiarazione di principio sull'eguaglianza estesa a tutti. Penso che anche le modalità con le quali si arriva a declinare questo diritto facciano la differenza determinando gli sviluppi successivi. Affermo questo perché decidere una politica che potremmo definire di quarantena - come accadeva a Ellis Island negli Stati Uniti dove gli emigranti (anche tanti italiani), quando arrivavano, venivano disinfettati in un certo modo - desiderare che si faccia una politica simile per quanto riguarda i ragazzi è sbagliato sia per i ragazzi stranieri sia per i ragazzi italiani che sono nelle scuole. Penso che sia un fatto particolarmente delicato e grave attribuire ai ragazzini stranieri, come è stato fatto qui oggi, la responsabilità dell'insuccesso scolastico delle classi e dei figli degli italiani perché ciò equivale ad identificare i minorenni stranieri come capro espiatorio, quasi si dicesse: «Per colpa vostra, i nostri figli non vanno avanti».
Ci sono alcune questioni che è importante sottolineare alla luce del vigore della Dichiarazione dei diritti del fanciullo, della Convenzione internazionale sui diritti del fanciullo, di raccomandazioni e direttive europee nonché della legislazione nazionale che ha recepito sia la Convenzione sia le direttive europee in materia. Anche la normativa sull'immigrazione e anche la modifica introdotta dalla legge Bossi-Fini non hanno modificato la procedura di ingresso dei ragazzi nella scuola. Infatti si è verificato nel corso degli anni che questo è il percorso logico da seguire, cioè rispettare che i ragazzi entrino in qualsiasi momento dell'anno. Il problema, infatti, non si può ricondurre alla responsabilità dei genitori di questi ragazzi ma è collegato alle modalità di rilascio del visto da parte dell'autorità consolare: su ciò possiamo chiedere al Governo di intervenire ma non si possono lasciare i ragazzi a scuola perché arrivano dopo. Comprendiamo che si crea una situazione di difficoltà quando arrivano, ma vediamo però di affrontarla in modo adeguato.
Mettere in correlazione la presenza e il numero degli alunni immigrati con il rendimento, con il profitto scolastico dei figli dei nativi è un'operazione scientificamente sbagliata. Dico «scientificamente» perché Pag. 67sono stato citate delle ricerche per affermare questo. È sbagliato scientificamente perché la complessità del fenomeno non consente che tale circostanza sia validamente presa come variabile fissa. Ciò non può essere; si tratta piuttosto di un ragionamento culturalmente classista. Penso che il dato politico importante consista proprio in questo aspetto, con la conseguenza di condurre, anche se non vogliamo sentire tale parola, ad una politica di apartheid.
Voglio citare Jacques Derrida che, parlando dello straniero, diceva: «È uno che pone una domanda». Quindi: è uno che rende evidente le crepe del sistema, è uno che mette in luce le inadeguatezze. Ecco, penso che la presenza di ragazzi stranieri faccia questo, riveli quanto inadeguato sia, non soltanto per gli stranieri ma anche e soprattutto per i nativi, il sistema complessivamente.
Allora, come ci attrezziamo per dare risposta a tale domanda, posta da questa popolazione? Penso che dagli strumenti usati dipenda il successo, dipenda il risultato delle decisioni prese. L'Italia è riuscita ad affrontare la questione delle differenze dentro le classi in un modo ottimo negli anni. Penso che oggi nessuno, ad esempio, si sognerebbe di prendere i ragazzini portatori di handicap e metterli, anche transitoriamente, in una classe separata per evitare che arretrino quelli che non hanno tali problemi: questo non si fa. La scuola si è attrezzata, attraverso l'insegnante di sostegno, attraverso l'abbattimento delle barriere architettoniche. Ha trovato lo strumento per l'inserimento dignitoso di questi ragazzi, che non funziona, che va potenziato, certo, però così si è intervenuti. Penso che nessuno possa dire di essere stato penalizzato per il fatto che nella classe dove è cresciuto c'erano ragazzini portatori di handicap.
Si tratta di un parallelismo improprio, ma necessario. Un discorso analogo si può riferire agli alunni stranieri, i quali, non portatori di handicap né analfabeti, sono invece portatori di differenti competenze linguistiche, il che è cosa diversa!
Scientificamente è stato dimostrato che la seconda lingua si impara soprattutto con la socializzazione tra pari. In questo caso, pertanto, è importante che vi sia un programma di formazione dell'insegnante all'insegnamento dell'italiano come seconda lingua - non un programma di alfabetizzazione ma, ripeto, di insegnamento dell'italiano come seconda lingua! - e che vi sia, soprattutto, lo spazio per la socializzazione tra pari! Se invece si mettono insieme in una classe transitoria alunni tutti diversi, che sanno l'italiano approssimativamente e che comunicano tra loro in una lingua comune, quale sviluppo linguistico conosceranno? Lo sviluppo linguistico avviene attraverso il rapporto e il lavoro costante e quotidiano, nonché attraverso l'insegnamento delle varie materie nella lingua del paese in cui si è arrivati.
Vi è un'ulteriore questione: lei diceva, nel suo intervento, che bisogna dimostrare la volontà di integrarsi. Io credo, tuttavia, che non si possa dare una tale responsabilità ai ragazzi e che non occorra dimostrare niente, perché è nell'interesse di ognuno la possibilità di accedere all'istruzione, che è un diritto, ma che è, soprattutto, uno strumento che lo Stato mette a disposizione di tutti.
Dunque, l'esperienza di altri Paesi - l'Italia, infatti, giunge per ultima ad interessarsi della questione - ci dice che la politica dell'«eternamente ospite» penalizza, alla lunga. Esistono Paesi dove la terza generazione di immigrati compie un atto di regressione alla cultura di origine, dei nonni, per questo sistematico rifiuto indotto attraverso misure come quelle che state proponendo. Dobbiamo evitare che ciò accada!
Vi sono alcune società, ad esempio la Francia, dove esistono queste classi di inserimento transitorio e dove però il destino di questi ragazzi si determina per sempre! In questo modo si creano cittadini di serie B, che imparano subito qual è il ruolo che la società attribuisce loro, cosa dovranno fare da grandi e nei quali, Pag. 68soprattutto, si crea e si annida il risentimento nei confronti di una società che li tratta in questa maniera.
Per tale motivo proponiamo che il Governo destini maggiori risorse alla formazione dei docenti - insisto sul punto - all'insegnamento della lingua italiana come seconda lingua; che sviluppi una politica volta, soprattutto, ad evitare o fermare l'abbandono scolastico da parte dei figli e delle figlie degli immigrati (molto elevato rispetto agli italiani, anche per mancanza di risposte); che inoltre si predisponga a fornire risposte in ordine al rapporto tra la scuola e le famiglie. Riteniamo, infatti, che avere i figli a scuola sia uno strumento importante di integrazione, perché obbliga i genitori ad entrare, in qualche modo, in contatto con la società complessivamente intesa ed anche, in particolare, con le istituzioni.
Chiediamo, inoltre, che il Governo faccia in modo che le ambasciate rilascino i visti affinché i ricongiungimenti familiari possano avvenire prima dell'inizio dell'anno scolastico, perché essere inseriti ad anno avanzato è un problema, soprattutto all'inizio, per questi ragazzi, i quali già arrivano disorientati e, poi, vengono inseriti in questo modo. Siamo pertanto noi, semmai, che dobbiamo attrezzarci per dare altre risposte!
Termino il mio intervento con una citazione tratta dal libro L'educazione interculturale di Elisabetta Nigris, la quale parte da una considerazione della professoressa Chini (che fa riferimento specificamente a tale questione). L'insegnamento della lingua 2 deve assecondare il processo e l'ordine naturale dell'acquisizione, ponendo un buon input - e per input si intende lo spazio della socializzazione tra pari - in lingua 2, ricco e comprensibile, cercando le condizioni che favoriscano l'abbassamento del filtro effettivo e l'instaurarsi di scambi comunicativi reali e significativi, senza escludere riflessioni grammaticali e metalinguistiche.
Non si tratta di «multiculturalismo del cous cous» o del «raccontiamoci le fiabe»; si tratta piuttosto di riconoscere pari opportunità ed evitare ulteriori discriminazioni. I ragazzi imparano stando con gli altri ragazzi e si devono fornire strumenti e formazione agli insegnanti affinché possano svolgere il lavoro al quale sono chiamati. In tal modo, quello che sembra un problema insormontabile può diventare una risorsa, che va a beneficio non soltanto dei ragazzi stranieri ma del sistema scolastico complessivo (Applausi dei deputati dei gruppi Rifondazione Comunista-Sinistra Europea e L'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Froner, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00167. Ne ha facoltà.
LAURA FRONER. Signor Presidente, alcune delle considerazioni che mi accingo a svolgere sono già state illustrate, in particolare, dalla collega Mercedes Lourdes Frias che mi ha preceduto. Tuttavia, mi preme puntualizzare, in particolare, alcuni passaggi. L'integrazione degli stranieri nel nostro tessuto sociale ed economico è un obiettivo cruciale sul quale è necessario impegnarsi con grande forza ed onestà di intenti, cercando di dare peso alla gravità del problema e non alle posizioni di parte o alla strumentalizzazione politica.
Un'integrazione che abbia come primo delicato terreno di confronto la scuola - perché partendo dalla prima formazione, in particolare, possono essere costruite le condizioni per una integrazione fondata sul reciproco rispetto - e che abbia come obiettivi primari la valorizzazione di potenzialità umane, quelle degli stranieri, indispensabili per ridurre gli squilibri generazionali tra popolazione giovane e anziana è la risposta ad una domanda di manodopera essenziale per dare fiato alle nostre imprese e alla nostra economia. Si tratta, quindi, di promuovere un'azione organica che coinvolga tutti i soggetti interessati: gli alunni, in primo luogo, ma anche i genitori, gli insegnanti e tutti i soggetti che concorrono a fare della nostra scuola la struttura portante della formazione dei futuri cittadini che provengono da altre nazionalità. Tale azione deve evitare rischi quali la creazione di una Pag. 69sorta di classi differenziali destinata a formare cittadini di serie B anziché realmente partecipi della vita nazionale, tali che condividano con pienezza i diritti e i doveri che formano in modo inscindibile il concetto di cittadinanza.
Proprio per questa esigenza di massima attenzione, mi preoccupano due punti della proposta dell'onorevole Gibelli con riguardo all'accesso degli stranieri alla scuola. Mi riferisco, in particolare, alla proposta di rivedere il sistema di accesso degli studenti stranieri alla scuola dell'obbligo, autorizzando il loro ingresso previo superamento di test e specifiche prove di valutazione. Faccio riferimento, altresì, all'istituzione di classi di inserimento temporaneo che consentano agli studenti stranieri che non superano tali prove e test di frequentare corsi di apprendimento della lingua italiana e gli insegnamenti di base previsti dai vigenti programmi scolastici, preparatori e propedeutici all'ingresso nelle classi permanenti. È evidente che queste due disposizioni prefigurano un doppio regime di cittadinanza che finirebbe con l'accentuare le discriminazioni ed i conflitti, anziché prevenirli ed evitarli.
Pertanto, la strada da intraprendere è diversa. Ciò è quanto si è voluto fare con un'apposita mozione, che affronta il problema dell'integrazione e della formazione linguistica in modo più sereno e, soprattutto, proteso a realizzare le condizioni essenziali per dare ad una società sempre più multietnica quei caratteri di apertura, responsabilità e rispetto reciproco di cui l'Italia di oggi, e soprattutto quella del futuro, ha assoluto e urgente bisogno.
La mozione che mi appresto ad illustrare sottolinea un dato di fatto incontrovertibile, come è già stato ricordato, cioè che la presenza di alunni stranieri, seppure in percentuale inferiore a quella di altri Paesi, è un dato strutturale del nostro sistema scolastico ed è in progressivo aumento.
Si calcola che, nel corrente anno scolastico, il numero di allievi non italiani si avvicini a 500 mila, con un'incidenza di circa il 5 per cento della popolazione scolastica complessiva.
Alla luce di questi dati occorre richiamare l'attenzione su due caratteristiche proprie della situazione italiana. La prima è che la presenza di alunni stranieri è molto disomogenea e differenziata sul territorio nazionale. Si va dalle percentuali più consistenti riscontrate in Emilia Romagna (circa il 10 per cento), nella Lombardia (circa l'8 per cento), nel Veneto e nelle Marche, fino alla percentuale minima della Campania che si avvicina all'1 per cento.
L'area geografica del Paese con l'incidenza maggiore è, come sappiamo, il nord-est con l'8,4 per cento. Per quanto riguarda la provenienza degli alunni stranieri, si registra una molteplicità di cittadinanze: ne contiamo 191 su 194 Stati, con un aumento significativo dell'incidenza di quelle dei paesi dell'est europeo.
La seconda caratteristica è la rapidità del cambiamento e la mobilità delle varie cittadinanze sul nostro territorio che portano a situazioni di concentrazione di alunni stranieri in singole scuole o territori, fenomeno di fronte al quale si pone il problema di un'equilibrata distribuzione delle presenze, raggiungibile, però, attraverso un'intesa fra scuole e reti di scuole, in collaborazione con gli enti locali.
La costruzione di reti e coordinamenti è utile anche per la costruzione di un'offerta formativa che riduca le disuguaglianze ed i rischi di esclusione.
È, inoltre, opportuno ricordare che fin dal principio l'Italia ha scelto la piena integrazione di tutti nella scuola, ivi compresi i minori stranieri presenti nel territorio dello Stato, attraverso lo strumento dell'educazione interculturale per la cui realizzazione sono necessari specifici interventi per l'apprendimento della lingua, per l'adeguamento dei programmi, per la formulazione di contenuti e stili educativi interculturali, per il ricorso ai mediatori linguistici e culturali, in caso di necessità, nell'ambito di un'adeguata programmazione.
In tale quadro non vi è dubbio che il problema dell'inserimento linguistico rappresenti il nodo primario, seppure non l'unico, dinanzi al crescere delle classi Pag. 70multietniche. A tale proposito, le risorse alle quali i singoli istituti scolastici possono ricorrere per i servizi di mediazione linguistico-culturale sono regionali e vengono trasferite ai comuni su richiesta e consultandosi con i dirigenti scolastici del territorio.
L'educazione interculturale, inoltre, con particolare riguardo alla didattica dell'italiano come lingua seconda, richiede indubbiamente una continua crescita professionale di tutto il personale della scuola.
Ricordo, infine, che la sistematizzazione degli interventi per una coerente opera di inserimento nel sistema scolastico di alunni di provenienza straniera è offerta dalle linee guida per l'accoglienza e l'integrazione degli alunni stranieri del 1o marzo del 2006.
La nostra mozione, quindi, impegna il Governo, in primo luogo, a investire risorse dedicate di personale docente, utilizzando gli insegnanti che in gran parte sono già stati formati per l'insegnamento di italiano come seconda lingua. Ciò potrà avvenire, sia distaccandoli, in parte o totalmente, dagli alunni e dall'orario di insegnamento nella propria classe, sia trasformandoli in insegnanti facilitatori linguistici e di integrazione all'interno del proprio istituto o in coordinamenti di scuole, di reti, come dicevo prima, utilizzando e stimolando la formazione di reti ed il coordinamento di più istituzioni scolastiche presenti su uno stesso territorio.
In secondo luogo, la nostra mozione impegna il Governo a prevedere, nella prossima legge finanziaria, stanziamenti aggiuntivi per la formazione diffusa di dirigenti scolastici e di insegnanti, finalizzati a promuovere ulteriormente l'educazione interculturale ed in particolare la possibilità di disporre di risorse di personale dedicato per la facilitazione linguistica e l'integrazione, soprattutto in quei contesti, a cui si è fatto riferimento in più testi di mozione, a forte concentrazione di alunni stranieri (Applausi dei deputati del gruppo L'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Paoletti Tangheroni, che illustrerà anche la mozione Bertolini n. 1-00168, di cui è cofirmataria. Ne ha facoltà.
PATRIZIA PAOLETTI TANGHERONI. Signor Presidente, stiamo affrontando un tema estremamente delicato che si inserisce nella grande scommessa che ci accingiamo a compiere: quella sull'integrazione culturale. Molto correttamente la collega Frias ha spiegato che, se ci troviamo a parlare di tale argomento, è perché questa situazione costituisce un problema da affrontare. Ringrazio la collega per la chiarezza, perché è vero: esistono situazioni che pongono diversi problemi.
Credo anch'io che vi sia un refuso nella mozione Gibelli: come notava anche la collega Frias, non vi è stato un aumento di 500 mila ragazzi in un anno. Tuttavia, è vero che, dal 1996 al 2006, siamo passati da 50 mila a 500 mila ragazzi stranieri: ragazzi che, peraltro, provengono da 191 Paesi diversi, con realtà, esigenze e situazioni che non sono omologabili. Ciò complica il problema, poiché non si possono fornire risposte standardizzate.
Quel che è certo è che non possiamo far finta di non vedere il problema che si determina quando in una classe di insegnanti, che non è attrezzata, vi sono quattro o cinque bambini che non sanno parlare italiano. In tale caso, l'insegnante si trova a dover affrontare la problematica, mentre fornisce il servizio per il quale - non dimentichiamolo - paghiamo le tasse (poiché si pagano le tasse per fornire un servizio ai ragazzi, siano essi stranieri o no, in quanto la legge prevede l'obbligo di formazione): le difficoltà di questi insegnanti non sono certamente trascurabili.
È anche vero che questi bambini, per integrarsi devono apprendere la nostra lingua e la nostra cultura, con serenità e senza essere ghettizzati. Se è vero che le classi differenziali con un percorso fisso, a parte, discriminano e ghettizzano, è anche vero che partecipare ad una classe senza comprendere e senza capire toglie sicurezza: anche questa è una forma di ghettizzazione molto pericolosa, tanto più in Pag. 71una situazione di crisi della scuola che ci costringe ad assistere ogni giorno (questo è un problema che affronteremo certamente in un'altra sede) a fenomeni di bullismo e di discriminazione. Tali fenomeni potrebbero, infatti, verificarsi proprio ai danni di questi bambini che si troverebbero in una situazione di fatto discriminata. Il problema deve, dunque, essere affrontato anche da questo punto di vista.
Diceva la carissima collega Frias che, alla fine, ciascuno ha la propria ideologia; a tale riguardo, credo che non bisogna cadere nella tentazione di ideologizzare un problema che può non essere ideologizzato, poiché abbiamo a disposizione un faro che ci guida nelle scelte migliori per i bambini e per le loro famiglie. Dunque - dice giustamente Frias - non si deve attribuire ai bambini e ai ragazzi stranieri la responsabilità di rallentare le lezioni. Ciò è verissimo: però, vi è il problema che veramente le lezioni vengono rallentate, il percorso didattico non scorre fluidamente per nessuno, e si rischiano discriminazioni proprio per quei bambini che non hanno gli strumenti di base.
Bisogna dunque rispondere a questa effettiva difficoltà: certamente la risposta non va cercata nella burocratizzazione del fenomeno di integrazione. Non credo che la figura del mediatore culturale nelle scuole sia una risposta: può esserlo in casi estremi; ma preferirei percorrere, se possibile, la strada di offrire ai tre soggetti che entrano in gioco in questo fenomeno di integrazione - gli allievi, le loro famiglie e gli insegnanti - gli strumenti per la mediazione culturale, e non formare una figura «altra», poiché, altrimenti, non si declina mai una vera integrazione culturale.
Essa deve entrare a far parte della professionalità degli insegnanti, delle risorse e delle possibilità dei genitori e, soprattutto, deve diventare una prassi scontata per il ragazzo che viene integrato e che si ritrova così al proprio fianco genitori in grado di comprendere i suoi problemi ed insegnanti che ne hanno la capacità.
La nostra mozione, quindi, intende riconoscere il valore da attribuire alle famiglie e agli insegnanti in qualità di veri mediatori culturali, di assistenza alla mediazione culturale, la quale deve realizzarsi nelle famiglie.
Perciò, crediamo si debbano prevedere appositi corsi di sostegno anche per le famiglie; a tal riguardo, quando suggeriamo nella nostra mozione di favorire i processi di integrazione, non proponiamo soltanto di limitarsi ai percorsi scolastici intesi come classi frequentate dagli allievi, ma anche di sostenere le famiglie e, soprattutto, di aiutare gli insegnanti a svolgere il loro ruolo di mediazione e di facilitazione alla socializzazione in senso lato.
Se la socializzazione deve avvenire tra bambini di culture e mondi diversi, è evidente che la loro diventa, precipuamente, un'azione di mediazione culturale.
Desidero, però, richiamare l'attenzione dell'Assemblea sul soggetto «allievo», il quale non domanda di meglio che di integrarsi il prima possibile, ma per farlo deve disporre di alcuni strumenti di base, in primo luogo la lingua.
Quindi, non pensiamo a percorsi, a classi differenziali, ma certamente occorre prevedere corsi integrativi, corsi transitori di inserimento forti, nei quali si abbia la certezza che non avvenga quel fenomeno di discriminazione per cui, all'origine, si orienta il ragazzo che proviene da lontano a certi mestieri e professioni.
Ma credo che, se l'insegnante è preparato e, soprattutto, se i genitori sono messi nelle condizioni di verificare quanto viene proposto ed insegnato ai ragazzi, questo pericolo possa essere scongiurato.
Mi ero preparata alcuni dati, ma non intendo annoiare l'Assemblea con la lettura di statistiche che pure sono interessanti, perché forniscono, soprattutto, raffronti con altri Paesi che hanno tentato l'integrazione culturale, ma che certamente non rappresentano modelli per noi.
La Francia, ad esempio, non ha vinto la scommessa dell'integrazione culturale, come abbiamo visto, e non l'ha vinta Pag. 72neppure l'Inghilterra, che aveva tutto un altro meccanismo di integrazione culturale.
La Francia, infatti, aveva «ghettizzato» (se mi si passa il termine nel suo senso migliore), aveva isolato, mentre l'Inghilterra aveva delegato, adottando un modello del tipo: «fate quello che volete, io mi riferisco a un vostro capo, ad un vostro referente, poi all'interno di ciò fate come volete», assicurando quindi una assoluta libertà all'interno delle strutture, ma ugualmente, questo modello non ha funzionato.
Credo, allora, che dobbiamo individuare una via diversa, ed è una via che passa attraverso l'integrazione non solo dei bambini, ma di tutti i soggetti implicati, e quindi, ripeto, le famiglie.
Se espropriamo le famiglie della funzione principale di mediare per i loro bambini con il mondo esterno, attraverso le figure burocratiche di mediatori culturali rappresentate da dipendenti, da personale docente o non docente, se espropriamo, inoltre, l'insegnante del suo ruolo di favorire la socializzazione all'interno della classe, rischieremo di perdere questa scommessa che è molto importante e che non possiamo permetterci di perdere.
Credo che, al di là della lettera delle mozioni presentate - e mi rivolgo al Governo -, si debba prendere in considerazione l'intenzione di affrontare il problema con lo scopo di risolverlo.
Allora, cerchiamo di valutare un'opportuna distribuzione delle risorse esistenti nel mondo della scuola per scongiurare i rischi che potrebbero derivare da un'allocazione negativa delle stesse (essa si pone all'origine dell'integrazione nel mondo dei ragazzi), perché ciò può rappresentare veramente un danno gravissimo che non ci possiamo permettere.
Allochiamole bene, sin da ora, cercando di capire quali sono le scelte migliori per i ragazzi, per la loro reale integrazione, mettendo da parte i timori - non mi riferisco a nessuno, ma questo è il rischio - ed i pregiudizi che potrebbero essere ideologici, ponendo al centro delle nostre scelte il bene dei ragazzi e, soprattutto, individuando in essi la possibilità di scongiurare la xenofobia, nonché i fenomeni di rifiuto, vincendo così la grande scommessa rappresentata da un'integrazione che può verificarsi solo se vi è serenità fra tutte le parti coinvolte.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Sasso. Ne ha facoltà.
ALBA SASSO. Signor Presidente, riprendo alcuni dei temi che le colleghe che mi hanno preceduto hanno già illustrato, partendo dalla considerazione che, negli ultimi anni, si è registrato un aumento consistente di alunni stranieri. Nell'ultimo anno scolastico si riscontra la cifra di circa 500 mila, mentre nella maggior parte dei paesi dell'Unione europea la percentuale della popolazione straniera varia dal 2 al 9 per cento. Questa forte crescita ha riguardato in Italia soprattutto la scuola materna e la scuola elementare e, per quanto riguarda la distribuzione geografica, particolarmente le regioni del centro-nord.
Vi è stato anche un cambio di presenza degli immigrati: vi sono sempre più figli di immigrati che nascono in Italia e che contribuiscono anche alla crescita demografica italiana. Inoltre, vi sono numerosi ricongiungimenti familiari e, quindi, si determina quel fenomeno che si può definire radicamento dell'immigrazione: si passa da un'immigrazione a tempo, a scopo determinato, per motivi lavorativi, per esempio, ad una che si pone l'obiettivo dell'insediamento delle famiglie migranti in Italia. Questo aspetto, lo sostenevo prima, determina un forte aumento del numero dei bambini figli di migranti che sono distribuiti - lo ricordavano già alcune colleghe - con percentuali assai differenti nel nostro Paese. Vi è una presenza più significativa nelle regioni economicamente più sviluppate, dotate di un mercato del lavoro più ricettivo, come l'Emilia-Romagna, l'Umbria, le Marche, la Lombardia e il Veneto, mentre agli ultimi posti si attestano regioni come la Puglia, la Calabria e la Sicilia, ossia i luoghi dello sbarco e del transito.Pag. 73
La scuola italiana, sin dall'inizio, ha saputo accogliere bambini stranieri e ha saputo riflettere sui temi dell'intercultura. Esperienze assai significative si sono diffuse sul territorio e si sono realizzate nel tempo anche con l'aiuto di avvertiti enti locali e con l'iniziativa di singole scuole. Tuttavia, l'impegno generoso della scuola o dei singoli non basta!
La scuola italiana - permettetemi questo giudizio - è sempre straordinaria nell'emergenza. I problemi cominciano quando occorre dare qualche elemento di stabilità normativa, di risorse, di completezza giuridica rispetto ai compiti da svolgere.
Allora, vorrei ricordare che nel corso di questi anni - lo ribadisco anche al collega Gibelli e agli altri colleghi che sono intervenuti - la scuola italiana su questo terreno non parte da zero. Già ha dato e ha fatto molto, utilizzando strumenti di vario tipo, per esempio l'insegnamento dell'italiano come seconda lingua, ritenuta ovviamente una competenza essenziale per la comunicazione in primo luogo e anche come strumento di apprendimento per le nozioni.
Analogamente sono stati attivati corsi di formazione per i docenti, mentre per gli allievi sono stati creati laboratori linguistici e testi mirati in relazione alle lingue straniere più diffuse tra gli immigrati. Sono state inoltre individuate figure specifiche quali i mediatori linguistici e figure professionali capaci di dialogare con le famiglie e aiutare i ragazzi nella padronanza della lingua.
Purtroppo, lo dobbiamo dire, negli ultimi anni ci sono stati molti «tagli» rispetto a queste esperienze: sono stati tagliati risorse per i mediatori linguistici, in una delle leggi finanziarie dello scorso quinquennio, e sono stati tagliati i fondi all'autonomia scolastica, che è sempre stata lo strumento per articolare percorsi e per promuovere progetti. Pertanto, di fronte ad una situazione di ristrettezza, comincia a diventare pesante anche la situazione del rendimento scolastico per queste bambine e per questi bambini.
Molte sono le variabili che influenzano il rendimento scolastico. Non si tratta solo della mancata conoscenza della lingua. Il problema, infatti, è più complesso: si tratta di difficoltà di ordine economico, psicologico, affettivo. Si tratta anche, spesso, ed è stato ricordato, di atteggiamenti dei genitori oscillanti tra la voglia di radicarsi e la nostalgia della loro terra. Tutti questi elementi si proiettano sui bambini ed influenzano in maniera profonda il loro percorso di integrazione con i coetanei.
Lo ripeto, non si tratta solo di problemi didattici: la riuscita o il fallimento della scolarità dei bambini migranti riguarda anche aspetti psicologici ed affettivi. Per esempio, il «bambino altro» subisce inevitabilmente una maggiore attenzione da parte dei suoi coetanei, così come da parte degli adulti, e tutto questo lo fa sentire al centro di un'attenzione non sempre benevola. Percepisce la differenza, e su questa percezione imposta i pilastri della propria personalità e della propria appartenenza. La collega Mercedes Frias parlava della sindrome dell'eterno ospite.
Vi è anche qualcos'altro: spesso è problematico il passaggio delle comunicazioni dalla scuola alla famiglia. Ricordo, per amore di cronaca, che nella scorsa legislatura alcuni colleghi della Lega presentarono un'interrogazione sull'esperienza di una scuola di Lucca che aveva proposto di fornire le comunicazioni scuola-famiglia non sono in lingua italiana, ma anche nella lingua d'origine delle famiglie. Tale esperienza fu ritenuta sbagliata. Credo, invece, che si sia trattato di una proposta giusta, perché agire sui genitori, come ha ricordato la collega Paoletti Tangheroni, è molto importante per rendere più familiare ai ragazzi la nuova situazione in cui si trovano a vivere.
Devono imparare a conoscere la nuova scuola, le sue regole, la sua disciplina, devono imparare l'italiano per comunicare con gli altri, per giocare e per studiare: è una lingua non solo per parlare, ma anche per esprimere idee, concetti, astrazioni, una lingua per pensare.
Vogliamo renderci conto dell'enorme sforzo che questi bambini, questi ragazzi, Pag. 74queste famiglie compiono per cercare di inserire al meglio se stessi ed i propri figli nel contesto italiano, ma nel contempo per conservare la propria lingua e le tradizioni dei Paesi di provenienza? Ritengo sia necessario fare dei passi in avanti, o meglio fare dei passi diversi. Non si tratta solo della politica della scuola. Occorre affrontare il problema nella sua complessità, dalle politiche dell'emigrazione alle politiche sociali e alle politiche della giustizia, che devono avere tutte lo stesso obiettivo: l'uguaglianza delle opportunità, per gli individui e per le comunità, in modo che le differenze non si trasformino in disuguaglianze.
Un bellissimo rapporto europeo di qualche anno fa trattava proprio di questo: valorizzare le differenze, combattere le diseguaglianze.
Credo che la presenza di alunni stranieri, di figli di migranti, richieda anche uno sforzo di decentramento e di ripensamento dell'asse formativo della nostra scuola. Non possiamo limitarci a far calare la nostra cultura dall'alto su questi ragazzi. Vi è la necessità di rivedere i programmi, di ripensare gli spazi e i tempi, di connettere i percorsi formativi dei diversi ordini di scuola. Questo riguarda anche l'università, perché ci sono tanti figli di migranti che frequentano l'università e hanno bisogno di supporti per acquisire il possesso pieno della lingua, e via dicendo.
Si tratta allora di superare una situazione statica, multiculturale di fatto, a favore di un processo basato sull'incontro-confronto, sulla reciprocità, sul dialogo tra i valori proposti da persone diverse, prima ancora che da diverse culture. Stiamo ragionando sulla risposta a bisogni specifici di ragazze e ragazzi immigrati a scuola, ma stiamo facendo anche i conti con nuove esigenze di una società sempre più multietnica e multiculturale.
C'è bisogno di innovazione, diceva la collega Capitanio Santolini. C'è bisogno di considerare finita l'emergenza e di progettare interventi continuativi e specifici con investimenti in termini di risorse umane ed economiche, che rendano possibile, per esempio, la creazione, in tutte le scuole dell'obbligo, di laboratori di alfabetizzazione a più livelli per gli alunni non italofoni, gestiti da insegnanti formati e competenti, con il riconoscimento di distacchi orari in base alle effettive esigenze di ogni realtà scolastica. Ma tutto ciò potrà forse accadere nel momento in cui impareremo ad accogliere le differenze come parte necessaria della complessità, e a riconoscere che lo sguardo che diamo all'altro torna indietro e ci comunica qualcosa di nuovo anche su noi stessi. E dobbiamo sapere che non tutta la scuola accetta questa prospettiva educativa non basata sulla separazione o sulla giustapposizione, ma su reciprocità e convinzione profonda di molti, perché il problema non è tanto di preparare la scuola, ma di preparare la società.
Credo che oggi la sfida della multiculturalità sia sempre più complessa e difficile. La globalizzazione del pianeta accorcia le distanze, ma crea più paure e più arroccamenti e genera fondamentalismi, la paura dell'altro e la difesa della propria cultura. Bisogna sparigliare, sapere, pur nell'immediatezza dei problemi, che occorre lavorare in tempi lunghi, come per ogni questione che esige un cambio di mentalità.
Quello a cui non mi posso rassegnare - è un punto non negoziabile - è che l'integrazione possa avvenire per separazione. L'hanno provato in Francia: non ce la si fa! Anche l'idea di classi separate, in cui mettere insieme tutti i bambini che hanno difficoltà, non funziona; non ha funzionato neanche con l'inserimento dei bambini diversamente abili. In Italia abbiamo una scuola che è riuscita a fare progressi straordinari su questo terreno, nell'inserimento dei primi bambini «diversi» che sono entrati nella nostra scuola, e i nostri bambini hanno livelli di recupero di abilità strumentali enormi perché stanno insieme agli altri. È questo il messaggio che dobbiamo portare avanti: tenerli insieme, creando classi aperte, momenti in cui si lavora tutti insieme e Pag. 75momenti in cui si lavora per gruppi separati, rafforzando le competenze di alcuni, migliorando quelle di altri.
Non mi convince l'idea dello stare accanto come dei separati in casa.
PRESIDENTE. Onorevole Sasso, la prego di concludere.
ALBA SASSO. Concludo, signor Presidente. Non è in questa direzione che ha lavorato la scuola italiana in questi anni. A Mazara del Vallo, ad esempio, i bambini tunisini della scuola italiana incontrano anche la propria cultura e la propria religione. A Milano, con pazienza, gruppi di insegnanti ammorbidiscono le resistenze dei genitori migranti e la loro paura ad entrare nella scuola di un Paese che sembra respingere, e in alcuni casi respinge, la loro cultura.
La verità è che questa vicenda è la punta di un iceberg che parla di noi, del sapere della scuola spesso ad una dimensione, degli arroccamenti identitari, della paura di doversi confrontare ed esporsi alla conoscenza dell'altro da sé, della difficoltà di sapersi arricchire della cultura degli altri. Sono pensieri deboli? Non lo so, forse sono pensieri lungimiranti, perché costruire l'uguaglianza significa liberare le differenze, ed essere capaci di ascoltare domande e desideri significa saper progettare e costruire risposte insieme alla scuola, da parte della scuola: quelle che servono qui e ora, e quelle che possono servire per costruire il futuro (Applausi dei deputati dei gruppi Sinistra Democratica. Per il Socialismo europeo, L'Ulivo e Rifondazione Comunista-Sinistra Europea).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Frassinetti. Ne ha facoltà.
PAOLA FRASSINETTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, nell'annunciare che anche Alleanza Nazionale presenterà una mozione su questo argomento, è indubbio che la discussione di oggi è stata costruttiva e stimolante. È evidente che tutti i Paesi stanno cercando soluzioni, delineando e concretizzando specifiche politiche sociali, con l'obiettivo principale dell'integrazione piena degli immigrati, attraverso la previsione di diritti e di doveri, tanto per gli immigrati ma anche per la società che li accoglie.
In questo contesto il ruolo della scuola è strategico, come è stato detto da più parti. La scuola, nella sua funzione pubblica, è un soggetto qualificato proprio in quanto è nella scuola che si costruiscono i valori, è nella scuola che il bambino, il ragazzo ha il suo primo impatto con la socialità, è nella scuola che viene esplicato il percorso di crescita umano e culturale.
Sono dunque determinanti le attività che vengono svolte nelle scuole per costruire, condividere e dare delle regole comuni agli studenti stranieri. E ciò deve avvenire nella vita quotidiana, per indurli a conoscere le nostre regole e la nostra storia: la conoscenza di quest'ultima è molto importante, a mio avviso, perché il concetto di reciprocità, tanto oggi declamato, venga poi concretizzato. Non ci potrà mai essere inserimento senza la conoscenza della storia del Paese nel quale questi ragazzi sono ospitati, senza rispetto, senza cultura delle identità, un'identità aperta ma sempre un'identità di appartenenza.
Un inserimento positivo, quindi, all'interno di percorsi educativi e formativi di bambini e ragazzi di cittadinanza straniera, di cui però deve essere valutata la complessità. Va preso in considerazione il fattore numerico: esiste una profonda disomogeneità di concentrazione territoriale, questo è indubbio; esiste una frammentazione, è banale parlare senza analizzare le differenze etniche degli studenti stranieri che comportano quasi sempre la presenza contemporanea nelle classi di alunni provenienti da paesi di lingua e cultura profondamente diverse tra di loro. Un grande ostacolo, che va superato, è quello di un contesto linguistico spesso totalmente sconosciuto.
Dal rapporto pubblicato dal Ministero della pubblica istruzione nel dicembre 2006 intitolato «Alunni con cittadinanza non italiana - Scuole statali e non statali» Pag. 76risulta che nell'anno scolastico 2005-2006 gli alunni di cittadinanza non italiana erano 424.683, con un incremento rispetto all'anno precedente pari al 17,5 per cento. Per l'anno in corso 2006-2007 il numero stimato è di 485.706, mentre per il 2010-2011 se ne prevedono 747.678.
È inutile in questa sede continuare l'approfondimento sui numeri e sui dettagli tecnici, ma è importante, per avere una visione di insieme, sapere che le scuole con incidenza più elevata sono le elementari e che l'area del Paese con incidenza più elevata è sicuramente il nord-est.
La provincia con l'incidenza più elevata è quella di Mantova, e il comune capoluogo è quello di Milano. I dati ci segnalano una concentrazione di alunni stranieri nei singoli territori e, nell'ambito di questi territori, nelle singole scuole. La presenza di tali studenti è destinata ad aumentare sempre di più - è un dato indubbio - in considerazione del fatto che le donne straniere, come risulta dal recentissimo rapporto ISTAT del maggio 2007, hanno una propensione ad avere figli doppia rispetto a quelle italiane. Quindi i bambini di origine straniera che nascono in Italia rappresentano, ormai, quasi il 10 per cento del totale delle nascite.
Si tratta di dati sui quali confrontarci. Oltre alla presenza numerica degli alunni stranieri che frequentano la scuola, va considerato poi, come un ulteriore dato di complessità, il ritardo scolastico, inteso quale frequenza di una o più classi inferiori rispetto a quelle previste dall'età anagrafica. È evidente che l'inserimento di studenti che hanno altre età in classi per loro disomogenee può creare dei problemi anche per quanto riguarda lo spirito di aggregazione che viene a crearsi nelle classi stesse, soprattutto nelle scuole primarie. Tali dati dimostrano ancora di più quanto sia critico e delicato per l'intera classe, quindi anche per gli studenti italiani, il momento dell'ingresso di un alunno straniero nella scuola, soprattutto se è un adolescente e arriva ad anno scolastico già iniziato.
La presenza di alunni stranieri è un dato strutturale. Al di là di tanti discorsi fatti, delle buone pratiche e delle singole iniziative di integrazione da parte delle scuole, queste ultime appaiono sempre più sole. Si tratta, a mio avviso, di una grande preoccupazione che dovremmo avere. La scuola non va lasciata sola, l'autonomia non significa solitudine e troppo spesso, invece, le scuole vengono abbandonate, lasciate in solitudine. L'accoglienza deve essere un sistema dotato di strumenti, di risorse idonee messe a disposizione delle scuole, con una convergenza di diversi soggetti istituzionali, per evitare che vi sia un inserimento tout court, e venga così affievolito il diritto formativo di un'intera classe. Quindi è necessaria la tutela anche degli studenti italiani che hanno la volontà di raggiungere l'eccellenza e, nello stesso tempo, la tutela del diritto all'accoglienza.
Occorre, dunque, una fattiva interazione tra i soggetti istituzionali coinvolti, mirata alla predisposizione di misure finalizzate a dare indirizzi alle scuole, e un concreto appoggio con risorse aggiuntive e con un'assegnazione equilibrata delle stesse, tenendo conto della specificità territoriale.
L'intervento non può essere generalizzato, burocratizzato e centralizzato, ma bisogna tenere conto delle differenze territoriali e sostenere ed implementare la collaborazione dei centri territoriali permanenti dell'educazione degli adulti. Al riguardo vi è un appunto da muovere al Governo, in quanto l'articolo 1, comma 632, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria per il 2007), prevedeva la costituzione di tali centri territoriali permanenti: ogni provincia avrebbe dovuto avere un centro permanente in modo che anche gli studenti, soprattutto quelli in età adolescenziale, dai sedici anni in avanti, potessero insieme alle famiglie e agli adulti affinare il loro apprendimento della lingua. Ma a questa norma della legge finanziaria non è seguito da parte del Governo un effettivo impegno.
È quindi inutile, anche da parte della maggioranza, auspicare un impegno di risorse quando non si riesce nemmeno ad Pag. 77attuare le misure concrete introdotte pochi mesi fa dalla legge finanziaria. Questo è sicuramente un brutto modo di interpretare quella che è una procedura difficile, ma sicuramente necessaria, per cercare di inserire ragazzi più grandi, di oltre sedici anni, in corsi che dovrebbero avere un organico dedicato e organizzato, con una previsione di risorse integrate per la realizzazione di un sistema di corsi di italiano, propedeutici alla frequenza scolastica.
La lingua è importantissima, e deve essere insegnata sia per agganciare gli stranieri a un'identità e al rispetto delle nostre tradizioni, delle nostre leggi, della nostra storia, della nostra religione, sia per dare loro l'opportunità di accelerare i percorsi di apprendimento didattico all'interno della scuola.
Questo sicuramente è uno dei passaggi cruciali senza il quale non si potrà avere quella integrazione e quel salto di qualità del mondo della scuola. Senza un forte intervento, senza una decisiva volontà politica si continuerà solo a parlare di uguaglianza ma, nella realtà, si fabbricheranno solo ineguaglianze.
Speriamo che non sia così, ma osservando quello che il Governo ha realizzato in questi mesi non c'è da essere soddisfatti e neanche molto ottimisti per il futuro che ci aspetta (Applausi dei deputati dei gruppi Alleanza Nazionale e Forza Italia).
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
(Intervento del Governo)
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il sottosegretario di Stato per la pubblica istruzione, Maria Letizia De Torre.
MARIA LETIZIA DE TORRE, Sottosegretario di Stato per la pubblica istruzione. Signor Presidente, sono molto soddisfatta di questo momento di confronto che si è creato in Assemblea.
Alcuni mesi fa avevo proposto alla Commissione cultura di confrontarci sul problema degli alunni di origine non italiana. Ciò non è stato ancora possibile ma credo che l'attuale discussione sulle linee generali delle mozioni abbia risposto molto bene all'esigenza che il Governo ha - e io in particolare - di confrontarci per operare le scelte migliori.
Ci sarebbe molto da dire ma cercherò di impiegare pochi minuti per rispondere alle esigenze che avete espresso. Ritengo ciò un inizio per poi continuare su questa strada.
Quando abbiamo iniziato il lavoro, ormai un anno fa, abbiamo trovato un importantissimo documento del precedente Governo, datato 1o marzo 2006, le linee guida per l'integrazione degli alunni stranieri, che rimane, ancora oggi, il testo su cui ci rapportiamo per il nostro lavoro.
Insieme a ciò ci siamo resi conto che, come qualcuno di voi ha sottolineato, essendo ormai la presenza di alunni di origine non italiana strutturale nella scuola, non erano sufficienti (lo ha precisato l'onorevole Capitanio Santolini) le buone esperienze maturate nella scuola dell'autonomia. Occorreva che vi fosse un lavoro globale, occorreva che il Ministero svolgesse il suo compito strutturale di accompagnamento.
Questo è stato il lavoro a cui ci siamo dedicati nel corso di quest'anno. Lo abbiamo svolto istituendo immediatamente un osservatorio che ha un triplice compito: quello di avere un supporto scientifico con le migliori risorse del Paese; quello di avere un confronto con tutte le realtà che operano nel Paese; quello di mettere il Ministero e i ministeri in condizione di lavorare in rete.
I punti delle mozioni che voi avete illustrato sono, come è stato già precisato dall'onorevole Tranfaglia, per molti versi molto simili e anche questo mi sembra un aspetto positivo. Ho cercato di comporli in un quadro sinottico e ho trovato elementi simili. Quindi, brevemente, rispondendo alle vostre esigenze, cercherò di illustrare per titoli quello che stiamo facendo.Pag. 78
Tutte le mozioni, o quasi tutte, parlano di accoglienza, come di accoglienza si parla a fondo anche nelle linee guida del precedente Governo. Ritengo che questa sia una delle azioni più importanti, in quanto comporta che la presenza degli alunni stranieri nelle classi si realizzi in modo efficace.
Non credo che dobbiamo temere di aver espresso tale concetto in maniera diversa, perché raccontandovi l'esperienza di un comune italiano, precisamente Firenze, dimostrerò come, anche quanto espresso dalla Lega Nord sia utile. Il comune di Firenze ha, per le scuole dell'obbligo, cinque centri in città in cui confluiscono tutte le scuole dove i ragazzi imparano l'italiano quando arrivano, soprattutto quando arrivano in corso d'anno, sono adolescenti, e non conoscono la nostra lingua. Ovviamente essi vengono destinati alla loro classe, nel quartiere in cui abitano, nella loro scuola e poi, per un tempo che è definito dai test di ingresso linguistici, sono accompagnati in tali centri dove per un mese, due mesi, sei mesi (il periodo può essere anche prorogato), imparano la lingua italiana. Ritengo che ciò sia un elemento importante.
Analogamente, avete parlato dell'accoglienza delle famiglie: proprio alle famiglie il Ministro stesso ha dedicato gran parte del lavoro dei centri territoriali che adesso si stanno ristrutturando e che si impegneranno in modo particolare nell'apprendimento dell'italiano per i genitori o anche nell'apprendimento di cultura generale.
Qualcuno di voi, penso l'esponente di Forza Italia, ha parlato anche dell'importanza di recarsi nelle famiglie. Ebbene, anche questa iniziativa è avviata: il comune di Pordenone, ad esempio, attraverso personale pagato di un'associazione, di una cooperativa, accoglie gli alunni e manda nelle famiglie gli operatori, che fanno da mediatori non solo con la scuola, ma anche con la squadra di calcio, con le attività libere, con il quartiere. Anche questo è importante. Penso, quindi, che possano essere accolte tutte le osservazioni che sono state espresse in Assemblea riguardo all'importanza di un'accoglienza corretta e dell'apprendimento della lingua italiana.
Sicuramente occorrono risorse aggiuntive, come è stato detto in tutti i vostri interventi. Devo dire che, negli anni passati, sono stati formati, per l'insegnamento dell'italiano come seconda lingua, oltre 700 docenti, più di 300 dei quali hanno conseguito il titolo del corso, che si è svolto insieme alle università di Venezia, di Pisa e di Urbino. Gli altri docenti devono terminare il percorso per il conseguimento del titolo. Sarebbe importante, come ha detto l'onorevole Froner, che questi docenti potessero essere distaccati, per una parte o per la totalità del loro orario, per servire non solo la propria scuola, ma anche la rete delle scuole che afferisce all'istituto dove essi insegnano.
È assolutamente importante - e io lo prendo come un impegno dell'intero arco delle forze politiche per la prossima legge finanziaria - destinare una quota delle risorse al fine di svolgere sempre meglio il compito dell'insegnamento della lingua, perché, come ha detto l'onorevole Capitanio Santolini, occorre superare i livelli linguistici, che sono l'unica barriera che si frappone tra questi ragazzi ed i ragazzi nati in Italia. Certamente ci sono anche barriere della cultura di origine che ciascuno si porta dietro, ma ciò avviene anche nel nostro Paese. Penso, dunque, che ci dobbiamo dedicare in modo particolare a tale obiettivo.
In qualche mozione si chiede di accrescere il fondo per l'inclusione sociale: colgo l'occasione per dire che, come Ministero della pubblica istruzione, stiamo lavorando insieme al Ministero della solidarietà sociale ed abbiamo lavorato, proprio negli ultimi tempi, per dare un orientamento alla destinazione dei fondi che si attribuiscono agli enti locali.
Sono proprio gli enti locali che mettono a disposizione delle scuole i mediatori culturali. È vero quello che è stato detto: la scuola, oltre ad essere un'esperienza, deve pensare a trasmettere dei saperi, e Pag. 79quindi si farà carico dei mediatori linguistici, cioè del compito di oltrepassare la barriera linguistica.
Con riferimento all'aggiornamento del personale, concordo assolutamente con la sottolineatura dell'importanza dell'aggiornamento dei dirigenti scolastici. Il 17, il 18 e il 19 maggio è stato tenuto un corso di aggiornamento di tre giorni per i dirigenti scolastici che hanno alunni stranieri in misura superiore al 30 per cento. Avere molti alunni stranieri non è, di per sé, una difficoltà: molti dirigenti ci hanno detto che non incontrano particolari problemi, perché gli alunni sono figli di stranieri nati in Italia, che dunque conoscono benissimo la lingua. Ma una scuola multiculturale, come quella di oggi, richiede certamente nuove competenze, in modo particolare nei dirigenti, ma anche in tutti i docenti.
È stato da voi sottolineato, inoltre, che è bene coordinarsi con gli enti locali: sono assolutamente d'accordo e stiamo cercando di farlo. Per il prossimo autunno, è in cantiere un seminario - che terremo insieme con l'ANCI e con l'aiuto dell'Istituto degli innocenti di Firenze - sugli alunni stranieri, per vedere come scuole ed enti locali possano collaborare.
Si è molto parlato, poi, del modello ed è certamente importante che l'Italia, oltre ad aver scelto l'interculturalità, trovi un suo modello. In ottobre, si terrà un seminario a livello nazionale, ma di valenza europea, che metterà a confronto il nostro modello, che stiamo elaborando con l'aiuto del comitato scientifico, con quello degli altri Paesi europei. Ci sono stati, però, diversi convegni a Padova, a Rimini, a Milano, a Ragusa, che hanno già confrontato la nostra esperienza con quella francese, anzi con le esperienze francofone anche del Canada oltre che della Francia, con le esperienze inglesi e dell'Europa centrale. I risultati di questo lavoro verranno esposti nel seminario previsto per il prossimo autunno.
Sicuramente, affrontiamo problemi per la presenza di alunni che non conoscono l'italiano o appartengono da un'altra cultura. Da qualche tempo, arrivano in Italia anche ragazzi completamente analfabeti. Abbiamo, inoltre, il problema del riconoscimento dei titoli di studio, del ricongiungimento, come avete affermato, dei contenuti. Immaginate, ad esempio, i libri di geografia che non contengono i Paesi da cui questi ragazzi provengono. Il cantiere che si è messo in piedi, però, credo che ci dia speranze e la sicurezza di poter vincere questa sfida.
Vorrei chiudere dicendo che siamo convinti di due cose. La prima convinzione è che, anche se non vi fossero alunni stranieri nelle nostre scuole, anche se non vi fossero alunni immigrati, la scuola italiana sarebbe ugualmente, ed è, una scuola inserita in un mondo multiculturale. Inoltre, il compito della scuola italiana di trasformarsi e di saper formare ragazzi che sappiano «leggere» il mondo globalizzato di oggi e cogliere gli aspetti positivi del mondo globalizzato e interculturale, sarebbe ugualmente, ed è, un nostro compito.
L'altra convinzione viene anche dalle buone prassi, dagli studi che vengono condotti, da ultimo quello guidato dall'università cattolica di Milano, che attestano che non necessariamente una classe con alunni stranieri fa più fatica nell'apprendimento. E ciò vale anche per i ragazzi italiani. Occorrono, certamente, le condizioni, le buone prassi che voi avete indicato, ma diverse ricerche provano che la presenza di alunni stranieri, laddove ci sono buone prassi, è uno stimolo e che anche i ragazzi italiani apprendono meglio.
Siamo convinti, dunque, che l'occasione per la scuola italiana di passare dall'essere omogenea ad una scuola multiculturale sarà un'occasione per migliorare la nostra scuola, per tutti i ragazzi, anche per quelli italiani in Italia da sempre. Grazie, quindi, e spero che questo confronto possa continuare.
PRESIDENTE. Il seguito della discussione è rinviato a dopo l'esame del disegno di legge in materia di liberalizzazione. Sospendo brevemente la seduta, che riprenderà con l'esame del disegno di legge in materia di liberalizzazione.
Pag. 80La seduta, sospesa alle 16,55, è ripresa alle 17,20.
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE FAUSTO BERTINOTTI