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Svolgimento di interpellanze urgenti.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di interpellanze urgenti.
(Iniziative volte a monitorare la gestione dell'istituto dell'affido temporaneo da parte delle amministrazioni comunali - n. 2-00726)
PRESIDENTE. L'onorevole Pini ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00726, concernente iniziative volte a monitorare la gestione dell'istituto dell'affido temporaneo da parte delle amministrazioni comunali (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 1).
GIANLUCA PINI. Signor Presidente, signor Ministro, purtroppo oggi ci troviamo - lo dico senza retorica - di fronte ad un caso veramente odioso di pedofilia avvenuto nel comune di Forlì. Non vogliamo assolutamente scendere nei dettagli per non alimentare quel clima di voyerismo che c'è nel Paese quando accadono questi odiosissimi fatti. Però, il nostro ruolo ci impone di riflettere sui meccanismi dell'affido che vengono demandati ai comuni.
Ricostruiamo i fatti che sono citati in premessa. Il 1o settembre scorso i carabinieri del nucleo operativo provinciale di Forlì hanno proceduto all'arresto di un giovane, trentacinquenne, single, accusato di reati pedofilia.
Il reato sarebbe stato compiuto nei confronti di un bambino piccolissimo, di cinque anni, tra l'altro con una situazione familiare abbastanza difficile. Qualcuno si dovrebbe chiedere cosa ci facesse un bambino con una situazione familiare difficile in mano ad un single di trentacinque anni, che era già stato segnalato alle autorità competenti come molestatore di un altro ragazzo maggiorenne e disabile.
È normale porsi quella domanda e fare un'analisi su come vengono stabilite, nello specifico, nel comune di Forlì, le procedure per il rilascio sia degli affidi temporanei, sia degli affidi permanenti.
Dalle indagini è risultato che questa persona non solo è riuscita ad ottenere l'affido temporaneo del bambino compilando un semplicissimo questionario, senza che nessuno, psicologi o psichiatri, abbia tracciato un profilo di questa persona che chiedeva l'affido. Ciò che è veramente sconvolgente è che nel questionario compilato da questo pedofilo - perché di tale soggetto si tratta - questi abbia indicato chiaramente che voleva dei bambini piccoli e che voleva, anche se in affido temporaneo, tenerli la notte. A nessuno sono scattati i campanelli di allarme? Nessuno si è preso la briga di verificare se questa persona era obiettivamente in grado di badare ad un bambino e quali fossero le sue reali intenzioni. È gravissimo perché il meccanismo di affido che abbiamo verificato nel comune di Forlì è veramente dilettantesco.
Il problema è che non stiamo giocando, ma stiamo parlando di minori che spesso, se vengono dati in affido, hanno situazioni familiari molto difficili.
Lei sa benissimo, signor Ministro, che la legge che regola gli affidi ha un obiettivo ben chiaro: il diritto del minore ad una famiglia (lo sottolineo: una famiglia, non un single).Pag. 37
A questo proposito si potrebbe aprire un dibattito molto più ampio, ma lo evitiamo e cerchiamo di focalizzare l'intervento sull'episodio specifico che si è verificato nel comune di Forlì.
L'obiettivo di questa legge non è far sentire felici, per qualche ora, single o persone frustrati - che magari abusano di minori, come purtroppo è successo - bensì (lo leggo direttamente dal dispositivo della legge) riuscire a realizzare un compiuto recupero nella famiglia di origine, cioè superare le difficoltà che incontrano i minori che vengono dati in affido.
Invece, nel comune di Forlì accade che la sussidiarietà verticale troppo spinta ha creato una gestione molto allegra. Non ci sono più specialisti o medici che, prima di affidare i soggetti minori (o persone che, pur non essendo minori d'età, sono affette da disabilità psichica) alle famiglie o alle persone, ne tracciano un profilo psicologico. Si affidano - molto all'acqua di rose - ad una serie di associazioni di volontariato, che ricevono denaro dallo Stato per svolgere tale servizio, demandando loro la valutazione.
A lungo andare la questione si è incancrenita. All'inizio venivano tracciati tali profili psicologici (skill). Successivamente ciò non è più accaduto e ci si è accontentati semplicemente di ascoltare i responsabili di queste associazioni per sapere se le persone che avevano inoltrato richiesta fossero meritevoli o meno, eludendo tutte quelle garanzie a tutela dei minori, che devono essere assolutamente ripristinate, per lo meno nel comune di Forlì.
Signor Ministro, cerco di essere breve perché non userò tutto il tempo a disposizione in quanto non ci troviamo qui per fare retorica, bensì per cercare di capire quali possano essere le soluzioni immediate che il suo Ministero può mettere in campo. Pertanto, le chiediamo, innanzitutto, se sia a conoscenza di questo episodio - ma immagino di sì, considerato che è stato riportato anche dalle cronache nazionali - e quali provvedimenti intenda adottare per monitorare la gestione dell'istituto dell'affido temporaneo da parte delle amministrazioni comunali al fine di evidenziare tempestivamente distorsioni e anomalie e garantire, conseguentemente, il diligente rispetto delle leggi vigenti.
PRESIDENTE. Il Ministro per le politiche per la famiglia, Rosy Bindi, ha facoltà di rispondere.
ROSY BINDI, Ministro per le politiche per la famiglia. Signor Presidente, ringrazio l'onorevole Pini per l'interpellanza urgente che ha presentato, la quale certamente ci porta a riflettere insieme su un episodio molto increscioso - purtroppo, non l'unico, non il primo e che si spera sempre sia l'ultimo - che, tuttavia, ritengo richieda una puntualizzazione anche dei fatti riportati dalla stessa interpellanza.
Si tratta di precisazioni che, ovviamente, provengono da approfondimenti che ho dovuto svolgere e che, insieme a me, sono state svolte dai miei uffici, trattandosi di una materia nella quale il mio dipartimento non svolge una funzione diretta e specifica e rispetto alla quale, in realtà, la vera responsabilità è quella di un ente locale, il comune di Forlì.
La precisazione che vorrei fare, riguardo ai fatti che lei stesso ha appena descritto, consiste nel fatto che non ci troviamo di fronte ad un vero e proprio caso di affido familiare tradizionalmente inteso, bensì di fronte ad un affido cosiddetto estivo, inserito all'interno di un programma per minori del comune di Forlì (peraltro, monitorato anche attraverso l'intervento dell'azienda sanitaria locale) per l'affidamento estivo dei bambini con situazioni familiari difficili, ma non solo.
Come lei saprà, la procedura dell'affido familiare strettamente intesa è molto più rigorosa e richiede non soltanto il parere favorevole della famiglia del bambino, ma anche l'intervento del giudice tutelare o, in mancanza della volontà della famiglia, un procedimento più complesso sempre e comunque di competenza del tribunale dei minori.
L'istituto dell'affido familiare è volto al reinserimento nella famiglia di origine del bambino del quale la famiglia affidatariaPag. 38per un periodo si assume, sotto la vigilanza e il controllo dei servizi sociali per l'infanzia, l'educazione, la cura e la tutela, spesso anche attraverso il rapporto con la famiglia di origine.
Si tratta di un istituto molto importante, soprattutto per la generosità delle famiglie affidatarie, che è richiesta e che comporta, trattandosi di un istituto che, al contrario dell'adozione, non crea mai veri e propri rapporti di parentela e di filiazione.
Le nuove politiche per i minori, anche in relazione alle scelte giustamente fatte nei confronti delle istituzioni, hanno portato in questi anni a trovare nella rete delle famiglie affidatarie e delle loro associazioni un punto di riferimento fondamentale importantissimo per l'infanzia in difficoltà.
Siamo di fronte a un caso che non rientra in una tipologia prevista dalla legislazione nazionale, ma da un programma di servizi sociali da parte dell'ente locale. Come lei saprà, è stata aperta un'inchiesta amministrativa proprio al fine di verificare perché non si fosse a conoscenza dell'affidabilità della persona alla quale il bambino veniva assegnato, ancorché per un periodo breve. Se non se ne era a conoscenza, si tratta - come giustamente lei ha sottolineato - di un aspetto sicuramente non positivo, tanto più se, magari, qualche elemento, seppure noto, non è stato tenuto in considerazione da parte degli uffici del progetto per l'infanzia. Evidentemente la questione si profila di una serietà che non può essere sottaciuta.
Che cosa fare di fronte a una situazione del genere? Innanzitutto è chiaro che ci troviamo di fronte ad un'autonomia e ad un'ipotesi che lei ha chiamato di sussidiarietà verticale, mentre si tratta di politiche sociali per l'infanzia che il livello nazionale si limita a finanziare, peraltro all'interno del fondo sociale, non essendo stata rifinanziata in maniera specifica la legge 28 agosto 1997, n. 285.
È prevista una programmazione di carattere regionale e ci sono naturalmente richieste esplicite riguardo alla qualità dei programmi e all'affidabilità delle figure professionali che devono seguire tali programmi, nonché alle caratteristiche delle persone alle quali viene affidata la tutela dei minori.
Il Ministero ha riorganizzato recentemente, insieme al Ministero della solidarietà sociale, l'osservatorio delle politiche per l'infanzia, che si insedierà nelle prossime settimane e che, tra l'altro, ha il compito, insieme al centro di documentazione dell'istituto degli innocenti, di monitorare tutte le politiche per l'infanzia e le politiche per l'adolescenza nel nostro Paese, mettendo ovviamente in evidenza le buone pratiche, ma anche non sottacendo il verificarsi di casi come quello del quale, purtroppo, ci stiamo interessando in questa sede.
Allo stesso modo è funzionante e in via di ristrutturazione l'osservatorio contro la pedofilia e l'abuso nei confronti di qualunque minore con l'istituzione di una banca dati che viene considerata una buona pratica segnalata anche a livello internazionale dal Consiglio d'Europa.
Credo che da questo punto di vista il nostro Paese, anche grazie all'azione svolta dalla nostra Polizia postale, abbia dato prova non solo di nessun tipo di cedimento, ma anche di importanti risultati ottenuti in questi ultimi mesi e in questi ultimi anni.
È chiaro che ci troviamo di fronte a programmi degli enti locali che vanno assolutamente monitorati e nei confronti dei quali, probabilmente, sarà necessario, anche in sede di Conferenza Stato-regioni, stabilire dei criteri di qualità e di accreditamento delle associazioni di volontariato e delle figure professionali coinvolte nell'attuazione di questi programmi.
Mi auguro che nelle prossime ore la Conferenza unificata vari una sperimentazione per il rilancio dei consultori, che consideriamo, da questo punto di vista, anche la sede nella quale realizzare una formazione per gli operatori, soprattutto dell'infanzia, dimenticata in questi ultimi anni.
Dopodiché è evidente che la responsabilità non può che essere in capo allePag. 39singole amministrazioni locali per i programmi locali. Confido sulla sua cultura autonomista e federalista per condividere con me questo elemento, evidentemente. Credo che dobbiamo dotarci di tutti gli strumenti che diano garanzia e sicurezza e valutino la qualità dei programmi, ma la gestione degli stessi non può che essere di competenza degli enti locali.
Per quanto riguarda l'affido, anche in relazione alle mie competenze sulle adozioni, stiamo predisponendo dei programmi per la valutazione e il monitoraggio dei risultati e delle buone relazioni genitoriali e familiari sia degli affidi che delle adozioni, perché riteniamo che, mentre siamo dotati di legislazione e di programmi che ci consentono di intervenire per una valutazione preventiva, sicuramente dobbiamo ancora compiere molta strada per un serio monitoraggio dei risultati ottenuti nella vita e nella crescita dei bambini e dei ragazzi, sia di quelli che hanno la possibilità di usufruire di programmi di affidamento, sia di quelli oggetto di vera e propria adozione.
PRESIDENTE. L'onorevole Pini ha facoltà di replicare.
GIANLUCA PINI. Signor Ministro, partiamo da quella che lei ha citato come la nostra innata cultura federalista. Indubbiamente, per noi questa autonomia decisionale, anche e soprattutto nel campo dei servizi sociali, se ben gestiti, è un faro per noi.
Però, proprio perché abbiamo ben chiari i crismi di un sistema federale, sappiamo che ci sono anche strumenti, come l'intervento dello Stato federale, da utilizzare qualora le autonomie non rispondano ai criteri principali e ai principi fondamentali del foedus, l'unione di un Paese.
Non sono soddisfatto totalmente, ma parzialmente. Devo dire che posso cogliere qualcosa di positivo nella sua replica: in primis, il fatto che lei abbia sempre citato la famiglia. Questo era un buon inizio, dal mio punto di vista, per una risposta, che però non è arrivata.
L'applicazione della normativa nazionale, con tutto ciò che determina a livello di autonomie locali, secondo il titolo della legge, prevede: «Diritto del minore ad una famiglia». Che si tratti di affido temporaneo o definitivo, bisogna sempre affidare una persona estranea (un bambino, un minore) ad una famiglia.
Non ci è mai stato chiarito - nutriamo in proposito dubbi e sospetti - il perché, nonostante tutta una serie di famiglie, nel comune di Forlì, fossero in attesa di avere in affido, anche solo temporaneamente, per qualche ora al giorno, minori con disabilità, queste siano state scavalcate deliberatamente (e poi le dirò perché «deliberatamente») e il minore sia stato affidato ad un single. Capiamo che vengono esercitate pressioni da parte della politica, da parte dell'estrema sinistra; pressioni che in qualche modo vogliono equiparare non solo le coppie di fatto, ma addirittura i single alla famiglia, il che non può essere. Sappiamo benissimo - e non lo diciamo solo noi della Lega, ma lo sostengono tutti gli studi in materia - che, quando manca la figura materna in un nucleo familiare, poi diventa molto difficile crescere un bambino o una bambina.
Mi richiamo dunque al primo passaggio della mia replica. Mi sarei aspettato perlomeno che lei avesse dichiarato di voler verificare la situazione, anche senza poter né commissariare l'ente né operare chissà quali interventi sul comune di Forlì. Lei si è invece limitato a chiarire che è in corso un'indagine amministrativa. Forse, però, nessuno le ha riferito che l'indagine amministrativa è un'iniziativa del comune che verifica cosa ha fatto il comune stesso. È il controllore che controlla se stesso: mi sembra onestamente un po' una presa in giro! Una presa in giro soprattutto dopo le «giravolte» politiche del sindaco di Forlì: prima, tirata in ballo sulla effettiva efficienza dei servizi sociali, il sindaco li ha difesi a spada tratta senza nemmeno conoscerli; poi però, l'assessore e il dirigente competente, due giorni dopo, l'hanno smentita, perché davanti ad un pubblico ministero hanno riconosciuto di essere andati oltre la legge. Quando un entePag. 40locale, quando persone di massima responsabilità all'interno di esso, come l'assessore e un dirigente, riconoscono di essere andati oltre la legge, mi aspetterei, da parte del suo Ministero, perlomeno - visto che la legge-quadro ha carattere nazionale - un intervento, un'ispezione, un qualsiasi atto che dia un segnale. Ministro, non sono qui per fare polemica: siamo qui per cercare in qualche modo di trasmettere - a quelle famiglie che aspettano l'affido anche solo temporaneo dei bambini e a quelle altre che hanno bambini con problemi e che sono costrette a darli in affido - un segnale di chiarezza, di tutela dei minori, di tutela della serietà e della legalità in questo Paese.
Se il sindaco di un comune, dopo aver subito (non dico «provocato», ma «subito») un caso così «pesante» all'interno della propria amministrazione, non trova di meglio da fare che difendere per partito preso i servizi sociali dimostrando di non conoscerli e sa solo promettere di attivare una commissione comunale per controllare gli interventi del comune in materia di affido, ciò rappresenta una «presa per i fondelli»! Anche nei confronti del suo Ministero! Anche nei confronti della legislazione nazionale! È questo che non mi può assolutamente far dire che la sua risposta mi trova soddisfatto.
Mi auguro sinceramente che, con un qualsiasi atto legislativo o anche con una semplice circolare, lei voglia chiarire, alla luce di un fatto così grave, che la massima priorità nell'affido di minori o di giovani che comunque soffrono di disabilità o di situazioni di disagio debba essere attribuita alle famiglie, che i single sono solo ed esclusivamente l'ultima possibilità qualora non vi siano più famiglie disponibili ad accettare gli affidi. Altrimenti, si degenera nel malcostume delle segnalazioni fatte dagli amici degli amici, cioè da queste associazioni di volontariato che fanno il bello e il cattivo tempo ricevendo soldi pubblici e determinando questi risultati. Di più: sarebbe bene, da parte del suo Ministero, che sia fornito un altro chiarimento; qualsiasi tipo di affido, anche quelli temporanei, dovrebbe obbligatoriamente comportare una valutazione da parte di uno psicologo che tracci un profilo dei richiedenti. In tal modo potremmo evitare sicuramente che casi così odiosi si ripetano in futuro.
(Interventi in favore dei vigili del fuoco di Monza - n. 2-00652)
PRESIDENTE. L'onorevole Grimoldi ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00652, concernente interventi in favore dei vigili del fuoco di Monza (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 2).
PAOLO GRIMOLDI. Signor Presidente, intervengo assai brevemente. Lo scorso 15 giugno, nella città di Monza, è scoppiato un gravissimo incendio che è costato la vita ad un cittadino monzese. Inoltre, nonostante non siano contemplati nell'interpellanza presentata, il sottosegretario che risponde sa bene che fatti analoghi sono accaduti anche alla fine di agosto con un altro incendio assai grave, costato la vita anch'esso ad un cittadino monzese.
In occasione di questi due fatti di cronaca nera, è venuta alla ribalta la situazione dei vigili del fuoco e dei mezzi ad essi forniti nella città di Monza. Ebbene: il parco mezzi ed il materiale a disposizione sono vecchi ed obsoleti, e sono soggetti a continui interventi, al punto che, nei due avvenimenti ricordati, i vigili del fuoco di Monza hanno dovuto attendere i rinforzi dalla città di Milano perché non avevano sufficienti mezzi per intervenire.
Nel dettaglio, i mezzi dei pompieri di Monza sono: un'autobotte vecchia di vent'anni; un'autopompa vecchia di ventiquattro; un conofiamma vecchio di ventotto. Credo che vi siano Paesi africani che hanno, per i propri vigili del fuoco, dotazioni più moderne ed efficienti.
Monza è la terza città della Lombardia. A breve, essa diventerà provincia: la terza provincia per PIL e dunque per tasse pagate allo Stato centrale; la provincia nella quale si svolge il Gran Premio d'ItaliaPag. 41(e, se permettete, è interesse di tutto il Paese che, quando si svolge il Gran Premio, vi siano vigili del fuoco preparati e messi nelle condizioni di poter intervenire con efficienza in caso di necessità). Eppure, Monza, con i suoi quasi 140 mila abitanti, vede un organico di soli 52 vigili del fuoco.
È sufficiente prendere il dettaglio dell'organico dei vigili del fuoco nei vari distaccamenti del nostro Paese - il sottosegretario lo conosce meglio di me - per riscontrare che ciò costituisce un'anomalia. Si possono fare molti esempi: Brindisi, Taranto, Cagliari, Oristano, Caltanissetta, Enna, Ragusa. Si tratta di realtà che hanno 180 mila, 129 mila, 92 mila abitanti, e che hanno organici dei vigili del fuoco di 262, 315, 166, 142 o 150 unità. È dunque evidente che la realtà di Monza, nonostante contribuisca alle casse dello stato a livello fiscale in modo particolarmente oneroso, non viene assolutamente ripagata in termini di sicurezza, almeno per quanto riguarda il comparto dei vigili del fuoco (ma, essendo monzese, aggiungo: anche per gli altri comparti).
Fra l'altro, occorre ricordare, in proposito, una graduatoria un po' particolare. Il Ministero dell'interno, infatti, ha classificato la realtà di Monza come S1 quanto a priorità per i distaccamenti dei vigili del fuoco: la classificazione S1 è la più bassa in assoluto. Ebbene, non riesco a capire come sia possibile che la terza città della Lombardia, presto provincia e sede del Gran Premio d'Italia, sia classificata all'ultimo posto in graduatoria per la fornitura di uomini e mezzi nel comparto dei vigili del fuoco.
In conclusione, vorrei aggiungere che se la risposta è collegata al fatto che sta per essere fornita un'autopompa usata - non ho ancora scoperto da quante decine di anni - devo dire che ne sono felice perché fra poco e niente è meglio poco; ma spero vi sia qualcosa di più.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l'interno, Ettore Rosato, ha facoltà di rispondere.
ETTORE ROSATO, Sottosegretario di Stato per l'interno. Signor Presidente, ringrazio l'onorevole Grimoldi per la sua interpellanza. In proposito, spero che egli non accuserà questo Governo di aver logorato tutte le autopompe in questo primo anno: com'è evidente, i mezzi che abbiamo oggi sono - ahimè! - quelli che abbiamo trovato.
Intanto, considero importante la presente interpellanza, dal momento che rileva una situazione di cui, oggettivamente, l'attuale Parlamento si è fatto carico istituendo la provincia di Monza, il che cambierà radicalmente l'assetto delle unità dei vigili del fuoco a causa del nuovo, istituendo comando provinciale di Monza. Si passerà ad almeno ottantaquattro unità - ad oggi, l'organico minimo di un comando provinciale dei vigili fuoco -, salvo operare, in quella fase, una valutazione per calibrare, in maniera adeguata, il numero di unità necessario per il comando medesimo.
Debbo dire che proveniamo da una situazione molto difficile nell'ambito del Corpo nazionale dei vigili del fuoco. Si registra una carenza di organico palesemente acclarata, le cui manifestazioni si misurano, quotidianamente, in tutti i comandi italiani, e quindi anche nel distaccamento di Monza, derivante da una mancata copertura, negli anni, del turn over.
Rammento, a titolo di dato storico, che la legge finanziaria per il 2006 ha previsto, in tutta Italia, cinquanta assunzioni nei vigili del fuoco, di cui venticinque finalizzate a sopperire alle esigenze di un aeroporto.
È chiaro, quindi, che veniamo da una situazione drammatica degli organici, cui si aggiungono i circa 2.500 pensionamenti previsti per il triennio 2007-2009.
La legge finanziaria per il 2007 ha cercato di porre rimedio a tale stato, compiendo sicuramente un'inversione di tendenza importante, che si è realizzata con le prime seicento assunzioni di vigili del fuoco. Questi hanno cominciato il corso il 19 luglio e nel mese di dicembre arriveranno nei comandi; si tratta di seicento assunzioni che non risolvono certo ilPag. 42problema, ma che - se confrontate con le cinquanta dell'anno precedente - danno un segnale chiaro dell'attenzione che abbiamo posto alla questione.
Soprattutto, è di particolare importanza la procedura - ormai avviata - di stabilizzazione del personale precario, il cui decreto è già stato pubblicato. Sono già disponibili nei comandi i moduli delle domande, e molti ragazzi, che già oggi lavorano nei comandi italiani come discontinui (fornendo, quindi, un servizio importante a supporto dell'organico permanente), stanno già presentando la relativa domanda.
Si tratta di una procedura che intendiamo concludere, sicuramente, entro il mese di novembre, confidando nelle prime assunzioni fin dal 2007.
Ciò, naturalmente, è indispensabile. Se vogliamo rinforzare gli organici, infatti, o scegliamo la strada - che, francamente, non ho mai condiviso, né attuato - del rinforzo virtuale degli organici, e quindi della decretazione di classificazioni superiori ai comandi, senza poi mandare gli uomini (situazione che, ahimé, ho trovato in essere quando mi sono insediato, come posso dimostrare con numerosi fatti, senza alcuna vena polemica); oppure, come stiamo cercando di fare, dobbiamo procedere con le assunzioni, per poi effettivamente mandare i rinforzi dove servono.
Sono convinto che la provincia di Monza sia una di quelle nuove province che rispondono ad una logica anche sotto il profilo del soccorso.
Vorrei ricordare che oggi vi lavorano cinquantatrè unità, le quali si dedicano unicamente al soccorso. È vero che i mezzi a disposizione sono solo un'autoscala, due autopompe serbatoio, un'autopompa pompa, un autofurgone polisoccorso, fuoristrada e mezzi per eventuali interventi fluviali (si aggiungono ad essi anche due nuove autopompe assegnate l'8 giugno scorso, che consentono un rinnovo parziale del vetusto parco mezzi presente in Italia, e non solo a Monza).
I mezzi del vigili del fuoco sono spesso costosi, e rispetto ad essi stiamo riprendendo gli investimenti, con l'obiettivo di rilanciare mezzi adeguati alle moderne esigenze.
Aggiungo, però, che intorno a Monza vi sono in Brianza sette distaccamenti (Desio, Seregno, Lissone, Carate Brianza, Vimercate, Bovisio Masciago) che nel 2006 hanno assicurato, nel complesso, l'espletamento di circa 5 mila interventi di soccorso.
Nel caso in questione che lei, onorevole, richiamava (del 15 giugno scorso), oltre ai mezzi del distaccamento di Monza, accorsi in forze con professionalità, sono intervenuti anche quelli di alcuni distaccamenti vicini e un carro soccorsi in dotazione alla sede di Milano.
Proprio su questo vorrei fornire un dato tecnico, privo - le assicuro - di qualsiasi altra finalità. Il soccorso è costruito su un sistema di questo tipo: in qualsiasi parte del territorio italiano, quando c'è un'emergenza di un livello superiore, automaticamente scattano i soccorsi che sono nel territorio limitrofo, perché è impossibile pensare ad un sistema in cui i soccorsi siano tutti concentrati dappertutto. Ciò non sarebbe economicamente sostenibile e poi sarebbe, onestamente, impossibile da gestire e da concepire.
Pertanto, è vero che occorre potenziare il soccorso; la trasformazione del distaccamento di Monza a comando provinciale garantirà un tale obiettivo.
Vi sono stati mezzi più recenti assegnati all'area di Milano, ma si è seguita unicamente la logica di rispondere ad esigenze del soccorso: sono stati infatti assegnati all'area di Gorgonzola e Legnano che, per la loro lontananza rispetto alle altre aree, avevano bisogno di mezzi che non potevano intervenire rapidamente provenendo dal comando provinciale di Milano o dagli altri comandi che li avevano.
Voglio aggiungere ancora un elemento di carattere generale che riguarda la Lombardia. Martedì prossimo, proseguendo un lavoro che da lungo tempo stiamo facendo con l'assessore Ponzoni, incontrerò nuovamente l'assessore per la definizione diPag. 43una convenzione importante che regola i rapporti tra regione e Ministero dell'interno, in particolare, sugli incidenti a rischio rilevante e sugli impianti ad alto rischio.
Accanto a questo stiamo predisponendo una convenzione, che noi ormai abbiamo già stipulato con molte delle regioni italiane, in base alla quale si stabilirà che la regione dovrà investire risorse nei vigili del fuoco. Su ciò la regione ha manifestato grande disponibilità e sono sicuro che ciò condurrà ad esiti concreti ed importanti. Si consentirà così di investire risorse per il potenziamento dei mezzi dei vigili del fuoco nella logica che tale Corpo non si occupa soltanto del soccorso tecnico urgente sul territorio nazionale (che è di per sé una competenza statale), ma anche delle funzioni di protezione civile (competenza attribuita dalla legge alle regioni) nell'ambito delle quali i vigili del fuoco rappresentano la spina dorsale del sistema.
Quindi tale dispiego comune delle risorse da parte della regione e dello Stato può portare a risultati importanti.
Termino il mio intervento con un riferimento al Gran premio di Monza, a cui non ho partecipato, ma che seguo sempre con grande piacere, solo per assicurarle che i vigili del fuoco non partecipano ai gran premi se non come spettatori perché, in questo caso, il controllo viene affidato a società private che gestiscono il servizio.
Credo, quindi, che sarebbe importante per noi riuscire ad entrare anche in quell'ambito. Ci sono molte manifestazioni a cui i vigili del fuoco partecipano con la loro professionalità e sono certo che farebbero un'ottima figura anche al Gran Premio di Monza, come ha fatto la Ferrari l'ultima volta.
PRESIDENTE. L'onorevole Grimoldi ha facoltà di replicare.
PAOLO GRIMOLDI. Signor Presidente, ringrazio il sottosegretario e sono contento di sapere che non è venuto in aereo anche lui, visti i suoi colleghi...
Il fatto che società private garantiscono la sicurezza all'interno del circuito (parto da questo aspetto) è parzialmente vero perché si tratta dell'interno del circuito, ma il sottosegretario sa meglio di me che, con 250 mila persone di pubblico che affollano il parco di Monza e le aree limitrofe, non si può liquidare la questione dicendo che, all'interno del circuito stesso, della gestione è titolare qualcun altro, e non i vigili del fuoco di Monza.
Detto questo, inizio la mia replica dall'ultima considerazione svolta in merito alla convenzione con la regione Lombardia. Mi trova sicuramente favorevole e si tratta sicuramente di una buona notizia, ma in base a questa mi permetto di precisare un dettaglio cui il sottosegretario ha fatto riferimento, che ritengo sia giusto ricordare (e ricordarcelo): sicuramente, nel nostro Paese, il parco mezzi, nello specifico dei vigili del fuoco, è vetusto.
Nel Paese vi sono, tuttavia, realtà nelle quali il parco mezzi è assolutamente all'avanguardia e viene rinnovato abbastanza spesso, come per esempio nel caso del Trentino. In quella realtà, forse a causa dell'autonomia o del federalismo fiscale, vi sono comunque delle risorse che consentono di sostituire i mezzi con una frequenza assolutamente superiore rispetto al resto del Paese.
L'altra considerazione è che, in generale, sono abbastanza soddisfatto per la sua risposta. Non ho capito (magari poi ne parleremo anche di persona) come nel dettaglio tale benedetta classificazione S1, che riguarda Monza, verrà modificata. Mi interesserebbe sapere se, in vista dell'istituzione della provincia, si passerà ad una classificazione S3, S5 o S6, ovvero se vi sarà un reale approfondimento. Infatti, non vi sono né ragioni tecniche, né politiche che possano spiegare il fatto che Monza oggi si collochi all'ultimo posto della graduatoria per la fornitura di uomini e mezzi al comparto dei Vigili del fuoco.
Un ulteriore dettaglio, di carattere più squisitamente economico, è che le nostre associazioni imprenditoriali locali hanno calcolato che, per la sola città di Monza, l'aumento della pressione fiscale in seguito all'ultima legge finanziaria varata dal GovernoPag. 44Prodi sarà di circa 45 milioni di euro per i cittadini monzesi. Pagare una tale cifra in più, per avere due mezzi usati, di chissà quante decine di anni... Insomma, signor sottosegretario, sono contento, però mi sembra che, come al solito, a fronte di quello che paghiamo in più, non vi sia un'adeguata corrispondenza in termini di ritorno dei servizi. Ripeto che, comunque, sono abbastanza soddisfatto per la sua risposta.
Anche sul tema dei distaccamenti intorno alla città di Monza, lei ha affermato una verità; però, mi permetto di precisare che tanti di questi distaccamenti riguardano i volontari, pertanto si tratta di un discorso a parte. Non si può affermare che, siccome nella nostra realtà vi sono tanti bravi ragazzi che amano fare i volontari nei vigili del fuoco, possiamo disimpegnare quelli di professione. Ciò non giustifica assolutamente la mancanza di attenzione da parte dello Stato e del Governo, che non fornisce, come nelle altre aree del Paese, pari disponibilità di mezzi e uomini per i nostri Vigili del fuoco, al di là del fatto che abbiamo la fortuna di avere tanti volontari e di ciò siamo particolarmente contenti...
(Vicenda relativa al regime carcerario e alla rimessione in libertà di Massimo Sparti - n. 2-00695)
PRESIDENTE. L'onorevole Raisi ha facoltà di illustrare l'interpellanza Meloni n. 2-00695, concernente la vicenda relativa al regime carcerario e alla rimessione in libertà di Massimo Sparti (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 3), che ha testé sottoscritto.
ENZO RAISI. Signor Presidente, come immagino probabilmente il sottosegretario saprà, nel processo per la strage di Bologna - un processo indiziario (lei è un uomo di legge, quindi sa cosa voglia dire quando uso tale termine) - ebbero un ruolo chiave due collaboratori di giustizia. Il primo è quel «sant'uomo» di Izzo, lo stupratore del Circeo, poi criminale condannato anche di recente per aver ucciso madre e figlia in un momento di libertà concessogli grazie ad un regime carcerario benevolo. A Izzo fu riconosciuto, proprio durante il processo di Bologna, lo status di collaboratore di giustizia dall'allora Pubblico Ministero Mancuso, oggi assessore nella giunta Cofferati.
L'altro testimone chiave era tale Massimo Sparti. Costui era un piccolo criminale con diverse pendenze con la giustizia e, trovandosi in carcere, rilasciò alcune dichiarazioni importanti, che in qualche modo furono macigni per la sentenza finale contro Mambro e Fioravanti, benché in sede di processo fu smentito dalla stessa moglie e - se non erro - dal suocero.
Sparti era destinato a morire. Infatti, nel 1982 gli venne diagnosticato un tumore al pancreas allo stato terminale con metastasi. Non sono un medico, ma vi è qualcosa di strano: il signor Sparti morì nel letto di casa sua nel 2002. Credo che sia un caso clinico eccezionale.
In una trasmissione televisiva della RAI condotta da Giovanni Minoli, La Storia siamo noi, e nel programma condotto da Toni Capuozzo, Terra, è stato dato spazio alle testimonianze del figlio di Sparti, grazie alle quali, nei mesi scorsi, si è appreso che suo padre, sul letto di morte, ammise di aver mentito perché gli furono garantite alcune condizioni, che poi non fu in grado di spiegare in cosa consistessero perché qualche giorno dopo morì. Tuttavia, un dato è certo: lo Sparti, che sarebbe dovuto morire in poco tempo, in quanto già nel 1982 gli era stato diagnosticato un tumore al pancreas allo stato terminale, beneficiò di una serie di agevolazioni giudiziarie; riuscì a ottenere la libertà condizionale, a uscire dal carcere grazie alla testimonianza-chiave resa nel processo e a sopravvivere, non si sa bene come, fino al 2002.
Nell'interpellanza da noi presentata ricostruiamo l'excursus (quindi non sto qui a ripeterlo perché sicuramente lei, signor sottosegretario, lo avrà letto o, almeno, spero lo abbiano letto gli uffici che le hanno preparato la risposta) di tutti i certificati medici, che nel corso del tempoPag. 45furono prodotti e che attestarono che lo Sparti aveva effettivamente il tumore al pancreas allo stadio terminale.
Successivamente, alla fine degli anni Novanta, la sua cartella clinica bruciò in un incendio. Con riferimento a tale episodio, accadde che tra i tanti incendi che scoppiano nei policlinici, venne bruciata proprio quella cartella clinica...! Insomma, vi sono tutta una serie di vicende che ci fanno capire che anche lo Sparti, dopo Izzo, sicuramente ha ricevuto qualche favore dalla nostra giustizia grazie alla sua collaborazione.
Nell'interpellanza chiediamo di avere dei chiarimenti ufficiali da parte del Ministero della giustizia su quali tipi di provvedimenti di libertà siano stati emessi a suo favore e con quali motivazioni, in modo tale che rimangano agli atti e che, finalmente, riusciamo a conoscere la vera storia di Sparti, un grande collaboratore della giustizia, miracolato da Dio e dalla giustizia stessa! Tali provvedimenti gli accordarono tutta una serie di agevolazioni di carattere giudiziario, che lo portarono a dover scontare pochi giorni di prigione rispetto a quelli che avrebbe dovuto scontare, e a morire tranquillamente nel suo letto di casa.
Immagino che lei abbia letto il testo dell'interpellanza, pertanto non le ripeto le domande in esso formulate, alle quali spero sia in grado di fornirci risposte chiarificatrici perché è chiaro che, anche sulla base della sue risposte, la nostra denuncia non si fermerà a questo punto.
Del resto, chi mi conosce sa che sono molto interessato a questa vicenda anche perché sono di Bologna e si tratta di un tema sul quale ho lavorato anche in Commissione Mitrokhin. Inoltre, ho presentato alcuni esposti relativamente a delle omissioni d'indagini, evidenziate anche da parte di realtà estere, che hanno segnalato che quel giorno a Bologna vi era la presenza di terroristi di altri Paesi (ma su questo non si è mai indagato!).
È certo, però, che occorre fare chiarezza, ad esempio sulla trasparenza con cui la nostra giustizia ha portato avanti il processo di Bologna. Ricordo un episodio su tutti e concludo: durante il processo di Bologna, un avvocato delle parti civili denunciò il fatto che queste ultime s'incontrarono con i PM del processo (uno dei quali era il pubblico ministero Mancuso, che oggi ricopre la carica di assessore della giunta della mia città) nella sede dell'allora Partito Comunista italiano. Questo fu un fatto clamoroso però in questa Italia, dove di fronte a certi scandali della magistratura ci si volta sempre dall'altra parte, non accadde nulla e morì nel dimenticatoio. Si trattò, però, di un chiaro segnale del fatto che quel processo abbia subito dei forti condizionamenti politici e, man mano che si vanno a verificare le testimonianze-chiave, scopriamo fatti che sono veramente da fantascienza! Oggi le raccontiamo in questa sede parlamentare, però credo che il percorso clinico di questo super teste sia stupefacente e che sia veramente incredibile che qualcuno possa ancora credere alla sua attendibilità! Eppure, quel super teste è stato sufficiente per chiudere, con sentenza definitiva della Corte di cassazione, un processo sulla strage più efferata compiuta nel nostro Paese, sulla quale ancora io, e credo anche tanti cittadini, nutro molti dubbi.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per la giustizia, Luigi Li Gotti, ha facoltà di rispondere.
LUIGI LI GOTTI, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, come necessaria premessa ai quesiti posti dagli onorevoli interpellanti, si precisa che già nella XIII legislatura l'allora Ministro di grazia e giustizia Flick, nel rispondere all'interrogazione n. 4-07879 dell'onorevole Storace, ebbe modo di fornire una puntuale ricostruzione delle circostanze di fatto menzionate anche nell'interpellanza urgente oggi in discussione. Si tratta di circostanze che costituiscono, indubbiamente, la premessa logica ai quesiti posti, che hanno formato oggetto di alcuni provvedimenti giurisdizionali assunti in relazione alla vicenda riguardante Massimo Sparti.Pag. 46
Appare utile, pertanto, ricordare ciò che in occasione della precedente risposta si è posto in evidenza, ossia che l'autorità giudiziaria ha esaminato lo specifico argomento menzionato espressamente nell'interrogazione dell'onorevole Storace - ma sotteso anche all'interpellanza di oggi e ripreso nell'illustrazione della stessa - secondo cui Massimo Sparti avrebbe, o potrebbe avere, calunniato Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, dichiarando falsamente che Fioravanti, due giorni dopo la strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980, gli aveva richiesto con minacce di procurare documenti falsi per sé e per la Mambro, per sottrarsi alle ricerche dell'autorità, dato che essi si trovavano alla stazione ferroviaria di Bologna al momento dell'esplosione.
Secondo tale argomento la calunnia di Sparti sarebbe stata premiata favorendolo con la formazione di un falso reperto, rilasciato dai sanitari legati alla massoneria, attestante una sua grave infermità incompatibile con il carcere, consentendogli così di ottenere la libertà provvisoria.
Come ricordato in occasione della risposta alla precedente interrogazione parlamentare, dalle informazioni acquisite risulta che la procura della Repubblica di Bologna nel richiedere l'archiviazione del procedimento contro lo Sparti, indagato per calunnia in danno del Fioravanti Valerio e Mambro Francesca, nel provvedimento del 27 febbraio 1997, ha dettagliatamente ricostruito i fatti e le vicende citati (in particolare nei punti da n. 24 a 77 della richiesta di archiviazione, integralmente recepita dal pubblico ministero).
In particolare, la predetta autorità giudiziaria ha accertato che la diagnosi formulata nel certificato del Centro clinico penitenziario di Pisa del 13 febbraio 1982, cui si fa riferimento nell'interpellanza, era effettivamente sbagliata, ma che non vi fu alcuna dolosa falsificazione di diagnosi. L'errore valutativo emerse allorché lo Sparti, subito dopo essere stato posto in libertà provvisoria il 3 marzo 1982, fu ricoverato in ospedale a Roma il 6 marzo 1982, trattenuto per esami quasi un mese e, al termine degli stessi, sottoposto ad una pesante operazione chirurgica esplorativa che consentì di escludere la natura neoplastica delle formazioni createsi sul pancreas. L'autorità giudiziaria ha ritenuto che, proprio per l'importanza dell'intervento chirurgico, lo stesso Sparti non vi si sarebbe certo sottoposto se fosse stato consapevole della falsità della diagnosi.
Per quanto concerne gli asseriti legami massonici, cui si è fatto cenno nell'interpellanza, gli accertamenti condotti dall'autorità giudiziaria li hanno esclusi, sia per il radiologo professore Michelassi che stilò il referto iniziale, sia per gli altri sanitari delle strutture pubbliche di Pisa. Il GIP ha potuto, invece, risalire, attraverso argomenti valutativi, alla ragione dei sospetti formulati dal dottor Ceraudo, già direttore del Centro clinico giudiziario di Pisa, nei confronti dei suoi colleghi, ricollegandoli ad un possibile risentimento dello stesso Ceraudo che riteneva gli stessi coinvolti, in qualche modo, nel suo allontanamento dall'incarico.
Nella motivazione del decreto di archiviazione si legge anche che «lo Sparti rese l'unica testimonianza favorevole a Fioravanti e Mambro (il 5 maggio 1982, due mesi dopo la sua liberazione), sostenendo che la richiesta minacciosa di falsi documenti da parte del Fioravanti stesso era avvenuta nel settembre 1980 e non il 4 agosto, come aveva più volte dichiarato mentre era ancora detenuto e come ebbe poi a ribadire in seguito. Sembrerebbe, cioè» scrive il magistrato «che la sua scarcerazione fosse stata favorita nel modo indicato solo per consentire una sua rettifica testimoniale in favore e non in danno dei due terroristi. ». Il GIP ha perciò concluso che «manca qualsiasi elemento indiziario che consenta di ritenere calunniose le dichiarazioni rese da Massimo Sparti nel processo della strage del 2 agosto 1980 (...), dichiarazioni d'altronde sottoposte a vaglio critico ripetuto da parte dei vari giudici che si sono occupati della vicenda nei vari gradi di giudizio, compreso quello in sede di rinvio».
Per quanto riguarda, poi, gli specifici quesiti posti dagli interpellanti, si comunicaPag. 47che Massimo Sparti è stato detenuto presso la casa di reclusione di Orvieto dal 13 aprile 1981 al 7 dicembre 1981; dal 23 agosto 1981 al 21 settembre 1981 e dal 7 dicembre 1981 al 3 marzo 1982 è stato ristretto presso la casa circondariale di Pisa. Come sopra riportato, il 3 marzo 1982 lo Sparti è stato dimesso dall'istituto penitenziario di Pisa, a seguito di provvedimento di scarcerazione n. 6696/81 A.P.M. n. 1291 della procura della Repubblica di Roma dello stesso 3 marzo, per libertà provvisoria concessa dalla XII sezione istruttoria del Tribunale di Roma, per incompatibilità del detenuto con il regime carcerario.
Lo Sparti è stato, poi, ristretto dal 18 luglio 1987 all'8 luglio 1989 nella casa circondariale di Velletri, per espiazione della pena di quattro anni e otto mesi inflitta dalla corte di assise di appello di Roma con sentenza del 19 aprile 1986, resa esecutiva il 9 aprile 1987, per associazione sovversiva, costituzione e organizzazione di banda armata, rapina, detenzione e porto illegale di armi da guerra, esplosivo ed altro.
Successivamente, lo Sparti è stato condannato dal tribunale di Roma, con sentenza del 29 marzo 1988, irrevocabile dal 1o luglio 1988, per ricettazione continuata in concorso e per falsità materiale, alla pena complessiva di due anni di reclusione e a una multa di due milioni di lire. Lo Sparti è stato, inoltre, arrestato il 27 maggio 1992 per violazione della legge sulle armi; convalidatogli l'arresto, gli è stata applicata dal tribunale di Roma, in data 28 maggio 1992, la misura della custodia cautelare in carcere. Il 2 giugno 1992 la seconda sezione del tribunale di Roma, a seguito di giudizio abbreviato, ha condannato lo Sparti ad otto mesi di reclusione e ad una multa di 300 mila lire, revocando contestualmente la misura della custodia cautelare e ordinando la sua rimessione in libertà. Il tribunale, testualmente, nel motivare il provvedimento in questione, ha ritenuto di revocare la misura cautelare disposta, non persistendo le esigenze di cui all'articolo 274 del codice di procedura penale, «considerato il comportamento processuale ed extraprocessuale avuto dall'imputato che indicò ai carabinieri il luogo ove deteneva l'arma, attese le risultanze del certificato penale attestanti che gli ultimi fatti criminosi risalgono a circa dieci anni or sono, nonché la mancanza di carichi pendenti». Tale sentenza è stata confermata dalla corte di appello nel 1994 e la Cassazione, il 25 novembre 1994, ha rigettato il ricorso.
In sede esecutiva, visto che gli interpellanti chiedono ulteriori notizie, nei confronti dello Sparti sono stati emessi tre provvedimenti di cumulo di pene.
Il primo, emesso dalla procura generale della Repubblica di Bologna il 21 settembre 1995, cumulando le pene inflitte con le decisioni del 19 aprile 1986, del 29 marzo 1988, del 18 gennaio 1989 e del 6 ottobre 1992, ha determinato la pena detentiva da scontare in anni due, mesi due e giorni sette di reclusione. Con ordinanza della corte d'appello di Bologna, in data 19 dicembre 1995, sono stati condonati anni due di reclusione, per effetto del decreto del Presidente della Repubblica del 22 dicembre 1990, n. 394, di concessione di indulto. Con ordinanza del Tribunale di sorveglianza di Bologna del 28 maggio 1998 è stato disposto l'affidamento in prova al servizio sociale.
Il secondo provvedimento di cumulo è stato adottato dalla procura della Repubblica presso il tribunale di Roma in data 6 novembre 1998, in relazione alle pene inflitte con le decisioni del 19 aprile 1986, del 29 marzo 1988, del 18 gennaio 1989, del 6 ottobre 1992 e del 19 gennaio 1994. In questo caso, la pena detentiva da scontare è stata determinata in anni due e giorni ventidue di reclusione.
Il terzo provvedimento, emesso dalla procura della Repubblica di Roma il 22 maggio 1999, comprendente anche la condanna inflitta il 2 giugno 1992 dal tribunale di Roma, unificando le pene concorrenti, ha determinato la pena residua da espiare in mesi nove e giorni venticinque di reclusione. La procura di Roma ha precisato che detta pena è stata espiata dal 10 luglio 2000 al 4 maggio 2001 in regimePag. 48di affidamento in prova al servizio sociale, misura alternativa alla detenzione disposta con ordinanza del 17 marzo 2000 del tribunale di sorveglianza di Roma.
Il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha fatto infine presente che dopo l'ultimo periodo di detenzione per l'applicazione della misura cautelare della custodia in carcere, risalente, come sopra riferito, all'anno 1992, dalla procedura Sidet non risulta che lo Sparti sia stato ristretto in un istituto penitenziario.
Infine, nei confronti dello Sparti sono stati emessi, nel tempo, i seguenti provvedimenti di riduzione della pena, da parte del tribunale di sorveglianza di Roma: ordinanza di liberazione anticipata del 21 giugno 1988, che ha ridotto la pena inflitta di giorni centotrentacinque; ordinanza in materia di semilibertà del 28 dicembre 1988, che ha ridotto la pena inflitta di giorni quarantacinque; ordinanza del 17 marzo 2000, che ha deliberato l'affidamento in prova al servizio sociale per tutto il periodo della pena da scontare, pari a mesi nove e giorni venticinque; ordinanza del 21 novembre 2002 di esito positivo della misura della messa in prova.
PRESIDENTE. L'onorevole Raisi ha facoltà di replicare.
ENZO RAISI. Signor Presidente, non solo non sono soddisfatto, ma devo dire che sono indignato, ovviamente non con il sottosegretario, che in questo caso svolge una funzione, per così dire, notarile, ma con gli uffici del Ministero della giustizia che, ogni volta che preparano questo tipo di risposte, soprattutto in ordine alla strage di Bologna, dimostrano che in questo Dicastero ci sono muri di gomma eccezionali.
Nella risposta mi si cita una precedente interrogazione presentata dall'onorevole Storace - devo dire anche con cattivo gusto, se vogliamo, visto quello che è accaduto recentemente - riferendo, tra l'altro, anche su questioni mai poste: si è parlato, ad esempio, di massoneria, di medium. Nella nostra interpellanza urgente non si parla di nulla di tutto ciò, ma si pone all'attenzione del Governo che in due trasmissioni televisive, che hanno trattato della questione Sparti, sono emersi elementi di novità, tra cui anche la testimonianza clamorosa del figlio dello Sparti, il quale ha spiegato come si è giunti a quel certificato falso con il quale si è decretata la famosa diagnosi del tumore al pancreas per il padre. Vi è stato - lo ricordo - un percorso attraverso il quale si è arrivati a ciò: allo Sparti sono state fatte ingerire alcune cose in carcere e vi è stata una sostituzione dei certificati. Vi è, inoltre, una testimonianza televisiva di persone che hanno dichiarato questo.
Nella risposta fornita dal sottosegretario si è ripreso ciò che la procura di Bologna, chiaramente parte in causa, disse all'epoca, senza tener conto di quegli elementi di novità che oggi abbiamo citato nell'interpellanza in esame. A cosa serve, quindi, presentare interpellanze urgenti evidenziando detti elementi di novità, quando vengono fornite risposte già date in anni precedenti? Questo è accaduto anche per altre questioni, come, ad esempio, per il caso Thomas Kram.
Ci si riferisce sempre alla procura di Bologna, la quale ha il proposito di tenere tutto immutato perché non ha intenzione di riaprire questo processo o comunque certi filoni di questo processo, indi per cui si ripropongono esattamente le stesse precedenti risposte.
È evidente, quindi, che siamo di fronte ad uno scandalo: lei, signor sottosegretario, ha enumerato le sentenze di condanna inflitte e quanto quest'uomo sia rimasto in carcere; di qui il percorso privilegiato, rispetto a quello che lo stesso ha commesso nel corso della sua vita, goduto da questo supertestimone insieme a quel sant'uomo di Izzo (i due supertestimoni che hanno garantito la conclusione di quel processo).
Lei mi ha confermato, grazie alle dubbie scelte compiute in parte dalla procura e dal tribunale di Bologna, nonché dalla procura di Roma, la concessione di percorsi privilegiati al signor Sparti: questi è stato agevolato sia nelle libertà condizionali che gli sono state concesse, sia conPag. 49l'assistenza ai servizi sociali e così via. Di fatto, questo signore rispetto ai gravi crimini che ha commesso nella sua vita poco o nulla ha scontato nelle patrie galere, salvo qualche periodo di detenzione (a fronte di queste scelte sfacciate, ci sono comunque dei termini di legge da dover rispettare).
Quello che è certo è che la vicenda di Sparti è scandalosa per la giustizia del nostro Paese. È una vicenda, lo ripeto in questa sede, scandalosa! Si tratta di un altro di quei buchi neri della storia del nostro Paese. È incredibile la storia di questo malato terminale di tumore al pancreas le cui cartelle vengono bruciate stranamente, per il modo in cui viene agevolato nella sua vita. Malgrado tutto ciò, lo Sparti è stato un testimone chiave di uno dei processi più importanti di questo Paese.
Siamo di fronte, lo ricordo, a due trasmissioni televisive importanti (una andata in onda su una rete pubblica e l'altra trasmessa da Canale 5), condotte da persone sicuramente al di sopra di ogni sospetto come Minoli e Capuozzo, non riconducibili a questa o quella parte politica ma grandi professionisti che hanno fatto dell'inchiesta una della peculiarità del loro lavoro professionale. Nonostante ciò cala il silenzio. Qui mi si risponde dando la stessa risposta fornita ad un'interrogazione presentata dal mio collega Storace nel 1997, come dire che nel frattempo non è accaduto nulla, cioè siamo sempre fermi alla sentenza definitiva. In questo Paese anche il giorno in cui verrà qualcuno ad affermare di aver messo lui la bomba alla stazione di Bologna, gli si risponderà che non è successo nulla. Nulla è cambiato e nulla cambierà mai!
Credo che questa sia una pagina nera della giustizia del nostro Paese. Noi continueremo a fare la nostra parte denunciando tali gravi atti compiuti anche nel corso dei processi che si sono svolti a vari livelli sulla strage di Bologna. Non ci fermeremo e per tali motivi ci dichiariamo insoddisfatti della risposta. Mi dispiace per il sottosegretario che, ripeto, non ha colpa avendo solamente letto ciò che è stato predisposto dagli uffici del Dicastero. Probabilmente, se in quegli uffici qualcuno cominciasse a svolgere un lavoro un po' più serio anche in ordine alle risposte da dare agli atti di sindacato ispettivo, forse vi sarebbe qualche dubbio in più rispetto a quelli che sono gli elementi di novità e ci verrebbero risparmiate risposte anche un po' stucchevoli: quando si risponde ad una interpellanza urgente facendo riferimento a contenuti che non sono i nostri, ciò mi sembra quanto meno un po' bizzarro.
(Mancanza di una rappresentanza diplomatica italiana in Moldavia e disagi per i cittadini moldavi nel raggiungere l'Italia n. 2-00722)
PRESIDENTE. L'onorevole Venier ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00722, concernente la mancanza di una rappresentanza diplomatica italiana in Moldavia e disagi per i cittadini moldavi per raggiungere l'Italia (Vedi l'allegato A - Interpellanza urgenti sezione 4).
IACOPO VENIER. Signor Presidente, signor sottosegretario, intendiamo tornare su una questione che rimane irrisolta e che abbiamo già sottolineato con un'altra interpellanza a cui ha dato risposta la sua collega Sentinelli.
Si tratta di un problema serio, che riguarda la rappresentanza diplomatica italiana nella Repubblica di Moldova, che non esiste, e la cui mancanza provoca continui disagi, ma soprattutto vessazioni per i cittadini moldovi e per i cittadini italiani, e impedisce uno sviluppo positivo delle relazioni - che crescono - commerciali, economiche e culturali con il nostro Paese.
La situazione è andata aggravandosi pesantemente con l'ingresso della Romania nell'Unione europea in quanto i cittadini moldovi, che prima potevano accedere in Italia attraverso un canale di visti reperibili in Romania, oggi non lo possono fare. Ciò crea una situazione di gravissima preoccupazione, perché ovviamente, essendoPag. 50impedito sostanzialmente il canale ufficiale, regolare e giusto, per l'ingresso nel nostro Paese, si moltiplicano i casi e le segnalazioni di percorsi alternativi, irregolari e illegali, su cui spesso speculano le organizzazioni criminali.
Dopo che abbiamo presentato quella prima interpellanza urgente abbiamo avuto dei contatti con le molte associazioni di lavoratori moldovi che operano e lavorano seriamente in Italia e che ci segnalano una situazione di crescente difficoltà. L'ultima segnalazione proviene da un cittadino italiano. Voglio leggerla, signor sottosegretario, affinché si capisca di che parliamo. Questa persona scrive che si è sposata con una cittadina moldova e data questa situazione non è possibile ottenere in nessun modo il ricongiungimento familiare perché l'ambasciata rumena, ad oggi, non riconosce i documenti rilasciati dalle rappresentanze diplomatiche italiane. Questa situazione provoca ai soggetti interessati un costo enorme per rappresentare la propria posizione. L'ambasciata rumena, che dovrebbe realizzare, anche per noi, questo tipo di lavoro, non lo esegue e addirittura non riconosce i documenti ufficiali rilasciati dalle ambasciate italiane.
Per tale ragione, pur comprendendo le difficoltà finanziarie in cui ci muoviamo - abbiamo di fronte a noi una difficile discussione sulla prossima legge di bilancio - non è più procrastinabile una ridefinizione della rete consolare italiana, che è costruita su una proiezione tutta basata sulla nostra emigrazione e non sulle esigenze che riguardano i flussi immigratori. Allora, anche di fronte alle speculazioni politiche che molti in questo Paese fanno sul tema dell'emigrazione anche con la falsa discussione sui temi della sicurezza e sulla falsa equivalenza tra immigrazione e criminalità, noi dobbiamo dare risposte strutturali.
La prima di esse è la possibilità, per i cittadini di questi Paesi, che intendono regolarmente e in modo dignitoso avere accesso al mercato del lavoro italiano, di ottenere tale accesso attraverso relazioni con le autorità italiane, nella garanzia di percorsi non vessatori. In altre parole, avere la possibilità di accedere a percorsi legali di ingresso nel nostro Paese, cosa che per i cittadini moldovi è oggi sostanzialmente impossibile, data questa situazione. In sede europea non funziona l'Accordo esistente perché manca la nostra rappresentanza diplomatica in quel Paese.
Credo, quindi, necessario un impegno del Governo affinché la situazione si risolva nell'unico vero modo, cioè quello di realizzare una nostra rappresentanza diplomatica a Chisinau, capitale della Repubblica di Moldova.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per gli affari esteri, Vittorio Craxi, ha facoltà di rispondere.
VITTORIO CRAXI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Signor Presidente, onorevole Venier, le difficoltà cui i cittadini moldovi vanno incontro per la richiesta dei visti della nostra ambasciata a Bucarest sono note al Governo e sono state anche oggetto dei lavori delle consultazioni italo-moldove svoltesi a Roma il 14 giugno scorso.
Per risolvere queste difficoltà e per venire incontro all'esigenza di dare adeguato rilievo, sul piano delle strutture amministrative e diplomatico-consolari, all'importanza che la Repubblica di Moldova riveste per il nostro Paese, sono state individuate due possibili soluzioni a breve termine e una, più risolutiva, a medio termine.
Quelle di breve termine comprendono la partecipazione al common application center attivo a Chisinau, e di cui fanno parte, oltre all'Ungheria, l'Austria e la Slovenia, e la conclusione di un accordo di rappresentanza con l'Ungheria per il rilascio dei visti Schengen. Il common application center, di cui l'Italia ha chiesto di far parte, consentirebbe di risolvere in modo parziale il problema del rilascio dei visti brevi, cioè quelli di Schengen, ai cittadini moldovi. Bisogna però essere consapevoli del fatto che questa struttura, con la sua capacità di ricezione di un massimo di 10 mila richieste all'anno, non sarebbePag. 51in grado di assorbire l'intera richiesta di visti per l'Italia.
La seconda soluzione ponte è la stipula di un'intesa bilaterale con l'Ungheria per attribuire a Budapest la rappresentanza dell'Italia a Chisinau per il rilascio dei visti. Questa soluzione potrà avere piena attuazione soltanto quando l'Ungheria comincerà ad applicare in toto il Trattato di Schengen, cioè a partire dal prossimo gennaio 2008. Queste due soluzioni ponte, una volta a regime, faranno sì che i cittadini moldovi potranno procedere alla richiesta di visti Schengen per l'Italia senza doversi recare all'ambasciata italiana a Bucarest.
In attesa della loro attuazione, l'ambasciata a Bucarest resta competente al rilascio dei visti, sia nazionali sia Schengen, per i cittadini moldovi. Facciamo presente a questo proposito che la rappresentanza rilascia i visti in tempi assai contenuti ovverosia in giornata o al massimo entro i due giorni successivi alla richiesta.
Il Governo sta comunque pensando ad una soluzione di insieme, che consenta non solo di risolvere in via definitiva e per tutte le tipologie di richieste il problema della concessione di visti ai cittadini moldovi ma che dia anche adeguato risalto alla importanza che noi attribuiamo alle relazioni bilaterali con quel Paese. In quest'ottica il Governo ha inserito tra le proprie priorità l'apertura di un'ambasciata a Chisinau. L'apertura si realizzerà nel contesto della ristrutturazione della rete diplomatico-consolare e degli istituti di cultura disposta dalla legge finanziaria 2007. Un piano che mira a coniugare l'esigenza di razionalizzare le risorse disponibili con l'obiettivo di mantenere inalterato il livello di rappresentanza esterna delle strutture preesistenti e del servizio reso all'utenza.
In questo quadro normativo, l'amministrazione ha individuato un articolato piano di interventi sulla rete finalizzato al contenimento della spesa e al recupero di risorse, sia umane che finanziarie, necessarie a potenziare la rete, in considerazione del mutato contesto geopolitico, tramite l'istituzione di nuove sedi ovvero l'elevazione di strutture già esistenti.
La prima fase della ristrutturazione - da attuare entro la fine di quest'anno - comprende i seguenti interventi che, per quanto concerne il settore consolare, hanno già ricevuto il parere favorevole del comitato di presidenza del Consiglio generale degli italiani all'estero. A decorrere dal 1o ottobre 2007 avvieremo l'accorpamento della rappresentanza permanente presso la Conferenza del disarmo a Ginevra nella rappresentanza permanente presso le organizzazioni internazionali in quella sede presenti.
A decorrere dal 1o novembre 2007 verrà soppresso il consolato ad Atene e il consolato a Il Cairo e verrà effettuato un accorpamento presso le ambasciate in quelle città come cancellerie consolari. Verrà soppresso il consolato generale a Lipsia con contestuale attribuzione delle competenze territoriali alla cancelleria consolare dell'ambasciata a Berlino. Verrà soppresso, infine, il consolato di Bastia, attribuendo la relativa competenza territoriale sulla Corsica al consolato generale a Marsiglia. Le cancellerie consolari ad Atene e Il Cairo opereranno negli edifici che ora ospitano i consolati; a Bastia, in Corsica, sarà creato uno sportello permanente per assicurare una presenza in loco e per fornire servizi consolari con un collegamento telematico con Marsiglia; a Lipsia verrà poi istituito un ufficio consolare onorario.
A decorrere dal 1o gennaio 2008, verrà istituito un consolato generale a Mosca, con contestuale soppressione di una cancelleria consolare dell'ambasciata. Nel corso del 2008 è poi prevista l'istituzione dell'ambasciata a Chisinau, unitamente ad altre misure attualmente allo studio.
Nel frattempo, al fine di avere una presenza istituzionale in Moldova e per l'assistenza ai nostri connazionali, è stato istituito un consolato onorario a Chisinau, dipendente dall'ambasciata d'Italia a Bucarest. L'esigenza manifestata dall'onorevole Venier, di rafforzare la presenza istituzionale italiana in Moldova, vede,Pag. 52quindi, il Governo non solo concorde ma già attivo nella individuazione, in tempi rapidi, di risposte quanto più possibilmente soddisfacenti.
PRESIDENTE. L'onorevole Venier ha facoltà di replicare.
IACOPO VENIER. Signor Presidente, non posso che dichiararmi soddisfatto dell'impegno formalizzato relativo all'apertura dell'ambasciata a Chisinau nel corso del 2008. È quello che avremmo voluto ed è quello che serve per risolvere una situazione sempre più insostenibile. Le soluzioni ponte, alle quali aveva già accennato la Viceministro Sentinelli, nel dicembre dello scorso anno, non sono efficaci.
È necessario ricorrere ad una soluzione strutturale e l'unica credibile è l'apertura di una ambasciata. Noi la sosterremo e verificheremo che questo impegno, così annunciato, divenga realtà perché - per le considerazioni che ho svolto poc'anzi, per lo sviluppo delle relazioni bilaterali con la Repubblica di Moldova e per la sicurezza e la dignità dei lavoratori moldavi che vogliono recarsi nel nostro paese - non è più possibile consentire la situazione attuale in cui versa una parte della popolazione così bisognosa, al punto di scegliere la via dell'emigrazione per contribuire allo sviluppo del nostro Paese. Occorre un'azione e un impegno di evidente serietà, spesso necessario per la tenuta dello stesso tessuto sociale italiano.
Ringrazio il Governo per tale risposta e sono sicuro che l'impegno preso verrà attuato all'interno delle previsioni relative all'anno 2008.
(Interventi in relazione alla situazione del sistema universitario italiano - n. 2-00729)
PRESIDENTE. L'onorevole Marinello ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00729, concernente interventi in relazione alla situazione del sistema universitario italiano (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 5).
GIUSEPPE FRANCESCO MARIA MARINELLO. Signor Presidente, non esporrò compiutamente l'interpellanza urgente che ho presentato, la quale, tra l'altro, riteniamo sia molto corposa e puntuale nei propri contenuti. D'altronde la presenza del Ministro Mussi ci dà pienamente ragione non solo sulla bontà, in senso lato, di tale interpellanza (o comunque delle questioni in essa contenute) ma, soprattutto, della cogenza della problematica. Le questioni che abbiamo rilevato sono state rappresentate in maniera molto puntuale e pertanto, rimando il mio intervento alla replica e attendo le risposte del Ministro.
PRESIDENTE. Il Ministro dell'università e della ricerca, Fabio Mussi, ha facoltà di rispondere.
FABIO MUSSI, Ministro dell'università e della ricerca. Signor Presidente, non ho voluto mancare l'occasione! L'università italiana è la più antica del mondo, è un'istituzione di grande rango e il contributo della scienza e della cultura italiana al sapere universale è enorme. Inoltre, nel mondo moderno, università e ricerca rappresentano, sempre più, la chiave del futuro per tutti paesi. Vorrei dichiarare, preliminarmente, che accolgo e accoglierò con favore tutte le convergenze politiche e parlamentari orientate alla soluzione dei problemi, perché è in gioco - non costituisce retorica dirlo, in questo caso - realmente un interesse nazionale prioritario.
Ho letto attentamente l'interpellanza dell'onorevole Marinello e degli altri che l'hanno sottoscritta; non sono sicuro di essere il legittimo destinatario di tutti punti dell'interpellanza, ma proverò a non sottrarmi a nessuno di essi. Ne ho individuati undici rilevanti.
Il primo riguarda il clima di sospetto e di sfiducia che si dice si va diffondendo anche nei media relativamente all'università. Fra le molte citazioni possibili si menziona un titolo del giornale Il Manifesto (gli amici de Il Manifesto saranno contenti di questa citazione anche se se ne potevano trovare infinite altre) e nel vostroPag. 53testo, onorevole Marinello, si parla di «quotidiani scandali». Questo non è l'anno in cui avvengono gli scandali, ma quello in cui cominciano a svelarsi, in cui c'è una reazione.
Ho provato a porre al centro del Governo e del sistema la questione morale, la questione della legalità e della trasparenza. In questi mesi - cosa che non mi sarei neanche immaginato all'inizio - ho dovuto continuamente coinvolgere magistratura, forze di polizia e alla fine anche l'alto commissariato anticorruzione ed ho incoraggiato molti, a partire dai rettori, a prendere decisamente l'iniziativa; se alcuni episodi di corruzione sono venuti fuori si deve anche all'iniziativa, quest'anno, di alcuni rettori ad esempio quelli di Catanzaro e di Bari.
Mi ero permesso qualche giorno fa di citare il motto evangelico «o portet ut scandala eveniant»; padre Giordano Muraro - importante teologo - su Famiglia cristiana mi ha ricordato il seguito dello scritto evangelico: «guai però a coloro per i quali gli scandali avvengono» e sono del tutto d'accordo con lui. Occorre entrare, frusta in mano, per cacciare i mercanti dal tempio; mettere fuori dall'università corrotti e corruttori è diventato un imperativo morale e politico, altrimenti il sistema non si governa.
Il secondo punto della vostra interpellanza, onorevole Marinello, alla lettera b) considera l'«infausta logica dei concorsi universitari». Come si sa, le regole concorsuali sono state continuamente mutate negli anni, con un processo di riforma praticamente ininterrotto e sono state provate infinite combinazioni. Vorrei dire che non è vero che è tutta spazzatura; nell'università italiana esiste qualità ed eccellenza, come dimostrano tanti successi dei nostri laureati, tuttavia c'è anche una quota insopportabile e all'apparenza irriducibile di clientelismi, di cordate di potere, di nepotismo che deprimono il principio cardine di qualunque sistema di alta formazione: il principio del merito.
Da uomo di sinistra si faccia dire, onorevole Marinello - e ho l'impressione che qui possiamo trovare importanti convergenze - che si vede bene come mediocrità si accompagni facilmente con abusi e disuguaglianze e merito si accompagni, al contrario, bene con trasparenza e rispetto del principio di uguaglianza.
La Costituzione parla di valutazione comparativa per l'accesso a posti pubblici e, dato che il posto di insegnante all'università è un posto pubblico, sono necessarie valutazioni comparative. Allora bisogna lavorare - come stiamo facendo - a criteri nuovi che riducano i fattori d'arbitrio ed a incentrare tutto il sistema intorno alla valutazione.
È molto più importante un meccanismo valutativo dei risultati che premi i miglioramenti e i buoni risultati e punisca i peggioramenti e i cattivi risultati piuttosto che puntare ad un controllo delle procedure sempre più di dettaglio.
È valutando a valle e risalendo a monte per orientare le risorse che forse si può trovare la chiave della soluzione.
Sono sorpreso per il paragrafo successivo, alla lettera c) dell'interpellanza dove si scrive «casta» di valutatori «anonimi». Immagino ci si riferisca al regolamento, che aspetta di ricevere il parere definitivo del Consiglio di Stato, per il piano straordinario di assunzione dei ricercatori. Voglio ricordare ancora che nell'ultima legge finanziaria sono state allocate poste di bilancio di 20 milioni per il 2007, 40 per il 2008, 80 per il 2009, più altri 37 milioni, che ho trovato nel bilancio del Ministero e destinato a questo, per i ricercatori degli enti di ricerca.
Si tratta di un piano volto a riaprire ai giovani l'accesso alla docenza universitaria, visto che uno dei problemi, segnalato anche in sede internazionale, è quello dell'invecchiamento del corpo docente. Noi abbiamo il corpo docente più vecchio del mondo: l'età media degli ordinari sfiora i sessanta anni, ma anche tutte le altre figure, ormai, sono state sottoposte ad un progressivo invecchiamento.
Nel regolamento c'è una novità nella selezione, perché quest'ultima è attribuita in prima battuta a referees anonimi su liste, come si dice, a domanda, nazionali e internazionali, i quali valutando il curriculumPag. 54dei candidati ne portano all'esame delle commissioni di ateneo il quarto con la valutazione più alta. È il sistema della peer review, la rivista tra pari, e dei referees, che è un sistema di largo uso in Europa e nel mondo, che corrisponde a standard internazionali evoluti.
Tra l'altro, molti docenti e ricercatori italiani fanno i valutatori per altri Paesi e mandano le loro anonime valutazioni per stimare i curricula dei candidati all'assunzione nelle università francesi, tedesche, inglesi, americane ed altre.
Si dice, sempre in questa parte dell'interpellanza, che non siamo un Paese coloniale. Ora, questo scatto di orgoglio nazionale in questo punto mi pare, lo dico sommessamente, fuori luogo, proprio perché l'Italia è impegnata, insieme a tutti gli altri Paesi dell'Unione europea, a costruire quello che si chiama lo spazio europeo della formazione superiore della ricerca. Questo diventa un unico spazio, in cui si armonizzano i sistemi e in cui si muovono liberamente, ben oltre i criteri di Schengen, i ricercatori e i docenti universitari.
Non ho capito bene quanto scritto nella lettera d), dove si fa riferimento a «annunciate modificazioni dello stato giuridico del personale docente dell'università». Su ciò, pubblico e privato, non ho fatto niente di particolare, salvo una volta, mi pare, notare che molti atenei privati, che sono pienamente inseriti nel sistema della formazione superiore, lavorano con una certa abbondanza di insegnanti pubblici, i cui stipendi sono prevalentemente a carico dello Stato. Siamo il Paese in cui spesso teorie liberiste nascondono pratiche stataliste.
Si arriva poi alla lettera e), da cui la nostra discussione origina: lo scandalo dei test. I test, i concorsi di ammissione a test derivano dall'esistenza di corsi a numero chiuso.
Voglio fornire un dato che non è noto, che è «fresco fresco». Il primo anno di applicazione del numero programmato, dei corsi a numero chiuso è stato, sulla base della legge del 1999, il 2000-2001. Nel 2000-2001, ultimo anno del Governo di centrosinistra, i corsi a numero chiuso erano - a parte quelli che sono statuiti da accordi europei, a cui verrò subito - 183. L'anno scorso - ultimo anno di gestione del precedente Governo, ma non sono qui a scaricare responsabilità - i corsi erano 998: in cinque anni vi è stato un incremento di oltre il 500 per cento. Sono state lasciate le briglie sciolte sul collo di questo cavallo, che ha corso, corso molto. Quest'anno - 2006-2007 - i corsi a numero chiuso sono stati 922, cioè 76 in meno. Il primo anno in cui la curva si interrompe e scende è questo. Credo che derivi anche dalla lettera - si tratta di una procedura, come si dice, di moral suasion - che in aprile ho mandato ai rettori per dire: «Cari amici, non esagerate». L'effetto è che si è fermata la corsa all'aumento dei corsi a numero chiuso, anzi vi è stato quasi il 10 per cento di riduzione.
Sono contrario al numero chiuso. Però c'è un doppio problema. In primo luogo, abbiamo vincoli europei per quanto riguarda cinque profili: medicina, odontoiatria, veterinaria, architettura e ingegneria civile, anche se bisogna riguardare bene i numeri, perché alcuni non mi paiono congrui. Per esempio, il fatto che in Italia, dove le cure dentistiche hanno i costi che conosciamo, dove evidentemente c'è così scarsa concorrenza, il numero di ottocento per tutti i candidati a odontoiatria sembra più volto a difendere una categoria, che non effettivamente a rispondere ad una domanda di cura dei cittadini. In primo luogo, dunque, vi sono i vincoli europei: nelle materie da essi regolati non possiamo fare quello che ci pare, e lo si capisce anche per certe categorie, perché è del tutto evidente che per diventare medico sono necessari i malati, i posti letto, cioè si ha bisogno di una parte pratica che richiede possibilità concrete, luoghi, occasioni; non si può studiare sui libri a casa e basta.
In secondo luogo, la legge impone alle università dei requisiti minimi per aprire un corso: ci vuole un certo numero di insegnanti e ci vogliono certi spazi. È del tutto evidente che con quattro docenti e una stanza di quaranta metri quadri èPag. 55difficile fornire un adeguato livello per un corso rivolto a duemila, tremila, quattromila, cinquemila studenti. Bisogna, quindi, progressivamente curare la «doppia curva»: quella a scendere dei corsi a numero chiuso e quella a salire delle risorse, che mettiamo a disposizione delle università per corrispondere alla domanda crescente di formazione.
Vi sono poi i sistemi di selezione e la questione del test. Prima vediamo la patologia, le truffe che sono state svelate. A Catanzaro è stato il rettore a informarmi che erano sparite la sera prima delle buste; quindi si è fatta la prova senza sapere esattamente chi conoscesse già in anticipo i risultati ed essa è stata poi ripetuta. A Bari è stato il rettore che, avendo avuto segnalazioni che descrivevano per filo e per punto il «sistema», si è rivolto alla Guardia di finanza, effettuato che ha un'eccellente operazione. Qualunque sia il sistema, la truffa non si giustifica in nessun modo, va colpita duramente. Questa truffa deriva da altre cose: per esempio un certo «familismo amorale», per cui si ritiene che per il pargolo si possa fare tutto, e da parte loro, come si è visto dalle interviste sulla stampa, molti pargoli ritengono che abbiano fatto bene i genitori a dare un «aiutino», magari pagando per avere in tempo reale i risultati dei test.
Si deve poi dire che, fra coloro che sono stati segnalati dalla magistratura a Bari per aver comperato le risposta ai test ho constatato che la grande maggioranza sono figli di medici. In merito si riscontrano un po' i caratteri fossili della società italiana: i medici che pretendono che i figli facciano i medici, i dentisti che i figli facciano i dentisti e poi tutti sono scandalizzati se sono magari gli operai a volere che i propri figli facciano i medici.
I test sono un metodo di larga diffusione internazionale. Ne abbiamo verificati i limiti, tanto è vero che il 27 luglio io ed il collega Fioroni abbiamo firmato un decreto - che è oggi all'attenzione delle Camere - nel quale si afferma che le prossime prove dovrebbero svolgersi su 105 punti, dei quali 80 determinati dal test e 25 in base ai risultati medi degli ultimi tre anni di scuola superiore e a quello di maturità, in modo da far pesare anche il curriculum scolastico precedente. È l'occasione per una discussione più aperta sui sistemi di selezione. Su di essa mi dichiaro totalmente aperto: credo che tutte le buone idee che dovessero venire possano essere raccolte.
Al settimo punto si parla degli errori compiuti da chi ha compilato il test. Tali errori sono deprecabili: 2 su 80 è una percentuale insopportabile. Pure, anche se la percentuale è alta, vi sono molti precedenti, anche nell'ambito di concorsi pubblici, non solo per l'università ma anche in altri settori dello Stato. Nell'università, in particolare per medicina, vi sono stati errori nel 2000 e nel 2005, così anche per altri concorsi; ed errori vi sono stati persino negli elaborati per gli esami di maturità. In proposito, ho richiesto un giudizio preciso all'Avvocatura generale dello Stato, che lo ha fornito a tempi di record. L'Avvocatura afferma che, in base a tutti i precedenti, non vi è fondamento giuridico per sostenere che, dal momento che alcuni quiz presentavano risposte sbagliate, andrebbe annullata l'intera prova: quest'ultima è comunque valida sul numero dei quiz giusti, poiché ciò rispetta comunque la par condicio. Non solo si tratta di un parere molto autorevole, ma vi sono anche moltissimi precedenti di comportamenti analoghi.
All'ottavo punto si fa riferimento - ma in merito interpreto - allo scandalo della vendita degli esami. In particolare, credo vi possano essere un'allusione ed un riferimento alle lauree facili in convenzione. Si tratta di un fenomeno molto diffuso, che ho trovato al mio insediamento, in base al quale chi è dipendente di un'amministrazione, magari di un ministero, o chi è membro di un ordine professionale (in un'università ho persino visto parlare degli iscritti ad un sindacato), ottiene magari 120, 125 o 115 punti su un totale di 180. Si tratta di una sorta di compravendita: l'università ne guadagna perché aumenta il numero dei suoi studenti e dunque partecipa alla ripartizione di una fettaPag. 56maggiore del Fondo di finanziamento ordinario; chi ottiene le lauree facili, invece, torna sul proprio posto di lavoro e chiede l'avanzamento di qualifica, giungendo così a sedere con la stessa qualifica di chi ha invece faticato - eccome! - per avere il suo titolo.
Quella di laureare l'esperienza è un pratica presente in tutto il mondo: tutte le università riconoscono, sulla base dell'esperienza, la possibilità di ottenere un certo numero di crediti. Nell'ambito di cui stiamo trattando, però, si era fuori da qualunque ragionevole misura. Ho così chiuso i rubinetti: oggi la legge prevede che all'esperienza non si possano attribuire più di 60 crediti e che tali crediti vadano non alla categoria, ma alla persona cui si riconosce di aver appreso una lingua, di aver scritto libri, di aver partecipato a stage, insomma di avere un'esperienza che merita. Si tratta, dunque, al massimo di 60 crediti e di crediti alla persona e non alla categoria. Avendo comunque avuto da un'inchiesta giornalistica l'informazione che qualcuno continua a fare il furbo, ho messo il tutto nelle mani della magistratura.
Al nono punto si fa riferimento ad atenei non statali, direttamente nati dalla iniziativa di centri di preparazione di esami universitari e collegati, con contratti di franchising, con scuole private.
Può darsi che vi sia qualche università telematica che ha creato questo circuito chiuso. Subito dopo però, al punto dieci, si fa riferimento all'importante contributo fornito dalle università telematiche. Al riguardo voglio essere chiaro: se una università telematica è valida, è una buona università: non è che il carattere telematico la declassi ipso facto (se è valida, ripeto, è una buona università). Abbiamo avuto un'alluvione di università telematiche: come le cateratte per i crediti facili e le lauree in convenzione si aprono con la legge finanziaria del 2001, così l'alluvione delle università tematiche si è aperta in questi anni. Il boom si è registrato negli ultimi anni con un altro Governo (spiace doverlo ricordare): ne abbiamo dodici, ma non vi è alcun paese in Europa che abbia dodici università telematiche. Quando mi sono insediato al Ministero ne ho fermate altre cinque i cui provvedimenti istitutivi erano in fase di registrazione presso la Corte dei conti (lo ripeto erano altre cinque: se non le avessi bloccate sarebbero state diciassette); ed ho fermato anche situazioni che sono un po' curiose. Ho trovato, per esempio, un corso telematico per infermieri: posso immaginare che si possa imparare a misurare la pressione stando davanti ad un computer, ma mi è difficile capire come si impari a praticare un'iniezione stando di fronte ad un computer, pertanto tali corsi sono stati sospesi ed annullati. Per avere università telematiche buone bisogna disporre più stringenti requisiti per garantire la qualità delle stesse università telematiche.
Infine, condivido il punto undici, relativo alle lezioni private a pagamento agli studenti della propria facoltà: si tratta di un sistema «casa e bottega», che deve essere fermato in quanto non è né etico né legittimo, impedendo il verificarsi di abusi. Nell'immediato vi è un provvedimento d'urgenza, che arriverà all'esame delle Camere. Avanzo un'ipotesi - che è anche una proposta - che non ho discusso con il resto del Governo (ne sottolineo, quindi, il carattere di ipotesi), ossia che si possano introdurre d'urgenza alcune norme di ulteriore e più forte garanzia come, ad esempio, l'istituzione di un corpo di ispettori, del quale attualmente il Ministero non dispone, per arrivare sul fatto tempestivamente e non quando i buoi sono scappati, nonché la previsione di norme severe nei confronti di chi tenta di avanzare con le truffe, disponendo, ad esempio, che gli studenti coinvolti in truffe vengano esclusi per cinque anni dall'università italiana.
Credo che sia un dovere del Governo e del Parlamento separare il sano dal malato ed il pulito dal marcio e restituire fiducia all'opinione pubblica nei confronti dell'università e prestigio e reputazione all'università stessa: il bene più prezioso di cui dispone l'università è, infatti, la reputazione. Se si incrinasse questa, si verificherebbe una perdita irrimediabile: abbiamoPag. 57quindi il dovere di restituire reputazione, compiendo gli atti giusti allo scopo. Per tale obiettivo mi dichiaro pronto a lavorare in Parlamento con tutte le forze politiche e con tutti i gruppi parlamentari.
PRESIDENTE. L'onorevole Marinello ha facoltà di replicare.
GIUSEPPE FRANCESCO MARIA MARINELLO. Signor Presidente, non mi dichiaro soddisfatto, anche se devo riconoscere, nell'appassionato intervento del Ministro Mussi, una serie di spunti meritevoli di un approfondimento (che tenterò di svolgere nel mio intervento), fermo restando che cogliamo in maniera assolutamente positiva la disponibilità, manifestata dal Ministro, perché siamo fermamente convinti che l'università italiana, proprio per l'antichità, il prestigio, la nobiltà e i grandi risultati che la stessa ha raggiunto, non soltanto nel nostro Paese e per il nostro Paese, ma anche nell'interesse - non abbiamo paura delle parole altisonanti - più universale, sia un'istituzione che deve essere difesa, un sistema di tutti e a cui tutti teniamo.
Vede, signor Ministro, lei giustamente ha svolto una difesa dell'università, evidentemente non soltanto per dovere di ruolo. Anche noi siamo fondamentalmente convinti che tale istituzione vada assolutamente difesa, ma non possiamo sottacere che negli ultimi decenni (non è un fatto che ascriviamo a questo Governo o a quello precedente, ma è un vezzo che denunziamo da parecchio tempo) il sistema universitario italiano è diventato sempre più autoreferenziale.
Ciò che abbiamo scritto, al di là dei fatti momentanei dovuti alle recenti notizie di cronaca, sono aspetti che vengono periodicamente denunziati da decenni e che costituiscono la punta di un iceberg. Si tratta di un sistema pensato e sviluppato negli ultimi decenni più per alimentare se stesso che per alimentare il desiderio e la necessità di scienza, di cultura, di innovazione e di ricerca del nostro Paese. Il sistema universitario, come dicevamo, è diventato sempre più autoreferenziale ed è per questo che vi sono le dinamiche feudali, gli scandali dei concorsi, le caste dei valutatori anonimi (ritorniamo su questo problema, signor Ministro). Mi dispiace che lei non abbia assolutamente colto il significato della nostra osservazione. Siamo proprio convinti che in questo sistema vi sia del marcio e che il sistema stesso vada scrupolosamente attenzionato e modificato.
Siamo convinti che i metodi ricordati hanno, di fatto, contribuito ad aggravare il sistema, a creare situazioni di nepotismo, che si sono ripetutamente verificate dalle Alpi al canale di Sicilia, e che, alla fine, hanno contribuito a dequalificare, non soltanto dal punto di vista del prestigio - è già importante, ma non è tutto - ma soprattutto dal punto di vista dei risultati, l'università italiana nel suo complesso.
Siamo anche convinti che un'università - ma questo discorso potremmo anche estenderlo alla scuola o ai sistemi di formazione, più in generale - che non abbia a cuore, tra le proprie mission, formare nuove forze per il lavoro, l'innovazione e lo sviluppo del Paese, ma che abbia come mission (non ovviamente dichiarata, ma di fatto) auto-alimentare il sistema, auto-incrementarlo con la proliferazione senza fine di cattedre e di corsi di laurea (che molto spesso, di fatto, producono lauree che non danno alcun accesso al mondo del lavoro) non serva al Paese. Siamo dunque convinti che un sistema così pensato, che si è continuato e si continua a perpetrare, faccia male al Paese (soprattutto alle giovani generazioni) e serva solo ad alimentare un sistema di potere, a perpetuare l'interesse di una vera e propria casta alla proliferazione di un sistema che, nella sua autoreferenzialità, vuole continuare a perpetuarsi.
Siamo anche soddisfatti della parte del suo intervento, signor Ministro, in cui parla di principio del merito. In Italia, una certa cultura ha coccolato le lobby universitarie, nella convinzione che tali lobby non andassero governate, né controllate, ma appunto coccolate, perché in determinati momenti erano assolutamente funzionaliPag. 58a disegni politici estranei all'università, alla ricerca e all'innovazione del Paese ma finalizzati a interessi di altra natura, talvolta «di bottega». Siamo convinti che nel mea culpa che tutta la politica deve fare, vi sia una grande parte politica - che oggi, per certi versi, è anche al Governo del Paese - che dovrebbe recitare anch'essa un mea culpa, a mio avviso con qualche momento di maggiore sincerità. Infatti, non si può coccolare una determinata casta quando quest'ultima serve a sottoscrivere appelli che nulla hanno a che vedere con il mondo dell'università e della ricerca scientifica. Non è possibile coccolare una casta quando serve a rimpolpare la folla dei girotondi e dei girotondini e poi non tenere presente che quella stessa casta nel tempo ha creato la serie di guasti che già abbiamo denunziato. Proseguendo oltre, siamo convinti che ciò che abbiamo definito «florido mercato dei test di ammissione» sia un fenomeno tutto italiano - o prevalentemente italiano - che, probabilmente, riteniamo in assoluta buona fede non ascrivibile al Governo in carica, che tuttavia aveva il compito di una migliore e maggiore sorveglianza. Sarà un caso, ma i due più gravi scandali nelle ammissioni alla facoltà di medicina si sono verificati in due anni precisi: nel 2000, quando alla guida del Paese c'era il centrosinistra e, ora, nel 2007. Evidentemente, sarà un caso, sarete anche sfortunati, non voglio assolutamente pensare alla malafede, sarà anche una casualità, però - mi scusi la battuta, che serve a riportare un po' di ironia nel nostro intervento - evidentemente anche la fortuna e la sfortuna fanno parte del gioco della vita.
Per tornare ai nostri ragionamenti, siamo convinti che vi siano implicite responsabilità in alcune strutture del Ministero, mi riferisco evidentemente non all'apparato politico, ma all'apparato burocratico. Vi sono, inoltre, fenomeni da riconsiderare nella società, la Cineca, che contribuisce alla gestione del sistema. Lei, signor Ministro, ha giustamente fornito, in un certo qual modo, la risposta alla parte dell'interpellanza nella quale abbiamo puntato il dito sui consulenti. È assolutamente deprecabile che dei consulenti commettano errori, e riteniamo che prove di tal genere debbano essere soggette a più verifiche preventive.
Siamo, tuttavia, convinti che qualche altra ulteriore leggerezza sia stata commessa. Signor Ministro, quando giustamente parla di Catanzaro e correttamente sostiene che in tale sede il quiz è stato annullato, essendo state riscontrate alcune buste aperte, in un certo qual modo sostiene, di fatto - e le diamo ragione - che probabilmente attraverso le suddette buste aperte sono stati commessi illeciti. Pertanto, è presumibile che uno, dieci, cento, molti o pochi studenti - o aspiranti tali - abbiano compiuto illeciti e, quindi, si è resa necessaria la ripetizione delle prove. Nell'epoca delle comunicazioni, nell'epoca dell'informatica e della telefonia mobile, che imperversa in ogni dove, chi impedisce di pensare che, attraverso le ricordate buste aperte a Catanzaro, in altri atenei d'Italia siano stati compiuti illeciti grazie alle schede provenienti dall'università calabrese? Ciò, evidentemente, rappresenta un'ipotesi, ma è credibile e verosimile. Quindi, di fatto, ciò rappresenta un vulnus per l'intera operazione.
Dunque, a mio avviso, la responsabilità politica che lei oggi detiene doveva spingerla a porsi, almeno, la domanda e a fornire una risposta all'interrogativo che le sto rivolgendo. Tra l'altro, se la memoria non m'inganna...
PRESIDENTE. La invito a concludere.
GIUSEPPE FRANCESCO MARIA MARINELLO. ... nel passato, allorquando in un altro ateneo si verificò un'ipotesi di questo genere, gli esami vennero annullati in tutta Italia.
Signor Presidente, mi avvio alla conclusione, sto cercando di recuperare i tempi dell'illustrazione.
PRESIDENTE. No, purtroppo lei ha già superato il tempo a sua disposizione, quindi deve concludere.
Pag. 59
GIUSEPPE FRANCESCO MARIA MARINELLO. Concludo velocemente, Presidente. Non ci riteniamo soddisfatti della riposta del Ministro sulle questioni che abbiamo sollevato.
Inoltre, per quanto riguarda i fenomeni da noi denunziati dei «diplomifici» e delle università a loro collegate, crediamo che vada fatta chiarezza nell'interesse della cultura italiana e delle future generazioni e che i fenomeni speculativi vadano intercettati, ma non possiamo ritenere che si debba fare di tutta l'erba un fascio!
PRESIDENTE. Deve concludere.
GIUSEPPE FRANCESCO MARIA MARINELLO. Nel decreto ministeriale del 17 aprile 2003 sono previsti controlli ispettivi di qualità per le università telematiche; allora, signor Ministro, sia consequenziale, li attivi subito, così che si possa separare il grano dal miglio.
(Piano industriale Alitalia e sue conseguenze negative sull'economia del nord Italia - n. 2-00700)
PRESIDENTE. L'onorevole Lupi ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00700, concernente il piano industriale Alitalia e sue conseguenze negative sull'economia del nord Italia (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 6).
MAURIZIO ENZO LUPI. Signor Presidente, credo che i dati e i contenuti della mia interpellanza, riguardando il piano industriale di Alitalia e la scelta di tagliare delle rotte su Malpensa, siano noti a tutti; tra l'altro, la Camera ne ha discusso proprio all'inizio di questa settimana. Pertanto, ascolterò con attenzione il Governo e mi riservo di replicare per dichiararmi soddisfatto o meno, dopo l'intervento del sottosegretario.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per i trasporti, Raffaele Gentile, ha facoltà di rispondere.
RAFFAELE GENTILE, Sottosegretario di Stato per i trasporti. Signor Presidente, credo sia opportuno soffermarsi, innanzitutto, sulle motivazioni che hanno indotto la società a predisporre un nuovo piano industriale, ritenendo che tale adempimento non fosse ulteriormente procrastinabile. Fino allo scorso mese di giugno, infatti, considerata la procedura di vendita in corso da parte del Ministero dell'economia e delle finanze, l'azienda non aveva ritenuto di effettuare la revisione del precedente piano industriale e aveva rinviato ogni ulteriore valutazione al riguardo a data successiva all'acquisizione di tutti gli elementi necessari.
In seguito, preso atto del mancato esito della procedura di privatizzazione da parte del Ministero dell'economia e delle finanze, la società, già prima del rinnovo del vertice aziendale, aveva ritenuto ormai non più procrastinabile l'impostazione di un nuovo documento programmatico, che definisse tempestivamente le più opportune iniziative idonee a contenere l'emorragia patrimoniale e finanziaria che continua a indebolire l'azienda e che, inoltre, assicurasse l'imprescindibile mantenimento dei presupposti di continuità aziendale, il cui venir meno determinerebbe una rapida accelerazione nella già grave situazione finanziaria di Alitalia.
Nell'impostazione delle linee guida del nuovo piano industriale, l'azienda, e in particolare il nuovo management, ha comunque sempre evidenziato come lo stesso s'incardini nel più volte confermato intendimento del Governo di cedere il controllo di Alitalia, risultando, quindi, come lo ha definito la società, un piano di transizione e sopravvivenza, in attesa che si realizzi l'ingresso del nuovo azionista di controllo.
Prima di esporre alcune considerazioni in merito ai contenuti del piano di Alitalia, ritengo sia comunque necessario qualche cenno ai diversi ruoli che rivestono la società e il Ministero azionista.
Alitalia è una società quotata e, in quanto tale, è soggetta a obblighi informativi e di comportamento vigilati dalla Consob, quali l'informativa periodica (relazioni trimestrali, semestrali e bilancioPag. 60certificato), l'informativa continua (comunicati al mercato per eventi price sensitive) e le regole di governo societario e di organizzazione (amministratori o dipendenti, sistemi di controllo interno).
Se, quindi, il Ministero, nel rispetto delle regole di mercato, deve necessariamente limitarsi all'esercizio dei diritti connessi alla partecipazione detenuta - sebbene la stessa sia di maggioranza relativa - da parte loro, gli amministratori di Alitalia devono operare per il perseguimento degli interessi, non del socio pubblico di riferimento, ma esclusivamente della società e, quindi, di tutti gli azionisti. Sono quindi tenuti, con responsabilità diretta e personale, a rispettare i principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale e a perseguire unicamente finalità economiche, di sana e corretta gestione e, ove possibile, di creazione di valore per gli azionisti.
Tengo a rilevare in questa sede che il Ministero non esercita attività di direzione e coordinamento né su Alitalia, né sulle altre società controllate e, in quanto soggetto pubblico, è tenuto al rispetto degli obblighi derivanti dalla normativa nazionale e comunitaria (ad esempio, in tema di trasparenza e non discriminazione per quanto attiene alle procedure di dismissione di partecipazioni e in tema di aiuti di Stato relativamente al sostegno finanziario che intende assicurare alle società partecipate).
Queste poche precisazioni sono essenziali per chiarire in modo puntuale quanto l'intervento del Ministero, ma, con esso, dell'intero Governo, in tema di partecipazioni pubbliche, specie se quotate, debba necessariamente ed obbligatoriamente mantenersi sempre in una logica di pieno e totale rispetto del mercato e di scelte gestionali che competono agli amministratori scelti dagli azionisti; amministratori che con il loro operato devono rispondere agli stessi azionisti, e non a uno solo (anche se di maggioranza).
Tornando, quindi, ai contenuti del piano industriale di Alitalia, rilevo che gli obiettivi di fondo che lo stesso intende perseguire, sino senz'altro condivisibili. Tali obiettivi possono così essere riassunti: modificare e ridimensionare l'assetto di business della compagnia nel periodo transitorio, in modo da renderlo più sostenibile da un punto di vista economico e in un contesto di migliore efficienza operativa; preservare il valore del brand Alitalia attraverso la ridefinizione della missione industriale e di un profilo competitivo distintivo; realizzare un miglior posizionamento industriale in grado di favorire l'ingresso di soggetti terzi in possesso di competenze specifiche e risorse finanziarie da destinare allo sviluppo della compagnia.
È, inoltre, confermata l'esigenza di un consistente apporto di risorse finanziarie, mediante aumento di capitale.
In tale visione complessiva, quindi, il piano appare del tutto coerente sia con l'esigenza di definire le più opportune iniziative, da avviare nel più breve tempo possibile, per preservare il valore dell'azienda e rallentare il trend di perdite e di erosione delle liquidità, sia con il percorso di privatizzazione confermato dal Governo per la tempestiva individuazione di soggetti industriali e finanziari disponibili ad acquisire il controllo della società.
Le finalità sottese sono, infatti, quelle di perseguire prioritariamente condizioni di sostenibilità e continuità dell'attività aziendale nel breve-medio periodo, con le sole risorse disponibili e gli interventi attuabili con immediatezza per realizzare un modello aziendale più efficiente e flessibile, in un contesto di relazione industriale orientato al massimo sforzo comune di management e lavoratori; tutto questo in attesa di decisioni in ordine al futuro assetto proprietario della compagnia e al conseguente assetto industriale definitivo.
Come la società lo ha correttamente definito, il piano industriale è un «piano di sopravvivenza e transizione», caratterizzato - come ricordavo precedentemente - dall'esigenza improcrastinabile e prioritaria di contenimento delle perdite e dell'assorbimento di cassa, nella consapevolezza che, nel contesto di criticità attuale,Pag. 61l'alternativa rispetto a questo piano di sopravvivenza/transizione è rappresentata da scelte irreversibili e di ben maggiore impatto sui complessivi assetti industriali, sociali ed in termini di ricadute sul territorio.
Le azioni previste derivano, pertanto, da scelte obbligate, dettate da aspetti di carattere tecnico-economico dell'azienda sulle quali tutti, ritengo, possiamo convenire: il trend di perdite accumulate e prospettiche nell'attuale assetto e la sua insostenibilità; l'impossibilità, per la compagnia nell'attuale stato, sotto il profilo competitivo ed economico, di alimentare in modo efficiente e produttivo due hub; la conseguente indifferibile esigenza di ridimensionamento del posizionamento della società e di modifica del suo assetto industriale, attraverso interventi sulla rete, sulla qualità del prodotto, sui costi operativi e sull'organizzazione dell'azienda.
Naturalmente, alla luce della confermata volontà del Ministero dell'economia e delle finanze di procedere in tempi brevissimi alla dismissione della partecipazione di controllo nella compagnia e alla connessa volontà dell'azienda di individuare i soggetti industriali e finanziari disponibili ad acquisirne il controllo, il piano potrà e dovrà essere oggetto di modifiche e affinamenti in relazione alle scelte di tipo industriale che l'acquirente del controllo del capitale di Alitalia intenderà effettuare, ferma restando, ripeto, l'irrinunciabile esigenza per il Governo che le stesse scelte siano in grado di perseguire i requisiti di interesse generale che risultano irrinunciabili per lo Stato. Del resto, va sottolineato come il piano, ad eccezione di alcune prime e propedeutiche azioni, si avvierà sostanzialmente dalla prossima summer season, ovvero a partire dall'aprile 2008.
Vorrei, infine, sottolineare in questa sede l'impegno del Governo volto a garantire il mercato del trasporto aereo attraverso una sua corretta regolamentazione.
A testimonianza di ciò, si rammenta che tale impegno si è concretizzato nella presentazione di un disegno di legge delega, in discussione presso il Senato della Repubblica, che tra l'altro prevede il piano nazionale degli aeroporti, mirato a garantire un ordinato e coordinato sviluppo del sistema aeroportuale nazionale, nel rispetto delle reciproche competenze istituzionali dello Stato e degli enti territoriali.
Pertanto, in tale contesto non si può ribadire che l'aeroporto di Malpensa costituisca un asset, un'opportunità essenziale del Paese per lo sviluppo del settore in questione, con benefici per il settore economico-imprenditoriale e per gli utenti.
Sulla base del ruolo specifico e sostanziale dello scalo all'interno del sistema aeroportuale nazionale, come previsto dall'impianto complessivo della riforma e del piano nazionale, l'impegno da attuare sarà quello di sostenere la crescita di Malpensa con risorse corrispondenti al traffico, alle strategie e alle priorità stabilite in un'ottica nazionale per ciascun aeroporto.
PRESIDENTE. L'onorevole Lupi ha facoltà di replicare.
MAURIZIO ENZO LUPI. Signor Presidente, credo che anche lei, avendo ascoltato, come me, la risposta del Governo e conoscendo di cosa stiamo parlando, capisca che non posso dichiararmi soddisfatto per quanto affermato dal sottosegretario.
È evidente a tutti la genericità della risposta e, purtroppo (entrerò, quindi, nel merito di alcune osservazioni svolte dal Governo), anche un'impostazione sbagliata dell'azione del Governo in quest'anno e mezzo, in ordine alla risoluzione dei problemi di Alitalia. Affermo questo perché il sottosegretario, nel rispondere all'interpellanza, ha sottolineato giustamente innanzitutto che un'azienda deve agire nell'interesse non solo del socio di maggioranza, ma dell'integralità dei suoi soci, che cioè deve perseguire l'interesse dell'azienda.
Per le poche cose che conosciamo - purtroppo neanche adesso siamo riusciti a conoscere nel dettaglio i contenuti di questo piano industriale - la scelta che è stata compiuta fino ad oggi e che adesso viene portata a termine con il piano industriale (dettato ovviamente, e in maniera moltoPag. 62chiara, come ha affermato il Governo, dalla necessità di sopravvivenza di quest'azienda) va contro l'interesse della società e degli azionisti.
Chiedo al Governo, al Presidente, ai colleghi in aula e a chi ci ascolta: andare contro il mercato, per un'azienda, significa tutelare gli interessi dell'azienda e degli azionisti oppure no? Un'azienda sta sul mercato, vende i propri servizi al mercato e risponde alla domanda del mercato; altrimenti fa un altro mestiere: o fa assistenza o fa altro. Si tratta di un'azienda di trasporto, che dovrebbe essere l'azienda di trasporto nazionale. Non per fare una concorrenza o una guerra «tra poveri» (tra Malpensa e Fiumicino; tra il nord, il centro e il sud del Paese), ma è noto a tutti che il mercato, quello più redditizio, quello più favorevole (è su questo che dovrebbe riflettere l'azionista di maggioranza: oggi il Governo in carica, ieri il Governo precedente), quello buono, quello vero, quello della domanda, quello ricco e che fa fare profitti, è situato in una parte del Paese, non contro un'altra parte.
È paradossale, se guardiamo alle previsioni dei dati di trasporto di passeggeri del 2007 - e per questo affermo che non c'è guerra tra Fiumicino e Malpensa - che in entrambi gli aeroporti cresca il numero di passeggeri: non è un caso che, mentre i dati di Fiumicino sono in crescita del 5 per cento rispetto a quelli del 2006 (che erano altrettanto in crescita), i dati di Malpensa registrino una crescita dell'11 per cento. Com'è pensabile che, in una situazione florida di mercato, un'azienda di trasporto, leader in Italia, abbia perdite, sia «alla sopravvivenza» (nel senso che dovrebbe aver già chiuso, purtroppo, da alcuni anni) e oggi discutiamo della sua sorte? Com'è pensabile ciò?
Vi è un mercato ricco, vi è una domanda, ma l'azienda è in perdita. A fronte di ciò, la scelta del consiglio di amministrazione di Alitalia (purtroppo, come ho appena appreso, condivisa da questo Governo) è di tagliare ciò che, invece, produce reddito. Non si sceglie di tagliare le inefficienze, di individuare gli sprechi né di capire perché quest'azienda continui a subire perdite nonostante il mercato ci sia, ma di tagliare ciò che è più comodo, ciò che è «meno soggetto alla politicizzazione», ciò che è meno soggetto ad influenze non di politica industriale, non di scelte imprenditoriali e di strategie, ma determinate da altri fattori, quelli che si direbbero esterni al mercato, ma che lo condizionano, come la sindacalizzazione, la politicizzazione dell'azienda, la rendita politica, l'impopolarità di alcune scelte.
Altrimenti, la prima scelta che l'azienda Alitalia avrebbe dovuto fare da anni era - a fronte di un protocollo di intesa e di un accordo commerciale siglati dal Governo precedente a quello Berlusconi, in particolare dal Ministro Bersani, che individuava come scelta strategica l'hub di Malpensa, anche a fronte di condizioni commerciali vantaggiose per Alitalia stessa - di non continuare, per esempio, a mandare in trasferta i propri piloti, che da sei anni partono puntualmente con un aereo da Roma per andare a Malpensa e da Malpensa raggiungono i diversi scali. Lo sappiamo tutti che c'è un aereo che trasporta i piloti e il personale di Alitalia.
Qualsiasi azienda, di qualsiasi genere o settore, avrebbe inviato una lettera ai propri dipendenti dicendo: «Dal giorno x, la tua sede di lavoro è là: se ci vuoi andare bene, se non ci vuoi andare male, vai via, vai da un'altra parte!». Così si sarebbero ridotti tutti costi delle trasferte.
Quanto è costata all'azienda Alitalia e ai soci Alitalia, quindi allo Stato questa scelta dettata dalla paura di andare verso il mercato? Quanto è costata?
Allora, noi affermiamo che quanto è stato deciso oggi con questo piano industriale è stata la scelta più semplice che si potesse fare, ma quella meno coraggiosa, più sbagliata. Si è scelto, cioè, non di andare verso il mercato e chiedere all'azienda di individuare le inefficienze, ma di fare ciò che avrebbe reso politicamente più agevole l'attesa del nuovo compratore.
Qui veniamo al secondo punto. Mi perdoni, sottosegretario, mi rivolgo al Governo. Grazie a Dio non è passato tanto tempo da quando il Presidente del ConsiglioPag. 63Prodi e il sottosegretario Enrico Letta proclamarono urbi et orbi alla nazione che finalmente, con la gara per vendere Alitalia, si apprestava la più grande operazione di privatizzazione della storia del Paese. È però la storia degli «undici» piccoli indiani. Prima i soggetti che partecipavano alla gara erano undici. Allora, Prodi - me lo ricordo ancora - parlò su tutte le agenzie di grande modello industriale. Egli disse: «Finalmente si fa una privatizzazione rivolta al mercato; tutti sono interessati». In seguito, i partecipanti divennero otto, poi quattro, poi tre, poi uno, poi, alla fine, nessuno.
Quanti mesi abbiamo perso a causa di questa scelta? Quanto sono costati allo Stato, azionista di maggioranza, e ai risparmiatori questi otto mesi senza scelte, senza criterio?
Forse ciò ha consentito al Presidente del Consiglio Prodi di sopravvivere per altri otto mesi, ma adesso la realtà è quella che abbiamo tutti di fronte. La domanda che pongo a lei e al Governo è la seguente: ora che si dovrà procedere ad una trattativa privata e alla vendita diretta, quale sarà il criterio di scelta del piano industriale, del socio? Ancora una volta quello politico, della rendita politica, della sindacalizzazione dell'azienda o quello invece dell'interesse degli azionisti e del mercato? Infatti, è il mercato che determina la vita di un'azienda e che risponde in maniera più efficiente alle esigenze dei cittadini.
Se è vero, come è vero, che nell'area di Malpensa ci sono 1.986 mila imprese contro 509 mila imprese nell'area di Fiumicino, che i passeggeri in transito a Fiumicino sono il 26 per cento, mentre quelli di Malpensa sono il 34 per cento, che il 62 per cento dei biglietti della business class sono emessi al Nord, a Malpensa, e che 52,6 milioni di passeggeri sono al nord di questo Paese, di che cosa stiamo parlando?
La vocazione di Fiumicino è certamente importante, tant'è che la scelta che si fece allora era di avere due hub: ritenevamo, infatti, che si dovesse andare a prendere il mercato, quello attivo, «non turistico», che è importante, ovviamente nel nord, e che si dovesse tenere Fiumicino per il mercato turistico e del centro-sud del Paese.
Non contestiamo questa scelta, ma l'inefficienza con cui è stata gestita l'azienda e l'incapacità di reimpostarla con coraggio per aggredire il mercato.
Sentiamo oggi che vi sono proposte di imprese e di aziende interessate ad investire su Malpensa e per favorire tale esito si spendono il presidente Formigoni e il sindaco Moratti. Ma vi sarà un motivo per cui queste imprese sono interessate ad investire su Malpensa? Il Governo, invece, come scelta ottimale per il Paese sostiene di condividere il piano industriale di sopravvivenza predisposto dal consiglio di amministrazione di Alitalia. Ma allora mi chiedo se non sarebbe meglio portare i libri in tribunale piuttosto che sopravvivere. È necessario, con coraggio, rimettere in discussione tutto!
Apprendiamo, inoltre, dagli organi di stampa che, nonostante questa scelta, Alitalia non venderebbe i propri slot, secondo la logica: non ci vado io, allora non ci va nessuno.
Noi ci scaldiamo su tali temi perché non si tratta di una questione di centrodestra o di centrosinistra ma di discutere su un settore strategico e fondamentale per un Paese che sostiene di essere il sesto o settimo paese industriale al mondo. Si tratta di capire sia le motivazioni di quanto è successo sia quale politica industriale si intende adottare e dove si vuole andare. Però, se la concezione di questo Governo è di confondere la politica industriale con il politichese, con la rendita politica, con la scelta dell'inefficienza, allora non ci siamo!
Ci «vendono» l'amministratore unico della RAI come la scelta migliore: dopo che avete occupato tutti i posti della RAI è giusto mettere un amministratore unico nominato ovviamente dal vostro Governo il quale, guarda caso, risponderà sempre alle stesse logiche! Cacciate Petroni dal consiglio di amministrazione della RAI perché sostenete che non è stato indipendente e subito dopo il Ministero dell'economiaPag. 64e delle finanze designa un rappresentante che non è indipendente perché ha votato alle primarie dell'Ulivo ed è noto per essere un uomo strettamente connesso politicamente con il Presidente del Consiglio. La stessa cosa voi la state facendo con l'Alitalia. Questa è la questione di fondo!
In conclusione, ritengo che per una volta dovremmo mettere da parte - ma onestamente devo dire che nutro poche speranze che ciò avvenga - impostazioni di questo tipo e cercare insieme una soluzione. Il Governo non può rinunciare alla propria responsabilità proprio perché ricopre il ruolo di azionista di maggioranza e, come tale, spetta ad esso, come avviene nelle società anche quotate in Borsa, il dovere di dare gli indirizzi che debbono essere attuati dagli amministratori.
Siamo ancora in tempo per verificare, non facendoci una guerra tra poveri, se nell'ambito del confronto tra Governo, istituzioni, soggetti imprenditoriali interessati (Alitalia e Sea) e le regioni del nord, si possa fare una scelta con la quale fare l'interesse vero del Paese e non quello della sopravvivenza politica del Governo ((Applausi dei deputati dei gruppi Forza Italia e UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro)).
(Rinvio interpellanza urgente Garagnani - n. 2-00678)
PRESIDENTE. Avverto che, su richiesta del Governo e con il consenso dei presentatori, lo svolgimento dell'interpellanza urgente Garagnani n. 2-00678 è rinviato ad altra seduta.
(Iniziative per incrementare la sicurezza del traffico su due ruote - n. 2-00723)
PRESIDENTE. L'onorevole Romano ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00723, concernente iniziative per incrementare la sicurezza del traffico su due ruote (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 7).
FRANCESCO SAVERIO ROMANO. Signor Presidente, voglio illustrare l'interpellanza urgente di cui sono primo firmatario perché mi sembra giusto che chi ci sta guardando o ascoltando sappia che in questo Paese sulle due ruote muoiono almeno cinque persone al giorno. È un dato eclatante, gravissimo, che emerge da un'indagine sull'analisi del rischio delle due ruote condotta dalla consulta nazionale per la sicurezza del CNEL. In questa indagine risulta che nel triennio 2003-2005 si sono registrate nel nostro Paese ben 4.384 morti.
Non so se vi sia una guerra in atto nel mondo che ad oggi abbia provocato 4.334 morti in un triennio. È un dato che non emerge, che non viene pubblicizzato e che non viene denunciato, ma è gravissimo perché riguarda delle vite umane, e spessissimo delle giovani vite.
L'Italia era al terzo posto in questo triste podio nel 1994. Dal 2003 è saldamente in testa a tale classifica, con una percentuale del 26 per cento per la quota di morti a carico delle due ruote a motore. Muoversi su scooter e motociclette nel nostro Paese significa rischiare oltre il 7 per cento in più rispetto a qualsiasi altro mezzo di locomozione, e, se non bastassero i costi in termini di vite umane, i costi economici sostenuti dal nostro Paese a tale riguardo superano i 30 milioni di euro. Inoltre, il 90 per cento di questi decessi avviene in ambito urbano, non in autostrada o sulle strade di collegamento: in altre parole, il 90 per cento di queste morti avviene laddove la velocità, per forza di cose, non può che essere ridotta.
Allora vi è qualcosa che non va, perché ai 4.334 morti del triennio 2003-2005 si aggiungono i 261.944 feriti, mettendo in crisi anche il nostro sistema sanitario soprattutto nei mesi estivi, durante i quali, sulle strade delle nostre città, si svolge una vera e propria mattanza, senza che tutto ciò faccia gridare allo scandalo e senza che su tale situazione il Governo intervenga con mano ferma.
La pavidità che il Governo dimostra nell'affrontare un tema importante come quello della sicurezza nel nostro Paese haPag. 65un suo pieno risvolto anche quando si parla di sicurezza stradale, ovverosia quando si parla di tutelare il bene prezioso della vita umana.
Noi chiediamo di conoscere quali interventi il Governo ha intrapreso o intende intraprendere affinché si limitino nel nostro Paese le morti per incidenti stradali, in particolare, quelli che coinvolgono mezzi a due ruote a motore.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per i trasporti, Raffaele Gentile, ha facoltà di rispondere.
RAFFAELE GENTILE, Sottosegretario di Stato per i trasporti. Signor Presidente, l'incidentalità stradale nel nostro Paese è caratterizzata da forti divari territoriali, modali e per tipologia di utenza. Sino ad oggi le componenti della mobilità che esercitano maggior peso sul totale delle vittime sono gli autoveicoli (con il 56,2 per cento del costo sociale nazionale), i motocicli (con il 15,6 per cento) e i ciclomotori (con 11,4 per cento). Le ulteriori due componenti deboli della mobilità, i ciclisti e i pedoni, rappresentano rispettivamente il 4,1 e il 7,5 per cento del costo sociale complessivo.
Vi è, altresì, da notare che il bilancio complessivo della mobilità su due ruote a motore, motocicli e ciclomotori ha registrato negli ultimi anni un sensibile aumento dell'incidentalità e della mortalità, anche in controtendenza rispetto ai trend generali. Proprio per fare fronte a questo momento, che dimostra il venir meno della dovuta attenzione ai criteri generali di sicurezza stradale, il Governo e, in particolare, il Ministero dei trasporti hanno già avviato una serie di iniziative concrete al fine di implementare soluzioni specifiche.
Tra queste si ricorda che lo scorso mese di marzo il Consiglio dei Ministri ha approvato il documento intitolato «Atto di indirizzo per il Governo della sicurezza stradale», quale strumento pianificatorio per il contenimento generale del fenomeno. In particolare, per quanto riguarda la mobilità motociclistica, nel documento è prevista una misura specifica dal titolo: «Messa in sicurezza della mobilità su due ruote a motore». Tale misura prevede un impegno deciso a migliorare la sicurezza dei conducenti dei veicoli a due ruote a motore, con il contributo dei principali soggetti pubblici e privati a vario titolo coinvolti nella problematica.
Nel concreto, nell'ultimo incontro della consulta nazionale per la sicurezza stradale, si è attivato un apposito tavolo tecnico con i rappresentanti delle amministrazioni regionali e locali per predisporre un idoneo e condiviso piano di azione.
Le principali linee di intervento sulle quali il gruppo di studio lavorerà e presenterà le proposte sono le seguenti: in primo luogo, indagini dirette e rilevazioni relative alla mobilità su due ruote a motore e ai fattori di rischio da parte di organismi specializzati; in secondo luogo, studi sulle principali cause di rischio; in terzo luogo, il monitoraggio degli interventi e dell'evoluzione della sicurezza; in quarto luogo, la definizione e il progressivo affinamento di una strategia specifica di messa in sicurezza della mobilità su due ruote a motore; in quinto luogo, la promozione di processi di alta formazione per rafforzare i motori di analisi e studio; in sesto luogo, l'elaborazione di proposte di modifica del codice della strada specifiche per la sicurezza dei motociclisti e ciclomotoristi.
PRESIDENTE. L'onorevole Romano ha facoltà di replicare.
FRANCESCO SAVERIO ROMANO. Signor Presidente, non posso dichiararmi soddisfatto della risposta fornita dal rappresentante del Governo, anzi sono sconcertato.
Faccio notare che, sebbene nella nostra interpellanza urgente si sia posto in rilevo un tema emergenziale per il Paese, il Governo si limita a rispondere che nel marzo scorso è stato approvato un documento di indirizzo, che si pensa di poter contenere il fenomeno, che si pensa a un progetto di messa in sicurezza, che è stato istituito un apposito tavolo tecnico perPag. 66studiare, per analizzare, per indagare, per monitorare, per individuare quale alta formazione possa essere impartita. In sostanza, non è stato indicato nessun provvedimento concreto, tangibile, immediato, efficace per potere fermare questa mattanza, ma sono stati enunciati soltanto parole e propositi nemmeno buoni, perché non sono tradotti in fatti concreti! Mi dispiace, signor sottosegretario, ma attendevo una risposta che indicasse quali provvedimenti urgenti questo Governo avesse adottato al fine di limitare queste innumerevoli morti, in ordine al traffico caotico, principale causa delle morti, da applicarsi di concerto con gli enti locali e con le regioni. Quali provvedimenti di indirizzo sono stati adottati in ordine alle strade, che sono in pessimo stato e che non consentono una tranquilla e serena viabilità? Quali interventi in ordine ai servizi di trasporto insufficienti ed inefficienti?
Signor sottosegretario, si tratta anche di un problema di mancanza di controlli che questo Stato dovrebbe effettuare, in maniera sempre più cogente nei confronti di chi viola il codice della strada. A tale riguardo abbiamo notato che negli ultimi tempi - forse anche perché è cambiato il Governo - le contravvenzioni legate alla cosiddetta patente a punti e, in generale, i controlli sulle strade sono diminuiti di gran lunga rispetto a due anni fa. Ciò significa che non c'è la dovuta attenzione al problema, così tutti i nodi vengono al pettine!
Ci saremmo aspettati non soltanto una risposta in termini di provvedimenti concernenti sia i controlli, sia l'assunzione di un impegno concreto per rendere la sicurezza stradale nel nostro Paese un bene primario.
Personalmente, ritengo che bisogna intervenire con interventi legislativi e con provvedimenti del Governo, che mettano i cittadini in condizione di vivere meglio. In primo luogo, occorre tutelare la loro vita con un piano di sicurezza serio, soprattutto per chi ogni giorno sceglie di andare in motocicletta. Gli italiani vanno in moto non perché amano avere il sole in faccia o essere accarezzati dalla brezza, ma perché è il modo migliore per potersi recare puntualmente sul posto di lavoro o a sbrigare le proprie faccende, dato che nel nostro Paese il sistema dei trasporti non consente loro di programmare la propria giornata. Conseguentemente, mi sarei aspettato dal Governo una risposta che fornisse un'indicazione forte e chiara dei provvedimenti che si intendono adottare. Invece, non posso che dichiarami insoddisfatto.
Questa battaglia - che intendo portare avanti - non si può concludere con la semplice presentazione di atti di sindacato ispettivo. Preannuncio, pertanto, che su tale tematica presenteremo un disegno di legge organico, indicando in esso i provvedimenti che riteniamo siano utili ed efficaci per potere limitare la mattanza giornaliera che avviene nelle strade delle nostra città.
(Misure a favore delle imprese della provincia di Ancona danneggiate dalle eccezionali precipitazioni del 16 settembre 2006 - n. 2-00664)
PRESIDENTE. L'onorevole Ciccioli ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00664, concernente misure a favore delle imprese della provincia di Ancona danneggiate dalle eccezionali precipitazioni del 16 settembre 2006 (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 8).
CARLO CICCIOLI. Signor Presidente, quello oggetto della mia interpellanza urgente è un tipico caso di miopia della pubblica amministrazione, dello Stato e dei suoi poteri locali, nei confronti dell'imprenditoria, quindi del bene comune. La vicenda, purtroppo, è legata a eventi imprevedibili che accadono, anche se, a volte, l'imprevedibilità potrebbe essere prevista.
Il 16 settembre 2006, in un'area abbastanza circoscritta della provincia di Ancona, compresa tra Osimo, Castelfidardo e Camerano si è verificata un'eccezionale precipitazione temporalesca, mai avvenutaPag. 67prima. Poiché, ovviamente, il sistema di contenimento idraulico risultò insufficiente, si ingenerò una vera e propria alluvione, per cui tutti i primi piani delle aziende situate in quell'area industriale si allagarono. Per fortuna si trattava di una giornata di sabato, quindi la maggior parte delle maestranze non erano presenti e quelle che lo erano si salvarono salendo ai piani superiori e, nel caso di edifici aventi un solo piano, salendo sul tetto.
Sebbene l'evento meteorologico si sia svolto in poche ore, l'acqua raggiunse in alcuni punti addirittura due metri di altezza, molto più di una persona. La zona industriale colpita era circoscritta; in quell'area, i lavoratori dipendenti o che in qualche modo prestano servizio come esterni nelle varie aziende, sono circa duemila. I danni, alla fine, ammonteranno a circa 200 milioni di euro.
In quel momento gli enti locali, tutti i partiti e i movimenti politici (sia di centrodestra, sia di centrosinistra) si sono seduti attorno ad un tavolo al fine di mettere a punto misure per cercare di far fronte ad un problema, che sicuramente apparteneva a tutti. L'imprenditoria e la stessa prefettura, più volte coinvolta, decisero così di attuare una serie di interventi per far fronte a quella situazione.
In sede di legge finanziaria, all'epoca in discussione, venne inserito un emendamento - sottoscritto da tutti i parlamentari delle Marche appartenenti a tutti i partiti, sia di centrodestra, sia di centrosinistra, con il quale vennero stanziati - attraverso un meccanismo di contributi statali per un importo di un milione e mezzo di euro all'anno per mutui quindicennali - circa 55 milioni di euro netti di contributi. Tale somma rapportata ai 200 milioni di euro di danni subiti dalle aziende, rappresentavano una parte significativa e costituivano il volano che avrebbe permesso all'economia di riprendersi.
Però, in una vicenda, che in fondo vede tutti uniti nel male, succede che si inceppa il meccanismo di erogazione, quindi dalla vicenda meteorologica con gli effetti catastrofici del 16 settembre 2006 arriviamo alla data attuale senza che le aziende abbiano ricevuto ancora una lira (nell'ultima telefonata che ho fatto prima di prendere la parola ho verificato con le aziende, che me lo hanno confermato).
In quel momento, con le aziende distrutte, quindi tutti i materiali, le merci dei magazzini andate perdute, i capannoni inutilizzabili per alcuni mesi, ovviamente la produzione si è bloccata e si sono persi i clienti; quote di mercato già conquistate in una competizione difficile qual è oggi quella globale vengono perse. In tutto ciò accade che un'azienda, anche importante, la Ferro Adriatica, ha portato i libri in tribunale: i soldi teoricamente ci sono, ma i tempi per ricevere i contributi sono lenti e via di seguito. Un'altra impresa di distribuzione alimentare - la Dea market - ha chiuso; era un'azienda che aveva due stabilimenti, ma ne ha chiuso uno; alcuni dipendenti sono andati in pensione e altri sono stati messi in cassa integrazione.
Ci sono altre quattro o cinque aziende che attualmente sopravvivono nella speranza che questi fondi arrivino; hanno firmato cambiali alle banche, che in un primo momento si sono mostrate disponibili, poi hanno affermato di non essere istituti di beneficenza, quindi, dal momento in cui si è constatata la mancanza di una ripresa della riproduzione sufficiente a garantire gli affidamenti, sono arrivate al contenzioso per cercare di recuperare le somme erogate.
In una situazione in cui oggettivamente si poteva affermare che lo Stato attraverso le sue articolazioni aveva agito bene, le aziende non hanno ancora ricevuto una lira per far fronte ad alcune esigenze.
C'è stata anche una difficoltà: sembrava che i fondi dovessero essere erogati in tre annualità, ma alla fine si era trovato il modo per darli tutti in un'unica soluzione per cercare appunto di garantire la ripresa delle attività delle aziende e, pur trattandosi di parte del risarcimento, questo era importante.
Adesso mi è stato riferito che è stata data autorizzazione da parte della Protezione civile (che si era arrogata l'incarico o comunque il Consiglio dei Ministri avevaPag. 68conferito ad essa l'incarico di definire anche la quantificazione dei danni, le perizie giurate e tutto il resto) nel senso che avrebbe espletato gli ultimi atti delegando la regione Marche all'erogazione dei fondi, ma (non si capisce bene dove si sia inceppato il meccanismo) la regione Marche non sta dando una lira e lo Stato ha perso tanto tempo.
Ci sono stati dei tempi morti alla Ragioneria generale dello Stato, che in un primo tempo ha fatto presente che non si poteva fare, poi ha cambiato idea e finalmente è stato dato il benestare, però esisteva un cavillo giuridico.
Di fronte a ciò è evidente che un cittadino qualsiasi, soprattutto un imprenditore che ha un capitale di rischio, perde la fiducia e non è un caso che alcune aziende della zona si siano trasferite altrove, mentre altre pensano di delocalizzarsi nei paesi dell'est europeo dove sicuramente ci sono altre difficoltà, ma esistono condizioni più favorevoli (tutti sanno che il costo del lavoro è molto più basso). Tutto ciò significa un impoverimento forte del territorio.
In questo momento - e concludo, Presidente - quella zona industriale, a parte il caso di alcuni che avevano risorse finanziarie proprie e quindi hanno fatto fronte alle difficoltà, si sta desertificando: ci sono stabilimenti e capannoni abbandonati che non sono stati neanche riparati. Alcuni - come ho detto - sono andati altrove e occorrerà anche pensare ad una sorta di legge obiettivo con sgravi fiscali, e contributivi per rilanciare la zona. Vi lavoravano, infatti, duemila persone mentre oggi tra delocalizzazione in zone limitrofe e scelte di chiusura o di fallimento (ho citato due aziende, ma sono anche stati chiusi negozi, esercizi minori come i bar e tutti quelli di servizio alla zona industriale) esiste un danno forte.
Quella zona del territorio, brillante, vivace, una delle zone produttive importanti della provincia di Ancona, sta diventando invece un ambito nel quale si sta creando disoccupazione; si sono infatti persi beni e alcune quote di mercato sono ormai irrecuperabili. Ciascuno può fare le proprie considerazioni su ciò che avviene quando, come è avvenuto almeno in qualche caso, non si produce per quasi un anno, dal settembre dell'anno scorso.
PRESIDENTE. Il Sottosegretario di Stato per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali, Paolo Naccarato, ha facoltà di rispondere.
PAOLO NACCARATO, Sottosegretario di Stato per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali. Signor Presidente, com'è noto l'articolo 1, comma 1014 della legge 27 dicembre 2006, n. 296, la legge finanziaria 2007, ha autorizzato la corresponsione di un contributo quindicennale pari a 1,5 milioni di euro a decorrere da ciascuno degli anni 2007, 2008 e 2009, da erogare in base alle modalità e ai criteri determinati con successivo decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri per l'attuazione degli interventi a sostegno delle popolazioni dei comuni delle Marche colpiti dagli eventi alluvionali del 2006.
In attuazione del predetto disposto normativo, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 9 febbraio ultimo scorso, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 83 del 10 aprile 2007, sono state assegnate le risorse finanziare sopra citate al presidente della regione Marche, commissario delegato per gli eventi alluvionali che hanno colpito il territorio regionale nei giorni tra il 14 e 17 settembre 2006, con la contestuale individuazione delle modalità e dei criteri per la concessione delle stesse, nonché i singoli ambiti di intervento per i quali è autorizzato l'utilizzo delle risorse in parola.
Successivamente, con il decreto interministeriale n. 2512 del 23 maggio 2007, è stata autorizzata, a seguito delle opportune verifiche di legge sull'assenza di effetti peggiorativi sul fabbisogno e sull'indebitamento netto della pubblica amministrazione, l'attualizzazione tra l'altro del contributo quindicennale di 1,5 milioni di euro, assegnato alla regione Marche per l'anno 2007 dal già citato articolo 1, comma 1014 della legge finanziaria 2007,Pag. 69mediante operazioni finanziarie con oneri di ammortamento per capitale ed interessi posti a carico del bilancio dello Stato, che la regione interessata è autorizzata a perfezionare, anche con il coordinamento del Dipartimento della protezione civile, e che garantiranno un ricavo netto di circa 16 milioni di euro.
In proposito, l'articolo 3 dell'ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3602 del 9 luglio 2007 ha disposto che tali operazioni finanziarie - cito testualmente - «dovranno essere perfezionate previa verifica e raffronto, anche con il coordinamento del Dipartimento della protezione civile della Presidenza del Consiglio dei Ministri, tra una pluralità di offerte da parte dei potenziali soggetti finanziatori, al fine di individuare le migliori condizioni finanziarie espresse dal mercato per operazioni a tasso fisso, con oneri di ammortamento per capitale ed interessi posti a carico del bilancio dello Stato».
Inoltre, il medesimo articolo ha previsto che le rate di ammortamento vengano rimborsate direttamente dal Dipartimento della protezione civile mediante rate semestrali posticipate, comprensive di capitale ed interessi, calcolati a partire dal giorno successivo alla data di erogazione, sulla base di apposita richiesta di pagamento delle rate che l'istituto finanziatore farà pervenire al Dipartimento almeno quarantacinque giorni prima della relativa scadenza, specificando le modalità di accredito.
Attualmente, sono in via di completamento le procedure di cui al citato decreto del 23 maggio 2007 per la stipula dei relativi contratti di mutuo, per quanto riguarda le risorse stanziate per l'anno 2007.
Ciò premesso, la regione Marche, con nota del 7 giugno 2007, ha rilevato come l'autorizzazione all'attualizzazione soltanto del contributo quindicennale previsto a decorrere dall'anno 2007 renderebbe disponibile un importo insufficiente ad una effettiva ed immediata ripresa delle attività produttive gravemente danneggiate dagli eventi alluvionali del settembre 2006, nonché a coprire le spese sostenute dai comuni nella fase della prima emergenza per la messa in sicurezza delle infrastrutture pubbliche.
In considerazione delle esigenze sopra rappresentate ed a seguito di apposita richiesta da parte della regione Marche, che ha evidenziato l'insufficienza delle risorse finanziarie ricavate dall'attualizzazione del contributo quindicennale, il Dipartimento della protezione civile ha provveduto a predisporre una norma al fine di consentire l'utilizzo di ulteriori risorse, indispensabili alla ripresa delle attività produttive danneggiate dagli eventi alluvionali del settembre 2006.
Infatti, con l'articolo 4 dell'ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3603 del 30 luglio 2007, il commissario delegato - presidente della regione Marche - è stato autorizzato ad utilizzare, nel limite massimo del 25 per cento, le risorse stanziate dall'ordinanza n. 3548 del 2006, per far fronte agli oneri derivanti dall'accesso al credito presso l'istituto finanziatore.
Detto istituto, individuato tramite gara ad invito alle migliori condizioni di mercato, anticiperà le risorse finanziarie corrispondenti a quanto ricavato dall'attualizzazione dei limiti di impegno relativi agli anni 2008 e 2009 previsti dal comma 1014 dell'articolo 1 della legge n. 296 del 2006.
Il presidente della regione Marche, a sua volta, provvederà alla restituzione di tali contributi con le risorse finanziarie derivanti dalla predetta attualizzazione dei limiti di impegno relativi agli anni 2008 e 2009 e, contestualmente, sarà autorizzato ad utilizzare parte delle risorse, per il pagamento dei relativi interessi, con gli stanziamenti previsti nell'ordinanza n. 3548 del 2006.
La somma complessiva sarà dunque accreditata direttamente sulla contabilità speciale intestata al commissario delegato, in modo da garantire una celere ed immediata disponibilità della medesima.
PRESIDENTE. L'onorevole Ciccioli ha facoltà di replicare.
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CARLO CICCIOLI. Signor Presidente, ovviamente sono insoddisfatto, non tanto della risposta, perché essa è una ricostruzione, attraverso la citazione di tutti i vari commi, ordinanze e decisioni, della vicenda in esame.
Innanzi tutto vengo ad apprendere che i presunti 55 milioni di euro, su 200 milioni di danni quantificati, diventano un po' di meno cioè 48, trattandosi di 16 milioni per ognuna delle tre annualità. Non so se ciò avvenga per eventuali interessi nell'anticipazione ulteriore dei tre anni tutti contestualmente nell'anno in corso. Però la regione Marche alla data attuale (oggi siamo a giovedì 20 settembre) non ha ricevuto una lira. Il 16 settembre 2006 si verificarono l'alluvione e il danneggiamento: oggi, 20 settembre 2007, si spera in questa erogazione che tarda ad arrivare. È un esempio di inefficienza di pubblica amministrazione, in una vicenda in cui tutti i decisori hanno fatto la loro parte. Voglio chiamare così le forze politiche, la legge finanziaria che è stata pubblicata i primi giorni dell'anno in corso ed è diventata legge ufficiale dello Stato e la burocrazia necessaria per riuscire a determinare l'erogazione. Non è possibile accettare una vicenda del genere. Faccio il medico: quando il paziente non lo soccorri e non lo curi nei tempi contestuali al momento dell'emergenza, o si è salvato da solo o ci ha lasciato la pelle. La stessa cosa vale per l'azienda: un conto è l'assistenza post terremoto, post alluvione della popolazione civile, che pur soffre; per un'azienda, se non si interviene nei tempi dovuti, ci sono le istanze di fallimento ed essa comunque perde mercato. Non ci possono essere dei tempi della vita ordinaria, normale e dei tempi della «vita» dello Stato. Questa è la distanza esistente tra di noi (diciamo noi, voglio usare il pronome plurale) e tutte le persone che sono fuori, che si sentono estranee, non rappresentate, non tutelate e protette dalla pubblica amministrazione.
Lo sottolineo: sono insoddisfatto del fatto che a tutt'oggi la risposta consiste nel dire che sono stati effettuati mille passaggi, ma le imprese non sono state effettivamente aiutate. Dea Market e Ferro Adriatica sono già fuori gioco, sono chiuse; i negozi, i piccoli esercizi che servivano quell'area sono fuori gioco, sono chiusi; ci sono poi le imprese che stanno aspettando un aiuto come si aspetta l'ossigeno, perché tra poco le banche stesse non le sosterranno e le lasceranno affogare. Non sono affogati con l'alluvione del 16 settembre - la vita è salva - ma affogano da un punto di vista sociale ed economico in questi giorni. La mia è quindi un'insoddisfazione forte.
(Gestione commissariale dell'emergenza rifiuti in Sicilia - n. 2-00698)
PRESIDENTE. L'onorevole Lomaglio ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00698, concernente la gestione commissariale dell'emergenza rifiuti in Sicilia (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 9).
ANGELO MARIA ROSARIO LOMAGLIO. Signor Presidente, intendo illustrare la mia interpellanza poiché, rispetto a quando l'ho presentata, la situazione della gestione del ciclo dei rifiuti in Sicilia è ulteriormente peggiorata.
Ci troviamo di fronte all'evidente fallimento del piano regionale dei rifiuti così come esso è stato voluto e predisposto dal presidente Cuffaro nella sua veste di Commissario delegato per l'emergenza rifiuti in Sicilia. Già dal 1999, la Regione Sicilia, con ordinanza del 31 maggio, era stata commissariata, a fronte delle esigenze di predisporre ed adottare un piano di gestione dei rifiuti e delle bonifiche delle aree inquinate, e anche per la realizzazione degli interventi necessari per far fronte alla situazione di emergenza, che è ufficialmente cessata il 30 giugno 2006. In realtà, però, ci troviamo di fronte ad una condizione sempre più grave: il sistema degli ATO in Sicilia è crollato; vi sono ATO in procinto di dover portare i libri in tribunale; un po' ovunque nelle province siciliane, poi, vi sono scioperi degli operatori ecologici e del personale dellePag. 71aziende che lavorano nel ciclo della gestione dei rifiuti. I cittadini si sono così trovati, da Palermo a Catania e alle province di Enna, di Caltanissetta e di Trapani, con mega-bollette della TARSU a fronte di un servizio che peggiora sempre più.
Nel frattempo, è evidente che non esiste un piano credibile di discariche né per la realizzazione di impianti intermedi per la produzione di compost da frazione organica e per il recupero di inerti. Lo stesso può dirsi per gli impianti di preparazione di carta, plastica, vetro, metalli ferrosi, che sono inesistenti un po' ovunque negli ambiti territoriali ottimali. Tutto ciò, nonostante i poteri straordinari che al Presidente della Regione Sicilia - quindi, in questi ultimi anni, al presidente Cuffaro - erano stati affidati dalla Presidenza del Consiglio.
In realtà, secondo noi, non si è lavorato per costruire un ciclo integrato dei rifiuti. Tutti gli interpellanti evidenziano infatti che, nella sostanza, si è lavorato soltanto per la costruzione dei famosi quattro termovalorizzatori, che in verità sono inceneritori, poiché, stante la ridotta quantità di raccolta differenziata effettuata, essi in realtà bruciano il rifiuto tal quale. In proposito, la Corte dei Conti nella sua relazione stralcio (che, a nostro avviso, ha evidenziato le carenze del piano regionale dei rifiuti ed i risultati estremamente ridotti raggiunti nel periodo del commissariamento) afferma: «L'attività del commissario delegato si è incentrata nella predisposizione delle convenzioni aventi ad oggetto la chiusura del ciclo dei rifiuti, con esito ancor oggi del tutto insoddisfacente. L'avviso pubblico per la stipula di convenzioni riguardanti il sistema di gestione integrato per l'utilizzo della frazione residua dei rifiuti urbani al netto della raccolta differenziata (...) è stato pubblicato in data 9 agosto 2002, imponendo, peraltro, un termine assai breve di 80 giorni (...) per la presentazione della proposta di partecipazione alla gara, sul presupposto dell'urgenza». «Il bando si rivolgeva ad operatori industriali che si impegnassero, a far tempo dal 31 marzo 2004, a trattare in appositi impianti la frazione residuale dei rifiuti e ad utilizzarla in impianti di termovalorizzazione con recupero di energia da realizzarsi in siti idonei (ovvero in impianti industriali propri o di cui essi avessero la disponibilità gestionale) esistenti nel territorio della regione».
«Noi giudichiamo errata la procedura adottata. A prescindere da ogni valutazione di legittimità riguardante i termini e soprattutto l'anomala procedura che, per importi superiori alla soglia comunitaria, non ha previsto una gara conforme alle direttive europee in materia di appalti pubblici, si rileva che tale modo di procedere ha, di fatto, favorito coloro che, per la loro presenza sul luogo, erano a conoscenza della situazione fattuale prima della pubblicazione dei bandi e chi era già in possesso di impianti e studi di fattibilità tecnico-economico-finanziaria».
Questa situazione è stata - ripeto - evidenziata con molta forza dalla Corte dei conti, ma è stata ripresa dalla Corte di giustizia delle Comunità europee, che ha dichiarato inadempiente lo Stato italiano, infliggendo allo stesso una sanzione pecuniaria con la seguente motivazione: «dato che la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per la protezione civile, ufficio del commissario delegato per l'emergenza rifiuti e la tutela delle acque in Sicilia - ha indetto la procedura per la stipula delle convenzioni per l'utilizzo della frazione residua dei rifiuti urbani, al netto della raccolta differenziata, prodotta nei comuni della regione siciliana, e ha concluso le dette convenzioni senza applicare le procedure previste dalla direttiva del Consiglio 18 giugno 1992, 92/50/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi». «La Repubblica italiana» - ha statuito la Corte di giustizia delle Comunità europee - «è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza della predetta direttiva e, in particolare, dei suoi articoli 11, 15 e 17».
Quindi, non solo la Corte dei conti, ma anche l'Alta Corte di giustizia europea sottolineano quest'inadempienza che abbiamo, in maniera circostanziata, citatoPag. 72nell'interpellanza urgente da noi presentata. Ma non si tratta soltanto di irregolarità o del mancato raggiungimento di obiettivi da parte del commissario delegato, circostanze queste ultime che inducono a sostenere che il periodo del commissariamento non ha prodotto gli effetti attesi (così come il piano regionale dei rifiuti è, di gran lunga, al di sotto degli obiettivi e dei risultati sperati). Siamo di fronte, piuttosto, al fatto che il piano di gestione predisposto dalla regione siciliana prevedeva di promuovere e attuare le aggregazioni di comuni in ambiti territoriali ottimali. È successo, invece, che le società d'ambito costituite sono state dapprima venticinque entro il 2002 e sono poi diventate ventisette, mentre dopo otto anni di gestione commissariale si deve constatare che la raccolta differenziata, che nel 2000 era pari all'1,9 per cento della produzione complessiva di rifiuti in Sicilia, ha ottenuto un incremento risibile, attestandosi nel dicembre del 2005 al 5,5 per cento della produzione. Nello stesso periodo, la quantità di rifiuti smaltiti in discarica è passata da una percentuale del 93,7 per cento nell'anno 2000 al 90,7 per cento del 2005 (non vi è stata quindi una consistente riduzione dei rifiuti), confermando così il fallimento delle politiche volte a ridurre la quantità dei rifiuti prodotti e il loro conferimento in discarica.
Voglio sottolineare che, in questi giorni, ciò che sta accadendo in varie province della Sicilia (come denunciato da consigli comunali, organizzazioni sindacali, associazioni dei consumatori e da Assindustria Sicilia) evidenzia la gravissima situazione di caos gestionale ed incertezza normativa in cui versano gli ATO siciliani. Afflitte, nella quasi totalità dei casi, da gravissime situazioni deficitarie, le società d'ambito non sono più in grado di garantire il regolare espletamento del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti solidi urbani ed il pagamento puntuale delle spettanze dovute al personale, sempre più spesso costretto allo sciopero e all'interruzione del servizio. Le associazioni delle imprese del settore hanno calcolato in circa 500 milioni di euro l'ammontare dei crediti vantati dalle aziende, ormai da molti mesi, nei confronti delle società d'ambito. I movimenti rappresentativi dei consumatori hanno inoltre fatto rilevare come in Sicilia, a fronte del generalizzato peggioramento della qualità del servizio prestato, i cittadini utenti abbiano ricevuto bollette per il pagamento della Tarsu e della TIA con considerevoli aumenti, in molti casi superiori al 200 per cento.
Quindi, si registra una situazione di fallimento grave che ci fa preoccupare. In questo senso, chiediamo al Governo, ed al rappresentante del Governo, una valutazione su quanto sta accadendo, tanto sulle denunce della Corte dei conti e sulla sentenza dell'Alta Corte di giustizia europea, quanto su una condizione ormai alle soglie dell'emergenza. Quindi, la vigilanza che noi riteniamo debba spettare al Governo - in maniera particolare, alla Protezione civile ed alla Presidenza del Consiglio - deve anche tradursi in una vigilanza su una «bomba» ambientale e sociale che rischia di esplodere e può portare a risultati gravissimi, anche sul fronte del pericolo di inquinamento della criminalità mafiosa che, specialmente nel settore del ciclo dei rifiuti, è presente in Sicilia, come emerso anche negli ultimi giorni con attentati alle aziende che gestiscono i rifiuti (la magistratura ha dimostrato che ormai la presenza delle cosche è particolarmente attiva nel tentativo di controllo della gestione del ciclo dei rifiuti).
Per questa ragione gli interpellanti chiedono al Governo quali iniziative intenda assumere e quale sia la valutazione sulla condizione attuale del ciclo dei rifiuti in Sicilia e delle iniziative che devono essere intraprese per evitare che l'emergenza diventi conclamata.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali, Paolo Naccarato, ha facoltà di rispondere.
PAOLO NACCARATO, Sottosegretario di Stato per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali. Signor Presidente,Pag. 73in primo luogo si fa presente che al Dipartimento della protezione civile non risulta sia stato annullato alcun decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri recante la dichiarazione o la proroga dello stato di emergenza nel settore dei rifiuti e delle bonifiche nel territorio della regione siciliana, attesa la sua insindacabilità in quanto atto di indirizzo politico. I successivi decreti di proroga, deliberati dal Consiglio dei Ministri, sono stati adottati a seguito di valutazioni istruttorie e del persistere delle condizioni, rappresentate dalla stessa regione siciliana, per cui era stato dichiarato lo stato di emergenza. Peraltro, le ultime due proroghe, effettuate con decreti del 23 dicembre 2004 e del 29 dicembre 2005, sono state concesse con limitazione degli ambiti derogatori alla sola materia ambientale, al fine di consentire la prosecuzione, fino al 31 maggio 2006, delle iniziative di carattere emergenziale ancora necessarie per il definitivo adeguamento degli impianti alla normativa ambientale vigente, nel rispetto di tutte le altre normative di settore.
Per quanto riguarda le valutazioni espresse dalla Corte dei conti nella relazione concernente la gestione dell'emergenza rifiuti in diverse regioni italiane da parte dei commissari delegati, il Dipartimento della protezione civile ha provveduto a trasmettere alla Corte stessa le proprie osservazioni, corredate dalla relativa documentazione, e ad effettuare alcune precisazioni. In particolare, l'ordinanza n. 3537 del 28 luglio 2006, successiva alla scadenza dello stato di emergenza, avvenuta il 31 maggio, non è derogatoria dell'ordinamento vigente, ex articolo 5, comma 3, della legge n. 225 del 1992, adottata in considerazione, pur nell'assenza delle condizioni richieste dalla citata legge per un'ulteriore proroga, del permanere, comunque, di una diffusa situazione di criticità nell'ambito della gestione dei rifiuti. Infatti, la citata ordinanza è finalizzata esclusivamente a facilitare il definitivo rientro nell'ordinario senza soluzione di continuità rispetto alle azioni intraprese in regime straordinario, autorizzando il commissario delegato ad attuare e a completare tutte le iniziative già programmate in regime ordinario e, ove ne ricorressero i presupposti, tramite le procedure d'urgenza e consentendo allo stesso un più rapido ed efficace espletamento di tutti quegli adempimenti connessi alla chiusura della gestione commissariale disposti dalla legislazione a regime.
In riferimento al piano regionale dei rifiuti la dichiarazione dello stato di emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti urbani, pericolosi, non pericolosi ed inerti, in materia di bonifica e risanamento ambientale dei suoli, delle falde e dei sedimenti inquinati, è stata richiesta dall'allora presidente della regione siciliana al fine di superare il contesto critico relativo allo smaltimento dei rifiuti e, in particolare, al fine di attuare gli adempimenti previsti dal decreto legislativo n. 22 del 1997, relativi alla predisposizione e all'aggiornamento del piano regionale dei rifiuti, cui la regione non aveva ancora ottemperato. Come risulta dalle premesse dell'ordinanza n. 2983 del 1999, l'unico piano vigente alla data di emanazione dell'ordinanza stessa risaliva al mese di marzo 1989 ed era basato esclusivamente sullo smaltimento dei rifiuti in discarica. Solo poche discariche previste precedentemente erano state realizzate, mentre gli impianti al momento in esercizio, non risultando adeguati ai requisiti tecnici del tempo, non garantivano un corretto esercizio.
In merito al giudizio critico espresso dalla Corte dei conti sullo stato di attuazione del citato piano regionale, definito pressoché modesto, l'Agenzia regionale per i rifiuti e le acque, cui sono state trasferite le competenze che erano del commissario delegato nel corso dello stato d'emergenza, ha fatto presente che, con ordinanza commissariale n. 1166 del 18 dicembre 2002, è stato adottato il piano regionale che prevede la realizzazione dei sistemi integrati per la gestione dei rifiuti, da attuarsi in ambiti territoriali ottimali, basato essenzialmente sulla riduzione e sul riuso, recupero e riciclaggio dei materiali e sulla lavorazione della frazione residuale delle due componenti secco-umido, sulla termoPag. 74valorizzazione della frazione secca, con recupero di energia, sulla stabilizzazione della frazione umida e utilizzazione preferenziale della stessa per recuperi ambientali, nonché sullo smaltimento in discarica dei residui finali innocuizzati, vale a dire i rifiuti ultimi non utilizzabili.
Nell'ambito dell'attuazione del piano, il commissario delegato ha provveduto a promuovere ed attuare le aggregazioni di comuni e province per ambiti territoriali ottimali (i cosiddetti ATO), portando così alla costituzione di venticinque società d'ambito, divenute successivamente ventisette per soddisfare le richieste provenienti da alcuni territori con particolari peculiarità, come le isole Eolie o le alte Madonie. Gli ATO hanno il compito di attuare la gestione integrata dei rifiuti nei comuni che li costituiscono e di impostare ed avviare a realizzazione un sistema integrato basato sulla termovalorizzazione per il recupero energetico del rifiuto, in particolare della frazione residuale del rifiuto stesso. A valle della raccolta differenziata, vengono selezionate la frazione umida, da stabilizzare per l'impiego preferenziale in recuperi ambientali e ricoprimento discariche, e la frazione secca, da conferire al termovalorizzatore per il recupero energetico, mentre i sovvalli (cioè le frazioni non utilizzabili), le ceneri mimetizzate e le scorie della combustione sono conferiti alla discarica. Infine, la Commissione europea, nel maggio 2003, ha ritenuto il piano in argomento conforme «alle esigenze delle rilevanti direttive europee» ed ha invitato il presidente della regione siciliana «ad impiegare tutti i mezzi necessari per una sua messa in opera efficace».
Per quanto riguarda la raccolta differenziata, come illustrato dall'Agenzia regionale per i rifiuti e le acque, essa costituisce il centro della pianificazione di settore e la sua organizzazione è funzionale alla complessiva gestione integrata dei rifiuti, articolandosi principalmente su quattro azioni: riduzione, riutilizzo, recupero e riciclaggio. In proposito, il piano non fissa limiti massimi alle possibili percentuali di raccolta differenziata, ma indica le linee operative sulla base delle quali si propone di raggiungere almeno il 35 per cento della raccolta differenziata, con la più ampia possibilità conferita alla società di ambito, di perseguire percentuali superiori, dando rilevanza alla raccolta monomateriale o multimateriale leggera, in grado di garantire la maggiore purezza del materiale e, quindi, un migliore recupero.
Anche se la percentuale della raccolta differenziata non ha ottenuto un incremento soddisfacente, tale aumento rappresenta un progressivo, seppur lento, miglioramento che ha determinato la nascita di un sistema industriale al servizio del riciclaggio, che in un futuro prossimo potrà contribuire alla riduzione dei costi di gestione dei rifiuti. Peraltro, solo dall'inizio del corrente anno, le associazioni ambientaliste si sono attivate per la promozione concreta della raccolta differenziata e dal 2006 il Conai (Consorzio nazionale imballaggi costituito al fine di raggiungere, ai sensi del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, gli obiettivi globali di recupero e di riciclaggio stabiliti dalla normativa comunitaria e nazionale e di garantire il necessario coordinamento dell'attività di raccolta differenziata) ha annunciato lo stanziamento di un importo di circa 6 milioni di euro per l'Italia meridionale e la disponibilità a sottoscrivere convenzioni specifiche per dare un maggiore impulso alla promozione della raccolta differenziata in Sicilia.
In merito alla situazione finanziaria deficitaria delle società d'ambito, al fine di fronteggiare la carenza di liquidità, il legislatore regionale ha previsto, con l'articolo 21, comma 17, della legge regionale n. 19 del 2005, l'istituzione di un Fondo di rotazione in favore delle stesse società d'ambito, destinato a garantire la copertura delle spese inerenti la gestione integrata dei rifiuti nei casi di temporanee difficoltà finanziarie.
Inoltre, la stessa legge stabilisce che i comuni soci delle società d'Ambito hanno l'obbligo di prevedere nel proprio bilancio un capitolo per intervenire sussidiariamente rispetto alla propria società di apPag. 75partenenza, dotandolo di adeguata capacità finanziaria. Relativamente, invece, alla riduzione degli ATO dagli attuali 27 a un massimo di 14, operata con l'articolo 45 della legge regionale 8 febbraio 2007, n. 2, l'Agenzia regionale per i rifiuti e le acque ha evidenziato che sono state svolte apposite riunioni con le province, i comuni, l'Unione delle province siciliane, l'ANCI (Associazione nazionale comuni italiani), le organizzazioni sindacali, i rappresentanti delle società d'ambito, le organizzazioni degli operatori economici del settore e il Forum del partenariato, comprensivo delle associazioni ambientaliste, e che è stata formulata una proposta sulle modalità di riduzione e sulle nuove possibili aggregazioni. Detta proposta è stata inoltrata, così come è previsto dalla suddetta legge regionale, al presidente della regione per il prosieguo dell'istruttoria finalizzata all'emissione del provvedimento da parte del presidente stesso.
In ordine alle iniziative realizzate per l'attuazione del piano regionale dei rifiuti e necessarie alla gestione integrata degli stessi negli ATO, l'ordinanza n. 3190 del 2 marzo 2002, predisposta esclusivamente dal Ministro dell'interno, d'intesa con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, con l'articolo 5 ha soppresso e sostituito l'articolo 4 della citata ordinanza n. 2983 e ha autorizzato il commissario delegato a stipulare apposite convenzioni con cui gli operatori industriali interessati si impegnano, cito testualmente: «(...) a trattare in appositi impianti la frazione residuale dei rifiuti e a utilizzarla in impianti di termovalorizzazione con recupero di energia da realizzarsi in siti idonei ovvero in propri impianti industriali (...)», individuandoli in base a procedure di evidenza pubblica, in deroga alla normativa europea in materia di contratti e procedure di gara comunitaria. A seguito della soppressione di quest'ultima deroga alla normativa europea, la modifica, intervenuta con l'ordinanza n. 3334 del 2004, è stata espressamente richiesta dalla regione siciliana e, quindi, ai sensi dell'articolo 4, comma 1, dell'ordinanza n. 2983 del 1999, così come sostituito dall'articolo 5 dell'ordinanza n. 3190 del 2002, il commissario delegato, presidente della regione siciliana, sentito il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, ha provveduto a pubblicare un avviso per la stipula delle predette convenzioni per l'utilizzo della frazione residua dei rifiuti urbani, al netto della raccolta differenziata prodotta nei comuni della regione siciliana.
Le procedure di selezione sono state individuate con l'avviso pubblico approvato con l'ordinanza commissariale n. 670 dell'8 agosto 2002 e pubblicate nella Gazzetta ufficiale della regione siciliana, nella Gazzetta ufficiale delle Comunità europee, in un giornale a tiratura nazionale (Il Sole 24 ore) e in uno a tiratura regionale (Il Giornale di Sicilia). Tale avviso conteneva l'invito a presentare proposte documentate di progetti sviluppati sulla base di linee guida allegate allo stesso avviso pubblico, al fine di procedere a una selezione tra quanti erano disposti ad impegnarsi a utilizzare i rifiuti residuali, in funzione delle migliori condizioni economiche e di protezione ambientale. All'esito dell'esame della documentazione trasmessa, sono state prese in considerazione le proposte avanzate da quattro raggruppamenti che coprono l'intero territorio regionale e sono stati individuati quattro sistemi impiantistici, costituiti da stazioni di trasferenza, impianti di pretrattamento, termovalorizzatore e discarica per sovvalli.
Il sistema prevede che la frazione residuale, a valle della raccolta differenziata, venga conferita dalle società d'ambito alle stazioni di trasferenza dove viene presa in carico dall'operatore industriale che provvede a trasportarla negli impianti di pretrattamento. In tali impianti vengono divisi i metalli e la frazione organica, che una volta stabilizzata è utilizzata per l'impiego preferenziale in recuperi ambientali o nel ricoprimento delle discariche, mentre la frazione secca del rifiuto urbano, al netto della raccolta differenziata risultante da tale operazione di selezione, è portata a combustione nei termovalorizzatori.Pag. 76
Secondo quanto disposto dall'articolo 2, comma 4 dell'ordinanza n. 3334 del 2004, i quattro progetti per i quattro sistemi integrati sono stati notificati al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per la necessaria valutazione di impatto ambientale, ottenendo in data 10 giugno 2004 parere favorevole.
Successivamente sono state convocate le conferenze di servizi e approvati i quattro sistemi relativi alle proposte avanzate dalla società Sicil Power, con termovalorizzatore previsto nel comune di Paternò, dalla società Tifeo Energia Ambiente, con termovalorizzatore previsto nel comune di Augusta, dalla società Palermo Energia Ambiente, con termovalorizzatore previsto nel comune di Palermo, e, infine, dalla società Palatani Energia Ambiente, con termovalorizzatore previsto nella zona ASI (Area sviluppo industriale) di Casteltermini.
Quanto alle affermazioni contenute nella relazione della Corte dei conti e relative alla presunta stipula delle convenzioni effettuata a prescindere dall'acquisizione dell'informativa antimafia e alla presenza di una società, tra quelle riunite in associazione temporanea di imprese, aggiudicataria di due dei quattro sistemi integrati, infiltrata dalla criminalità mafiosa, gli uffici rappresentano che la società Altecoen, all'interno della quale, a seguito di un'inchiesta avviata dal Dipartimento distrettuale antimafia, è stata rinvenuta la preoccupante presenza di infiltrazioni mafiose, ha partecipato alla selezione finalizzata alla stipula di convenzioni per l'utilizzo della frazione residuale dei rifiuti a valle della raccolta differenziata, ai fini del recupero energetico, in due ATI (Associazioni temporanee d'impresa) che, successivamente, hanno costituito le società consortili denominate Sicil Power Scpa e Tifeo energia ambiente Scpa, di cui fanno parte diverse altre società.
In proposito il commissario delegato ha provveduto a richiedere alle prefetture di Catania, Palermo ed Enna, competenti per territorio, le informazioni antimafia sia per le società consortili, sia per le singole società che le costituiscono.
La prefettura di Catania ha comunicato che per la società Sicil Power «(...) non emergono, alla data odierna, elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa»; la prefettura di Palermo ha comunicato per la società Tifeo che «(...) non si hanno elementi utili a dimostrare la sussistenza di infiltrazioni mafiose o tentativi di condizionamento nelle scelte o negli indirizzi della società e delle persone interessate (...)»; la prefettura di Enna ha comunicato per la ditta Altecoen che «(...) non sussistono cause di divieto, sospensione e decadenza né, secondo le informazioni fornite dagli organi di polizia, risulta che siano emersi elementi atti a comprovare, allo stato, tentativi di infiltrazione mafiosa (...)». In ogni caso, l'Altecoen ha ceduto le proprie quote rispettivamente a Elettroambiente Spa, Panelli Impianti Tecnologici Spa, Daneco Spa e D.B. Group Spa e non è più presente nelle due società consortili Tifeo e Sicil Power.
Per quanto riguarda la vicenda che ha avuto come esito la revoca dei contratti di lavoro di due funzionari, il dottor Gioacchino Genchi e il dottore Alessandro Pellerito, la stessa Agenzia regionale comunica che, nell'ambito dei dipartimenti regionali, gli incarichi dirigenziali sono affidati dal dirigente generale del dipartimento e non dalla giunta di governo: nel caso in questione, essendo stato nominato un nuovo dirigente generale, questi, nel momento in cui sono scaduti i precedenti incarichi, ha provveduto ad effettuare un normale avvicendamento nella direzione dei servizi.
Con specifico riferimento alla procedura di infrazione comunitaria avviata nei confronti del Commissariato per l'emergenza nel settore dei rifiuti e delle bonifiche della regione Sicilia, culminata nella sentenza della Corte di giustizia europea del 18 luglio 2007, che ha condannato la Repubblica italiana per inadempimento, ex articolo 226, Trattato CEE, si rappresenta che l'inadempimento riguarda la procedura di affidamento dello smaltimento di rifiuti mediante termovalorizzazione in Sicilia e, in particolare, consiste nella mancata pubblicazione del bando di garaPag. 77poiché il commissario delegato si è limitato a pubblicare un mero avviso nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee.
L'avviso conteneva tutti gli elementi necessari per la partecipazione alla procedura selettiva e hanno partecipato oltre trenta operatori riuniti in sette sezioni temporanee di impresa, circostanza che, in considerazione della tipologia del servizio, è da ritenersi senza dubbio una partecipazione sufficientemente ampia.
È utile, altresì, evidenziare che la mancata applicazione dell'articolo 15 della direttiva del Consiglio 92/50/CEE del 18 giugno 1992, relativa appunto alle forme di pubblicità del bando di gara da osservare, deriva dalla differente qualificazione giuridica del rapporto che è stata data dal commissario delegato rispetto alla Commissione europea. Infatti, secondo il commissario, confortato anche dalla giurisprudenza nazionale, si tratterebbe di una concessione di servizi, mentre, secondo la Commissione europea, si tratterebbe di un appalto di servizi, atteso che la remunerazione per i servizi deriva solo dagli importi versati da terzi per l'utilizzo dei servizi stessi, forma di pagamento che determina assunzione del rischio della gestione. Tale assunto è stato contestato anche in diritto dal commissario, le cui osservazioni, peraltro, non sono state recepite dalla Commissione.
Per quanto riguarda, infine, il riconoscimento, da parte della Corte di giustizia europea, della violazione del diritto comunitario da parte dello Stato italiano - che non si è ancora tradotto in una sentenza che preveda il pagamento di una somma forfettaria o di una penalità - il Governo sta valutando i provvedimenti da adottare per assicurare la tempestiva esecuzione della predetta sentenza. In ogni caso, il Governo continuerà a svolgere la sua attività di vigilanza su tutta questa complessa e difficile materia.
PRESIDENTE. L'onorevole Lomaglio ha facoltà di replicare.
ANGELO MARIA ROSARIO LOMAGLIO. Signor Presidente, ringrazio il sottosegretario Naccarato per la puntualissima ricostruzione; non sono d'accordo, però, con quanto affermato e mi dichiaro profondamente insoddisfatto per la risposta del Governo: al di là della ricostruzione attenta - che denota anche la volontà del Governo, poi dichiarata dal sottosegretario Naccarato, di seguire e di continuare a seguire questa complessa vicenda - credo che non si traggano le conseguenze di ciò che è emerso. Siamo ormai a nove anni dal primo commissariamento del 1999 e, nonostante tutto, sono stati raggiunti risultati assolutamente insoddisfacenti sul piano della raccolta differenziata (le cifre sono state già riferite) e sul piano dell'integrazione del ciclo dei rifiuti: siamo in una condizione che la Corte di giustizia delle comunità europee ha denunciato, anche con riferimento alla trasparenza delle procedure adottate, ad esempio, in merito alle convenzioni.
Ritengo che la risposta dell'Agenzia regionale per i rifiuti e le acque, menzionata nell'intervento del sottosegretario, non sia accettabile, in maniera particolare per il tentativo di spiegare la posizione dell'Alta Corte, distinguendo concessione di servizi e appalto di servizi. Ricordo che si tratta certamente di un appalto di servizi, considerata, appunto, la complessità - peraltro citata - delle opere e degli interventi richiesti ai raggruppamenti di imprese. Mi impressiona, però - e per questo ringrazio il sottosegretario Naccarato -, la valutazione del Governo sulla criticità che la situazione siciliana conserva e che, peraltro, mi pare abbia portato il Governo a non revocare l'incarico attribuito al presidente della regione, il quale, se ho ben compreso, è ancora commissario delegato per l'emergenza rifiuti, ai sensi delle ordinanze che sono state citate. Per tali ragioni ritengo che la vigilanza, a fronte di una situazione che gli interpellanti hanno denunciato e che inquieta e preoccupa una gran parte delle comunità siciliane, dovrebbe portare il Governo a un'azione di verifica.
Annuncio al rappresentante del Governo che la Commissione parlamentare di inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attivitàPag. 78illecite ad esso connesse, nei prossimi giorni, sarà in Sicilia, proprio per verificare lo stato di attuazione del piano regionale dei rifiuti: credo che, da questo rapporto tra Governo e organismi parlamentari, debba nascere anche un approfondimento della condizione reale del ciclo dei rifiuti.
Credo che sarebbe davvero drammatico se non si facesse di tutto per evitare che fenomeni gravissimi (come quello che ha portato in Campania non soltanto all'emergenza, lo ripeto, di carattere ambientale, ma anche al verificarsi di un «inquinamento» che riguarda infiltrazioni mafiose e affaristiche, che sono oggetto di indagine giudiziaria, anche a carico dei più alti vertici della regione Campania) possano interessare anche la regione siciliana.
In questo senso, mi sento non solo di sollecitare il Governo, ma di porre l'attenzione proprio sulla vigilanza, che deve continuare e che può trovare forme ispettive, proprio per quanto è stato oggi detto dal sottosegretario Naccarato.
Invito, quindi, ad attivare queste forme ispettive e di controllo, riservandomi, insieme agli altri interpellanti, ulteriori momenti per cercare di sollecitare il Governo, anche perché vengano affrontate concretamente alcune questioni.
Ritengo inaccettabile che i cittadini di Caltanissetta debbano subire aumenti del costo del servizio, perché l'incapacità del commissario delegato ha portato a non realizzare le discariche nell'ATO CL1 della regione siciliana. Pertanto, i rifiuti, con un «turismo» del tutto inappropriato, devono fare duecento chilometri per essere conferiti nella discarica di Motta Sant'Anastasia, in provincia di Catania. Questo è inaccettabile e chiedo che il Governo intervenga.
(Gestione delle politiche forestali con particolare riferimento alla prevenzione e alla lotta agli incendi boschivi - n. 2-00711)
PRESIDENTE. L'onorevole Lomaglio ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00711, concernente la gestione delle politiche forestali con particolare riferimento alla prevenzione e alla lotta agli incendi boschivi (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 10).
ANGELO MARIA ROSARIO LOMAGLIO. Signor Presidente, rinuncio ad illustrare la mia interpellanza e mi riservo di intervenire in sede di replica.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali, Paolo Naccarato, ha facoltà di rispondere. Prenda esempio dal proponente, che ha rinunciato a illustrare l'interpellanza, per dare un contributo all'economia dei nostri lavori!
PAOLO NACCARATO, Sottosegretario di Stato per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali. Signor Presidente, l'ho notato e cercherò anch'io di adeguarmi.
L'attuale riferimento normativo, fondamentale in materia di incendi boschivi, è costituito dalla legge quadro del 21 novembre 2000, n. 353, che è stata emanata con il preciso intento di definire e riordinare le competenze dei vari enti preposti, per riorganizzare la precedente, incompleta e frammentaria produzione normativa e per dare attuazione al processo di decentramento, già avviato dal decreto legislativo n. 112 del 1998, i cui articoli 107 e 108 definiscono le funzioni e i compiti amministrativi dello Stato e delle regioni in materia di protezione civile.
Ed è nel rispetto di questa innovativa concezione, dunque, che nel 2000 è stata adottata una legge quadro permeata da uno spirito regionalista che affida, inequivocabilmente, alle regioni l'attività di previsione e prevenzione dei rischi di incendi boschivi, nonché la lotta attiva che comprende le attività di ricognizione, sorveglianza, avvistamento, allarme e spegnimento con mezzi da terra e aerei.
La stessa legge attribuisce al Dipartimento della protezione civile la realizzazione di un unico e coordinato intervento aereo statale, disponendo che lo stesso assicuri, attraverso il Centro operativo aereoPag. 79unificato (COAU), il concorso aereo alla lotta attiva operata dalle regioni, con la propria flotta e con i propri velivoli resi disponibili da altre amministrazioni dello Stato, quali le Forze armate, il Corpo forestale e il Corpo nazionale dei vigili del fuoco, che rappresentano alcune tra le strutture operative del Servizio nazionale di protezione civile, ai sensi dell'articolo 11 della legge n. 225 del 1992.
In considerazione dell'origine dolosa della maggioranza degli incendi boschivi innescati sul territorio nazionale, la legge quadro, introducendo una serie di divieti, prescrizioni e sanzioni, non ha solo inasprito le misure previste dalla normativa precedente, ma ha inserito anche una serie di vincoli tali da impedire un diverso utilizzo delle zone boscate e dei pascoli percorsi dal fuoco.
Infatti modificando il codice penale ha introdotto l'articolo 423-bis nel titolo VI «Dei delitti contro l'incolumità pubblica» prevedendo nella fattispecie criminosa autonoma anche il reato di incendio boschivo.
Inoltre, il legislatore ha potuto dare un particolare rilievo ai divieti ed alle sanzioni proprio perché la predetta legge, con l'articolo 2, ha introdotto un nuovo concetto di incendio boschivo, fenomeno che possiede i caratteri distintivi della suscettività, possibilità o potenzialità a espandersi su aree boscate, cespugliate, erborate o a bassa macchia, sui vicini terreni coltivati, incolti e a pascolo, determinando un parametro universale e applicabile sull'intero territorio nazionale.
Il combinato disposto dei due articoli ha consentito di potenziare gli strumenti a disposizione della polizia giudiziaria per contrastare i reati commessi e di raggiungere positivi risultati. Il reato di incendio boschivo è infatti un reato di pericolo contro l'incolumità delle popolazioni e contro il patrimonio forestale nazionale. Tutte le azioni finalizzate ad elevare le relative pene dovrebbero aumentare l'effetto deterrente nei confronti degli incendiari e dei piromani e sono da considerarsi utili misure di contenimento del fenomeno. In particolare, il Corpo forestale dello Stato, dal 2000 ad oggi, ha segnalato all'autorità giudiziaria 2.815 persone di cui 106 poste in arresto in flagranza di reato per incendio boschivo doloso e soggette a custodia cautelare. Inoltre, nel corso del 2007, ha collaborato con la regione Sicilia all'esecuzione dei rilievi delle aree percorse dal fuoco.
Si segnala comunque che la normativa attualmente in vigore sancisce, indipendentemente dalla tipologia del reato contestato, che il giudice possa subordinare la concessione della sospensione condizionale della pena all'eliminazione delle conseguenze dannose del reato ovvero se il condannato non si oppone alla prestazione di attività non retribuita a favore della collettività per un tempo determinato, comunque non superiore alla durata della pena sospesa, secondo le modalità indicate dal giudice nella sentenza di condanna (articolo 165 del codice penale).
Nel contesto emergenziale derivante dai gravissimi incendi boschivi, il Governo ha adottato una serie di provvedimenti aventi carattere di urgenza; prima fra tutti la «Dichiarazione dello stato di emergenza nei territori delle regioni dell'Italia centro meridionale» del 27 luglio scorso, ai sensi dell'articolo 5 della legge n. 225, del 24 febbraio 1992. Successivamente, in data 28 agosto 2007, il Presidente del Consiglio dei Ministri ha emanato l'ordinanza di protezione civile n. 3606 recante «Disposizioni urgenti per fronteggiare lo stato di emergenza in atto nei territori delle regioni Lazio, Campania, Puglia, Calabria e della regione Sicilia in relazione agli eventi calamitosi determinati dalla diffusione di incendi e dai fenomeni di combustione».
Detta ordinanza ha disposto che il commissario delegato, tra le competenze attribuitegli, ponga in essere, per il tramite dei soggetti attuatori, ogni azione propulsiva affinché i sindaci dei comuni interessati assicurino il rispetto delle norme finalizzate alla riduzione dei rischi di incendio e i soggetti attuatori stessi, entro un dato termine, trasmettano al commissario delegato l'elenco dei comuni inadempienti rispetto al disposto dell'articolo 10, comma 2,Pag. 80della legge n. 353 del 2000, agendo in un caso diverso, previa diffida, in via sostitutiva.
Il commissario delegato, inoltre, ha predisposto due decreti commissariali: il primo è relativo all'individuazione di contesti provinciali interessati dal fenomeno degli incendi boschivi, alla nomina di soggetti attuatori ed alla previsione dei compiti ad essi connessi; il secondo contiene gli indirizzi e le modalità per l'attuazione degli interventi relativi all'istituzione, ai sensi dell'articolo 10, comma 2, della legge n. 353 del 2000, da parte dei comuni interessati dagli incendi, del catasto delle aree percorse dal fuoco.
Ai prefetti e ai presidenti delle regioni interessate è attribuito il compito di segnalare al predetto commissario l'elenco dei comuni inadempienti, ivi compresa la possibilità di sostituirsi ad essi in caso di inerzia. La puntuale definizione del catasto delle aree incendiate potrà nello spirito della legge costituire un valido deterrente all'azione dolosa che il più delle volte costituisce la causa dell'incendio in quanto pone dei vincoli all'utilizzo delle aree stesse.
Peraltro, alla luce delle criticità emerse nella gestione della campagna anti-incendi boschivi il Ministero dell'interno, con circolare del 22 agosto scorso, ha sollecitato a livello nazionale l'attività di coordinamento dei prefetti nei confronti dei comuni al fine di garantire una maggiore efficacia all'intero sistema di prevenzione, tramite la realizzazione del catasto delle aree percorse dal fuoco. Pertanto, a seguito dei rilevanti episodi accaduti questa estate, non solo nella regione siciliana, ma anche in altre regioni italiane, in particolare in quelle del centro-sud colpite da calamitosi eventi che, a causa del loro carattere doloso in molti casi, hanno creato lutti, nonché danni materiali elevatissimi, risulta chiaro che il Governo, nell'ambito delle rispettive competenze con le regioni, sicuramente valuterà ogni iniziativa, anche parlamentare, affinché si possa in massima parte prevenire tali fatti e farà di tutto in tempi brevi per il potenziamento dei controlli al fine di rendere effettiva l'applicazione dei vincoli.
PRESIDENTE. L'onorevole Lomaglio ha facoltà di replicare.
ANGELO MARIA ROSARIO LOMAGLIO. Signor Presidente, non solo mi dichiaro soddisfatto della risposta, ma credo anche che il Governo si sia attivato in una condizione difficilissima per intervenire, anche rispetto al profondo allarme che si è creato in alcune regioni del Paese. Voglio sottolineare che non è purtroppo un caso che le regioni con la più alta superficie percorsa dal fuoco siano due del meridione, la Sicilia e la Calabria; tra l'altro la Sicilia è una regione in cui gli incendi hanno evidenziato che vi è un utilizzo inadeguato delle ingenti risorse umane e materiali interessate, a vario titolo, in attività forestali. Nel contempo, purtroppo, la Protezione civile in Sicilia ha dimostrato inadeguatezze assolutamente inaccettabili.
Credo che il commissario designato dalla Presidenza del Consiglio abbia tutti i poteri e l'effettiva possibilità di indurre le regioni ed i comuni a svolgere fino in fondo i compiti che sono stati fissati anche dall'ordinanza n. 3606 del 2007, che noi condividiamo perché può portare ad una gestione effettiva delle politiche forestali, orientandole verso criteri di efficienza nella prevenzione e nella lotta agli incendi boschivi. In questo senso, certamente la realizzazione del catasto delle aree percorse dal fuoco è un obiettivo che il Governo si è posto e vuole realizzare. Credo che bisogna essere vigili e, in tal senso, bisogna attivarsi insieme ai prefetti con un ruolo combinato che coinvolga la Protezione civile e il Ministero dell'interno, proprio per i compiti che si sono affidati anche ai prefetti, nel verificare i comuni che non solo non realizzano il catasto delle aree percorse dal fuoco, ma che non realizzano (come purtroppo capita in centinaia di comuni siciliani) nemmeno i piani di protezione civile, ovverosia quelli che possono evitare di trovarsi di fronte a situazioni drammatiche come quelle chePag. 81hanno riguardato molte province siciliane nei mesi estivi.
Non ho nulla da aggiungere, se non il fatto che nei prossimi mesi, ovviamente anche per quanto affermato oggi dal sottosegretario Naccarato, ci attendiamo iniziative, anche innovative, dal punto di vista legislativo da parte del Governo per migliorare l'efficacia sia della prevenzione degli incendi sia della tutela del territorio, nonché per aumentare le possibilità di repressione dei criminali che continuano ad attentare al nostro patrimonio boschivo e purtroppo anche alla vita di molti cittadini innocenti, come è accaduto durante l'estate.
(Orientamenti del Governo in merito all'eventuale impugnazione presso la Corte costituzionale della legge finanziaria della regione Sardegna per l'anno 2007 - n. 2-00675)
PRESIDENTE. L'onorevole Pili ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00675, concernente orientamenti del Governo in merito all'eventuale impugnazione presso la Corte costituzionale della legge finanziaria della regione Sardegna per l'anno 2007 (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 11).
MAURO PILI. Signor Presidente, illustrerò soltanto per brevi cenni l'interpellanza anche perché il sottosegretario la conosce bene, essendo stata reiterata in Assemblea per ben tre volte.
Sicuramente oggi la risposta del Governo sarà compiuta per una parte, quella relativa alle nuove tasse, che il Governo ha voluto impugnare con decisione del Consiglio dei ministri. Ma continua ad esserci una parte dell'interpellanza, la seconda, ancora inevasa e che attende dal Governo una risposta puntuale.
Mi riferisco ad operazioni economico-finanziarie - poi nella fase di replica sarò più esplicito - che non hanno niente a che vedere con le leggi dello Stato e con la legittimità costituzionale della norma che impone il rispetto del principio di veridicità del bilancio. Il Governo ha sottaciuto tale illegittimità, con grave lesione di un diritto costituzionale non soltanto della regione Sardegna ma, credo, di tutti quei cittadini che negli anni futuri potrebbero chiedere allo Stato una risposta rispetto a bilanci che presenteranno una mancanza sostanziale di risorse finanziarie in quanto anticipate con l'utilizzo negli esercizi attuali. È evidente che un tale modo di amministrare non è legittimo.
La Corte dei Conti - altro elemento che si aggiunge rispetto alle precedenti interpellanze - si è sostituita al Consiglio dei Ministri e ha «impugnato» il bilancio 2006, non parificandolo. Inoltre, ha dichiarato l'attuazione da quel punto di vista, assolutamente illegittima sul piano costituzionale, rimandando la parificazione stessa del bilancio della regione autonoma della Sardegna alla Corte costituzionale.
Il 25 settembre prossimo - il sottosegretario probabilmente lo annuncerà - la Corte costituzionale sarà chiamata ad un primo giudizio. Ancora non è chiaro se riunirà i due ricorsi del Consiglio dei Ministri e, per giunta, quello della stessa Corte dei conti. Credo che sia importante conoscere la risposta del Governo su questi due elementi, perché la Sardegna rischia davvero di essere nell'anarchia finanziaria per mano di chi gestisce le finanze pubbliche, nel peggior modo, privatistico e anzi distorsivo delle più elementari regole finanziarie e costituzionali che hanno, fino ad oggi, condizionato un andamento corretto della finanza pubblica.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per gli affari e le autonomie locali, Pietro Colonnella, ha facoltà di rispondere.
PIETRO COLONNELLA, Sottosegretario di Stato per gli affari regionali e le autonomie locali. Signor Presidente, come affermava l'onorevole Pili, siamo alla terza risposta a questa interpellanza, ma ci sono in ogni caso alcuni elementi di novità che cercherò di illustrare nel modo più puntuale possibile, sia pur in breve.Pag. 82
La regione Sardegna, con l'approvazione della legge n. 2 del 2007, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della regione» ha previsto, tra l'altro, prescrizioni in materia contabile nonché in materia tributaria, modificando alcune norme della precedente legge regionale n. 4 del 2006, già oggetto di impugnazione dinanzi alla Corte Costituzionale con delibera del Consiglio dei Ministri del 7 luglio 2006.
Il Governo - è questa la novità rispetto alle risposte precedenti - nella riunione del Consiglio dei Ministri del 27 luglio ultimo scorso ha deliberato l'impugnazione della legge di cui sopra, ai sensi dell'articolo 127 della Costituzione, rilevando l'illegittimità costituzionale dell'articolo 3, commi 1, 2 e 3 (che sostituiscono gli articoli 2, 3 e 4 della legge regionale n. 4 del 2006), rispettivamente istitutivi dell'imposta regionale sulle plusvalenze delle seconde case ad uso turistico e dell'imposta regionale sulle seconde case ad uso turistico, nonché dell'articolo 4, che istituisce l'imposta regionale sullo scalo turistico degli aeromobili e delle unità da diporto.
Ciò che si è inteso porre in evidenza con tale impugnazione è la violazione dell'articolo 3 della Costituzione, che impedisce trattamenti diseguali a fronte di situazioni soggettive sostanzialmente equivalenti.
Le disposizioni regionali, peraltro, duplicando una forma di prelievo già esistente nell'ordinamento tributario, contrastano con il divieto della doppia imposizione, che costituisce un principio informatore dell'intero sistema tributario riconducibile al dettato costituzionale del rispetto della capacità contributiva, di cui all'articolo 53 della Costituzione repubblicana.
Così facendo le norme menzionate contrastano con gli articoli 3 e 8 dello Statuto speciale regionale e con la normativa comunitaria di cui agli articoli 12, 23 e 56 del Trattato dell'Unione europea.
Tutto ciò premesso, in questo quadro, il Governo e la regione Sardegna hanno convenuto, in ogni caso, di lavorare insieme per il superamento dei rilievi, attraverso una correzione del testo che, fra l'altro, possa meglio specificare la finalità ambientale e turistica dei tributi contestati.
In riferimento alle disposizioni di cui all'articolo 2 della legge regionale della Sardegna 29 maggio 2007, n. 2, si fa presente che tale articolo è il frutto di un impegno preciso presso la regione nei confronti del Governo in sede di esame di legittimità costituzionale della legge regionale della Sardegna 28 dicembre 2006, n. 21, recante «Autorizzazione all'esercizio provvisorio del bilancio della regione per l'anno 2007 e disposizioni per la chiusura dell'esercizio 2006».
L'articolo 2, comma 7, della legge regionale n. 21 del 2006 prevedeva, infatti, che lo stanziamento iscritto al capitolo 12106-01 del bilancio regionale per l'anno 2006 costituisse accertamento di entrata a valere su parte del gettito delle compartecipazioni tributarie che sarebbero spettate alla regione per gli anni 2013, 2014 e 2015.
Al riguardo, il Ministero dell'economia e delle finanze ha rilevato che la disposizione di cui sopra, accertando entrate a valere sul gettito futuro, si pone in contrasto con i principi di contabilità dello Stato (articolo 222 del regio decreto 23 maggio 1924, n. 287) e in particolare con quelli di annualità, veridicità e trasparenza del bilancio, vincolando, di fatto, la gestione per effetto degli elementi di rigidità introdotti nei bilanci futuri.
La norma in esame, inoltre, così come formulata, sarebbe in contraddizione con l'articolo 36, comma 1, della stessa legge regionale della regione Sardegna 2 agosto 2006, n. 11 (recante norme in materia di programmazione, di bilancio e di contabilità), che, nel fissare i principi generali in materia di contabilità, dispone che «l'entrata è accertata solo quando è appurata la ragione del credito, l'identità del debitore e l'ammontare del credito che viene a scadenza entro l'esercizio finanziario».
In virtù del principio di leale collaborazione che deve informare tutti i livelli di governo e nel tentativo di ridurre il contenziosoPag. 83davanti alla Corte costituzionale, attraverso accordi tra le regioni e le amministrazioni statali di volta in volta coinvolte nell'esame della legislazione regionale per eliminare l'incostituzionalità della norma considerata, il dipartimento ha convocato una riunione tra l'amministrazione regionale e i rappresentanti del Ministero dell'economia e delle finanze, al fine di tentare una soluzione.
Dalla riunione è scaturita la possibilità di addivenire ad un superamento delle censure effettuate attraverso un impegno della regione a modificare le disposizioni contestate, precisando da una parte, con una norma di interpretazione, la portata eccezionale di tali norme e rimodulando, dall'altra, quanto previsto dall'articolo 17 della legge regionale 5 maggio 1983, n. 11, che consente di stanziare, solo in casi urgenti e qualora la regione ne ravvisi la necessità, somme che verranno assegnate dallo Stato negli anni futuri.
Per tali ragioni, quindi, l'articolo 2 della legge regionale della Sardegna n. 21 del 2006, esaminato dal Consiglio dei Ministri nella seduta del 27 febbraio 2007, non era stato impugnato.
Con l'articolo 2 della legge regionale n. 2 del 2007 il legislatore regionale ha dato esecuzione all'impegno di cui sopra attuando il principio di leale collaborazione, peraltro promosso dalla Presidenza del Consiglio attraverso l'istituzione di un apposito tavolo tecnico.
L'ufficio legislativo del Ministero dell'economia e delle finanze, in sede di esame di legittimità costituzionale della legge citata, pur contestando le ulteriori norme che poi sono state oggetto di impugnazione dinanzi alla Corte costituzionale, ha preso atto invece che l'articolo 2, riproducendo fedelmente l'impegno preso dal presidente della Sardegna, Soru, non doveva essere pertanto oggetto di censura governativa.
PRESIDENTE. L'onorevole Pili ha facoltà di replicare.
MAURO PILI. Signor Presidente, prendo atto delle comunicazioni che il sottosegretario ha dato riguardo alla prima parte dell'interpellanza, ma quelle sulla motivazione che ha portato all'impugnazione del Consiglio dei Ministri della parte relativa alle nuove tasse erano notizie ormai conosciute.
Nella comunicazione del sottosegretario sorge il sospetto che nell'esame della vertenza finanziaria della Sardegna sia intervenuto un metodo che il Consiglio dei Ministri, e in particolar modo palazzo Chigi, hanno reiterato più volte e cioè quello di tentare di mettere al di sopra dell'interesse generale e del diritto l'interesse di parte, di partito e particolare.
Dico ciò perché quando il sottosegretario afferma - come ha affermato poc'anzi - che bisogna lavorare per correggere il testo e che la regione si sarebbe impegnata affinché le tasse fossero orientate sulla politica ambientale, stiamo parlando di qualcosa che non ha niente a che fare con le argomentazioni puntuali che invece sono contenute nel dispositivo di impugnazione da parte del Governo. Quindi non vi sono scusanti, seconde vie, né possibilità di equilibrismi politici, che appartengono davvero al mercanteggiamento e non al diritto, né all'applicazione delle norme costituzionali, statali e regionali.
Quindi, signor sottosegretario, il mio invito è alla maggiore puntualità nelle risposte fornite perché stiamo parlando di atti amministrativi, di atti legislativi che hanno una valenza che prescinde, appunto, dalle interpretazioni di parte che molto spesso vengono date.
Vengo al tema, dichiarandomi totalmente insoddisfatto. Prendo atto del reiterato silenzio di complicità del Governo in quella manovra spericolata della finanza pubblica messa in campo in Sardegna. Non lo dice il sottoscritto né i trenta interpellanti, ma la Corte dei conti.
La Corte dei conti richiama il Governo all'obbligo di impugnare davanti alla Corte costituzionale quella norma che utilizza tremila miliardi delle vecchie lire imputandoli ai bilanci futuri del 2013-2014-2015 - rendendo l'Italia simile ad un Paese sudamericano che autorizza l'utilizzoPag. 84di entrate future, sicuramente non censibili e non verificabili - e che non è conforme alle norme costituzionali di questo Paese.
Quando il Governo si rende complice di questa partita è perché, politicamente, vuole coprire un'azione che punta a utilizzare denaro che non esiste soltanto per mercificare la politica, per mettersi nella posizione di condizionare, attraverso promesse finanziarie, partite che poi non si potranno concretizzare. Si tratta di operazioni economico-finanziarie, onorevole sottosegretario, capaci di fare impallidire quelle operazioni spericolate che si sono verificate, tempo addietro, nelle Borse italiane - cito per tutte la bolla dell'information technology e dell'Internet provider - quando si dichiarava che ci sarebbero stati grossi introiti nell'investire in quei titoli e poi invece i piccoli risparmiatori hanno perso praticamente tutto.
Oggi, sul bilancio della regione, ipotizzando entrate future, si spendono 3 mila miliardi delle vecchie lire senza avere alcuna documentazione certa su possibili entrate. Anzi, dicendo che quelle risorse finanziarie, quei 500 milioni per il triennio successivo, dovranno essere sottratte ai bilanci futuri.
Lei, signor sottosegretario, nella sua risposta ha puntualmente richiamato ciò che il Ministero dell'economia e delle finanze vi ha trasmesso, dicendo che vi era una violazione di legge costituzionale e statale, di veridicità e di rispondenza del bilancio della regione sarda alle norme statali, alle regole fondamentali della finanza pubblica. Avete invece tentato - l'ha fatto il suo Ministro, che non abbiamo ancora avuto il piacere di conoscere, su questa materia, nelle parole e nella presenza in quest'aula -, per le ragioni che esponevo in apertura del mio intervento (politiche, di parte, partigiane), di mettere un velo davvero pietoso e impietoso su questa vicenda.
Voglio cogliere l'occasione per richiamare quanto la Corte dei conti ha scritto, dichiarando il bluff totale della finanziaria dello Stato, e ciò che uno degli aspiranti alla guida del Partito democratico in Italia, insieme all'aspirante guida del Partito democratico in Sardegna, hanno congegnato. Questi ultimi dicevano: voi avrete la restituzione di 500 milioni di euro. La Corte dei conti afferma che emerge chiaramente dalla norma - e mi riferisco al comma 835 dell'articolo 1 della legge finanziaria - che nulla è dovuto e certamente non lo è la somma di tutti gli importi annuali, pari a 500 milioni di euro, iscritti dall'amministrazione regionale nei propri documenti contabili. La Corte dei conti dice, esaminando il bilancio dello Stato, che non vi è nessuna cifra stanziata che possa far raggiungere i suddetti 500 milioni. La Corte dei conti, quindi, vi sta dicendo che avete autorizzato doppiamente un bluff economico finanziario, perché da una parte non date loro i soldi nemmeno negli anni futuri e dall'altra li autorizzate a spendere quei denari che non arriveranno mai.
Avete compiuto davvero un atto illegittimo sul piano costituzionale, ma da veri spericolati della finanza pubblica. Altro che finanza creativa: questa è una finanza distruttiva, per oggi e per domani! Ma la Corte dei conti aggiunge in maniera puntuale che non si tratta di un'operazione straordinaria. Leggo testualmente il parere della Corte dei conti, che risponde a ciò che lei ha poc'anzi dichiarato, signor sottosegretario: «La stessa viene già ripetuta nel 2007». Qual è la straordinarietà del provvedimento, se è stata dichiarata nel 2006 e poi reiterata nel 2007?
La Corte dei conti aggiunge: «La straordinarietà dichiarata dalla legge non è sufficiente per affermare la conformità della legge regionale n. 21 del 2006, articolo 2, comma 7, al parametro costituzionale degli articoli 81 e 117». La Corte lo afferma in base ad una sentenza della Corte costituzionale, la n. 54 del 1983, che esplicita che l'iscrizione in bilancio di somme future non è consentita dalle norme. Leggo sempre il parere della Corte dei conti, che ha vietato, bloccato, negato la parificazione - unico caso che conosciamo in Italia - del bilancio regionale. E aggiunge: «Né può giustificarsi quale operazione straordinaria, proprio perché tanto straordinaria non è, perché già laPag. 85manovra viene ripetuta, come detto, con riferimento ad entrate del 2010». Mi pare che il bilancio dello Stato non possa oggi decidere e disciplinare le entrate del 2010, né della regione Sardegna, né, tanto meno, quelle dello stesso Stato. Aggiunge il presidente della Corte dei conti: «Tra l'altro, una volta ammesso di poter assumere questo orientamento, non sembra oziosa la domanda che riguarda a quale esercizio ci si possa spingere in futuro per anticipare entrate di competenza dell'esercizio corrente». E se la regione Sardegna avesse messo il 2050 per recuperare le predette somme, quale sarebbe stato l'elemento discrezionale, tecnico, utilizzato per valutare tale apporto?
La realtà, onorevole sottosegretario, è che avete commesso una illegittimità di fondo, una copertura politico-partitica nei confronti della regione Sardegna, mettendo in disgrazia le finanze della stessa regione sarda, e di quei molti giovani che probabilmente nel 2010, 2011, 2012, 2013, 2014 e 2015 - tante sono le annualità coinvolte in questa partita - troveranno i bilanci della regione privi delle ricordate risorse perché qualcuno le ha volute anticipare, sottraendole magari alle politiche sociali, magari alle politiche dell'occupazione, magari agli investimenti necessari per creare politiche di sviluppo nella regione, soltanto con la smania di utilizzare denaro a mani basse per qualche funzione preelettorale. È evidente che questo non è accettabile, e credo che la norma che è stata richiamata, della diversità e mancanza di equità di trattamento tra le popolazioni europee, riguardi in Sardegna soprattutto una categoria di persone, i figli della Sardegna che in Sardegna non sono potuti rimanere: mi riferisco agli emigrati, onorevole sottosegretario. La tassazione imposta è una tassazione che allontana, che sradica i nostri emigrati dalla nostra terra.
PRESIDENTE. La invito a concludere.
MAURO PILI. Credo che sia assolutamente indispensabile che il Governo si impegni affinché le suddette norme vengano impugnate e cancellate dallo scenario legislativo nazionale e regionale, per il bene della Sardegna e dei sardi.
(Rinvio dell'interpellanza urgente Pedrizzi n. 2-00687)
PRESIDENTE. Avverto che, su richiesta dei presentatori e con il consenso del Governo, lo svolgimento dell'interpellanza urgente Pedrizzi n. 2-00687 è rinviato ad altra seduta.
È così esaurito lo svolgimento delle interpellanze urgenti all'ordine del giorno.