Menu di navigazione principale
Vai al menu di sezioneInizio contenuto
Svolgimento di interrogazioni a risposta immediata.
(Elementi in merito a detenuti deceduti per malattia in carcere, in ospedale o nella propria abitazione - n. 3-01406)
PRESIDENTE. Il deputato D'Elia ha facoltà di illustrare la sua interrogazione n. 3-01406, concernente elementi in merito a detenuti deceduti per malattia in carcere, in ospedale o nella propria abitazione (Vedi l'allegato A - Interrogazioni a risposta immediata sezione 12).
SERGIO D'ELIA. Signor presidente, signor Ministro, il caso che le sottopongo non riguarda la lotta alla mafia, sulla quale siamo tutti d'accordo, ma riguarda Pag. 52semmai i metodi con cui la conduciamo, la nostra umanità, il nostro senso dello Stato di diritto e, soprattutto, il rispetto delle regole basilari del nostro ordinamento, in primo luogo del diritto alla salute, anche delle persone detenute.
Si tratta della vicenda di Antonio Cordì, detenuto ai sensi dell'articolo 41-bis dell'ordinamento penitenziario, il cosiddetto «carcere duro», morto per un tumore. Morto il detenuto, come si suol dire, il caso è chiuso. Non è chiuso per me, non è chiuso per noi e non dovrebbe esserlo neanche per il Ministro della giustizia. A parer mio, ci sono responsabilità, comportamenti omissivi e, quanto meno, inadempienze, non so se dell'amministrazione penitenziaria, sicuramente della magistratura di sorveglianza.
PRESIDENTE. La prego di concludere.
SERGIO D'ELIA. Le chiedo di accertare queste responsabilità, e di dirci quanti sono i casi di detenuti morti in regime di 41-bis, oppure nelle loro abitazioni o in ospedale, dopo essere usciti da tale regime.
PRESIDENTE. Il Ministro per l'attuazione del programma di Governo, Giulio Santagata, ha facoltà di rispondere.
GIULIO SANTAGATA, Ministro per l'attuazione del programma di Governo. In risposta all'interrogazione dell'onorevole D'Elia, comunico che i detenuti deceduti in carcere per cause naturali nell'anno 2006 sono stati 84, e 70 nel 2007, fino alla data odierna. Nessun dato può essere invece fornito in merito ai detenuti usciti dal carcere per sospensione della pena per malattia e successivamente deceduti in ospedale o presso la propria abitazione, trattandosi di eventi avvenuti al di fuori del contesto carcerario.
Quanto alla vicenda di Antonio Cordì, mi riporto integralmente alle notizie già riferite in data 7 marzo 2007, in occasione della risposta al question time a cui faceva riferimento l'onorevole interrogante, comunicate dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria e dalle autorità giudiziarie competenti. L'amministrazione penitenziaria ha posto in essere tutti gli interventi in suo potere per assicurare al Cordì le cure prescritte di volta in volta dagli specialisti che lo hanno seguito, osservando puntualmente le loro indicazioni terapeutiche.
Il regime detentivo speciale, di cui all'articolo 41-bis dell'ordinamento penitenziario, è stato confermato, pur in presenza della ben nota patologia sanitaria del predetto, poiché ritenuto necessario dalla direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, in virtù dello spessore criminale del soggetto e del suo ruolo di vertice, non affievolito dalla malattia, in un'organizzazione criminale di carattere mafioso.
Si fa presente che il detenuto Cordì era stato scarcerato in virtù del provvedimento emesso in data 30 aprile 2007 dal tribunale di sorveglianza di Napoli, in quanto ammesso ad un periodo di detenzione domiciliare di sei mesi presso il reparto oncologico dell'ospedale Cardarelli di Napoli. In data 11 giugno 2007, il magistrato di sorveglianza rigettava la richiesta di prosecuzione della misura alternativa presso l'abitazione del condannato, in Locri, ritenendo che la condizione clinica del Cordì, affetto da carcinoma polmonare, richiedesse cure ospedaliere. In data 26 luglio 2007 il difensore reiterava l'istanza di prosecuzione della misura presso la residenza del Cordì o presso il nosocomio di Locri. Il magistrato di sorveglianza di Napoli la respingeva nuovamente in data 3 agosto, ritenendo che il reparto oncologico del Cardarelli garantisse cure più adeguate dell'ospedale di Locri, privo di reparto specialistico. In data 7 agosto il magistrato di sorveglianza di Napoli, sulla base della relazione sanitaria ricevuta il 6 agosto, sospendeva provvisoriamente l'esecuzione della pena, alla luce del peggioramento delle condizioni di salute del condannato.
La sequenza dei fatti, così ricostruita, non dimostra alcuna violazione dei diritti del Cordì e non suggerisce perciò altri accertamenti sulla condotta della magistratura di sorveglianza.
PRESIDENTE. Il deputato D'Elia ha facoltà di replicare.
SERGIO D'ELIA. Signor Ministro, non sono assolutamente soddisfatto della risposta. Il signor Cordì è stato affetto da un cancro, che gli è stato diagnosticato la prima volta nel febbraio 2006: è stato ricoverato in ospedale soltanto alla fine di luglio e, quando è stato ricoverato, il primario dell'ospedale ha riscontrato condizioni di salute così gravi da ritenerlo inoperabile, perché le metastasi si erano estese in tutto il corpo. Quindi sono passati mesi, da febbraio a luglio, senza che si effettuasse l'intervento chirurgico.
Il 7 marzo scorso, rispondendo alla mia interrogazione, il Ministro della giustizia affermava che la situazione era sotto controllo e il detenuto era sottoposto a trattamenti sanitari adeguati. Solo alla fine dell'aprile scorso, Cordì veniva ricoverato in ospedale nelle condizioni di detenzione domiciliare, come lei ha ricordato. Il 1o giugno il difensore avanzava richiesta di sospensione della pena per gravi motivi di salute: tale richiesta, come lei ha riferito, è stata respinta. Il 2 agosto il detenuto è entrato in stato di incoscienza. Il 6 agosto è entrato in coma e lei ci conferma che il 3 agosto, cioè tre giorni prima che il detenuto entrasse in comma, il magistrato di sorveglianza ha ritenuto di non dover concedere al Cordì di morire a casa sua, invece che in un ospedale. Pertanto, Cordì è arrivato la sera del 7 agosto nella sua abitazione di Locri - dove è morto dopo alcune ore - e ci è arrivato in coma.
Le sembra umano? Le sembra civile? Le sembra cristiano, questo? Tutto ciò risponde ad una logica, e anche ad una semplice verità: dal 41-bis si può uscire soltanto in due modi, o da pentiti oppure, come si suol dire, con «i piedi davanti», cioè da morti.
PRESIDENTE. Deve concludere, per favore.
SERGIO D'ELIA. Molti saranno contenti - concludo Presidente - perché un mafioso, o presunto tale, se n'è andato all'altro mondo. Vorrei che lei, signor Ministro, valutasse che, poiché questo uomo è morto in tale modo, se n'è andata all'altro mondo anche un po' della nostra umanità e della nostra civiltà giuridica (Applausi dei deputati del gruppo La Rosa nel Pugno).