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Informativa urgente del Governo sul grave attentato in Afghanistan che ha causato la morte del maresciallo capo Daniele Paladini e di alcuni cittadini afgani, nonché il ferimento di tre militari italiani.
(Interventi)
PRESIDENTE. Passiamo agli interventi dei rappresentanti dei gruppi.
Ha chiesto di parlare il deputato Rugghia. Ne ha facoltà.
ANTONIO RUGGHIA. Signor Presidente e signor sottosegretario, sento innanzitutto il dovere di esprimere, a nome del gruppo del Partito Democratico-L'Ulivo, il nostro profondo cordoglio e la nostra assoluta vicinanza alla famiglia del maresciallo capo del 2o reggimento Genio pontieri di Piacenza, Daniele Paladini, deceduto a seguito del tragico attentato terroristico su cui il Governo ha appena riferito all'Assemblea.
Il sacrificio di Daniele Paladini, il suo gesto di grande generosità, ha permesso di salvare molte altre vite.
Il nostro augurio di pronta e completa guarigione va ai militari feriti. Esprimiamo, inoltre, la nostra solidarietà e la nostra gratitudine ai militari italiani impegnati in Afghanistan, in una missione di pace sotto l'egida delle Nazioni Unite, per lo svolgimento di una missione - affidatagli dal Parlamento della Repubblica - in un contesto estremamente difficile e pericoloso. Gli stessi sentimenti di cordoglio, solidarietà e vicinanza alle famiglie delle vittime li esprimiamo per i civili inermi, che hanno perso la vita in un atto di violenza, e al popolo afgano che spera, dopo decenni di conflitti e di governi dispotici, in un futuro migliore con il concorso della comunità internazionale.
L'attentato terroristico compiuto in un giorno che doveva essere di festa per l'inaugurazione di un ponte destinato a rendere migliori le condizioni di vita della popolazione, sta a dimostrare la strategia comune dei talebani, degli ex talebani, dei terroristi ostili al processo democratico Pag. 4che imperversano in Afghanistan: destabilizzare il Paese e impedire qualsiasi forma di progresso e sviluppo socio-economico. L'attentato che è costato la vita a Daniele Paladini e ad altri nove civili conferma come sia ancora precaria la situazione della sicurezza, non solo nella parte meridionale dell'Afghanistan e nelle zone al confine con il Pakistan, nelle quali i talebani si sono mostrati in grado di portare attacchi micidiali ovunque, ma anche in un luogo come Pagman (15 chilometri ad ovest di Kabul), dove non erano mai accaduti incidenti e scontri e il rapporto tra i militari internazionali e la popolazione era ottimo. Nel corso del 2007 si è verificata purtroppo una forte escalation degli attacchi di kamikaze rivendicati dai taleban, che si sono riorganizzati dopo la sconfitta del 2001 anche con l'aiuto di Al Qaeda. Secondo un rapporto delle Nazioni Unite sugli attentati suicidi in Afghanistan, il reclutamento e l'addestramento dei giovani kamikaze si svolge in gran parte in Pakistan e le relazioni tra Afghanistan e Pakistan, che in questi ultimi mesi si sono sensibilmente deteriorate, concorrono a vanificare i tentativi di stabilizzare la regione. Il 2007 è purtroppo l'anno più sanguinoso per i soldati stranieri presenti in Afghanistan dal 2001 e il bilancio delle vittime civili per effetto di attentati terroristici e per il coinvolgimento nelle azioni militari contro i taleban è tragico. Le vittime complessive del conflitto afgano sono quadruplicate rispetto al 2005, passando a 3.700. In Afghanistan, quindi, la sicurezza rimane la questione fondamentale che non potrà essere risolta fino a quando non saranno definitivamente disarmati i signori della guerra e non si sarà combattuto in modo incisivo e definitivo il traffico di droga ed armi. Il Paese purtroppo è intasato da bande armate che spadroneggiano, la produzione di oppio aumenta, l'economia nazionale non riesce a decollare e il processo di stabilizzazione registra elementi di criticità, nonostante le elezioni del 19 novembre del 2005 che hanno eletto democraticamente il Parlamento che ha approvato la composizione del Governo Karzai e la Corte suprema.
Come ha affermato il Presidente del Consiglio Romano Prodi è necessario riflettere sulle nuove difficoltà, sull'escalation degli attentati e sulle forme nuove con cui si manifesta la minaccia terroristica. Abbiamo coscienza che, senza una politica di sviluppo e di allargamento del consenso che coinvolga i grandi Paesi della regione, il tema della sicurezza rischia di diventare di difficile risoluzione. Va quindi ricercata un'iniziativa della comunità internazionale sull'Afghanistan, per rafforzare il coordinamento con le Nazioni Unite, l'Unione europea e i Paesi donatori al fine di combinare gli strumenti politici con quelli economici e militari. Le difficoltà della situazione in Afghanistan e gli stessi attentati però non sono un buon motivo per andarsene. Il ministro Parisi nell'audizione delle Commissioni riunite esteri e difesa dello scorso 15 maggio ha presentato alcuni dati del rapporto Unama delle Nazioni Unite su cui è bene riflettere.
PRESIDENTE. La prego deve concludere.
ANTONIO RUGGHIA. Oggi 7 milioni di bambini e soprattutto bambine vanno a scuola, esistono dieci università mentre con i talebani ve ne era una sola e l'83 per cento della popolazione ha accesso ad una forma di assistenza sanitaria. In sostanza tra mille difficoltà si sono compiuti molti progressi. Il nostro compito, quello che abbiamo affidato ai nostri militari, è di lavorare per il successo della missione ISAF, per dare una prospettiva al popolo afgano, per sottrarre la popolazione al giogo della fame e della guerra e per permettere al Governo afgano di rendersi autosufficiente e in grado di costruire un futuro di pace e di convivenza per il Paese (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Cossiga. Ne ha facoltà.
GIUSEPPE COSSIGA. Signor Presidente, anche il gruppo di Forza Italia naturalmente si associa al cordoglio per Pag. 5la scomparsa del maresciallo capo Daniele Paladini e per la morte dei civile afgani a causa di una follia omicida indegna di vedersi riferita anche al nome di una religione, in quanto si tratta solo di follia omicida. Inoltre, anche noi ci associamo all'augurio di pronta guarigione per i feriti.
Sono certo che né sul cordoglio né sulla vicinanza alle famiglie vi sono differenze tra le diverse parti politiche; trovo, tuttavia, che non sia una vergogna sottolineare, anche in momenti come questi, che sussistono delle differenze, e che non rappresenta una mancanza ai nostri doveri evidenziare tali differenze.
Onorevole sottosegretario, so che il Ministro Parisi si è recato al funerale della vittima, ma sono certo che il Ministro non avrebbe cambiato, in alcun punto, la relazione che lei ha esposto. Mi fa piacere riscontrare che il Governo mantiene una posizione seria al riguardo; non mi sarei certamente aspettato dal Ministro Parisi l'affermazione secondo cui, non essendo lui il Capo di stato maggiore della difesa, tali questioni competono ad altri, come invece ho sentito in quest'Aula da altri Ministri, in relazione ad altri tristi episodi. Sul tema in esame lei ha sottolineato quella che è di fatto, perlomeno nelle intenzioni del dicastero di cui fa parte, una continuità nelle scelte e nei comportamenti rispetto al precedente Governo e ai precedenti Governi, relativamente al ruolo dell'Italia all'interno della NATO, continuità evidenziata altresì dalle recenti nomine ai vertici militari della Nato.
Signor sottosegretario, è stato particolarmente asciutto - come era opportuno - mentre l'onorevole Rugghia ha tenuto, non so se per conto del Governo, a sottolineare quella che è, a mio avviso, una differenza all'interno della sua maggioranza, fornendoci ulteriori informazioni aggiuntive su cosa stiamo facendo in Afghanistan oggi, come molti anni fa, e quali compiti dobbiamo continuare a svolgervi con l'attuale Governo, anche con riferimento al Governo precedente. Tali informazioni sono sicuramente utili, e spero che siano utili al Paese, a me, così come al resto della sua maggioranza.
Su alcuni punti avrei gradito da parte del Governo qualche chiarimento in più. Per esempio, vorrei sapere se il Governo non ritenga che l'intelligence talebana inizi a mettere pressione sui bracci armati in Afghanistan in relazione a quella che, stando alle dichiarazioni di una parte della maggioranza che sostiene questo Governo, è una evidente debolezza. Mi riferisco al tentativo di aumentare la pressione sugli italiani per mettere in difficoltà un Paese che ha un ruolo centrale nella Nato. Vorrei che il Governo su tale aspetto fosse più chiaro, e debbo dire che non sono sereno quando sento il nostro Presidente del Consiglio affermare che serve una strategia per l'Afghanistan. La Nato ha già una strategia, da sei anni, e quindi serve continuità di ruolo, non una nuova strategia. Bisogna essere chiari: o si crede in quello che si sta facendo, supportando la NATO attraverso i nostri contingenti e conferendo a questi ultimi serenità e certezza, oppure il rischio sicuramente aumenta.
Se fosse stato presente il Ministro Parisi - attraverso il sottosegretario Verzaschi intendo trasmettergli questo messaggio - sicuramente avrei affermato che probabilmente questo Governo non merita la serietà e l'adamantina chiarezza di tale Ministro. È certo - onorevole sottosegretario - che con questo palleggiarsi tra continuità e distinguo, non solo - come è legittimo - all'interno del Parlamento, ma anche all'interno del Governo, non rendiamo un servizio né alle Forze armate né al nostro Paese. Né le Forze armate né il nostro Paese si meritano questo Governo e questa maggioranza [(Applausi dei deputati dei gruppi Forza Italia, Alleanza Nazionale, UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro)]!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Cirielli. Ne ha facoltà.
EDMONDO CIRIELLI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, innanzitutto, il Pag. 6gruppo di Alleanza Nazionale si unisce al cordoglio generale per la grave perdita umana non solo nelle file del nostro esercito ma di civili innocenti che hanno perduto la vita nel tragico e grave attentato che ha colpito l'Afghanistan.
Il nostro plauso e il nostro apprezzamento va anche alla serietà, all'impegno e al coraggio che i militari hanno mostrato in una situazione tanto difficile e con cui hanno saputo, grazie al loro sacrificio che purtroppo è costato una nostra perdita, salvare tanti altri innocenti e limitare il danno di questo grave attentato.
È altrettanto chiaro che, per noi, quella in Afghanistan rimane una missione di pace. L'Italia non conduce una guerra contro nessuno: cerca di salvaguardare la democrazia, la libertà e di contrastare, insieme al mondo libero, il terrorismo internazionale.
Ma è altrettanto evidente - è inutile negarlo - che in Afghanistan vi è un vero e proprio scenario di guerra: i continui attentati contro i civili così come contro le truppe di pace inviate dall'ONU rappresentano sicuramente un dato innegabile.
Per tale ragione il Governo, oltre ad esprimere cordoglio, dovrebbe aumentare la sicurezza nella quale operano i soldati italiani, innanzitutto stanziando fondi adeguati nella prossima legge finanziaria per il Ministero della difesa - cosa che non viene fatta -, e probabilmente rivedere complessivamente non la strategia politica (su questo il Presidente del Consiglio dovrà riferire in Aula), ma la cornice di sicurezza con la quale i militari operano in Afghanistan: devono avere mezzi adeguati, protezione adeguata e penso che questo debba essere il primo impegno del Governo. Mi sarei aspettato una dichiarazione in questo senso dall'autorevole componente del Governo qui presente.
Detto ciò - lo voglio aggiungere, ma dovrebbe essere chiaro e lampante - la divisione e la debolezza del Governo su questa vicenda specifica, le dichiarazioni immediate di Prodi di estrema fermezza, accompagnate a quelle con le quali, invece, cede alla pressione politica della sinistra che compone una parte importante della sua maggioranza, danneggia gravemente il morale dei militari che operano in quel territorio, perché non hanno la sensazione di avere completamente lo Stato dalla loro parte.
Ovviamente avere un morale debilitato in una situazione difficile come quella, significa operare anche in una cornice di sicurezza inferiore. L'aspetto più grave è che la debolezza e la divisione del Governo incidono gravemente sulla sicurezza complessiva dei militari, perché ci fa diventare calamita e ci espone al rischio di nuovi attentati che strategicamente puntano al ritiro delle truppe italiane in Afghanistan. Questo sì, farebbe cambiare la strategia politica, non la parte complessiva della missione, ed esporrebbe la comunità internazionale ad una crisi più grave di quella in corso.
Leggiamo sui giornali come la controffensiva dei talebani stia mettendo a grave rischio la stabilità e la pace in quella regione. Ritengo che sarebbe opportuno un atteggiamento più serio, composto e chiaro da parte del Governo, soprattutto del Presidente del Consiglio, che prima di fare alcune dichiarazioni dovrebbe pensarci bene.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare la deputata Deiana. Ne ha facoltà.
ELETTRA DEIANA. Signor Presidente, anch'io esprimo a nome del mio gruppo e mio personale il cordoglio e la partecipazione al dolore della famiglia per la morte del maresciallo capo Daniele Paladini. Colgo anche l'occasione per esprimere la mia personale vicinanza alla moglie del maresciallo capo la signora Alessandra, e alla loro bambina. Voglio dirlo fuori da ogni retorica: questa morte reca, ancora una volta, un dolore grande al nostro Paese e a noi tutti.
Ma il lutto - aggiungo subito - non può far velo ai fatti, non può fornire l'alibi per non affrontare con la necessaria urgenza la discussione sulla nostra presenza in Afghanistan. Tale discussione ormai da tempo si impone e, invece, tarda ad essere affrontata con la necessaria serietà. Infatti, Pag. 7sottosegretario Verzaschi, lei ci ha fornito soltanto un bollettino medico, drammatico, ma pur sempre un bollettino medico.
«La missione non è in discussione» ha detto il Presidente del Consiglio, pur ammettendo che bisogna discuterne. È invece proprio la natura di quella missione ISAF a guida Nato, così contigua alla missione Enduring Freedom a guida statunitense, che deve essere discussa.
L'attentato terroristico che ha coinvolto i militari italiani, causando la morte del maresciallo capo Paladini, è l'ultimo di una lunga serie che, sempre più da vicino, tocca il nostro contingente e sempre più chiaramente conferma il processo di «irachizzazione» del conflitto. Ciò comporta il moltiplicarsi di azioni terroristiche che colpiscono «nel mucchio» civili inermi, poliziotti e soldati del luogo, e militari stranieri; tutto ciò al fine di rendere intollerabile, nella strategia militare dei talebani, la presenza dei contingenti stranieri, al di là dell'operato delle truppe. Vi sono, infatti, i militari impegnati in attività di aiuto alla popolazione, come il maresciallo capo Paladini e i suoi compagni, ma vi sono anche quelli impegnati in combattimenti e bombardamenti. Questi ultimi producono conseguenze spesso drammatiche per la popolazione civile e alimentano l'odio verso tutti i militari stranieri, rendendo impossibile un processo di pacificazione.
Ci uniamo al dolore per la caduta dei civili, ma come non ricordare, in questa occasione, che i mesi di ottobre e novembre hanno registrato il record dei morti civili causati dai bombardamenti NATO: la campagna d'estate contro la guerriglia talebana, i continui raid aerei della NATO, l'aumento del numero dei caduti del contingente ISAF non hanno portato alcun risultato di stabilizzazione, pace, né sviluppo per gli afgani. Non sono io a dirlo: lo rivela un documento pubblicato questo mese dal National Security Council, l'organismo della Casa bianca che lavora per consigliare e dare informazioni adeguate alla presidenza statunitense.
Fra meno di due settimane, l'Italia assumerà il comando della missione ISAF nella regione di Kabul: ciò comporta non solo il potenziamento dei reparti impegnati con l'invio di altri duecentocinquanta soldati, ma anche il moltiplicarsi dei rischi per i militari italiani impegnati in quella regione. Sarebbe anche importante sapere, signor sottosegretario, in che modo i militari impegnati in azioni umanitarie e in compiti civili sono protetti dalle famose unità e mezzi corazzati che abbiamo inviato, su parola del Governo, per difendere e proteggere - mi rivolgo all'onorevole Cirielli - l'azione della missione ISAF, che noi riteniamo una missione di pace e che sta perdendo, via via, le caratteristiche in base alle quali il Parlamento ha dato mandato al Governo.
Il Governo ci deve spiegare per quale motivo siamo presenti in Afghanistan in queste condizioni, se non si trova la via per una vera conferenza di pace (quella decisa dal Parlamento si è persa nelle nebbie di non so cosa) e se non viene ricercato, in sede europea e internazionale, un piano alternativo per aiutare veramente la società afghana a uscire dalla guerra civile, dal processo di «irachizzazione», per trovare pace e stabilità.
Chiediamo ciò con insistenza: è vero vi sono differenze nella maggioranza, onorevole Cossiga, ma su argomenti di questo genere esse sono positive.
PRESIDENTE. La invito a concludere.
ELETTRA DEIANA. Lo chiediamo, altresì, con molta determinazione al Governo di cui facciamo parte (Applausi dei deputati dei gruppi Rifondazione Comunista-Sinistra Europea e Sinistra Democratica. Per il Socialismo europeo).
PRESIDENTE. Sono presenti gli studenti e gli insegnanti dell'università della terza età di Tolmezzo (provincia di Udine), a cui rivolgiamo il nostro saluto e il ringraziamento per essere presenti (Applausi).
Ha chiesto di parlare il deputato Forlani. Ne ha facoltà.
ALESSANDRO FORLANI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ringrazio il sottosegretario Pag. 8Verzaschi per questa informativa urgente. Mi unisco nel manifestare, a nome del mio gruppo, il cordoglio alla famiglia del maresciallo capo Paladini. Esprimo, altresì, il cordoglio per le altre vittime civili afghane (tra i quali tre bambini) e la solidarietà e gli auguri di pronta guarigione ai feriti.
Come è evidente, non solo in seguito a questo attentato, ma come risulta anche dai fatti delle settimane e dei mesi scorsi, la condizione dell'Afghanistan si rileva sempre più tesa e sempre più incandescente.
Agli attacchi ai convogli e agli atti di guerriglia (già praticati da alcuni anni, dall'immediato dopoguerra afgano, nella prospettiva di una restaurazione del deposto regime talebano), si sono affiancati ormai gli attentati kamikaze - circa un centinaio dell'inizio dell'anno - che sono una modalità di azione, attacco e terrorismo tipico di Al Qaeda e di quelle formazioni terroristiche internazionali che perseguono una generale destabilizzazione nella prospettiva di un attacco all'occidente.
In questi anni, in Afghanistan, con il nostro contingente - il quarto, come numero di uomini - della missione ISAF, abbiamo svolto un ruolo in larga misura di assistenza, di ricostruzione materiale e istituzionale, di supporto alle popolazioni e alle nuove autorità. Nel momento in cui si è svolto questo tragico attentato si stava inaugurando e consegnando un ponte - il ponte di Paghman - e siamo stati ugualmente colpiti, come se ci fossimo trovati a svolgere un'azione di carattere offensivo.
È infatti evidente che perseguire la destabilizzazione comporta tanto l'attacco ai contingenti militari considerati occupanti e nemici, quanto soprattutto azioni di terrorismo tra i cittadini, e di disincentivazione alla cooperazione e alla ricostruzione materiale e istituzionale, nonché azioni che tendono a scoraggiare il consenso popolare nei confronti di una normalizzazione del Paese. Dunque, la collaborazione dei civili con il Governo Karzai e con i contingenti internazionali che lo supportano, dev'essere, da questi gruppi, brutalmente scoraggiata con i mezzi del terrore.
Come si evince da questo episodio drammatico, oggi sembra essere l'Italia, in particolare, a trovarsi nel mirino: la sua azione, l'umanità, la professionalità e lo zelo degli uomini del suo contingente - siamo il quarto Paese con 2.300 uomini - ne ha determinato l'apprezzamento da parte delle popolazioni civili e questo è l'aspetto che più preoccupa i terroristi e i talebani.
Dal 6 dicembre 2007 assumeremo il comando della missione e arriveranno altri 250 uomini: gli alpini della Taurinense e il secondo reggimento degli alpini di Cuneo. Il Presidente del Consiglio dei Ministri afferma che dobbiamo restare in Afghanistan, impostando la presenza - sono le sue testuali parole - con «un forte contenuto politico e una riflessione sulla strategia di lungo periodo». Credo anch'io che debba essere accentuato il ruolo politico. Io e il mio gruppo siamo stati, nelle nostre Commissioni, tra i sostenitori della prosecuzione della nostra partecipazione alla missione ISAF in Afghanistan, anche quando è diventato evidente il sensibile incremento di rischi e di tensioni.
PRESIDENTE. La prego di concludere.
ALESSANDRO FORLANI. Mi scusi, signor Presidente, se mi dilungo solo per qualche secondo. Come dicevo, ritengo che questo ruolo politico debba intensificarsi. Se continuiamo a restare - e a restare nel mirino - in questa posizione particolarmente impegnata ed esposta, dobbiamo sforzarci e impegnarci affinché tutta la comunità dei trentotto Paesi impegnati in Afghanistan svolga un ruolo più forte, di supporto alla normalizzazione politica e di analisi delle ragioni di malcontento, di malessere, di protesta, delle criticità e contraddizioni ancora presenti nel Paese, per poter veramente concorrere, con il Governo, ad una situazione di pacificazione generale [(Applausi dei deputati del gruppo UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro)].
Pag. 9PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Filippi. Ne ha facoltà.
ALBERTO FILIPPI. Signor Presidente anche tutto il gruppo Lega Nord Padania si unisce al dolore della famiglia del maresciallo capo Daniele Paladini che ha agito, insieme a tutti suoi colleghi, con orgoglio e cuore in quel virtuoso tentativo di arginare e debellare la violenza e il terrorismo rappresentato dai neotalebani e dall'integralismo islamico.
Purtroppo, signor Presidente, è un fatto e non un'opinione che l'integralismo islamico capovolge i nostri valori cardine. Esso, ancora una volta, ha provocato la morte di chi ha portato la vita, in questo caso rappresentata da un ponte che, in quella zona, produrrà speranza per un futuro meno incerto.
Anche questa ulteriore disgrazia ci dovrebbe far riflettere e ci mostra quanto sia necessario ed urgente porre delle serie barriere all'entrata del nostro Paese che rappresenta comunque un fronte, che non è solamente nei luoghi in cui vi sono le missioni. Il nostro Paese può, a sua volta infatti, rappresentare un fronte di pericolo.
Tali barriere dovranno fare da scudo, sia nei confronti delle persone che incarnano l'integralismo islamico, sia nei confronti dell'ideologia deviata, della cultura della morte e del dolore che, appunto, l'integralismo islamico rappresenta e divulga quotidianamente.
In secondo luogo, signor Presidente, mi corre l'obbligo di un invito, un suggerimento rivolto a tutte le forze politiche a non strumentalizzare - come purtroppo è accaduto in passato - questo orrendo incidente. Si desista da ogni propaganda in queste ore colme di dolore; non si utilizzi la tristezza di un funerale per rispolverare alcuni slogan usati nei cortei, tanto più che dichiarazioni anti-missioni, nel contesto attuale afgano, potrebbero arrecare, a chi si trova in zona di operazioni, grave danno ed accrescere i pericoli dovuti ad un realistico e inevitabile indebolimento causato da un'eventuale cinica propaganda di delegittimazione.
Il gruppo Lega Nord Padania ribadisce con forza la necessaria e coerente linea, tale da garantire sempre più sicurezza a tutti coloro che sono impegnati nelle missioni all'estero. Tale imperativo deve concretizzarsi con la fornitura di ogni attrezzatura e ogni strumento atti a consentire lo svolgimento dei propri doveri con il maggior grado di sicurezza e la maggior protezione possibile e ciò soprattutto ora che l'Italia assumerà in Afghanistan il comando della missione ISAF. L'impegno prevede, infatti, il potenziamento dei reparti con l'invio di altri duecentocinquanta soldati: gli alpini della Taurinense ed il secondo reggimento Cuneo dovranno essere a disposizione dal 6 dicembre 2007, data in cui è previsto il cambio al vertice della coalizione.
Quale ultima considerazione, signor Presidente, vorrei sottolineare che, nonostante vi sia stata una esauriente e precisa relazione da parte del sottosegretario sotto il profilo squisitamente tecnico, è mancato - ma lo attendiamo - qualsiasi tipo di indirizzo politico che dia più chiarezza...
PRESIDENTE. Deputato Filippi, deve concludere.
ALBERTO FILIPPI. ...e che viene necessariamente imposto da questo evento luttuoso (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Pettinari. Ne ha facoltà.
LUCIANO PETTINARI. Signor Presidente, il gruppo Sinistra Democratica per il Socialismo europeo vuole prima di tutto rivolgere un forte abbraccio alla famiglia del maresciallo Paladini, così tragicamente scomparso insieme a tanti civili afgani. Sono ancora questi i giorni del dolore, che devono coinvolgere tutta la comunità del nostro Paese. Anche per questo, appaiono un po' fuori luogo alcune polemiche, sentite anche questa mattina da parte dei colleghi Cossiga e Cirielli, contro il Governo italiano e le presunte divisioni al suo interno; tra l'altro, mi pare il momento Pag. 10meno indicato, vista la situazione della Casa delle libertà, sciolta per fallimento. Ma proprio la tragedia che ha drammaticamente coinvolto i nostri militari ci deve spingere a nuove riflessioni sulla situazione in Afghanistan e ci deve portare, in tempi non lunghi, a nuove decisioni.
Il Presidente Prodi ha parlato della necessità di una nuova strategia per la nostra missione: siamo d'accordo. Siamo d'accordo perché il contesto in cui si svolge la nostra missione è profondamente mutato in questi anni. Secondo il rapporto del Consiglio di sicurezza degli Stati Uniti, poco fa citato dalla collega Deiana, nella maggior parte delle province dell'Afghanistan, dove vive oltre il 75 per cento della popolazione, il controllo è nelle mani dei talebani; lo stesso viene affermato dal rapporto del Senlis Council inglese, che parla inoltre di una presenza sempre maggiore dei gruppi ribelli nella stessa capitale Kabul. La reazione militare, in particolare delle forze statunitensi, non dà risultati; anzi, questa reazione, secondo un rapporto dell'ONU, ha portato negli ultimi mesi, solo nel 2007, a 314 vittime tra i cittadini afgani, a fronte delle 279 vittime causate dai talebani: una bella corsa al massacro tra le forze degli Stati Uniti e quelle terroristiche! Solo nell'ultimo anno e mezzo, sempre secondo l'ONU, sono oltre 5.800 le vittime di questo conflitto. Lo ripeto: 5.800, una vera e propria carneficina; altro che missione di pace e portatori di vita! Lo ripeto ancora: 5.800 vittime nell'ultimo anno e mezzo.
Se tutto ciò è vero, è del tutto evidente che serve una svolta, anche perché è sotto gli occhi di tutti il fatto che il Governo di Kabul si è assai indebolito, si è indebolita l'economia del Paese e sono aumentati la coltivazione e il traffico illegale dell'oppio. Che fare, allora? Ecco perché serve una nuova strategia!
Credo che il Governo italiano - mi rivolgo al sottosegretario Verzaschi - debba farsi promotore di una nuova riflessione nelle sedi degli organismi internazionali coinvolti nel conflitto: ONU, NATO e Unione europea devono fare - e noi lo dobbiamo fare con loro - il punto della situazione. È urgente adesso, non si tratta più di una questione per il futuro. Sulla base dell'analisi di questa nuova situazione, l'Italia, il suo Governo e il Parlamento dovranno discutere e trarre delle valutazioni, partendo dal fatto indiscutibile, purtroppo, che anche qui, in Afghanistan come in Iraq, l'intervento armato ha prodotto solo danni.
Probabilmente oggi serve qualcosa di diverso, di profondamente diverso, che punti, ad esempio, al coinvolgimento reale dei Paesi di quell'area in un'opera di pace. Ci vuole meno guerra e più politica e diplomazia; di questo dovremo parlare nel prossimo futuro, proprio nel quadro di quella nuova strategia della quale anche noi pensiamo ci sia urgente bisogno e che al più presto dovrà prendere decisioni (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Democratica. Per il Socialismo europeo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Evangelisti. Ne ha facoltà.
FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, quello di sabato scorso è un evento luttuoso che rappresenta un'altra profonda ferita ed un altro marchio indelebile nella memoria nazionale e nell'immagine del nostro Paese. La morte del maresciallo Paladini, così come quelle dei carabinieri a Nassiriya e degli altri, tanti, troppi militari impegnati nei teatri di crisi, richiedono a gran voce una riconsiderazione ponderata ed un'attenta riflessione sulle strategie e le politiche di ingaggio che (oggi come nel futuro) regolano l'impegno dei nostri contingenti all'estero.
Come già ho fatto ieri, esprimo nuovamente questa mattina - a nome del gruppo dell'Italia dei valori - il nostro più profondo cordoglio alla famiglia del militare ucciso e la nostra solidarietà nei confronti dei suoi amici e commilitoni rimasti feriti.
L'Italia, come si è già detto più volte, non è in guerra: non lo è in Afghanistan come non lo è in Libano, non lo è stata in Iraq e non lo è in altre missioni internazionali. È vero, però, che offriamo il nostro contributo e la nostra collaborazionePag. 11 attraverso un contingente militare: se spesso subiamo attacchi ed attentati, dobbiamo essere coscienti del fatto che gli obiettivi per cui i nostri militari rischiano sono il ristabilimento della pace e dei diritti umani, il raggiungimento della stabilità economica e politica, nonché lo sviluppo di una rete globale che preveda nella cooperazione e nella mutua collaborazione fra i popoli l'unico strumento per la risoluzione dei contenziosi internazionali.
Le reazioni del mondo politico alla tragica vicenda di sabato scorso sono state in grandissima parte orientate verso un'unica soluzione, quella di proseguire, almeno per il momento, la missione in Afghanistan, allo scopo, da un lato, di non offrire alla logica della paura e del terrore una chance di vittoria e, dall'altro, di non condurre il popolo afgano verso il rischio di una nuova barbarie. Il senso della missione non è dunque in discussione. Tuttavia, questa decisione non può essere presa senza una riflessione sulle prospettive, sulle strategie, sui mezzi e sugli obiettivi che caratterizzano la nostra presenza nei teatri di crisi: si tratta di elementi che, anche in accordo con le parole del Premier, non sono più riconducibili esclusivamente a termini tattico-militari, ma che sono oggi più che mai valutabili soprattutto dal punto di vista politico.
È proprio perché la questione è ormai di ordine politico che avevamo chiesto al Governo che a riferire in Aula fosse non già il responsabile del Ministero della difesa o un suo delegato, ma il Ministro degli affari esteri. Del resto - mentre ringrazio il sottosegretario Verbaschi, che ha riferito sulla vicenda in maniera precisa e puntuale, fornendoci un'esatta ricostruzione dei fatti -, è mancato il contesto in cui si è determinato quel grave incidente: manca, infatti, un riferimento all'evoluzione o all'involuzione del teatro afgano. Eppure, bastava leggere la rassegna stampa di ieri mattina, citata in quest'Aula da taluni interventi dei rappresentanti dei gruppi di Rifondazione comunista e della Sinistra democratica, per capire quali sono i rischi che abbiamo di fronte, soprattutto con l'aprirsi della nuova fase in cui l'Italia assumerà il comando del teatro di Kabul.
Mi permetta di osservare, signor sottosegretario - e lo dico con tutto il rispetto - che il suo intervento assomigliava troppo ad un mattinale di polizia. Vi era persino un'espressione non consona al momento: i feriti non si «sgombrano», si sgombrano i detriti. I feriti si soccorrono o si trasportano altrove; in senso figurato, si sgombra la mente, ma non si «sgombrano» i feriti. In ambito militare, inoltre, si dice che sgombrano i militari che sono in ritirata da un territorio occupato: non vorrei che l'utilizzo di questa espressione tradisse un altro tipo di convincimento che si va facendo pressante nelle menti di coloro che sono chiamati ad analizzare la situazione.
Lungi dunque da noi qualsiasi tentativo di polemizzare in merito alla scelta dell'esecutivo, riteniamo però un dovere sottolineare la necessità che sia ridiscusso l'intero asset strategico di questa missione, poiché è importante un approccio strutturale ed organico che - al di là delle opportune soluzioni in ambito militare e tattico - si focalizzi anzitutto sulle prospettive e sugli strumenti politici e diplomatici più adeguati per rimodulare la strategia complessiva della nostra presenza in Afghanistan.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato D'Elia. Ne ha facoltà.
SERGIO D'ELIA. Signor Presidente, innanzitutto voglio esprimere, a nome del gruppo La Rosa nel Pugno, tutto l'affetto e la vicinanza alla famiglia del maresciallo Paladini, alle famiglie delle vittime civili afgane e ai militari italiani feriti.
Dopo la morte del maresciallo Paladini credo occorra guardare avanti e discutere con serenità - seriamente e non emotivamente - il senso e gli obiettivi della nostra missione in Afghanistan.
Il Presidente del Consiglio Romano Prodi ha dichiarato che restiamo in Afghanistan, ma serve precisare meglio la strategia politica: si tratta appunto, ora, di Pag. 12precisare meglio ma anche di rafforzare tale strategia politica.
Affermiamo subito tutta la nostra contrarietà sia alla prospettiva di conferenze di pace che assegnino un ruolo ai talebani, sia alla prospettiva di una exit strategy che riduca o annulli l'impegno del nostro Paese in Afghanistan.
Esprimiamo, invece, tutto il nostro favore ad una strategia di costruzione e rafforzamento di istituzioni democratiche e di uno Stato di diritto in Afghanistan, la via maestra sulla quale abbiamo deciso di operare per avere una pace duratura in quel Paese. È il modo più giusto - credo - per onorare la memoria e dare valore al sacrificio del maresciallo Paladini, caduto per liberare l'Afghanistan dal ricatto e dalla violenza permanente dei talebani. Se questa è la nostra prospettiva, mi pare improponibile - oltre che impraticabile - un ruolo dei talebani nel futuro afgano, che rischierebbe di riconsegnare quel Paese al medioevo della sua storia.
Una conferenza di pace ha senso se riuscirà a coinvolgere non i talebani, ma gli attori principali della situazione afgana (Pakistan e Iran in testa, che fino ad oggi hanno puntato sull'instabilità in Afghanistan per garantire la stabilità dei propri regimi autoritari da ogni interferenza esterna).
Non so se la conferenza di pace si terrà; di certo, vi sono gli impegni di conferenze internazionali già fatte, le risoluzioni dell'ONU, le mozioni parlamentari e i decreti di rifinanziamento delle missioni italiane all'estero. Si tratta di mantenere fede agli impegni già presi in sede internazionale e nazionale.
La riqualificazione in senso politico e umanitario della nostra missione in Afghanistan è un altro discorso, completamente diverso e alternativo sia a quello della pace con i talebani, sia a quello del disimpegno nel Paese.
A questo proposito, ricordo che i decreti di rifinanziamento delle missioni italiane all'estero erano accompagnate da mozioni approvate anche da quest'Aula che dettavano impegni al Governo.
Per noi - spero anche per il Governo - continua a far fede il testo di una mozione che non solo non prevede una exit strategy dall'Afghanistan, ma, se possibile, prevede il contrario, cioè un rafforzamento della presenza nel Paese per il consolidamento delle istituzioni, la ricostruzione economica e civile e la garanzia della sicurezza per la popolazione afgana.
Per noi - e spero anche per il Governo - continua a fare fede un altro passaggio di quella mozione che riguarda l'attività di cooperazione giudiziaria dell'Italia con l'Afghanistan. Questo tipo di cooperazione prevede una linea di condotta che la mozione indica esplicitamente: la cooperazione in campo giudiziario deve tener conto - dice testualmente la mozione - dei più recenti sviluppi del diritto penale internazionale e degli statuti dei tribunali penali internazionali, i quali, come è noto, escludono il ricorso alla pena capitale.
Se, però, considero che il 7 ottobre scorso, in un solo giorno, sono state giustiziate a Kabul quindici persone - tra cui i responsabili dell'uccisione della giornalista italiana Maria Grazia Cutuli e del sequestro della volontaria italiana Clementina Cantoni -, mi chiedo che fine abbia fatto e se abbia senso continuare la nostra cooperazione giudiziaria con l'Afghanistan, se non riusciamo ad ottenere una soluzione di continuità con una pratica molto in voga sotto il regime dei talebani. Signor Presidente, concludo ricordando anche un'altra mozione parlamentare e chiedo al Governo, infatti, se e come è stato dato seguito ad un altro atto di indirizzo del Parlamento che impegna il Governo a promuovere, nelle sedi internazionali competenti, l'elaborazione di un piano efficace di riconversione delle culture di papavero in Afghanistan, anche ai fini di una parziale utilizzazione dell'oppio per le terapie del dolore.
La riconversione delle culture di papavero è, forse, la riforma più importante ed efficace in un Paese la cui economia e le cui istituzioni sono pesantemente condizionate dalla produzione di oppio illegale, vera e propria ipoteca sullo sviluppo economico,Pag. 13 civile e democratico dell'Afghanistan (Applausi dei deputati del gruppo La Rosa nel Pugno).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Galante. Ne ha facoltà.
SEVERINO GALANTE. Signor Presidente, ribadiamo in questa sede anche il cordoglio dei Comunisti Italiani per tutte le vittime dell'attentato e, in particolare, per la morte del maresciallo capo Paladini, un soldato italiano e un uomo che svolgeva un lavoro difficile e pericoloso in una terra lontana e straniera, che non gli voleva bene e che non ci vuole bene. A questo lavoratore in divisa, morto sul lavoro, esprimo la nostra piena solidarietà.
Ma il cordoglio e la solidarietà non bastano, signor sottosegretario; noi riteniamo che alla sua famiglia e all'intero nostro Paese siano dovute delle spiegazioni. Si deve spiegare perché, dopo sei anni di guerra - quanto la seconda guerra mondiale -, in Afghanistan continuano a stazionare (uccidendo e morendo) circa 50 mila uomini della NATO - per non parlare di quelli statunitensi - tra i quali quasi 1.500 sono italiani. Sino a quando ciò avverrà e per quali realistici obiettivi? Avrei voluto che lei rispondesse a queste domande per conto del Governo, invece non lo ha fatto.
Come hanno già ricordato altri colleghi, il Presidente Prodi ha affermato che la missione militare continua, ma che ora serve una strategia politica di lungo respiro e nuova. Bene, è almeno un inizio di riflessione; certamente non basta, ma è un inizio. Per noi la strategia politica di lungo respiro deve diventare rapidamente una strategia di uscita dal pantano della guerra che stiamo facendo e che, al di là di qualsiasi retorica, stiamo perdendo. Non lo ripetiamo più soltanto noi, ormai iniziano a dirlo anche gli analisti più avveduti, i centri studi non sospetti di antiamericanismo preconcetto e la grande stampa internazionale e nazionale.
Non si può minimizzare la realtà; l'occupazione militare dell'Afghanistan dovrebbe garantire la sicurezza delle popolazioni locali (l'acronimo ISAF a ciò si riferisce), al contrario aumenta continuamente la loro insicurezza. Occorre sbarazzarsi, allora, della tragica illusione della vittoria militare - della quale ho ascoltato anche in quest'Aula qualche eco - che guida quanti chiedono più soldati, più armi, l'unificazione del comando tra Enduring Freedom e ISAF, eccetera. È necessario, invece, a nostro avviso, che le autorità militari italiane che nei prossimi mesi assumeranno ruoli di guida dell'ISAF e della NATO siano consapevoli del fatto che proseguire nell'opzione militare sarebbe fallimentare, perché la strada da seguire è un'altra secondo noi.
Secondo noi una strategia di uscita dal pantano bellico afgano deve fondarsi sulla consapevolezza di ciò che vuole la grande maggioranza del popolo afgano (non soltanto di ciò che vogliono i talebani), la quale considera gli americani degli occupanti che causano lutti crescenti ai civili non meno di quelli causati dai terroristi fondamentalisti e vuole che tutti gli occupanti se ne vadano, compresi gli italiani, assimilati agli Stati Uniti perché complici e succubi della loro strategia di guerra.
Nel contempo, poiché la guerra di aggressione ha creato anche le condizioni per la guerra civile, al fine di scongiurare questo ulteriore disastro, occorre che le truppe di occupazione siano sostituite con truppe che appaiano e siano di garanzia per tutti, che operino sotto la direttiva e la totale rappresentanza dell'ONU.
Se il Governo italiano si impegnerà a fondo su questo percorso, interloquendo con tutti i soggetti coinvolti e lavorando all'effettiva attuazione di una conferenza per la pace, anche la morte del maresciallo Paladini assumerà un senso, perché vorrà dire che la sorte di questo lavoratore in divisa caduto sul lavoro è servita ad aprire tanti, anzi troppi occhi, finora incapaci di vedere l'effettiva realtà della guerra afgana (Applausi dei deputati del gruppo Comunisti Italiani).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Boato. Ne ha facoltà.
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MARCO BOATO. Signor Presidente, sarebbe opportuno che al banco del Governo vi fosse un po' di attenzione, visto che stiamo svolgendo questo dibattito.
Signor Presidente, abbiamo già discusso in Aula alcuni mesi fa, all'inizio del marzo scorso, in occasione della conversione in legge del decreto-legge di proroga della partecipazione italiana alle missioni umanitarie e internazionali, i temi politici generali legati alla strategia e alla nostra presenza in Afghanistan. In quell'occasione la collega Tana De Zulueta ha svolto una dichiarazione di voto, a nome del gruppo dei Verdi, che richiamo integralmente, in quanto è ancora, purtroppo, di assoluta attualità.
In questo momento, prima di tutto e soprattutto, vorrei anch'io esprimere, a nome del gruppo dei Verdi e a nome di tutti coloro che hanno un senso di umanità e di solidarietà, la nostra partecipazione al dolore per l'uccisione del maresciallo capo Daniele Paladini e la nostra solidarietà a sua moglie e alla figlia. Vorrei esprimere la nostra solidarietà al capitano Salvatore Di Bartolo, al capitano Stefano Ferrari, al caporal maggiore scelto Andrea Bariani e anche allo stesso colonnello De Fonzo, che sono stati feriti. Vorrei esprimere, inoltre, la nostra grande solidarietà ai sette civili, tra cui tre bambini, rimasti uccisi e agli altri nove civili afgani rimasti feriti.
Credo sia giusto condividere le dichiarazioni rilasciate qualche giorno fa ad Abu Dhabi dal Presidente del Consiglio Prodi, il quale ha dichiarato: «Non è un'offensiva contro gli italiani, ma contro tutti e, in particolare, contro il popolo afgano. Obiettivo del terrorismo è creare instabilità nel Paese, anche introducendo nuovi metodi terroristici come gli attacchi suicidi che in Afghanistan, a differenza che in Iraq, erano estranei alla cultura di quel Paese».
Il Presidente Prodi, inoltre, sempre ad Abu Dhabi ha dichiarato: « Noi restiamo, ma tutti i Paesi che restano hanno bisogno di riflettere sulla strategia di lungo periodo. Non è un problema di ieri, ma è un problema su cui stiamo ragionando già da molto tempo».
Sono riflessioni politiche svolte con assoluta pacatezza e assoluta consapevolezza del momento drammatico e che noi condividiamo. Anche perché riteniamo sbagliato - e mi riferisco a qualche dichiarazione avventata rilasciata dall'europarlamentare Marco Rizzo - mettere in discussione la presenza italiana nel momento in cui vi è un attentato e vi sono delle vittime. Questa reazione, infatti, incentiva gli attentati e indebolisce la presenza italiana. Dissentiamo, quindi, da tale posizione.
Ciò non toglie che è sempre più evidente a tutti - ve ne è traccia anche nella riflessione del Presidente Prodi - la necessità di una maggiore attenzione verso una soluzione politica della vicenda afgana che, come molti colleghi hanno appena ricordato, dura ormai da oltre sei anni. Non mi riferisco soltanto all'ipotesi di una conferenza dell'ONU sull'Afghanistan che l'Italia ha caldeggiato, ma che per ora non è in vista, anche se si è svolta, invece, una conferenza proprio a Roma sul tema della giustizia. Mi riferisco, invece, più in generale, alla necessità di un rapporto più stretto tra la dimensione della sicurezza e la dimensione politica.
Vorrei citare la dichiarazione rilasciata sul quotidiano la Repubblica da James Appathurai, portavoce del Segretario generale della NATO Jaap De Hoop Scheffer, proprio su questo aspetto (quindi, lo afferma un portavoce della NATO): «Se noi non rendiamo sicuro il territorio, gli altri non possono lottare contro la droga, ricostruire polizia ed esercito, rimettere in piedi il sistema giudiziario. Forse quello che manca è la visibilità degli attori diversi dalla NATO».
Credo, signor Presidente, che in un giorno in cui, tra poche ore, si celebrerà il funerale del maresciallo Paladini, in un giorno in cui la preoccupazione principale è quella della solidarietà di tutte le forze politiche e di tutti i cittadini del nostro Paese per le vittime dell'attentato, sia necessario avere con pacatezza e serenità la consapevolezza che un maggiore sforzo - non solo italiano, in quanto l'Italia da sola non può farlo - a livello ONU, NATO Pag. 15e di Unione europea per un più forte rapporto tra la dimensione politica e la dimensione della sicurezza della nostra presenza in Afghanistan è una priorità sempre più importante e da portare avanti con consapevolezza.
PRESIDENTE. Deputato Boato, la prego di concludere.
MARCO BOATO. Sulle altre questioni, ripeto, la collega De Zulueta, il 5 marzo scorso, ha parlato ampiamente in quest'Aula: mi richiamo alle sue considerazioni, affinché possiamo riprendere tutti insieme una compiuta riflessione, in un momento diverso da quello che viviamo in queste ore drammatiche, come auspicato dal Presidente Prodi (Applausi dei deputati dei gruppi Verdi e Misto-Socialisti per la Costituente).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Giuditta. Ne ha facoltà.
PASQUALINO GIUDITTA. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, a nome del gruppo Popolari-Udeur desidero, innanzitutto, esprimere le nostre più sentite condoglianze alla vedova, ai familiari e agli amici del maresciallo Paladini, che, nonostante il loro profondo dolore, stanno affrontando questa perdita con grande fierezza e dignità, ponendosi come esempio per tutti noi. Desideriamo esprimere, altresì, la nostra vicinanza e la nostra solidarietà a tutte le Forze armate italiane e, in particolare, a quei militari che, con straordinaria dedizione e incredibile coraggio, si trovano ad agire in un contesto insidioso come l'Afghanistan, misurandosi ogni giorno in situazioni rischiose e delicate, nel tentativo di portare in quel territorio martoriato dalla dittatura talebana e dalla guerra i valori e i principi fondanti della nostra democrazia: la pace, la libertà e la tolleranza.
È inevitabile che lo stupore e il dolore per la morte del nostro concittadino riaprano, nella società e nella politica, il dibattito sull'opportunità della nostra missione in Afghanistan. Non è questo ciò di cui abbiamo bisogno noi e di cui hanno bisogno i nostri militari, i parenti e gli amici di Daniele Paladini. Non dobbiamo permettere che passi l'idea che si sia trattato di una morte inutile o, peggio ancora, insensata. Al contrario, è proprio perché la nostra presenza in Afghanistan ha un senso e riveste un ruolo di fondamentale importanza che il maresciallo Paladini è morto.
L'attacco kamikaze di sabato scorso non era un attacco mirato contro le truppe italiane, bensì un attacco diretto contro la pace e la ricostruzione, in un Paese ricco di risorse e di potenzialità ma soffocato dall'integralismo talebano. I nostri militari, ricordiamolo, lavorano per la pace e non per la guerra. I tentativi di bloccare le missioni dei nostri militari sono atti compiuti contro la costruzione della pace e della democrazia in Afghanistan. Se tali tentativi sortissero il loro effetto, se cioè decidessimo di arrenderci alla violenza integralista e abbandonassimo quel Paese e quel popolo al loro destino, non faremmo altro che assecondare la volontà terroristica di chi non ha affatto a cuore le sorti dell'Afghanistan, ma, al contrario, mira al suo isolamento internazionale e, quindi, alla sua decadenza economica, culturale e sociale.
Non è in discussione la presenza del nostro contingente in Afghanistan, quanto piuttosto la strategia e la natura di tale presenza. Il Premier Romano Prodi è stato molto chiaro in proposito: restiamo in quella regione, ma serve una riflessione. Il gruppo dei Popolari Udeur è completamente d'accordo su questa linea e la condivide pienamente.
Dobbiamo interrogarci, piuttosto, su come fronteggiare le situazioni che mettono in pericolo la vita dei nostri militari: quali strumenti e quali misure è necessario adottare per impedire che simili tragedie si ripetano in futuro. Assicurare ai nostri uomini mezzi ed equipaggiamenti adeguati, dotare le nostre truppe di attrezzature tecnologicamente adatte e prevenire questo genere di attentati: questo è ciò che riteniamo necessario effettuare per Pag. 16i nostri militari impegnati in missioni all'estero, evitando qualunque polemica strumentale e pretestuosa.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Barani. Ne ha facoltà.
LUCIO BARANI. Signor Presidente, a nome del gruppo della Democrazia Cristiana per le autonomie-Partito Socialista-Nuovo PSI esprimo il nostro cordoglio alle famiglie delle vittime italiane e afgane, ai feriti italiani ed afgani e alle loro famiglie. La cultura di noi socialisti riformisti è stata sempre vicina alle persone deboli che hanno bisogno di solidarietà e di aiuto e, in particolare, ai nostri soldati in Afghanistan.
L'antesignano dei socialisti riformisti, Filippo Turati, in un discorso tenuto proprio in quest'Aula nel 1923, affermava che se vuoi la pace devi costruirla.
Ebbene, i nostri soldati del Genio pontieri di Piacenza erano in Afghanistan per costruire la pace. In che modo? Costruendo ponti, che idealmente sono ciò che collega le culture, che bypassa gli ostacoli, che aiuta le popolazioni e le nazioni ad essere vicine e in contatto. Essi erano laggiù proprio per questo motivo e non hanno bisogno delle polemiche che sono state sollevate in quest'Aula e in Italia dal nostro Governo, né di sapere che occorre rivisitare la nostra strategia o che la intelligence afgana, per le nostre debolezze, possa riprendere vigore e, quindi, inveire contro chi sta costruendo materialmente i ponti della pace.
Il Papa, il Sommo pontefice, ha tale appellativo proprio perché è il «ponte» tra la terra e il cielo e costruisce idealmente la pace, dando la speranza di un futuro ai credenti. Così agiscono anche i nostri eroi in Afghanistan; pertanto, mentre stanno operando in questo modo, non possiamo permetterci di avere in Italia un Governo incapace di dargli la certezza che sono lì solo ed esclusivamente per costruire ponti di pace e per onorare la nostra nazione.
Ciò rileva soprattutto in questi giorni, in cui a Napoli si sta forse costruendo un altro ponte importante tra israeliani e palestinesi.
Dunque, a noi dispiace sentire parlare di distinguo in un momento così importante, che può ridare fiato agli integralisti islamici e ai terroristi, proprio quando stiamo per assumere il comando della missione ISAF della NATO in un punto cruciale, dove vi è bisogno di solidarietà, di sussidiarietà e di presenza di coloro che hanno avuto il grande torto, agli occhi dei terroristi, di rispettare e aiutare quelle popolazioni, che stanno soffrendo.
Il peggior pericolo per chi vuole fare vivere la popolazione nella povertà è proprio sapere che ci sono uomini che di fatto dimostrano, rischiando la propria vita, di voler creare quei ponti importanti, che sono il perno della democrazia e della libertà per un popolo come quello afgano.
È questo il contributo che, come gruppo DCA-Democrazia Cristiana per le Autonomie-Partito Socialista-Nuovo PSI, abbiamo voluto dare a questo dibattito, ben sapendo che la situazione è veramente critica. Citando un termine usato poco fa da un collega, che in effetti aveva ragione, credo che in questo momento abbiamo bisogno di un Governo all'altezza della situazione. Dunque, signor sottosegretario, sono d'accordo sul fatto che «sgombrare» sia un termine che non si possa usare per i feriti, ma soltanto per il Governo della Nazione: è ora che Prodi «sgombri!» da palazzo Chigi (Applausi dei deputati dei gruppi DCA-Democrazia Cristiana per le Autonomie-Partito Socialista-Nuovo PSI e Misto-Repubblicani, Liberali, Riformatori)!
PRESIDENTE. Sono presenti gli insegnanti e gli allievi dell'Istituto tecnico commerciale «Federico Caffè» di Roma, che saluto a nome dell'Assemblea e personalmente (Applausi).
Ha chiesto di parlare il deputato Buontempo. Ne ha facoltà per due minuti.
TEODORO BUONTEMPO. Signor Presidente, la ringrazio per i due minuti.
Con regole di ingaggio diverse, sarebbero morti il maresciallo capo Paladini e i sette civili afgani?Pag. 17
Come era già accaduto nell'agosto del 2005 e nel marzo dell'anno successivo, la piazza di Kabul tornerà sotto il comando italiano e sarà affidata alla brigata Taurinense. Un onore certo, ma anche un grosso rischio.
La situazione in Afghanistan si va aggravando, si stringe una morsa di fuoco attorno alla capitale: dall'inizio dell'anno gli attentati suicidi sono stati poco meno di trecento. Inoltre, la nostra intelligence ha segnalato ripetutamente i pericoli che sono incombenti proprio sul contingente italiano. L'intelligence ha lanciato tali allarmi: sono stati raccolti dal Governo italiano?
Sarebbe da irresponsabili far rimanere inalterate le condizioni del nostro contingente: gli Italiani rischiano di trovarsi in prima linea, quindi è necessario cambiare le regole di ingaggio.
Le regole più chiare dovrebbero sottolineare il potere-dovere del soldato di far fuoco contro chi si avvicinasse minaccioso e con rigonfiamenti sospetti sotto la tunica.
Il cambiamento di regole non è rinviabile, anche perché sta cambiando il rapporto con la popolazione. Qual è la nostra politica, la nostra strategia?
PRESIDENTE. La invito a concludere.
TEODORO BUONTEMPO. Anche di ciò avrebbe dovuto riferire il Governo. Il Governo stamani non ha svolto alcuna riflessione di carattere politico-strategico: ritengo ciò molto grave.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Nucara. Ne ha facoltà.
FRANCESCO NUCARA. Signor Presidente, come ha affermato il Presidente Napolitano, siamo addolorati e orgogliosi: addolorati per la morte di Daniele Paladini e per i militari feriti, ma orgogliosi per una missione di civiltà e di pace a favore di un popolo martoriato.
Siamo fiduciosi che il Ministro Parisi - tra i pochi che nell'attuale Governo ha alto il senso dello Stato - darà continuità agli impegni assunti dall'Italia sul piano internazionale.
In questi casi, la maggioranza di Governo come l'opposizione devono dimostrare grande senso di responsabilità: ogni divisione e lacerazione in Italia, al Governo come in Parlamento, non farà altro che alimentare ulteriori attacchi alle Forze armate italiane.
Al Ministro Parisi chiediamo, nella sua funzione, di partecipare alle famiglie, e in particolare alla famiglia Paladini, tutto il dolore dei Repubblicani Italiani, e alle Forze armate tutta la nostra solidarietà (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Repubblicani, Liberali, Riformatori e DCA-Democrazia Cristiana per le Autonomie-Partito Socialista-Nuovo PSI).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Spini. Ne ha facoltà, per due minuti.
VALDO SPINI. Signor Presidente, a nome dei Socialisti per la Costituente, ma anche a titolo personale, come ex presidente della Commissione difesa, voglio esprimere le condoglianze più sentite e più fervide alla famiglia del maresciallo capo Daniele Paladini, insieme con gli auguri per i feriti.
Vorrei sottolineare un punto: Paladini è morto cercando di diminuire il danno di un attentato terroristico che colpiva civili e bambini, e contro tale tipo di attentati non vi sono «se» e «ma» che tengano: la condanna deve essere chiara e durissima.
Certamente vi sono difficoltà in Afghanistan e vorrei ricordare ad alcuni colleghi che sono intervenuti che, in parte, la situazione in Afghanistan si è deteriorata anche per effetto dell'errore dell'intervento in Iraq: vi è una catena di concause che è chiarissima in tal senso.
Da questo punto di vista, dobbiamo certamente agire per un'efficace difesa delle nostre forze, ma dobbiamo anche agire per un'iniziativa politica: oggi ad Annapolis si apre una difficile, ma comunque importante, conferenza di pace sul tema israeliano-palestinese. Sappiamo che Pag. 18nel Medio Oriente, fino all'Afghanistan, questi fenomeni e questi episodi sono correlati politicamente, e che un successo di pace e convivenza in uno scacchiere può avere, a catena, effetti positivi di convivenza e di pace in un altro scacchiere.
Rivendichiamo con orgoglio, quindi, l'azione del centrosinistra italiano che nelle missioni di pace a difesa delle popolazioni in un contesto politico avveduto e intelligente mira a creare le condizioni per la convivenza. Ricordo a tutti che il regime dei talebani era riconosciuto da un solo Paese al mondo. Ritengo, quindi, che nessuno potrebbe veramente volere a cuor leggero che questo regime si affermasse di nuovo in Afghanistan. Sappiamo molto bene che i progressi politici che richiediamo all'Afghanistan vanno chiesti forse anche con maggior forza e chiarezza e che devono legarsi agli esiti di quella Conferenza internazionale in grado di corresponsabilizzare tutti in una prospettiva volta al ritorno di condizioni di normalità e pace.
Signor Presidente, essendo l'ultimo oratore voglio sottolineare il corale impegno del Parlamento italiano accanto alle nostre truppe per una soluzione politica di queste vicende.
PRESIDENTE. È così esaurito lo svolgimento dell'informativa urgente del Governo.
Sospendo la seduta, che riprenderà alle 14 con il seguito dell'esame del disegno di legge in materia di previdenza, lavoro e competitività.
La seduta, sospesa alle 11,50, è ripresa alle 14,10.