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INTERVENTO DEL DEPUTATO RICCARDO PEDRIZZI SUL COMPLESSO DEGLI EMENDAMENTI RIFERITI ALL'ARTICOLO 2 DEL DISEGNO DI LEGGE N. 3257-A
RICCARDO PEDRIZZI. Una breve considerazione di carattere procedurale. L'esperienza dell'esame parlamentare della legge finanziaria per il 2008 ha ancora una volta rivelato, se ce ne fosse stato bisogno, evidenti aspetti problematici legati soprattutto alla difficoltà di circoscrivere l'ambito contenutistico degli interventi della stessa legge di bilancio.
Tali difficoltà sono legate, senz'altro, alle interpretazioni non sempre univoche delle disposizioni della legge n. 468 del 1978.
Cosicché, la manovra di alleggerimento della legge finanziaria, anche attraverso l'utilizzo dei cosiddetti provvedimenti «collegati», che ultimamente hanno assunto la veste di decretazione d'urgenza non ha avuto successo, venendosi a riproporre uno schema di legge finanziaria omnibus che si voleva invece superare.
Come si vede, alla luce dell'esperienza, purtroppo negativa, degli ultimi anni maturata sia dai Governi di centrodestra che da quelli di centrosinistra occorrerebbe veramente non solo aprire un grande dibattito per adeguare finalmente la nostra tecnica legislativa alle necessità urgenti del sistema Italia, ma prendere decisioni definitive.
Anche quest'anno c'è una distanza stratosferica tra i documenti di questa sessione di bilancio ed il DPEF che il Governo ha approvato qualche mese fa.
Anche quest'anno il DPEF ha predicato bene e la finanziaria razzola male. IlPag. 72DPEF lo scrivono professori scelti dal Ministro mentre la finanziaria la scrivono funzionari guidati dai politici. Negli ultimi due anni è solo cresciuta la qualità del DPEF: quello approvato il 28 giugno è di 154 pagine ricche anche di cose intelligenti sulla crescita sostenibile e sull'equità sociale. Ma anche le 160 pagine di un anno fa erano ben descritte, eppure servirono assai poco alla manovra successiva. La finanziaria 2007 doveva essere tutta dedicata al risanamento ottenuto tagliando le spese. È successo il contrario. La finanziaria 2008 doveva essere tutta dedicata a «spendere meglio» a parità di spesa totale. Ma siamo su una strada completamente diversa. Per il terzo anno consecutivo, si aumenta la spesa pubblica e si mantiene un significativo deficit, nonostante l'economia cresca a un tasso prossimo a quello potenziale. Non vi è dunque giustificazione macroeconomica di quella spesa (e di quel deficit), come sarebbe se il finanziamento venisse dall'aumentato reddito generato dallo stimolo alla domanda dato da quella spesa. Stiamo invece spendendo soldi il cui conto necessariamente passiamo a figli e nipoti. È quindi questo l'unico criterio rilevante per valutare la bontà di questa finanziaria: la maggior spesa prevista è davvero nell'interesse di chi prima o poi pagherà quei conti; serve cioè a darci un Paese migliore di cui i nostri figli e nipoti godranno? Sarkozy ha dato al bilancio pubblico francese per i prossimi anni un deficit solo perché si finanziano riforme politiche che producano crescita.
Da noi scuola, liberalizzazioni, infrastrutture e ambiente mancano.
Maggiori spese a favore della crescita e della formazione del capitale umano non ci sono.
Da noi troviamo molta spesa con chiara finalità redistributiva: si dice per motivi di equità, tanta spesa sociale in più. Ma è corretto finanziare tutto ciò con debiti che pagheranno i nostri figli e nipoti?
Il secondo problema irrisolto da questa finanziaria è ancora più grave: anche quest'anno, aumentiamo la spesa più che l'efficienza della sua gestione e in finanziaria non abbiamo sufficienti incentivi affinché si spenda meglio.
Nell'impostare la manovra per il 2007, il nuovo Governo Prodi scelse di puntare tutto su aumenti delle entrate, rinviando a un secondo tempo il nodo della spesa. Oggi scontiamo le conseguenze di quella impostazione. Come era facile prevedere, l'abbondanza di risorse ha consentito di eludere le riforme sul Iato della spesa che crescerà più del previsto. I proventi inattesi del 2007 alimentarono nuove spese per un totale di circa 13 miliardi, quasi l'1 per cento del PIL.
Tra il 2005 e il 2007 la pressione fiscale è salita di oltre due punti e mezzo del PIL, come tra il 1995 e il 1997 quando si decideva l'ingresso nell'euro. Negli obiettivi originari, lo sforzo richiesto al Paese doveva essere minore e temporaneo: la pressione fiscale avrebbe dovuto scendere al 42,6 per cento nel 2008. Come evidenziato nel DPEF di luglio, a legislazione vigente.
Invece, nel 2008, la pressione fiscale sarà del 43 per cento e l'obiettivo di indebitamento netto sarà abbassato.
La rinuncia ad affrontare il nodo della spesa è grave non solo perché allontana il rientro dal disavanzo e sottrae risorse all'economia, ma anche perché si continua a spendere male. La cosiddetta «riqualificazione» della spesa pubblica prevede nel prossimo triennio maggiori spese per oltre 5 miliardi in seguito alla controriforma delle pensioni, 3 miliardi per i contratti del pubblico impiego, un miliardo di trasferimenti alla Fs, e così via. E i tagli? Se tutto va bene, verranno da ipotetici miglioramenti nella gestione degli immobili e fantomatiche «razionalizzazioni» nei ministeri e nel bilancio dello Stato.
Gli ultimi cadeaux valgono un miliardo (quasi il 10 per cento dell'intera manovra).
Rigore, equità, sviluppo erano i capisaldi strategici della finanziaria pensata con l'aspettativa di un ciclo economico ancora espansivo, con mercati finanziari non turbolenti, con un petrolio non a 100 dollari.
Nel complesso alle misure di sviluppo vanno 1,8 miliardi, a quelle di assistenza 6.Pag. 73
Quanto al rigore, il bilancio esce appesantito. La spesa continua a essere inattaccabile; anche se nel prossimo futuro non ci sarà più il salvagente di un extragettito da 10 e più miliardi.
Di tagli ce ne sono stati pochi. E quei pochi sono finiti sacrificati come costo del consenso dell' «ultimo miglio». La sinistra ha preteso l'aumento degli assegni assistenziali, l'abolizione dei ticket, le immissioni di massa dei precari. I costi pubblici sono aumentati, le coperture sono aleatorie come dimostra il conflitto tra Ragioneria e Ministero dell'economia.
I tagli dei costi della politica restano una chimera. Per il ministro Giulio Santagata produrranno risparmi per un miliardo: sono cifre-annuncio, molte delle quali contestate, si vedrà a fine anno.
Ci sono poi le spese nascoste: come oltre 4 miliardi in due anni per la copertura dei contratti pubblici. In bilancio non ci sono queste risorse.
È evidente poi come sia una furbizia contabile quella di aver inserito come una tantum sia l'aumento del bonus incapienti, sia gli sconti ICI. La struttura della spesa non cambia, quella corrente cresce ancora, la pressione fiscale rimane inchiodata intorno al 43 per cento, record storico.
L'equità resta il tema politicamente più spendibile: 150 euro agli incapienti e le misure sull'ICI che è un'entrata a gamba tesa. Sugli enti locali resta nell'ombra l'impatto (in peggio) che avrà sui contribuenti la revisione degli estimi catastali, sull'autonomia fiscale e comunale. Che ha costretto, tra l'altro, a ridurre fondi per gli asili nido, una spesa strutturale che alla lunga renderebbe al sistema lavoro femminile, doppi stipendi, più consumi, più ricchezza.
La parte fiscale della manovra è consistente ma neutra. Le riduzioni di Ires e Irap sono recuperate come manutenzione della base imponibile.
Guardando più in dettaglio la manovra, sono tre gli aspetti su cui misurarne la qualità: la finanza pubblica, la spesa e la pressione fiscale.
Il pareggio appare lontano e verrà raggiunto, secondo la tabella di marcia che il Governo stesso si è dato, nel 2011. Le tendenze spontanee lo farebbero scendere più velocemente con gli extra-gettiti. La Germania, che partiva da un disavanzo negativo quanto quello italiano, lo azzera sostanzialmente già da quest'anno. Il debito, la cui riduzione è «il primo investimento a favore dei giovani», resta ben oltre il 100 per cento del PIL, un livello senza eguali negli altri Paesi europei.
I tagli di spesa sono una delusione annunciata, i risparmi continuano a dare un apporto limitato.
Alcuni dei capitoli importanti sono stati lasciati fuori dalla partita (in primis, il pubblico impiego); inoltre va considerata la maggiore propensione genetica a spendere dei governi di coalizione.
Le entrate continuano ad andare bene.
Ma continua a salire la pressione fiscale, anche senza variazioni delle aliquote, con le riduzioni di Ires e Irap, che consegue il taglio del cuneo varato l'anno scorso, non bastano a porre l'Italia in testa alla graduatoria della competitività fiscale, ma solo evitando di perdere ulteriori posizioni, poi, probabilmente non riusciranno a impedire alla pressione fiscale di salire ancora.
Fitch è deluso dal fatto che l'extra-gettito non sia stato destinato interamente per velocizzare la riduzione del deficit e del debito pubblico, preoccupato per il rischio che il buon andamento delle entrate sia temporaneo e che l'extra-gettito si riveli ciclico quando la crescita sarà minore del previsto già nel 2008: «La manovra è deludente, è una occasione mancata e l'ambizione di risanare i conti pubblici sta scemando», «l'uso dell'extra-gettito è un azzardo perché queste entrate potrebbero rivelarsi non permanenti». «Questa finanziaria è un esercizio di contenimento e non un vero e proprio tentativo di portare le finanze pubbliche su una base sostenibile di miglioramento».
Critica anche la lettura della manovra fornita da Moody's: per l'agenzia internazionale di rating l'Italia «avrebbe dovuto tagliare la spesa nel lungo termine». «Nel lungo termine potrà rivelarsi difficile affrontare il disavanzo di bilancio senzaPag. 74intervenire sulla spesa pubblica di natura strutturale». «Il consolidamento fiscale nel 2007 è stato generato in larga misura dalle entrate».
Da mesi sapevamo quali sarebbero stati i difetti della finanziaria. Non c'è alcun tentativo di tagliare la spesa pubblica. E le maggiori entrate fiscali sono state utilizzate per finanziare nuove spese, anziché per fronteggiare le difficoltà che verranno, come suggerisce qualsiasi manuale di finanza pubblica (e il senso comune).
Questo perché ci sono due tipi di ministri nel Governo attuale. Alcuni, tra cui il Ministro dell'economia, operano da anni a contatto con gli ambienti produttivi e finanziari nazionali e internazionali, e comprendono e accettano il mercato. Ma se lo sono dimenticato. Molti altri invece si sono formati in anni e ambienti in cui era obbligatorio citare Marx e Gramsci, e da quella esperienza hanno derivato una diffidenza istintiva per il mercato, che peraltro non comprendono e tantomeno accettano.
L'Italia è ancora un Paese con spesa pubblica da Paese socialista, e con servizi pubblici di poco migliori; e non sarà questo Governo che cambierà la situazione. Due extra-gettiti sono stati dissipati, e ci avrebbero fatto comodo ora che la crescita probabilmente diminuirà. Su tante questioni, dalla sanità al Sud, dall'impiego pubblico all'istruzione a tutti i livelli, anche i ministri più «illuminati», sembrano ancora incapaci di scostarsi da una mentalità statalista e dirigista.