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Allegato B
Seduta n. 147 del 19/4/2007
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AFFARI ESTERI
Interrogazione a risposta orale:
VOLONTÈ. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
circa quattro mesi fa la polizia laotiana ha arrestato tre piccoli nordcoreani, catturati mentre attraversavano il confine del Paese attraverso il fiume Mekong, per fuggire dal regime stalinista guidato da Kim Jong-il nella speranza di raggiungere la Thailandia e, da lì, gli Stati Uniti;
condannati a tre mesi di galera per ingresso illegale nel Laos, hanno concluso il loro periodo di detenzione ma vengono trattenuti dalla polizia; che ha presentato ad un'organizzazione non governativa, il Life Funds for North Korean Refugees, con base in Giappone, la richiesta di mille dollari per il loro rilascio;
il presidente del Fondo, Hiroshi Kato, è riuscito a visitare i tre ragazzi in carcere - di 12, 14 e 17 anni - e li ha trovati «nel panico» dopo che un gruppo di funzionari dell'ambasciata di Pyongyang è andato a minacciarli di severe punizioni subito dopo il rimpatrio;
se rimpatriati, infatti, i tre bambini rischiano dagli 11 anni di lager alla pena di morte;
l'organizzazione non governativa ha deciso di non pagare, perché teme che si inizi così una sorta di «commercio dei rifugiati» nordcoreani e per non rendere la «caccia al rifugiato» un'attività redditizia;
il sudcoreano Kim Sang-hun, facente parte di un'organizzazione internazionale per i diritti umani, ha confermato questi timori ed è «preoccupato dalla situazione» perché «pagare questa tangente potrebbe creare un pericoloso precedente, che spingerebbe la polizia a dare la caccia ai rifugiati per guadagnare. Mille dollari, qui, sono una cifra molto alta»;
i tre bambini hanno scritto alcune lettere che sono state fatte uscire dal carcere. In una di queste, Kim Hyang (14 anni), scrive: «Scrivo questa lettera come se fosse l'ultima possibilità di una persona che sta affogando. L'ambasciata nordcoreana ci ha interrogato il 6 aprile scorso ed ha ottenuto tutte le informazioni. Siamo bambini sfortunati, che sono venuti qui per cercare la libertà ed ora rischiano di morire». In conclusione, Kim scrive: «Se qualcuno potesse darci quella libertà, gli saremmo grati per tutta la vita. Possiamo accettare tutto, tranne che essere rimandati in Corea del Nord» -:
se non ritenga di intraprendere ogni utile iniziativa per evitare il rimpatrio dei tre ragazzi il cui destino sarebbe altrimenti segnato drammaticamente una volta rientrati nella Corea del Nord, dove vige un regime particolarmente repressivo di ogni forma di dissenso;
se non ritenga di agire presso i governi sudcoreano, laotiano, americano o thailandese (Paesi che storicamente accettano i rifugiati nordcoreani) per ottenere dei visti di ingresso per i tre bambini come rifugiati politici;
se non ritenga di adoperarsi con azioni di pressione sul governo nordcoreano per ottenere la custodia dei tre anche, eventualmente, in Italia;
se non ritenga di interessare del caso il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite che, nonostante la grave violazione al momento in corso, non si é ancora espresso.
(3-00827)
Interrogazione a risposta scritta:
FASOLINO. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
l'inviato di La Repubblica in Afghanistan Daniele Mastrogiacomo, catturato dai «Talebani» è stato successivamente rilasciato a fronte della liberazione di ben cinque terroristi richiesta dal Governo italiano al Governo afgano oltre che a fronte del pagamento di una somma imprecisata ad opera, pare, dei servizi segreti italiani. Durante il sequestro di Mastrogiacomo è stato, sempre dai «Talebani» barbaramente trucidato il suo autista afgano la cui moglie, a seguito della terribile notizia ha perduto il bimbo che portava in grembo;
con un comportamento che ha dello sconcertante da parte delle Autorità italiane, afgane e di Emergency, l'altro accompagnatore di Daniele Mastrogiacomo, l'interprete Adjmal Naqshbandi è stato abbandonato nelle mani dei guerriglieri senza che all'interrogante risulti lo straccio di una trattativa. Stupisce profondamente e addolora la considerazione che sia il Governo italiano e, per esso il Presidente del Consiglio Romano Prodi e il Ministro degli Affari Esteri On. Massimo D'Alema sia Emergency e per essa, il Presidente Gino Strada, abbiano trattato la liberazione di cinque terroristi talebani e il pagamento del riscatto vincolandola alla sola restituzione di Daniele Mastrogiacomo, senza pretendere tassativamente anche il rilascio di Adjmal;
stupisce ancora di più che, nonostante tale sua diretta responsabilità, il Signor Gino Strada, in collegamento da Milano, si sia rivolto alla folla dei volenterosi riunita sabato 31 marzo 2007 a Roma nella storica e, quel giorno, solare Piazza Navona per manifestare in favore della liberazione di Adjmal Naqshbandi e di Rah Matullah Hanefi l'altro afgano detenuto (questa volta presso le carceri governative per le indagini sulla intera vicenda) con le seguenti parole: «il Governo italiano faccia pubblica richiesta di liberazione, è un insulto che a pagare per le beghe fra governi sia un cittadino afgano»;
stupisce, inoltre, che il Ministro degli Esteri On. Massimo D'Alema all'insulto triviale e irridente di un noto personaggio, Beppe Grillo, trasmesso con un'amplificazione telefonica alla folla di turisti e dimostranti riunita in Piazza Navona, non abbia saputo controbattere alcun ché a difesa dell'onore proprio e dell'altissima carica istituzionale che riveste; peraltro, alle pesanti ingiurie rivolte al Ministro degli esteri il nutrito parterre della sinistra italiana riunita per l'occasione sul palco non ha battuto ciglio;
una volta salvato Mastrogiacomo, una parte politica che non smette di interpretare il ruolo della «parte», con la salvifica, e imperterrita presenza delle sue icone più rappresentative ha inscenato una manifestazione a Piazza Navona che poteva apparire credibile solo se il Governo in carica non fosse votato e sostenuto ogni giorno da loro medesimi, solo se nessuno di loro avesse addirittura l'onore di partecipare alle riunioni del Consiglio dei ministri, solo se il risultato al quale si è pervenuti non fosse il prodotto di una serie di luoghi comuni, esposizioni ingenuità ed approssimazioni, non ultima la pretesa di andare in territorio talebano pensando di farla franca con il risultato finale, nefastissimo, di potenziare in uomini e denaro un esercito del terrore che lotta contro la legalità del proprio Stato e per imporre a tutti gli afgani, in particolar modo alle donne, un regime brutale discriminatorio e feudale;
certamente, dallo squallido balletto descritto non ha potuto trarre alcun beneficio lo sfortunato Adjmal che, com'è tragicamente noto, è stato alla fine barbaramente assassinato;
ad avviso dell'interrogante nessun significativo elemento chiarificatore sulla complessiva vicenda è stato rappresentato dal Ministro interrogato, in occasione dell'informativa urgente recentemente svoltasi
alla Camera, anzi, dall'informativa emergono altri inquietanti particolari: il Ministro degli Esteri ha rivelato che «da lungo tempo, l'Unità di crisi della Farnesina, l'Ambasciata a Kabul e il SISMI avevano segnalato l'elevato rischio di sequestri di persona in Afghanistan e nelle province meridionali». Rischio aggravato dal concomitante avvio di una operazione militare della coalizione, denominata Achille;
sempre dall'informativa si apprende il coinvolgimento del Presidente del Consiglio italiano Romano Prodi, del Presidente Karzai e di Gino Strada nel vivo della trattativa. La sequenza degli eventi, ad avviso dell'interrogante, è drammatica e al contempo risibile;
il 17 marzo vengono rilasciati due dei primi 3 prigionieri talebani, così come richiesto dal sanguinario Mullah Dadullah;
ilMinistro D'Alema non spiega come mai il rilascio possa essere avvenuto senza la contestuale liberazione degli ostaggi in mano ai Talebani;
il giorno dopo, infatti, come in una tragica commedia delle parti, i Talebani chiedono il rilascio di altri 3 detenuti. A questo punto il Governo italiano viene fulminato sulla via di Damasco da una intuizione stravolgente e comunica a quel Gino Strada che, stanti le dichiarazioni rese via etere a Piazza Navona, sembrava quasi estraneo e subliminale all'intera vicenda: «che questa volta» «la consegna effettiva dei 3 rilasciati deve avvenire in cambio della liberazione effettiva e contestuale dei due ostaggi»; «di entrambi» ripete D'Alema nell'informativa «ancora nelle mani dei rapitori»;
a questo punto una notizia liberatoria: Gino Strada, non si comprende in base a quali informazioni, il 19 marzo comunica che gli ostaggi sono stati liberati. Per Daniele Mastrogiacomo è tutto vero. È tornato in Italia, scrive nuovamente su La Repubblica, quando torna a casa la sera riassapora le gioie domestiche. Non si può che esserne felici e potergli augurare per il bene dell'Italia e per il bene della democrazia afgana di non mettere mai più piede in quella terra;
per Adjmal, invece, è vera soltanto la sua morte, orrenda come quella che in nome del loro Dio i Talebani riescono ad infliggere anche ai fratelli di fede -:
quali iniziative concrete intenda attivare al fine di pervenire alla liberazione di Hanefi che si rende necessaria soprattutto perché un tribunale internazionale possa pervenire, opportunamente interrogandolo, al cuore oscuro della vicenda, considerato in particolare che ben individuati e capillari movimenti di opinione con manifesti e pubblici appelli in tutta Italia a favore della liberazione di Hanefi stanno pretestuosamente cercando di riversare tutte le responsabilità sul Governo afgano, anch'esso colpevole a parere dell'interrogante, ma soprattutto per aver subito con supina acquiescenza l'altrui discriminatoria protervia;
quali iniziative concrete intenda attivare al fine di impedire, con oculata fermezza, escursioni in terra afgana da parte di sprovveduti in cerca di storie ed emozioni forti anche se sotto l'egida di qualche quotidiano autorevole e di un per lo meno disattento direttore nei confronti dei pericoli sempre, fino ad oggi, opportunamente e preventivamente segnalati;
in che modo intenda tutelare il prestigio delle istituzioni che rappresenta, oltre che la sua onorabilità personale, in particolare nei confronti di quel Beppe Grillo che lo ha reso destinatario di frasi sarcastiche, irriverenti ed oscene.
(4-03365)