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Allegato B
Seduta n. 230 del 24/10/2007
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AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE
Interrogazioni a risposta scritta:
MIGLIORI. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
il piano strutturale e il regolamento urbanistico del Comune di Vicchio (Firenze) hanno previsto nella frazione di Cistio la realizzazione di trenta nuove abitazioni con un finanziamento di quasi 5 milioni di euro da parte della Regione Toscana;
tale intervento determina una alterazione irreversibile dell'equilibrio ambientale e territoriale di Cistio;
la localizzazione prevista risulta particolarmente delicata sotto il profilo idrogeologico e della relativa stabilità -:
se la competente sovrintendenza ambientale abbia espresso un parere in merito a tali insediamenti urbanistici in aree di pregio ambientale o se, altrimenti, non si ritenga opportuno procedere ad una attenta e urgente verifica del suddetto impatto ambientale.
(4-05356)
ZANELLA. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
il 2 ottobre 2007 verso sera in direzione nord risultava ben visibile, da Treviso e dintorni (Ponzano Veneto e Paese), una enorme colonna di fumo nero a forma di fungo alta qualche centinaio di metri;
i quotidiani locali il giorno dopo hanno riportato la notizia che chiariva l'origine di tale fenomeno: si trattava dell'incendio di un allevamento di pulcini di Sovilla di Nervesa della Battaglia;
in un solo colpo sono morti bruciati vivi ben 30.000 pulcini di 9 giorni;
si poteva leggere che le fiamme avevano distrutto ben 12.000 metri quadrati di capannone, per gran parte coperti da tetto in eternit, materiale notoriamente pericoloso perché contenete uno dei piu temibili cancerogeni oggi in circolazione: l'amianto; proprio per questo problema era intervenuta l'Arpav e «l'unità mobile protezione vie respiratorie per la bonifica» dei Vigili del Fuoco di Treviso;
un'ora piu tardi, purtroppo, la parte alta della colonna di fumo si era visibilmente allargata in quota per qualche decina di chilometri;
la giurisprudenza ha stabilito che basta anche una sola fibra di amianto per contrarre il terribile mesotelioma pleurico che colpisce e uccide anche dopo vent'anni dall'inalazione (confronta documento del 6 febbraio 2005 su www.paeseambiente.org) -:
se il Governo sia a conoscenza di tale fatto, così grave per la salute dei cittadini della zona, ma piuttosto ignorato dai media;
se il Governo sia a conoscenza di quanti milioni di fibre di amianto siano state disperse quel pomeriggio grazie all'effetto combinato del crollo del tetto e della corrente ascensionale dei fumi caldi della combustione, se siano stati richiesti i dati rilevati dall'Arpav o si sia interrogata sulla fine fatta dall'eternit e in caso affermativo, quale sia la situazione.
(4-05374)
FITTO, LEONE, BRUNO, CARLUCCI, DI CAGNO ABBRESCIA, FRANZOSO, LAZZARI, LICASTRO SCARDINO, MAZZARACCHIO, SANZA e VITALI. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
con decreto del Ministero delle attività produttive n. 55/09/2004 del 28 giugno 2004, e con Decreto di Compatibilità Ambientale emesso dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 6 aprile 2004, i quali hanno fatto seguito al parere positivo, con prescrizioni, n. 526 in data 19 giugno 2003 espresso dalla Commissione VIA nazionale, è stata autorizzata la costruzione della centrale Sorgenia (Ex Energia) a Modugno, in provincia di Bari;
il Decreto Ministeriale VIA (Prot. n. 289/2004) relativo alla costruzione della centrale turbogas della Società Energia Modugno Spa, al punto 1 del dispositivo, prescrive l'obbligo di impiego delle acque reflue provenienti dal depuratore di Bari occidentale previo ulteriore affinamento, e ciò a partire dalle fasi di cantiere;
nel citato decreto VIA, al punto 2 del dispositivo si fa espresso riferimento alla necessità di presentazione da parte dell'azienda, di specifico progetto di realizzazione di un sistema di raccolta, adduzione e affinamento di dette acque reflue, evidentemente non presentato all'atto del deposito del SIA; tale progetto, come risulta da nota dell'ARPA Puglia del 17 maggio 2007 (Prot. n. 7710), risulta presentato, avendo la stessa Agenzia Arpa espresso parere tecnico nel merito (prot. 9007 del 26 giugno 2007) a richiesta della Regione Puglia;
sempre dalla stessa nota dell'ARPA Puglia emerge che il Ministero ha esaminato l'ottemperanza alle prescrizioni di cui ai punti 1 e 2 del decreto VIA, con nota del 31 luglio 2006 ritenendo soddisfatta la prescrizione di cui al punto 2 (presentazione progetto per acque reflue) con la presentazione del progetto;
l'Arpa riteneva però che tali verifiche fossero di propria competenza, quindi nella nota di cui sopra inviata anche al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sempre il 17 maggio 2007, il direttore generale dell'Arpa Puglia, Prof. Giorgio Assennato, scrive: «A seguito del sopralluogo effettuato dal nostro personale in data 10 maggio 2007, le fasi di cantiere risultano ampiamente avviate, l'impianto di affinamento mobile previsto per il soddisfacimento del decreto ministeriale VIA (prot. 289/2004) al punto 1 del dispositivo nel merito dell'impiego di acque
reflue affinate sin dalle fasi di cantiere, appariva non assemblato e non funzionante né risultava completata la condotta di adduzione dei reflui del depuratore di Bari Ovest per il loro affinamento. In definitiva al momento - scriveva ancora l'Arpa il 17 maggio 2007 - non risultano ottemperati dal proponente gli obblighi del decreto VIA (289/2004) al punto 1 del dispositivo nel merito dell'impiego di acque reflue affinate sin dalla fase di cantiere, né risulta a questa agenzia che la società proponente abbia formalmente presentato richiesta di deroga o altra documentazione giustificativa»;
in data 21 maggio 2007 (Prot. n. 589) l'assessore all'Ambiente della Regione Puglia, scriveva al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare allegando la nota dell'Arpa Puglia del 17 maggio 2007 e segnalando, al ministero le inadempienze nella attuazione delle prescrizioni e degli obblighi indicati dal Decreto VIA 289/2004 e lo stesso assessore chiedeva formalmente l'intervento del ministero a garanzia della salute dei cittadini e della regolarità degli atti di VIA propedeutici all'autorizzazione;
nel corso dell'anno 2007, l'ultima volta con nota del 26 giugno 2007, il Sindaco di Modugno, su delega dell'intero Consiglio Comunale, chiedeva al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare la fissazione di incontri e la convocazione di una conferenza di servizi per esaminare le risultanze emerse dalla nota dell'Arpa Puglia del 17 maggio 2007 e dalla lettera dell'assessore regionale pugliese all'Ambiente del 21 maggio 2007;
risulta agli scriventi che per vie brevi il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare rispondesse al Sindaco e agli altri soggetti interessati alla questione, fissando date e orari di incontri e di una conferenza di servizi che, pare, non si sarebbe mai tenuta proprio per l'assenza di rappresentanti del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
in conclusione si evince che i decreti autorizzativi della costruzione della centrale Sorgenia (Ex Energia) a Modugno emessi dai Ministeri delle attività produttive e dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare nel 2004, erano subordinati al rispetto di una serie di prescrizioni (alcune già nella fase di cantiere) che alla data del 17 maggio 2007, a detta dell'Arpa Puglia, non risultavano rispettate -:
come si spiega che i lavori di costruzione della centrale siano andati avanti fino alla fase quasi conclusiva, senza che nessuno (né Ministero, né Regione Puglia) si preoccupasse di verificare il rispetto delle prescrizioni, specie di quelle che andavano applicate già in fase di cantiere;
come si spiega che solo in data 17 maggio 2007 e solo dopo le proteste del Comune di Modugno e delle popolazioni di quel territorio, l'Arpa Puglia abbia deciso di procedere alle verifiche;
perché i lavori di costruzione della centrale non siano stati immediatamente bloccati dal Ministero e dalla Regione dopo la nota dell'Arpa Puglia del 17 maggio 2007;
a che punto sia ad oggi lo stato di verifica dell'attuazione delle prescrizioni da parte del ministero e della Regione Puglia, atteso che molte prescrizioni andavano attuate già in fase di cantiere;
come si spieghi che a fronte di disattenzioni e ritardi nella fase dei controlli e del rispetto delle prescrizioni, siano state invece concesse con grande celerità le autorizzazioni al trasporto eccezionale delle turbine della centrale, consentendo così che i lavori vengano quasi ultimati nonostante le inadempienze della società costruttrice evidenziate dalla nota dell'Arpa Puglia del 17 maggio 2007 e recepite dalla lettera dell'assessore regionale all'ambiente del 21 maggio 2007;
se il Ministro non ritenga di dover sospendere i lavori di realizzazione della centrale in attesa di verificare le inadempienze della società, a garanzia e tutela della salute pubblica e del rispetto delle
prescrizioni previste dalle procedure autorizzative.
(4-05388)
CAMILLO PIAZZA, LION, FRANCESCATO, FUNDARÒ, POLETTI, TREPICCIONE e CASSOLA. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture, al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
un'assurda ed inaccettabile vicissitudine sta dispiegandosi presso una delle più belle ed irripetibili amenità ambientali del nostro Paese, vale a dire il Lago di Idro;
nella più completa e censurabile inerzia delle massime istituzioni nazionali, segnatamente lo Stato per il tramite delle proprie amministrazioni e autorità competenti, da più di quattro generazioni, ma soprattutto negli ultimi dieci anni, si sta permettendo che il Lago di Idro scivoli inarrestabilmente verso un'irrecuperabile stato di rovina, se non addirittura verso la propria morte;
le popolazioni che insistono sul territorio del Lago di Idro, giunte, ad un punto di non ritorno di sopportazione e frustrazione, hanno intrapreso forme diversificate e ripetute di segnalazione e di denuncia, ma i risultati effettivi sono stati vani, pur se recepiti dalle parti cui erano rivolte;
soggetti pubblici o enti privati con funzioni pubbliche, con il malcelato ma efficace intento di sviare le rivendicazioni dei denuncianti verso obiettivi strumentali, verso false cause, nonché verso responsabilità improprie, hanno raggiunto lo scopo di innescare un conflitto tra poveri, tra popolazioni del Lago d'Idro ed agricoltori di zone lontanissime da esse, così potendo continuare indisturbati ad adottare misure e a realizzare interventi di sfruttamento economico delle risorse idriche del Lago che lo stanno conducendo alla morte e che altrimenti, utilizzando modi giusti e condivisi dell'uso delle stesse acque, potrebbero garantire senza danno l'esercizio delle attività economiche che oggi si ottengono con l'abuso e contemporaneamente non metterebbero in pericolo gli equilibri socio-ambientali del lago stesso;
ad oggi, basandosi su disposizioni ed atti amministrativi di cui andrebbe verificata la correttezza ed il potere applicativo dal momento che sembra assai incerto che essi rispondano a fonti di principio che li autorizzino e che giustifichino il loro contenuto e gli effetti della loro esecuzione, lo stato dei fatti evidenzia uno scenario allarmante in cui predomina l'impotenza ad opporsi alla realizzazione d'interventi lesivi che danneggiano l'equilibrio ambientale e l'integrità del territorio del lago di Idro;
in realtà, grazie al puntiglioso e articolato lavoro svolto dal più recente soggetto civile costituitosi per la tutela e la salvaguardia del lago d'Idro, il Coordinamento delle pro loco del lago di Idro, è attualmente disponibile un completissimo archivio di notizie storiche, iniziative sociali, atti normativi e disposizioni amministrative, che hanno la capacità di rendere edotto chiunque sulla questione. Inoltre, in ragione di un Atto di messa in mora di interpello e di accesso agli atti del 30 gennaio 2006, con cui il Coordinamento delle Pro Loco del Lago d'Idro ha da svariati mesi intimato agli Enti competenti di rendicontare il loro operato nella materia di cui trattasi (Ministero delle infrastrutture e trasporti; Provincia autonoma di Trento; Regione Lombardia; Provincia di Brescia), è attualmente altresì disponibile un circostanziato e puntuale atto ispettivo che fa luce sulle norme applicabili, ma violate o eluse, sui danni arrecati al lago e alle sue popolazioni, sugli interessi in gioco e sulle azioni che andrebbero attivate per ricondurre nella normalità la situazione in argomento;
al fine di rendersi conto della serietà del caso, oltre prendere visione della documentazione disponibile sul sito internet appositamente realizzato dal coordinamento delle pro loco del Lago d'Idro (www.salviamoillagodidro.it), sarebbe appropriato effettuare una visita sul luogo, in
tal caso si evidenzierebbe in tutta la sua asprezza la gravità delle circostanze, segnatamente il malessere e la frustrazione delle genti del lago, l'ambiente violato, le risorse naturali e le attività rurali ed ittiche in declino, l'uso commerciale improprio ed eccessivo della risorsa idrica;
il caso rappresentato dalla cattiva utilizzazione delle acque del lago d'Idro è anche un effetto tangibile e concreto dei guasti che si generano nel caso si contravvengono le disposizioni costituzionali e le norme di diritto di rango principale che tutelano l'ambiente e gli interessi generali della collettività. In tal caso proprio la condizione critica che vessa le popolazioni del lago d'Idro è l'esatta conseguenza del mancato rispetto dei principi che in tale materia recano, oltre la Costituzione, la legge n. 36 del 1994 ed il più recente decreto legislativo n. 152 del 2006, secondo cui qualsiasi uso delle acque dev'essere effettuato salvaguardando le aspettative ed i diritti delle generazioni future a fruire di un integro patrimonio ambientale. Oggi, a soffrire, sono le popolazioni e l'ambiente che per il legislatore del 1994 erano l'ambiente e le generazioni future. Memore di ciò e consapevole delle mortificazioni e delle sofferenze che le persone interessate possono accusare quando si trovano al cospetto di un ambiente e di un territorio naturale che non è più sano e incantevole come quello che vi era solo qualche ventennio prima, il territorio del Lago d'Idro, tramite anche il Coordinamento delle sue pro loco, chiede un intervento prioritario del Governo, ma soprattutto del Parlamento, affinché si individuino e si adottino strumenti efficaci per salvare il Lago d'Idro dalla sua morte;
la valenza ambientale del lago d'Idro è nota anche alla Comunità Europea: il lago d'Idro è stato designato «sito di importanza comunitaria» ai sensi del articolo 4 della direttiva 92/43/CEE e fa parte della rete europea Natura 2000, rete ecologica europea costituita da zone speciali di conservazione degli habitat naturali nonché della fauna e della flora selvatiche. Il lago d'Idro è particolarmente importante per la presenza di un habitat naturale e di specie prioritarie a norma dell'articolo 1 della direttiva;
a causa dell'empia gestione che si sta facendo delle acque del lago d'Idro, anche la Commissione Europea ha deciso di intervenire contro lo Stato italiano, in tal senso attivandosi in costituzione in mora ai sensi dell'infrazione 13 2005/4347 sulla gestione d'Idro, SIC IT 20065 «Lago d'Idro»;
è indispensabile marcare che tutta la vicenda, a causa della sua complessità e vasta ramificazione di pseudo competenze, riesce facilmente a sfuggire a qualsiasi ordinata azione di verifica e di adozione di eventuali provvedimenti sanzionatori o disciplinari verso quei soggetti che negli anni hanno ad ogni modo consentito che si perpetrassero contro il lago e la relativa popolazione tali pesanti gesti di scempio ambientale e di ferita sociale. In maniera pertinente con ciò, però, si deve evidenziare che ogni dubbio ed incertezza ad agire nella auspicata direzione di accertamento delle responsabilità si dissolvono quando alla base del punto controverso si stabilisce che il primo e assoluto soggetto istituzionale cui fanno capo le competenze e gli oneri dell'esercizio della tutela del bene è lo Stato, infatti, come meglio è chiarito dall'atto di messa in mora di interpello e di accesso agli atti del 30 gennaio 2006, il lago d'Idro è un bene demaniale dello Stato (fatta eccezione per una parte minoritaria afferente alla provincia autonoma di Trento) e ad esso spetta la relativa azione di tutela;
ancora per dare maggiore risalto alla situazione di cui trattasi, riteniamo utile riportare un luminoso brano di uno storico del luogo, il Professore Romeo Seccamani, che chiaramente evidenzia le circostanze accennate;
tenendo presente che si tratta di una nota di parte, ma che nella sostanza può senza dubbio fungere da base di principio tramite la quale si dovrebbero contemperare i diritti e le prerogative dell'ambiente e della popolazione del Lago d'Idro con le
esigenze economiche e produttive degli utilizzatori delle relative acque, la memoria dello storico, recita: «Nel secondo decennio dell'Ottocento, dopo la disfatta napoleonica e all'inizio della restaurazione, viene costituito il Regno Lombardo-Veneto sotto il dominio austriaco. Una grande crisi colpisce tutta l'Europa. Per far fronte alle carestie e alla disoccupazione, nel bresciano vengono costruite varie strade. Nell'impegno di ridare fiato all'economia anche in Valle Sabbia, in quel periodo viene ricostruito il percorso della strada di fondo valle, di collegamento di Brescia con Trento. Vecchi e angusti tracciati usati fino ad allora per superare la stretta di Ruine, fra Idro e Lavenone, che costeggiavano su ambo i lati il fiume Chiese, vengono sostituiti con una più moderna e scorrevole via. Per superare il versante roccioso a nord del fiume, più diretto e privo di scavalcamento sul Chiese, si rese necessario un impegnativo lavoro di sbancamento di roccia, di riempimento e costruzione di muri, invadendo perciò l'alveo del fiume Chiese in modo incisivo e malaccorto, proprio nel punto in cui il lago d'Idro riversava le sue acque nel fiume. Venne così compromesso l'equilibrio millenario del lago perché con quella modifica il fiume emissario fu costretto a scorrere contro l'opposto argine argilloso sud, ma soprattutto si ostruì la parte più bassa dell'imboccatura del fiume, un'ansa rocciosa da cui il lago rigurgitava l'acqua. Nel periodo successivo a quell'indispensabile ammodernamento del tronco di strada, il livello del lago, che non scaricava più come prima, si alzò e procurò seri problemi. Sono di quel periodo vari tentativi resisi utili per l'abbassamento del punto roccioso di emissione del lago. Fu quella dunque la causa del lamentato impaludamento delle zone più sensibili del lago, come fece osservare l'attento umanista e cronista di quel tempo Pietro Riccobelli di Vestone. Osservazione però sempre ignorata da storici, scienziati e tecnici. Negli ultimi decenni dell'Ottocento il problema dell'impaludamento del lago divenne così il comodo pretesto usato per ingarbugliare le menti alla gente del lago e per convincerle ad acconsentire alla sostituzione del delicato apparato naturale di scarico del lago con altri sistemi artificiali mediante gallerie. Anche se il fine fondamentale dei fautori della drastica correzione dello stato naturale del lago fu quello, mai palesato, di arrivare a disporre di quanti più possibili milioni di metri cubi d'acqua, paradossalmente le motivazioni da loro sbandierate furono quelle di rendere il lago salubre e sicuro. Per decenni con questa scusa lavorarono i fianchi delle comunità costiere; con l'altra scusa poi, pur convincente e chiara del benessere generale che si sarebbe ottenuto sfruttando la forza idraulica dell'acqua per produrre elettricità, Ministeri e ragion di Stato, senza mai tradire l'esatta intenzione, ottennero quindi, quale primo passo, l'autorizzazione a fare un bel buco sul fondo del lago. Nel secondo decennio del Novecento, finalmente il traforo fu autorizzato. Così, dopo trenta anni di assemblee, progetti, relazioni e astuzie varie, a far capire alla caparbia gente di montagna quali fossero i benefici che avrebbero avuti a lasciare che il lago venisse addomesticato dalla sua originale selvatica e perversa natura e a convincere lo Stato del grande bene nazionale che sarebbe derivato col solo sacrificio di un così limitato ambiente naturale, con decreto del venticinque ottobre 1917, gli intraprendenti e audaci pionieri di quei tempi ottennero la concessione di sistemare a "serbatoio artificiale" il lago d'Idro. Nell'immediato periodo successivo a quel decreto, con il quale si autorizzò la "sistemazione", cioè lo snaturamento del più grande lago alpino, fu presto quindi sistemato il nevralgico e già compromesso punto di emissione dell'acqua del lago nel fiume Chiese mediante il relativo allargamento e livellamento del fondo, la costruzione di possenti paratie in acciaio per alzare e regolare il livello oltre la quota naturale, e la realizzazione di due gallerie, della complessiva portata di 130 metri cubi al secondo, sul fondo del lago, a più di dieci metri di profondità per abbassare e regolare il deflusso al di sotto di tale quota. Con questa "sistemazione", l'alveo
dell'emissario venne ulteriormente manomesso, occupato con altre opere, e il suo argine sinistro fu spostato e reso instabile grattando il fianco di quel monte, lungo il quale, fino a un secolo prima, passava la strada secolare. In teoria, da quel momento si poteva prelevare dal lago come, quando e quanta acqua si voleva. La tanto agognata metamorfosi della complessa, grande quanto delicata risorsa idrica, fu compiuta. Nel giro di una manciata d'anni dal decreto emesso sotto le bombe in piena guerra mondiale, i moderni manovratori di rogge, canali forzati e navigli cambiarono d'abito. L'originario ente promotore, costruttore e concessionario si trasformò beffardamente, in simbiosi col lago, in "Società Lago d'Idro" inglobando alle vecchie energie finanziarie idroelettriche e idrauliche quelle nuove dei possidenti agricoltori. Nel 1927 la "Società Lago d'Idro" era già titolare della concessione di invaso, regolazione ed erogazione dell'acqua. Essa aggirando ostacoli di varia natura, pur di riuscire a perfezionare la capienza del suo grande serbatoio, calpestando diritti e natura della vita del lago e ignorando promesse e lusinghe fatte ai rivieraschi dai fautori originali suoi predecessori, in meno di un lustro ottenne dallo Stato accondiscendente un perfezionamento pure del decreto iniziale con il quale si prolungava, da 50 a 70 anni il diritto d'uso dell'acqua, spostando il termine al 1987; e le si concedeva di abbassare di altri metri la quota minima di svaso. La Società del benessere coronò così il sogno, che fu anche quello dei suoi precursori, di poter predisporre del suo bel vascone, incastonato tre le Alpi, di circa 80 milioni di metri cubi d'acqua. Un volume d'acqua ricavato in casa d'altri, con l'autorizzazione emessa, in nome della ragion di Stato, di fare salire di oltre 2 metri la quota naturale del livello di un bacino lacustre e di farla scendere al di sotto di questo di altri 5. L'autorizzazione valse oltretutto il diritto di sommergere terreni privati e pubblici e, con tale propiziata scusa, si potè acquistare con quattro soldi terreni di poveri contadini, accampando il motivo-dititto che comunque quei terreni venivano sommersi dalle acque. Terreni che oggi valgono suon di palanche, cioè fior di euro. Nel 1955, lungo tutto il percorso dell'alto Chiese, a monte del nostro lago, furono costruiti dei grandi serbatoi per centrali idroelettriche, aggravando e completando l'alterazione dello status del lago, degradandolo, da allora, anche ad essere considerato "vasca di compensazione", oltre naturalmente alla già subita metamorfosi da lago naturale a "serbatoio artificiale" di acque di riserva;
nel 1987 scade la concessione decretata nel lontano 1917 e lo Stato diventa proprietario degli impianti di trasformazione del lago. I paladini del progresso e del benessere targati "Società Lago d'Idro" chiedono prontamente il rinnovo vantando diritti. (Sono passati più di cent'anni, la storia si ripete, metodi, astuzie, strategie sono sempre gli stessi di un tempo). L'estrazione della risorsa idrica si fa preziosa e si riduce di oltre la metà, su parere delle autorità scientifiche e giuridiche statali, coinvolgendo i rappresentanti delle comunità lacustri. Loro, quelle volpi di acquivendoli, intanto non demordono e prendono tempo, aspettano situazioni politiche propizie, dicono di essere gli esperti e che gli impianti per la regolazione artificiale del lago sono da perfezionare: sentite un po' per quale ragione! Paventano che il luogo nevralgico in cui il lago sgorga nel fiume sia minacciato dalla paleofrana, neanche fosse un loro sogno subconscio. Una montagna lì da più glaciazioni, come tante altre, loro la scorgono ora. O forse si riferiscono semplicemente alla instabilità dell'estremo lembo di questo monte, da loro stessi grattato e reso tale pertanto non certo da cause naturali, a meno che non si intenda il fenomeno dettato anch'esso dalla perversa natura del lago, quale temporale perturbazione dello spirito e della ragione delle cose. Il resto è cronaca di questi giorni;
si deve partire dalla storia perché sia la voce dello spirito, ma più ancora sia il corpo di uno snaturato lago a esprimere con amarezza e tanta diffidenza la denuncia
per il danno subito e a mettere pertanto in evidenza l'irreversibilità del guasto morfologico, geologico e biologico, ossia del degrado vitale causato all'ambiente lacustre. Si deve iniziare con il sottolineare come fossero ospitali e sinuose, con fondali assestati e stabili, le rive di questo lago, che nel corso di un secolo di deterioramento, si sono trasformate in sponde aride e sassose. Una trasformazione resa possibile dai profondi e incauti svuotamenti di sette metri di livello, pari a ottanta milioni di metri cubi di acqua, con conseguenti sistematiche escursioni e lavorio delle onde che per così lungo periodo hanno denudato, eroso e rese sempre più ripide tali sponde, trasformandone per sempre l'aspetto morfologico e l'assetto idrogeologico, fino a farle sembrare bordi di crateri che in certi periodi assumono somiglianze da ghiera ampia e profonda, da inferno dantesco. Si deve rilevare anche, a proposito di assetto idrogeologico, quanto questo fattore abbia influito sulla stabilità del sottosuolo circostante a causa dei ripetitivi, drastici drenaggi agli strati di materiali di cui è composto. Per tale rilevazione non mancano documentazioni e fatti di sconquassamento di suolo, registrati da vari cedimenti di edifici, e valga per tutti il più recente e grave cedimento pericoloso della settecentesca chiesa parrocchiale di Idro. Si deve proseguire col denunciare i laceranti mutamenti fisici e formali di un tipico litorale, provocati dalla definitiva scomparsa di svariate specie e peculiarità di vegetazione ittica adattatasi, selezionatasi durante un millenario processo, per cui la loro presenza era incontestabilmente arricchimento vitale e paesaggistico di un ambiente singolare lacustre. Si deve rimarcare il fatto che la sostanziale essenza arcaica dell'essere lago è stata degradata nella sua specificità biologica in quanto i suoi valori di temperatura di ossigenazione e di organicità sono stati rivoluzionati dagli sproporzionati e frequenti movimenti di masse d'acqua provocati dall'artificioso regime assegnatogli con la trasformazione in serbatoio "di compensazione". Ma anche l'altrettanto artificioso sistema di scarico, appositamente realizzato tramite gallerie sul fondo del lago e non per traboccamento di superficie, ha fortemente destabilizzato la dinamica delle correnti e del ricambio dell'acqua. Sicché tale sistema fa sì che tutte le impurità e la sporcizia in sospensione siano trattenute nel lago, trasformandolo così in pattumiera di tutto l'ampio bacino che gli sta attorno e a monte. Si deve lamentare quindi quanto l'invadente atto ha defraudato la ricchezza faunistica e microorganica, dunque distrutto per sempre un habitat, pertanto irrimediabilmente cancellate specie di fauna ittica autoctone e di conseguenza distrutta una particolare e ricca, pescosità annotata fino dal 1458 dall'umanista Ubertino Posculo, nella sua relazione tenuta ai governanti di Brescia; ma anche citata un secolo e mezzo dopo dal veneziano rettore di Brescia Giovanni da Lezze nel suo "Catastico Bresciano" in cui è segnalata ed esaltata la mitica trota del lago d'Idro. Ora, in seguito allo snaturamento del lago, irreversibilmente sparita. Si deve porre inoltre il quesito per sapere quale sarebbe oggi il valore del patrimonio di questo ambiente lacustre e quali richieste turistiche e residenziali potrebbe soddisfare, se fosse ancora integro in quegli aspetti peculiari che lo impreziosivano. E, fra tanti presupposti che lo qualificavano, valga citarne uno per tutti come segno del sacrificio impostogli, che è poi quello che le popolazioni locali si raffigurano quando pensano a cosa potrebbe offrire il loro lago in termini di immagine, se potesse fregiarsi ancora oggi della presenza della trota marmorata, salmonide autoctono, dalla rosea carne prelibata, per secoli ambito cibo cerimoniale conteso da nobili casate, fra le quali spiccava quella dei Savoia. Si deve evidenziare in fine l'effetto ed il peso usurpanti causati dalla mancanza delle disponibilità caratteristiche sottratte a questo ambiente e con cui si sono spezzati equilibri fisiologici fra abitanti e territorio, per metterli in conto e per valutare quanto tale depauperamento di cultura di lago abbia disorientato la
mentalità e l'intraprendenza necessarie a ripensare un'altra qualificata economia quale può essere quella turistica;
perché la voce di questo ambiente di lago non si cicatrizzi assieme alle sue indelebili ferite, né si celi fra gli ilari veli delle sue malinconiche atmosfere, bensì resti a testimoniare del danno infertogli e dei rischi che ancora corre, è doveroso parlare anche di responsabilità. Parlare dunque per denunciare l'uso indiscriminato e rovinoso, compiuto con autoritario consenso dello Stato, di un lago che la natura, prima che allo Stato, ha assegnato a quelle popolazioni cui per sorte è toccato nascere e formarsi attorno e dentro l'architettura di quell'habitat. E che quindi di questo sono parte intrinseca, perché Vi (dentro tali popolazioni) si sono modellate la coscienza e la ragione stessa di esistere. Un sacrificio dunque imposto in nome di un temporale sviluppo generale e che fin dalle origini sembrò di dubbiosa congruità. Tanto è che il decreto di legge della sospirata concessione, emesso in nome del popolo italiano nel 1917, autorizza la trasformazione del conteso lago esclusivamente per scopi idroelettrici e non irrigui, come poi successivamente è accaduto. Parlare di ragione di Stato o di giusta ragione è concetto complesso che ci tirerebbe in ballo tutti. Meglio per ora andare più al sodo e chiamare in causa politici, legislatori e governanti e chiedere loro perché, in tempi in cui si definiscono presenze da tutelare quali beni ambientali pure i paracarri, lo sconcio creato al lago d'Idro da nessuno sia veramente ritenuto un grosso impatto ambientale, qual è innegabilmente. È possibile che regni tanta disinformazione e che il danno continui, mentre il caso viene eluso dallo Stato stesso, facendo in modo che passi come semplice faccenda di carattere agricolo e perciò di competenza dell'apposito dicastero, che poi lo Stato delega a risolvere la Regione Lombardia? Parlare per chiamare in causa i responsabili della zona, parlamentari, assessori e consiglieri a vari livelli, è sacrosanto dovere, al fine di sollecitarli a interessarsi del problema, rammentandogli che questo non deve essere per loro solo un argomento quale scioglilingua di vane promesse nei discorsi elettorali; per farsi spiegare da loro la ragione per cui la costruzione di un viadotto o di una galleria, la rimozione del suolo o di un particolare albero, per non dire di un fatiscente intonaco, siano considerati impatti ambientali sottoposti all'attenzione ecologistica e storicistica a trecentosessanta gradi fino a far intervenire ministri, sottosegretari, soprintendenti e ispettori (e spesso questi ultimi in atteggiamento vessatorio), quando poi tutto ciò che è stato fatto e si continua a fare al lago d'Idro appare atto distruttivo sopportabile, tanto che nessuno si sente in dovere di mettervi becco;
parlare perciò dei gestori dell'acqua del lago vuol dire, per questa gente, ricordare in quale modo in passato quel compito fu assolto, per cui essa ora non intende più sopportare che venga ancora affidata a enti, consorzi o a combriccole composte da interessati ed esperti prelevatori d'acqua. Dunque i politici, i burocrati e i vari amministratori lontani e vicini sappiano che essa è pronta a dar fiato e orgoglio nel pretendere che ad arbitro e tutela venga posto un ente al di sopra delle parti. Ed è pronta anche a chiedere conto e spiegazione da dove provenga tanta ostilità a riconoscerle il diritto alla compartecipazione nel definire regole e criteri nella gestione e distribuzione di tale risorsa della quale essa risulta connaturata parte. Parlare di acqua come risorsa, che disegna e forma l'ambiente dove voce e orgoglio della gente che lì vi abita prendono vita, per esigere che venga spiegato perché mai per quelle terre poste fra Brescia e Mantova, in nome della fertilità delle quali, tra il 1917 e il 1987, si siano consumati miliardi di metri cubi d'acqua, quando, nei quindici anni che ci separano dalla scadenza nel 1987 della concessione ad oggi, per mantenere vegete e produttive le stesse terre, è bastato un uso più moderato, ridotto di circa due terzi delle risorse idriche. E dato che siamo sull'argomento, per esigere anche che venga spiegato il motivo per cui si è voluto rinunciare, da parte degli acquivendoli,
pure della legittima quota d'acqua derivante dal fatto che il lago in questo ultimo lasso di tempo non è mai stato portato nemmeno alla sua massima quota naturale. Parlare per intenderci e per evitare che si ripetano vecchi metodi e vizi e perché siano chiare le responsabilità e trasparenti le finalità di coloro che sono intenzionati a perfezionare e potenziare l'apparato per l'invaso e lo svaso del lago perché il motivo sin qui dedotto non solo non è chiaro ma allarmante, in quanto è lo stesso identico falso motivo di quello da sempre adottato dai loro avi, quello cioè di difendere il lago dalla sua perversa natura. Perché loro, i paladini contro la fame, la sete e le calamità naturali, hanno solo adesso, dopo il 1987, individuato una paleofrana che incombe là, in quel punto nevralgico, dove l'acqua del lago ridiventa fiume. Una paleofrana che poi altro non è che l'enfatizzazione di un termine usato per indicare il pericolo della instabilità di un argine. Per cui, semmai si trattasse di così serio pericolo, a scongiurarlo, basterebbe rimuovere l'apparato artificiale di sbarramento del lago, smantellando paratie e gallerie e lasciare che l'acqua tracimi e valichi rigurgitando flutti e potenza nell'alveo dell'emissario, perché possa tornare a tener sgombro questo da ogni ed eventuale smottamento dei suoi fianchi. Il suggerimento, anche se sicuramente risolutivo, può sembrare paradossale, non meno paradossale però di quanto ora a ragion veduta risulti il fatto che quell'argine sia stato grattato e reso instabile nei due ultimi secoli con il convincimento di preservare e arricchire ambiente e territorio;
l'ipocrisia e la falsa ragione possono anche portare momentaneo successo, ma un vero e duraturo progresso si costruisce con ben altri parametri, quali la concretezza e la lealtà intellettuale. In questa faccenda sembra però che siano le prime ad avere la meglio, in quanto, il primario elemento di ricchezza o risorsa più preziosa, indispensabile per ottenere l'agognata qualità della vita, quale dovrebbe essere l'acqua in sé (ma anche l'insieme del luogo del suo giacimento fisico e organico, compresa la peculiarità plastica e l'azione modellatrice del complesso equilibrio della sua dinamica fluviale) sia purtroppo ancora considerata una risorsa da sfruttare opportunisticamente, di cui è acconsentito l'abuso e il sacrificio in nome dell'effimera ricchezza di un momentaneo benessere. Cosicché in tale contesto, quella che si può definire coscienza di lago (intendendo con ciò non tanto chiamare in causa la contemporanea sensibilità della gente interessata, quanto innanzitutto evocare lo spirito latente sedimentato nella storia, nella atavica cultura, ma anche evocare quello che si può definire il racconto della natura) sente il dovere e il diritto di esprimere, con quel tanto di vigore rimastole, il risentimento per l'uso improprio fatto delle sue risorse lacustri e che tutto lascia supporre si intenda ancora perpetrare. Sente il dovere di far notare, con ironica smorfia, come sia stato fatto uso paradossale perfino del suo nome, preso a marchio dell'impresa realizzata e blasonata appunto dalla denominazione "Società lago d'Idro". Ma la vera società del lago d'Idro è quella che vive tuttora attorno al lago, e che è tale per storia, etnia e naturale diritto! È una società composta di poche comunità nate e predestinate a consumare lì la loro esistenza, e che in quel territorio, fatto di terra e acqua, devono attingere prima ancora delle risorse per vivere, la ragione stessa dell'esistere, come un qualsiasi altro popolo nato e insediato in qualsiasi altro territorio. Questa gente di montagna, per natura arroccata e diffidente, pur sapendo quanto sia costata ad essa e in genere all'ecosistema la manipolazione di quel bene supremo che è l'acqua, specie del loro lago, si rende perfettamente conto di quanto questo bene sia prezioso. E più di tanti altri conosce anche che, accanto al fondamentale valore energetico e vitale, l'acqua nasconde insidie e pericoli. Quindi più di qualsiasi tanta altra gente sa quanto sia opportuno razionalizzare e controllare il suo decorso, specialmente al fine di migliorare le condizioni del vivere quotidiano. Perciò è gente ben consapevole che il regime dell'acqua del loro lago può
essere regolato in altro modo da quello assegnatole dal caos naturale per sfruttare energia e linfa nell'interesse ampio e grande di una nazione; ma sa anche che c'è modo e modo di usarla questa benedetta acqua perché egoismi e superficialismi ed errori di scelta portano, come la storia insegna, ad irreversibili guasti. E sanno questi montanari lacustri che anche l'insieme del loro ambiente è una terrestre risorsa, non solo di quel loro particolare lembo di terra, bensì della globalità delle cose, come lo è l'acqua, anch'essa distruggibile come tutte le cose. Per cui ricordiamoci che nel terzo millennio le risorse idriche non si possono e non si devono considerare interminabili giacimenti, come sono state considerate in passato. Pertanto la si usi pure questa acqua contesa, ma per favore lo si faccia con cognizione e con leale sforzo di trasparenza e di coinvolgimento di intesa, con chi in teoria dovrebbe tenere il coltello per il manico, ossia i lacustri, per fissare regole e organismi collegiali di controllo ed erogazione delle acque e non può essere trattato e legiferato come mera questione irrigua, bensì idrica, con tutte le implicazioni che il termine comporta. Poi tutti insieme fate lo sforzo di guardare e di usare l'acqua non con spirito ottocentesco, bensì con spirito aggiornato al terzo millennio, per vederla come risorsa distruttibile e non solo in quanto corpo fluido, ma anche plastico, con cui ci si può appagare e misurare nel modellarlo sul territorio;
ma, per favore, fatelo con l'arte dovutale e con tanto, tanto rispetto, come esige Sua Maestà, la Natura» -:
se sia a conoscenza della vicenda descritta in premessa;
quali iniziative urgenti intenda adottare al fine di ricondurre nella normalità il grado di tutela e di equilibrio ambientale del lago d'Idro;
se non intenda attivarsi verso le autorità competenti affinché sia fissata la quota minima del lago alla misura di 368 metri sul livello del mare e la quota massima del lago alla misura di 369 metri sul livello del mare, nonché sia consentita la regolazione a serbatoio del lago d'Idro solo ed esclusivamente per l'escursione di 1 metro (da 368 a 369 metri sul livello del mare) e con il volume determinato dal prodotto dell'altezza della lama d'acqua di 1 metro per la superficie del lago (ca. 11,4 exp 6 mc.).
(4-05390)
LION, CAMILLO PIAZZA, FUNDARÒ e PELLEGRINO. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
nell'ordinamento italiano non sono mai mancate disposizioni generali aventi lo scopo di tutelare le risorse idriche naturali contro interventi che ne potessero compromettere le disponibilità, la qualità e la fruibilità presente e futura, ciò anche quando nel processo di formazione culturale non era particolarmente presente una diffusa sensibilità ambientale;
a decorrere dagli anni Settanta, in particolare, è stata adottata una specifica normativa in materia di tutela delle acque, volta a proteggere le risorse idriche dagli usi irrazionali, affidando allo Stato la potestà di definire ed indicare i criteri generali per un corretto e razionale utilizzo dell'acqua ai fini produttivi, irrigui, industriali e civili anche mediante la individuazione di standards di consumi, per favorire il massimo risparmio nell'utilizzazione delle acque e promuovendo, fra l'altro, processi di riciclo e di recupero delle sostanze disperse;
la norma iniziale di cui trattasi è la legge 10 maggio 1976, n. 319, recante «Norme per la tutela delle acque dall'inquinamento», che delegava ad un apposito Comitato di Ministri di predisporre documenti volti alla corretta gestione delle risorse idriche e a tutelarle da danni e relativi pericoli;
il citato Comitato dei Ministri per la tutela delle acque dall'inquinamento, con la delibera 4 febbraio 1977, concernente «Criteri, metodologie e norme tecniche generali di cui all'articolo 2, lettere b), d)
ed e), della legge 10 maggio 1976, n. 319», in materia di prelievi aveva raccomandato, ai sensi dell'allegato 2 alla delibera, relativo ai «Criteri generali per il corretto e razionale uso dell'acqua», che in genere il prelievo diretto da fiumi non regolati avrebbe dovuto realizzarsi con portate modeste rispetto a quelle naturali negli alvei, e così pure i volumi attinti dai laghi naturali avrebbero dovuto essere modesta cosa rispetto a quelli propri del corpo idrico; solo così non si sarebbe destata alcuna preoccupazione per eventuali effetti nocivi dovuti ad un depauperamento delle condizioni originali del corpo idrico stesso;
quando si fosse trattato di un prelievo attuato in un serbatoio artificiale, costruito espressamente per l'uso in questione o per più usi congiunti, era da osservare che la costruzione dell'invaso avrebbe determinato un notevole cambiamento degli aspetti qualitativi originali del corso d'acqua, che, unito alle modifiche sulle portate naturali, avrebbe potuto essere determinante ai fini dello sversamento di scarichi in tutto l'alveo, a monte ed a valle della sezione di sbarramento. Tra le conseguenze più salienti, pertanto, occorreva tener presente soprattutto l'immobilizzazione di cospicue masse d'acqua, che comportavano:
a) la decantazione in materia inorganica ed organica trasportata dalla corrente;
b) la formazione di estese superfici in grado di esaltare l'evaporazione, e quindi un progressivo arricchimento nella concentrazione di sostanze disciolte ed in sospensione;
c) l'esposizione ai raggi solari, talvolta in maniera non uniforme per la presenza di zone d'ombra dovute all'orografia circostante. Ciò avrebbe comportato il riscaldamento differenziato dell'acqua invasata (secondo strati a diversa profondità o secondo zone a diversa localizzazione) e quindi causa di correnti di densità che producevano un rimescolamento variabile nel tempo pur se talvolta benefico. Sarebbero cambiate, inoltre, le condizioni vitali per i tipi di flora e di fauna inizialmente contenuti nelle acque fluenti;
d) l'esposizione alle variazioni climatiche, specie di temperatura;
alcuni di questi aspetti, seppure in misura meno appariscente, potevano presentarsi anche nel prelievo mediante traversa;
gli aspetti indicati dovevano essere tenuti in debito conto sia durante la progettazione di nuove opere di prelievo, che durante la stesura dei programmi di funzionamento di opere già esistenti;
onde evitare che l'esercizio degli impianti determinasse situazioni dannose allo stato di salute dei corpi idrici e di pregiudizio per l'utilizzo ulteriore delle acque, specifiche indagini si sarebbero dovute condurre caso per caso, ricorrendo, se necessario, a studi su modello e all'impiego delle più avanzate tecniche di analisi dell'informazione, da eseguirsi presso laboratori ed istituti di ricerca specializzati;
con la successiva legge 18 maggio 1989, n. 183 recante «Norme per il riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suolo», ai sensi dell'articolo 3, comma 1, lettera i), è stato prescritto che al fine di assicurare la difesa del suolo, il risanamento delle acque, la fruizione e la gestione del patrimonio idrico per gli usi di razionale sviluppo economico e sociale, la tutela degli aspetti ambientali ad essi connessi, si dovessero svolgere attività di programmazione, di pianificazione e di attuazione degli interventi, che curassero in particolare, e tra l'altro, la razionale utilizzazione delle risorse idriche superficiali e profonde, con una efficiente rete idraulica, irrigua ed idrica, garantendo, comunque, che l'insieme delle derivazioni non pregiudicasse il minimo deflusso costante vitale negli alvei sottesi nonché la polizia delle acque;
al perseguimento delle finalità della legge n. 183/1989, è stato preposto lo strumento del Piano di bacino. In tal senso, ai sensi dell'articolo 17, «Il piano di
bacino ha valore di piano territoriale di settore ed è lo strumento conoscitivo, normativo e tecnico-operativo mediante il quale sono pianificate e programmate le azioni e le norme d'uso finalizzate alla conservazione, alla difesa e alla valorizzazione del suolo e la corretta utilizzazione della acque, sulla base delle caratteristiche fisiche ed ambientali del territorio interessato». Inoltre, è previsto che «le disposizioni del piano di bacino approvato hanno carattere immediatamente vincolante per le amministrazioni ed enti pubblici, nonché per i soggetti privati, ove trattasi di prescrizioni dichiarate di tale efficacia dallo stesso piano di bacino»;
ulteriore norma recante misure di protezione delle risorse idriche è stata la legge 5 gennaio 1994, n. 36, recante «Disposizioni in materia di risorse idriche». Tale legge, tra l'altro, ha disposto, in soluzione di continuità rispetto all'analoga raccomandazione del Comitato dei Ministri per la tutela delle acque dall'inquinamento sopra richiamato, che un principio fondamentale da osservare fosse quello secondo cui (ex articolo 1, comma 3) «gli usi delle acque sono indirizzati al risparmio e al rinnovo delle risorse per non pregiudicare il patrimonio idrico, la vivibilità dell'ambiente, l'agricoltura, la fauna e la flora acquatiche, i processi geomorfologici e gli equilibri idrologici», e conseguentemente, come criterio applicativo (ex articolo 3, comma 3), che nei bacini idrografici caratterizzati da consistenti prelievi o da trasferimenti, sia a valle che oltre la linea di displuvio, le derivazioni si devono regolare in modo da garantire il livello di deflusso necessario alla vita negli alvei sottesi e tale da non danneggiare gli equilibri degli ecosistemi interessati;
da ultimo, sempre in materia di tutela quantitativa della risorsa e di risparmio idrico, è intervenuto il decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante «Norme in materia ambientale», la cui Parte III, relativamente alla pianificazione del bilancio idrico, prescrive (articolo 95, comma 2) che «nei piani di tutela sono adottate le misure volte ad assicurare l'equilibrio del bilancio idrico come definito dalle Autorità di bacino, nel rispetto delle priorità stabilite dalla normativa vigente e tenendo conto dei fabbisogni, delle disponibilità, del minimo deflusso vitale, della capacità di ravvenamento della falda e delle destinazioni d'uso della risorsa compatibili con le relative caratteristiche qualitative e quantitative», nonché (articolo 95, comma 4) «tutte le derivazioni di acqua comunque in atto alla data di entrata in vigore della parte terza del presente decreto sono regolate dall'Autorità concedente mediante la previsione di rilasci volti a garantire il minimo deflusso vitale nei corpi idrici, come definito secondo i criteri adottati dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio con apposito decreto, previa intesa con la Conferenza Stato-regioni, senza che ciò possa dar luogo alla corresponsione di indennizzi da parte della pubblica amministrazione, fatta salva la relativa riduzione del canone demaniale di concessione.»;
il decreto legislativo n. 152/2006 ha altresì provveduto ad adattare il «Testo unico delle disposizioni di legge sulle acque e impianti elettrici» di cui al regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, allo scopo esplicitando che nelle concessioni di derivazione delle acque pubbliche, il provvedimento di concessione è rilasciato se è garantito il minimo deflusso vitale e l'equilibrio del bilancio idrico;
per quanto esposto, si evince chiaramente che nello Stato italiano sono sempre esistite norme e disposizioni esplicite volte alla tutela delle risorse idriche, sia dal punto di vista quantitativo, sia ambientale e soprattutto di carattere precettivo in merito al mantenimento dei deflussi naturali dei corpi idrici nei propri alvei quando le relative acque fossero state utilizzate anche per fini produttivi. Non si evincono previsioni inverse che deroghino il principio del rispetto del bilancio idrico o che giustifichino la soppressione dei deflussi naturali dei corpi idrici;
il lago di Idro è uno dei principali laghi prealpini italiani di origine glaciale.
Questo corpo idrico è attualmente qualificato come area sensibile ai sensi del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 ed è stato designato «sito di importanza comunitaria» ai sensi dell'articolo 4 della direttiva 92/43/CEE, facendo parte della rete europea Natura 2000, rete ecologica europea costituita da zone speciali di conservazione degli habitat naturali nonché della fauna e della flora selvatiche. Il lago d'Idro è particolarmente importante per la presenza di un habitat naturale e di specie prioritarie a norma dell'articolo 1 della direttiva;
intorno agli anni Trenta il lago di Idro è entrato nel novero dei laghi naturali ampliati e/o regolati, con ciò provvisto, all'incile, di opere di regolazione idrauliche, e artificiali in quanto realizzati mediante manufatti di sbarramento;
in seguito al citato ampliamento il corpo idrico eridiano ha potuto invasare acque aggiuntive rispetto a quelle proprie e di tali risorse «nuove» è stato deciso l'uso produttivo tramite disciplina allo scopo regolata. In un primo tempo la regola di controllo degli afflussi e dei deflussi non ha tenuto conto degli equilibri naturali del sito e a causa di dislivelli eccessivamente ampi tra quota di massimo invaso e quota di massimo svaso si erano creati gravi squilibri ambientali che fecero decretare una nuova regolazione delle acque che facesse salve peculiarità dell'habitat lacuale e in tal senso garantisse il livello di deflusso necessario alla vita negli alvei sottesi e tale da non danneggiare gli equilibri degli ecosistemi interessati;
la gestione delle acque del lago di Idro però, nonostante gli evidenti e noti problemi di carattere ambientale e sociale che le regolazioni annuali comportavano, ha tuttavia continuato ad essere svolta in maniera tale da compromettere gli equilibri ecologici del territorio eridiano, con ciò creando anche gravi malesseri e agitazioni presso le popolazioni rivierasche;
inopinatamente, almeno a decorrere dagli anni Novanta, le acque del lago sono state costantemente derivate partendo dal loro livello naturale fino a scendere a quote che hanno creato danni ambientali incalcolabili sia per quanto riguarda gli aspetti paesaggistici, sia faunistici-ittiologici. In questa situazione è completamente venuto a mancare un tratto di emissario del lago, in particolare il fiume Chiese, che per oltre 23 chilometri dall'incile non ha più visto defluire alcuna portata d'acqua impedendo di fatto ogni forma di vita e la perdita di patrimoni naturalistici di irripetibile rarità;
in effetti, va fatto presente che nel corso degli anni le opere artificiali relative al volume ampliato del lago di Idro hanno iniziato a manifestare fenomeni di usura, peraltro non sottoposte a conseguente manutenzione e relativo ripristino in sicurezza, e che in tale circostanza la galleria di scarico di fondo ha manifestato problemi strutturali connessi alle caratteristiche geomeccaniche delle rocce nelle quali è stata realizzata. Nel 1992 si è verificato un cedimento della stessa e per ritenuti motivi di sicurezza, il Servizio Nazionale Dighe ha di seguito provveduto, in data 18 agosto 1992, ad imporre la quota di 368,00 m. s.l.m. come quota temporanea di massima regolazione, imponendo peraltro l'effettuazione di lavori di sistemazione della galleria;
in questo stesso periodo, per dare applicazione alle norme sulla prioritaria e fondamentale tutela delle risorse idriche e del territorio, ma bisogna anche dire con quella che gli interroganti reputano una sospetta coincidenza con le iniziative che venivano assunte dal RID, l'Autorità di Bacino del Fiume Po ha condotto una sperimentazione durata cinque stagioni irrigue a partire dal 1996 fino al settembre 2000, al termine del quale, nel gennaio 2001 ha deciso di adottare il documento «Attività del Comitato di Sperimentazione, Relazione conclusiva» unitamente al relativo «Regolamento transitorio per la Gestione del Lago d'Idro e dei serbatoi dell'Alto Chiese» che prevedevano in via definitiva, la riduzione dell'escursione del lago d'Idro a 3,25 metri corrispondenti ad un volume utile di 35,411 milioni di mc,
l'applicazione, nell'alveo del fiume Chiese, del rilascio per deflusso minimo costante vitale pari a 2,2 mc/sec, pari a complessivi 13,685 milioni di mc stagionali;
per quanto riguarda gli interventi di ripristino dei citati cedimenti del 1992, allo scopo realizzati dal Magistrato per il Po, Ufficio Operativo di Mantova, essi si sono conclusi nel 1996. Successivamente nel 1999 in relazione alle procedure di collaudo dei citati lavori il Servizio Nazionale Dighe ha segnalato il generale peggioramento in più punti delle caratteristiche statiche dell'opera ed ha richiesto nuovi ed ulteriori interventi di consolidamento. Conseguentemente, il Registro Italiano Dighe (RID), ipotizzando un rischio sia per un eventuale innalzamento ed una possibile esondazione del lago, ma anche di mobilitazione, certamente remota, di un consolidato corpo franoso sito in sponda sinistra immediatamente a valle dell'esistente traversa, con presunta possibilità di formazione di uno sbarramento naturale soggetto a successiva tracimazione ai sensi dell'articolo 24, comma 6, lettera f), del decreto del Presidente della Repubblica 24 gennaio 1991, n. 85, ha disposto la limitazione sopra indicata;
sempre il RID, il 18 luglio 2003 ha stabilito una nuova limitazione all'esercizio dell'invaso del lago, con quota alla quale riferire l'esercizio ordinario, a 367,00 m.s.l.m. e quota raggiungibile esclusivamente solo in caso di eventi eccezionali, a 368,00 m.s.l.m., ha altresì dichiarato la messa fuori esercizio dell'opera di sbarramento fino al termine dei lavori idonei a garantire le necessarie condizioni operative di sicurezza;
in conseguenza di ciò, in tempo ordinario, ad esclusione di eventi idrologici intensi, non possono defluire acque in superficie del fiume Chiese in quanto la quota di 367,00 m. m.s.l. corrisponde alla quota di sfioro naturale del lago in Chiese che resta privo d'acqua e neppure possono essere erogate acque nel Chiese tramite la galleria di scarico;
resta fatto salvo l'esercizio della derivazione della centrale Enel che può prelevare acque dal lago fino a 30 mc/s la cui restituzione nel fiume avviene a Vobarno (Brescia);
va a questo punto fatta una seria riflessione, anche se pleonastica. Gli usi produttivi delle risorse idriche possono essere necessari ma non certamente fondamentali e ad ogni modo sono esercitabili in subordine all'osservanza del prioritario principio della tutela delle acque e dell'ambiente, nonché degli obblighi fondamentali volti a garantire la sicurezza sanitaria e sociale dei cittadini. Le norme di protezione e di salvaguardia sopra enumerate, che va detto sono solo alcune delle moltissime che in tale materia sono applicabili, sono il fondamento su cui bisogna posizionarsi, e che bisogna osservare, per poter procedere agli utilizzi, diversi da quelli naturali, delle acque pubbliche. In mancanza dei preordinati requisiti di tutela previsti dalle norme di cui trattasi, tra cui in particolare il rispetto del deflusso minimo vitale e del bilancio idrico, da sempre esplicitamente indicati, non si può procedere all'uso delle stesse acque, pena l'incorrere, tra l'altro, nella fattispecie del danno ambientale;
si deduce che ove non sia possibile salvaguardare l'integrità dell'habitat relativo ai corpi idrici e soprattutto non si sia in grado di evitare effetti dannosi conseguenti al depauperamento delle condizioni originali dei corpi idrici, restino preclusi tutti quegli usi e quelle operazioni su tali corpi idrici che abbiano la capacità di arrecarvi, sia pure potenzialmente danni e alterazioni;
nel caso del Lago di Idro, a seguito della dichiarazione di criticità delle opere relative alla parte dell'invaso ampliato pronunciate dal RID e delle conseguenti limitazioni alle escursioni dei livelli di regolazione delle acque, allorquando si era dimostrato che l'uso delle risorse lacuali comprometteva il deflusso minimo vitale e non garantiva il bilancio idrico, fino a quando non fossero state ripristinate le condizioni di sicurezza delle strutture atte a contenere i volumi di acqua aggiuntivi rispetto a quelli
naturalmente contenuti dal lago, e su cui poter esercitare i prelievi, non si sarebbe dovuta attuare alcuna gestione idrica e quindi, nelle more di tali condizioni di sicurezza e di assenza di acque aggiuntive invasate, il lago avrebbe dovuto vivere secondo i propri afflussi e deflussi naturali, senza pozzi o sorgenti artificiali che ne modificassero gli equilibri;
ciò non è stato, ed anzi, in concomitanza dell'entrata in vigore del progetto di gestione deciso dall'autorità di bacino del fiume Po, in maniera secondo gli interroganti stupefacente si è deciso di traslare il dislivello di regolazione delle acque al di sotto della quota naturale del lago, di fatto regolando le risorse proprie del lago e non quelle del serbatoio aggiuntivo. Sorge il sospetto che tale traslazione sia servita a compensare la limitazione delle disponibilità di risorse idriche per usi produttivi conseguente alla decisione assunta dall'autorità di bacino del fiume Po. Viene altresì da domandarsi a cosa servano le opere di contenimento delle acque nuove e quindi le stesse acque aggiuntive, se in prima battuta è possibile derivare ad libitum acque dal lago, semplicemente facendolo scendere sotto il proprio livello naturale. In queste circostanze sembra palesemente inutile dover costruire le opere che ne ampliano le capacità di invaso se banalmente da esso si può prelevare acqua senza particolari vincoli;
il quesito posto è ovviamente pleonastico e retorico, infatti, ai sensi della normativa da sempre applicabile, e come sopra in parte enunciata, in mancanza di risorse idriche aggiuntive a quelle naturalmente disponibili circa il corpo idrico eridiano, sarebbe stata preclusa qualsiasi derivazione delle acque di tale lago che fosse stata capace di impedire il deflusso minimo vitale nel fiume Chiese sin dall'incile ed il rispetto del bilancio idrico lacuale -:
se non intenda accertare quali siano stati, e da chi siano stati adottati, i provvedimenti, dagli interroganti giudicati abusivi e irregolari alla luce delle vigenti norme sulla tutela delle acque e del territorio, che hanno permesso l'utilizzo delle acque del lago di Idro in maniera contraria ai principi di conservazione e di protezione per esse giuridicamente sanciti, facendo di fatto diventare prioritari e fondamentali gli usi produttivi rispetto a quelli relativi agli equilibri ambientali allo scopo tutelati da norme aventi carattere di principio fondamentale;
se in particolare non intenda verificare (e conseguentemente, ove praticabile, prendere adeguati provvedimenti sanzionatori e di monito contro gli eventuali trasgressori), come sia stato possibile che i soggetti competenti in materia di gestione e di esercizio delle risorse idriche del lago di Idro, pur se in presenza di problemi strutturali alle opere di tenuta dell'invaso ampliato, e in tale circostanza interdittivi all'esercizio della parte di serbatoio artificialmente associato al lago di Idro, invece che sospendere o ridurre le derivazioni per gli usi produttivi fino al ripristino in sicurezza delle stesse opere, senza neppure effettuare una necessaria valutazione di impatto ambientale abbiano addirittura proceduta traslare la regolazione delle acque al disotto del livello naturale del lago, facendole scendere dannosamente a livelli inferiori alla loro quota originaria di invaso, con ciò impedendo il deflusso, minimo vitale altrimenti garantito per legge, provocando deterioramenti in incommensurabili all'ambiente lacuale e sub lacuale, al territorio ed alle popolazioni eridiane, all'integrità sanitaria delle acque e ad un tratto considerevole del fiume Chiese, e se per tali provvedimenti esistevano motivazioni legittime, ossia se gli usi produttivi allo scopo esercitati fossero necessariamente ed inevitabilmente prioritari rispetto alla salvaguardia ambientale;
quali sostanziali ed inderogabili misure intenda adottare per garantire che sia mantenuto il deflusso minimo vitale a partire dall'incile naturale del lago di Idro.
(4-05391)