Menu di navigazione principale
Vai al menu di sezioneInizio contenuto
Allegato B
Seduta n. 236 del 6/11/2007
ATTI DI INDIRIZZO
Mozioni:
La Camera,
premesso che:
il comma 6 dell'articolo 11 della legge 468 del 1978 stabilisce che «le nuove o maggiori spese disposte con la legge finanziaria non possono concorrere a determinare tassi di evoluzione delle spese medesime, sia correnti che in conto capitale, incompatibili con le regole [...] determinate nel documento di programmazione economico-finanziaria, come deliberato dal Parlamento»;
la finalità della norma è quella di proteggere le scelte di programmazione finanziaria del Dpef riguardo la dinamica delle entrate e spese di tutta la pubblica amministrazione e, di conseguenza, la composizione del bilancio dello Stato tra entrate e spese e la definizione dello stesso saldo netto da finanziare;
nella prassi questo vincolo non è mai stato applicato in modo pieno, ma si è ripiegato sull'interpretazione secondo la quale, l'oggetto del vincolo, invece che nei tassi di crescita di spese e entrate, è stato individuato direttamente e limitatamente nel saldo netto da finanziare del bilancio dello Stato indicato nel Dpef. In tal modo si trascura la finalità della norma che consiste nel vincolare non solo il saldo ma anche il livello delle spese e delle entrate;
seguendo una interpretazione letterale del vincolo di cui al comma 6, l'intervallo entro cui dovranno situarsi le spese correnti è univocamente determinato e non viene a dipendere dalla decisione di bilancio sulle entrate;
l'interpretazione seguita nella prassi, contraria alla lettera e allo spirito della disposizione, concentrando l'attenzione sul saldo, a prescindere dai livelli di spesa ed entrate, ha avuto effetti pesantemente negativi sulle dinamiche della spesa corrente poiché, di norma, l'attività emendativa del Parlamento ha avuto effetti accrescitivi della spesa e, quindi, delle entrate,
impegna il Governo
nella redazione del documento di programmazione economico finanziaria da presentare al Parlamento entro il 30 giugno 2008 e del disegno di legge finanziaria per l'anno 2009 da presentare al Parlamento entro il 30 settembre 2008, a dare piena e rigorosa attuazione al dettame di cui al combinato disposto degli articoli 3, comma 2, lettera e) e 11, comma 6 della legge n. 468 del 1978 nella determinazione vincolante dei livelli di nuove o maggiori spese del bilancio di competenza dello Stato e delle aziende autonome e degli enti pubblici ricompresi nel conto delle pubbliche amministrazioni.
(1-00245)
«Turco, D'Elia, Mellano, Beltrandi, Poretti, Della Vedova, Di Gioia, Buglio, Crema, Antinucci, Schietroma, Nannicini, Buemi, Costa».
La Camera,
premesso che:
nei mesi estivi alcuni esponenti della maggioranza di Governo hanno dichiarato alla stampa che se la riforma Biagi non sarà profondamente cambiata non voteranno a favore del disegno di legge governativo che dovrà recepire il protocollo sul welfare firmato a luglio con le parti sociali;
la riforma Biagi (legge 14 febbraio 2003, n. 30) non ha prodotto alcuna precarizzazione del mondo del lavoro, ma ha completato la riforma Treu, liberalizzando ulteriormente l'attività degli intermediari privati per facilitare l'incontro fra domanda e offerta di lavoro e stabilendo vincoli più restrittivi per eliminare abusi nell'utilizzo improprio delle collaborazioni coordinate continuative a progetto;
il ministro del lavoro ha più volte riconosciuto che è potuto intervenire per contrastare l'utilizzo elusivo ed illegale dei collaboratori a progetto nei call center proprio grazie alle disposizioni più restrittive della riforma Biagi che escludono la possibilità di utilizzare questa forma contrattuale per attività lavorative in cui prevalga il vincolo della subordinazione. Infatti, sulla base delle stime del sistema Informativo Excelsior, promosso da Unioncamere e dal Ministero del lavoro, i collaboratori a progetto che le imprese prevedono di assumere nel 2007 diminuiranno di circa 87.000 unità (da uno stock medio di 274.000 lavoratori a 261.000, di cui 152.000 in senso stretto e cioè non amministratori di società). Anche secondo la rilevazione continua delle forze lavoro dell'Istat, i co.co.pro sono diminuiti di 46.000 unità dal primo trimestre del 2006 al primo trimestre del 2007;
dal 2004, anno di entrata in vigore effettiva della legge in seguito all'emanazione del primo e più importante decreto legislativo della legge 30 (decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276) al 2006 il tasso di occupazione è cresciuto dal 57,5 per cento al 58,4 per cento, il tasso di disoccupazione è sceso dall'8,1 per cento al 6,8 per cento (6,4 per cento nel primo trimestre del 2007), mentre il tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni) è sceso dal 23,5 per cento al 21,6 per cento (20,7 per cento nel primo trimestre del 2007). Gli occupati sono cresciuti dal primo trimestre del 2004 al primo trimestre del 2007 di 672.000 unità (fonte: Istat, rilevazione continua sulle forze di lavoro, 1o trimestre 2007);
i lavoratori con contratto a tempo determinato in Italia erano nel 2006, a tre anni dall'attuazione della riforma Biagi, il 13,1 per cento sul totale degli occupati, a fronte di una media dell'Unione europea a 25 del 14,9 per cento. Nella Spagna di Zapatero erano, nello stesso anno, il 34 per cento (fonte: Eurostat);
per quanto riguarda l'utilizzo abbastanza diffuso di contratti a tempo determinato all'inizio della carriera lavorativa dei giovani (circa il 60 per cento), è opinione consolidata che questo fenomeno è causato in gran parte dall'intoccabile articolo 18 dello statuto dei lavoratori. Per aggirare l'indissolubilità del contratto a tempo indeterminato, le imprese usano i contratti a termine o di formazione per avere il tempo di valutare e selezionare il lavoratore. Nei paesi in cui i vincoli legislativi al licenziamento sono minori o inesistenti la percentuale di contratti a tempo determinato sono minori. Nel Regno Unito, dove il livello di protezione legislativa dello stato d'occupazione è minimo, sono infatti il 5,8 per cento del totale degli occupati e in Danimarca, patria della flexsecurity, non superano l'8,9 per cento. In Francia il primo ministro Nicolas Sarkozy ha presentato una riforma dei contratti di lavoro che prevede un unico contratto con una modulazione graduale dei limiti al licenziamento, che può essere effettuato, senza limiti per la dimensione aziendale come accade in Italia, nei primi anni d'assunzione;
sulla base di una ricerca di Confindustria, sicuramente non comprensiva di tutta la platea delle imprese, quasi la metà dei contratti a termine è stata trasformata in contratti a tempo indeterminato nel corso del primo anno. «Ciò significa che mediamente un lavoratore assunto a termine ha la prospettiva di diventare a tempo indeterminato entro due anni. L'indagine mostra inoltre che le imprese fanno ampio ricorso ai contratti a termine come bacino da cui selezionare i futuri contratti a tempo indeterminato: oltre la metà (53 per cento) delle assunzioni a tempo indeterminato effettuate nel 2004 è infatti in realtà una trasformazione di un precedente contratto di natura temporanea. In particolare, le conversioni hanno riguardato prevalentemente i lavoratori inizialmente assunti con contratto a tempo determinato (48 per cento) e di formazione-lavoro/inserimento (37 per cento), ma anche ex lavoratori interinali (10 per cento), ex apprendisti (3 per cento) ed ex collaboratori autonomi (2 per cento)» (Sandro Trento e Anita Guelfi, Ragioniamo
sui dati, 8 maggio 2006, Lavoce.info);
da quanto emerge dai dati e dalle considerazioni fin qui riportate, le contrapposizioni alla legge Biagi oltre ad essere basate su dati falsi, sono dannose per i lavoratori e si basano solo su pregiudizi ideologici privi di alcuna base scientifica e contraddetti dalle evidenze. Altri sono, invece, i terreni d'iniziativa politica che dovrebbero impegnare chi è veramente interessato alle condizioni di vita dei lavoratori. Innanzitutto quella di conciliare la necessaria flessibilità - non precarietà - con un sistema universale di ammortizzatori sociali che assicuri il lavoratore nel momento in cui passa dallo stato di occupazione a quello di disoccupazione, come è stato ripetutamente ribadito dallo stesso Marco Biagi in numerose pubblicazioni;
l'attuale sistema di ammortizzatori, infatti:
a) è iniquo, perché solo il 28,5 per cento delle persone in cerca di lavoro e solo 22,5 per cento dei disoccupati riceve una integrazione al reddito. In Italia, su cento disoccupati poco meno di un quarto riceve un sussidio mentre tre quarti devono arrangiarsi come possono. Ma anche fra quanti hanno il privilegio di ricevere un sussidio di disoccupazione, si registra un'ulteriore ingiustizia fra chi appartiene alle categorie privilegiate che riceve un sussidio che copre l'80 per cento dell'ultima retribuzione per un periodo che può essere prorogato anche fino a sei anni, mentre la maggioranza, i meno rappresentati, deve accontentarsi per sei mesi del 50 per cento dell'ultimo stipendio e per il settimo mese del 40 per cento;
b) non compensa la maggiore flessibilità del lavoro con maggiore sicurezza, perché non offre alcuna tutela significativa ai lavoratori non standard, quelli che passano da un'attività all'altra con frequenti periodi di disoccupazione (2,7 milioni). Fra questi vi sono:
b1) 2 milioni di dipendenti a tempo determinato che possono beneficiare solo della modesta indennità di disoccupazione per 7 mesi al 50 per cento dello stipendio;
b2) un po' meno di 700.000 co.co.co e co.co.pro, apprendisti e occasionali che sono completamenti esclusi da qualsiasi forma di copertura per i periodi di disoccupazione;
b3) 6 milioni di autonomi in gran parte privi di alcuna tutela contro la disoccupazione;
c) tutela il posto di lavoro non i lavoratori, perché costituito in gran parte dalle due casse integrazione - istituti sconosciuti negli altri paesi industrializzati - che prevedono, solo per alcune categorie privilegiate, la conservazione formale del posto di lavoro anche quando la crisi è irreversibile e, in alcuni casi, quando la fabbrica è chiusa e la prosecuzione del sussidio con l'indennità di mobilità, possibilmente fino al pensionamento. La rigidità del mercato e l'uso distorsivo dei sussidi è un ostacolo alla mobilità, emargina definitivamente i lavoratori dal mercato del lavoro e impedisce di assicurare loro le condizioni per trovare più facilmente e velocemente un altro impiego, anche attraverso una migliore qualificazione professionale;
d) è deresponsabilizzante e inefficiente, perché gli ammortizzatori, in alcuni casi troppo generosi per l'entità del sussidio e la sua durata, disincentivano la ricerca del lavoro e favoriscono il lavoro nero, non sono vincolati a misure per il reinserimento lavorativo, all'impegno di ricerca attiva del lavoro da parte del disoccupato (patto di servizio) e di fatto non consentono di sanzionare chi si sottrae a questo impegno non accettando le offerte di lavoro proposte dai servizi pubblici e privati per l'impiego;
e) è disorganico e basato sull'abuso delle deroghe, perché costituito da un numero eccessivo di misure e di eccezioni per singole categorie, con una stratificazione normativa che produce abusi, diversamente dagli altri paesi europei dove
sono previsti al massimo tre livelli: assicurativo, assistenziale e d'inserimento;
f) dispendioso a causa del buco nero dell'agricoltura, perché mentre tutti i trattamenti d'integrazione al reddito previsti per il sistema industriale e per i servizi si autofinanziano interamente (prestazioni e coperture figurative) attraverso i contributi di imprese e lavoratori, i diversi sussidi per l'agricoltura producono un saldo passivo di 1,3 miliardi di euro a fronte di contributi pari a 86 milioni, distribuendo a pioggia sussidi a quasi 600 mila lavoratori agricoli su 990 mila (60 per cento);
accanto al problema dell'assenza di un sistema universale di assicurazione contro la disoccupazione, si registra una costante e drammatica perdita di potere d'acquisto dei salari, ad esclusione di quelli del pubblico impiego che hanno mantenuto intatto il loro valore reale. Un numero sempre maggiore di economisti avverte come sia insostenibile una situazione in cui la crescita del valore aggiunto delle imprese non venga ripartito neppure in minima parte sul lavoro;
negli ultimi quindici anni i redditi da lavoro dipendente sono calati, in termini reali, del 10 per cento, la quota dei salari sul reddito netto disponibile è calata vistosamente rispetto alla quota dei profitti e circa il 20 per cento delle famiglie italiane oggi vive al di sotto della soglia di povertà o rischia di caderci. È una situazione insostenibile, anche dal punto di vista economico, perché una bassissima remunerazione del lavoro deprime la domanda interna, crea forte disagio sociale e impedisce a fasce sempre più larghe della popolazione di aspirare a trattamenti pensionistici accettabili. L'anomalia italiana dei bassi salari è confermata dai confronti con gli altri partner europei; risulta infatti che in Italia il reddito lordo annuo da lavoro è inferiore di 7.000 euro rispetto alla Francia, di 18.000 rispetto alla Germania e di 19.000 rispetto al Regno Unito (fonte: Eurostat 2005);
collegata al precedente problema emerge la necessità di una riforma delle relazioni industriali che superi la centralizzazione del sistema della contrattazione collettiva che, «per un verso, affida al contratto nazionale il compito di disciplinare minuziosamente la stratificazione professionale dei lavoratori (quindi in qualche misura anche l'organizzazione del lavoro) e la struttura della retribuzione in tutte le aziende del settore, per altro verso preclude di fatto la deroga alla disciplina nazionale ai livelli inferiori. Ne consegue un evidente sovraccarico di funzioni del contratto collettivo nazionale: è sempre più difficile regolare compiutamente, rigidamente e inderogabilmente il rapporto di lavoro allo stesso modo per migliaia o addirittura decine di migliaia di aziende di diverse regioni, diverse dimensioni, diverse collocazioni nel mercato» (Pietro Ichino, Relazioni industriali: la paralisi e i rimedi, 19 giugno 2007, Lavoce.info);
impegna il Governo:
a presentare entro il 2007 il disegno di legge di riforma organica del sistema degli ammortizzatori sociali, delineata in via generale dal protocollo sul welfare firmato a luglio con le parti sociali, tenendo conto dei suggerimenti contenuti nella proposta di legge n. 2484 presentata alla Camera da deputati di tutti gli schieramenti politici. In particolare, i trattamenti d'integrazione del reddito dovranno essere rivolti a tutti i lavoratori che passano dallo stato di occupazione a quello di disoccupazione estesa a tutti i lavoratori, senza distinzione di qualifica, di appartenenza a settori produttivi o pubblici, di dimensione d'impresa e di tipologia del contratto di lavoro;
a presentare entro il 2008, previa consultazione delle parti sociali, una riforma delle attuali norme che regolano le relazioni industriali per spostare il baricentro della contrattazione collettiva dai contratti nazionali - a cui deve essere affidata solo la definizione dei diritti basilari e dei minimi salariali - a quelli aziendali e territoriali, prevedendo, con opportune garanzie, possibilità di deroghe
al CCNL, al fine di favorire una migliore redistribuzione sui salari degli aumenti di produttività e di garantire una effettiva rappresentatività delle organizzazioni sindacali;
a presentare entro il 2008 una riforma e unificazione dei contratti di lavoro a tempo indeterminato e determinato che preveda tutele crescenti, in particolare per quanto riguarda il licenziamento, nel corso della vita lavorativa.
(1-00246)
«Turco, D'Elia, Mellano, Beltrandi, Poretti, Della Vedova, Di Gioia, Buglio, Antinucci, Del Bue, Nannicini, Buemi, Costa».
La Camera,
premesso che:
la spesa pensionistica del nostro Paese assorbe circa il 14 per cento del prodotto interno lordo, e il 61,8 per cento della spesa sociale è destinato alle pensioni. A fronte del progressivo aumento della vita media - quella degli uomini, secondo l'Istat, crescerà da 77,4 anni nel 2005 a 83,6 anni nel 2050, quella delle donne da 83,3 a 88,8 anni, per cui gli ultrasessantenni, che oggi rappresentano il 25,2 per cento della popolazione, raggiungeranno entro il 2050 il 40,1 per cento del totale - l'Italia continua ad essere fanalino di coda tra i Paesi dell'Unione europea per quanto riguarda l'età pensionabile. Per contro, il sistema di ammortizzatori sociali previsti nel nostro ordinamento è assolutamente insufficiente, in quanto solo il 28,5 per cento delle persone in cerca di lavoro e solo 22,5 per cento dei disoccupati riceve una integrazione al reddito, e iniquo, perché gli interventi maggiormente significativi, come la Cassa integrazione straordinaria, sono discrezionali e appannaggio pressoché esclusivo delle grandi imprese;
le riforme che, dall'inizio degli anni Novanta, sono intervenute sulla materia pensionistica, sono andate nella direzione giusta, ma sono state accomunate da un errore grave: hanno sempre previsto condizioni di particolare favore per chi era più vicino alla pensione, scaricando per contro il loro peso sulle spalle delle generazioni più giovani, che si vedranno corrispondere pensioni da fame o non percepiranno alcuna pensione, mentre i loro contributi, una volta finiti nel calderone del bilancio dell'Inps - in cui sono ammessi trasferimenti da una gestione all'altra - vengono utilizzati per pagare le pensioni dei loro genitori. Per il bene del Paese, e soprattutto dei più bisognosi, non è più possibile proseguire, quanto all'innalzamento dell'età pensionabile, nella politica dei rinvii, che si traduce in una sorta di scaricabarile intergenerazionale, ma è necessario procedere sulla strada delle riforme. Anche il passaggio, previsto dalla legge 24 agosto 2004, n. 243, del requisito anagrafico minimo a 60 anni, che in base a quanto previsto dal ddl di iniziativa governativa «Norme di attuazione del Protocollo del 23 luglio 2007 su previdenza lavoro e competitività per favorire l'equità e la crescita sostenibili, nonché ulteriori norme in materia di lavoro e previdenza sociale» (atto Camera n. 3178, presentato il 23 ottobre 2007) verrebbe ulteriormente rinviato e diluito, nei fatti è stato invece già accettato dai cittadini italiani. Nel 2006, secondo l'Inps, le nuove pensioni effettivamente liquidate sono state inferiori di circa settemila unità rispetto a quanto preventivato dallo stesso ente previdenziale. Nessuna «corsa alla pensione», quindi, di chi vi si sarebbe potuto rifugiare; per contro, il sacrificio che si chiede a chi dovrebbe attendere tre anni in più, vede nell'interesse generale, a condizione che sia conosciuto, una motivazione condivisibile anche da queste persone, che potranno comunque godere di un trattamento di gran lunga più vantaggioso rispetto a quello di cui beneficeranno, quando verrà il loro turno, i ventenni e i trentenni di oggi;
l'entità del debito pubblico, che ha raggiunto la cifra record di 1.626,316 miliardi di euro a fine maggio 2007 (con un incremento di quasi 51 miliardi, pari al 3,2
per cento, sul dicembre 2006, e di 48 miliardi sull'analogo mese dell'anno scorso), rende l'abbattimento dello stesso una priorità assoluta, per cui l'indifferibile riforma degli ammortizzatori sociali dovrà essere realizzata innanzitutto con un più efficace, equilibrato ed equo utilizzo delle risorse disponibili, non con l'ulteriore aumento di una spesa pubblica già troppo elevata (secondo i dati della Ragioneria Generale dello Stato forniti alle Camere, riferiti dal Sole 24 Ore del 9 agosto 2007, nel primo quadrimestre del corrente anno si è registrata una crescita di 13,911 miliardi nella spesa pubblica pari al +12 per cento rispetto all'analogo periodo del 2006), né attraverso l'impegno delle maggiori entrate fiscali (c.d. extragettito), che non possono, allo stato, essere considerate strutturali e che sarebbe quindi gravemente imprudente impiegare come se, invece, fossero tali;
secondo la simulazione realizzata dall'Inps, riportata nei sottoindicati schemi, è possibile, attraverso l'innalzamento graduale dell'età pensionabile fino a 65 anni sia per gli uomini che per le donne entro il 2018, come sottoindicato rendere disponibili risorse aggiuntive fino a poco meno di otto miliardi di euro ogni anno, come indicato ancora di seguito:
Requisiti di età per l'accesso alla pensione di anzianità:
anno 2008: lavoratori dipendenti 60; lavoratori autonomi 61;
anno 2009: lavoratori dipendenti 60; lavoratori autonomi 61;
anno 2010: lavoratori dipendenti 61; lavoratori autonomi 62;
anno 2011: lavoratori dipendenti 61; lavoratori autonomi 62;
anno 2012: lavoratori dipendenti 62; lavoratori autonomi 63;
anno 2013: lavoratori dipendenti 62; lavoratori autonomi 63;
anno 2014: lavoratori dipendenti 63; lavoratori autonomi 64;
anno 2015: lavoratori dipendenti 63; lavoratori autonomi 64;
anno 2016: lavoratori dipendenti 64; lavoratori autonomi 65;
anno 2017: lavoratori dipendenti 64; lavoratori autonomi 65;
dall'anno 2018: lavoratori dipendenti 65; lavoratori autonomi 65.
Pensione di vecchiaia donne: anno 2008: 60 anni; anno 2009: 60 anni; anno 2010: 61 anni; anno 2011: 61 anni; anno 2012: 62 anni; anno 2013: 62 anni; anno 2014: 63 anni; anno 2015: 63 anni; anno 2016: 64 anni; anno 2017: 64 anni; dall'anno 2018: 65 anni.
Sulla base del sopraindicato schema, l'INPS ha realizzato la seguente elaborazione:
anno 2008: variazione della spesa pensionistica in milioni di euro 0; variazione della spesa pensionistica in rapporto al PIL -0,00 per cento; variazione del numero di pensioni (migliaia di unità) 0;
anno 2009: variazione della spesa pensionistica in milioni di euro 0; variazione della spesa pensionistica in rapporto al PIL -0,00 per cento; variazione del numero di pensioni (migliaia di unità) 0;
anno 2010: variazione della spesa pensionistica in milioni di euro -532; variazione della spesa pensionistica in rapporto al PIL -0,03 per cento; variazione del numero di pensioni (migliaia di unità) -92;
anno 2011: variazione della spesa pensionistica in milioni di euro -1.073; variazione della spesa pensionistica in rapporto al PIL -0,06 per cento; variazione del numero di pensioni (migliaia di unità) -86;
anno 2012: variazione della spesa pensionistica in milioni di euro -1.565; variazione della spesa pensionistica in rapporto al PIL -0,09 per cento; variazione del numero di pensioni (migliaia di unità) -169;
anno 2013: variazione della spesa pensionistica in milioni di euro -2.698; variazione della spesa pensionistica in rapporto al PIL -0,15 per cento; variazione del numero di pensioni (migliaia di unità) -205;
anno 2014: variazione della spesa pensionistica in milioni di euro -3.564; variazione della spesa pensionistica in rapporto al PIL -0,19 per cento; variazione del numero di pensioni (migliaia di unità) -290;
anno 2015: variazione della spesa pensionistica in milioni di euro -3.971; variazione della spesa pensionistica in rapporto al PIL -0,21 per cento; variazione del numero di pensioni (migliaia di unità) -290;
anno 2020: variazione della spesa pensionistica in milioni di euro -7.133; variazione della spesa pensionistica in rapporto al PIL -0,32 per cento; variazione del numero di pensioni (migliaia di unità) -571;
anno 2025: variazione della spesa pensionistica in milioni di euro -7.941; variazione della spesa pensionistica in rapporto al PIL -0,31 per cento; variazione del numero di pensioni (migliaia di unità) -746;
anno 2030: variazione della spesa pensionistica in milioni di euro -6.549; variazione della spesa pensionistica in rapporto al PIL -0,22 per cento; variazione del numero di pensioni (migliaia di unità) -823;
anno 2035: variazione della spesa pensionistica in milioni di euro -645; variazione della spesa pensionistica in rapporto al PIL -0,02 per cento; variazione del numero di pensioni (migliaia di unità) -751;
anno 2040: variazione della spesa pensionistica in milioni di euro 6.762; variazione della spesa pensionistica in rapporto al PIL 0,17 per cento; variazione del numero di pensioni (migliaia di unità) -630;
anno 2045: variazione della spesa pensionistica in milioni di euro 13.110; variazione della spesa pensionistica in rapporto al PIL 0,28 per cento; variazione del numero di pensioni (migliaia di unità) -598;
anno 2050: variazione della spesa pensionistica in milioni di euro 19.381; variazione della spesa pensionistica in rapporto al PIL 0,36 per cento; variazione del numero di pensioni (migliaia di unità) -605;
impegna il Governo:
a presentare un disegno di legge alla Camera dei deputati entro il 1o aprile 2008, che preveda, a partire da quanto previsto per gli anni 2008 e 2009 dalla legge 24 agosto 2004, n. 243 (la cosiddetta riforma Maroni), Tabella A: a) il progressivo e graduale innalzamento dell'età pensìonabile, entro il 2018, a 65 anni, con la contestuale equiparazione della stessa tra uomini e donne; b) la destinazione prioritaria delle risorse che si renderebbero in tal modo disponibili all'istituzione di un sistema di welfare di tipo universalistico, tale da garantire una effettiva tutela a tutti i cittadini che vengano a trovarsi involontariamente in una condizione di bisogno;
a porre in essere una campagna di informazione tale da consentire ai cittadini di conoscere la reale situazione del sistema pensionistico, e in particolare i dati sulle risorse che, attraverso l'innalzamento graduale dell'età pensionabile proposto nella presente mozione, si renderebbero disponibili per la realizzazione di un efficace sistema di ammortizzatori sociali di tipo universalistico.
(1-00247)
«Turco, D'Elia, Mellano, Beltrandi, Poretti, Della Vedova, Buglio, Del Bue, Nannicini, Antinucci, Buemi, Costa».
Risoluzione in Commissione:
Le Commissioni riunite IX e XIII,
premesso che:
ai sensi del Regolamento di semplificazione del procedimento di autorizzazione alla circolazione di prova dei veicoli di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 24 novembre 2001, n. 474, i commercianti e i concessionari di macchine agricole, per esigenze connesse alle prove tecniche, dimostrazioni o trasferimenti per la consegna e per le fiere, sono dotati di regolare autorizzazione per la circolazione di prova (targa di prova) che per tali scopi è rilasciata dal Ministero dei trasporti, per il tramite della Motorizzazione civile e ha validità annuale e con la quale è possibile trasferire su strada qualsiasi veicolo a motore, rimorchio o macchina agricola sprovvista di carta di circolazione senza l'identificazione del mezzo;
quando occorre spostare macchine agricole semoventi o trainate che eccedono i limiti di sagoma o massa di cui agli articoli 61 e 62 del Codice della Strada, approvato con Decreto Legislativo 30 aprile 1992, n. 285, tali mezzi, ai sensi dell'articolo 104 dello stesso codice, sono classificati macchine agricole eccezionali e in tal senso devono essere munite, per la circolazione su strada, di apposita autorizzazione che viene rilasciata dall'Ente nazionale per le strade (ANAS) o dall'ente proprietario della strada;
al momento della richiesta di tale autorizzazione, gli uffici compartimentali ANAS, in base all'articolo 14, comma 10, del regolamento di esecuzione del nuovo Codice della strada, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 16 dicembre 1992, n. 495, precisano e specificano «....che in sede di effettuazione di trasporto eccezionale pare condivisibile che i mezzi non possono essere dotati di generiche autorizzazioni, allorché le stesse debbano farsi dipendere, oltre che dalle dimensioni minime e massime riconosciute ammissibili, dalla presenza di documenti specifici che possono asseverare la situazione del singolo mezzo, non invece di una categoria di mezzi». In tali circostanze, vengono inoltre richiesti i seguenti documenti: dati identificativi (tipo, modello, numero di telaio) oltre alle specifiche tecniche; scheda tecnica del veicolo, ovvero certificato di omologazione rilasciato dal dipartimento trasporti terrestri; disegno di insieme del veicolo (schema grafico) riportante gli estremi della targa prova; copia dei dati riportati sulla targhetta di identificazione; dichiarazione avente valore di autocertificazione a firma del legale rappresentante della ditta; concessionario e/o proprietario del veicolo, in grado di precisare alcuni aspetti del trasporto; descrizione dell'itinerario da percorrere; motivazione del trasporto;
i Commercianti Macchine Agricole, facendo presenti i disagi che la suddetta prassi reca a tutta l'utenza, oltre che gravare di oneri economici il costo delle macchine, segnalano le grosse difficoltà che tale procedura gli arreca, dal momento che diviene impossibile stabilire, con un anticipo temporale, in certi casi anche di un mese, il bene che dovrà essere consegnato al cliente o che dovrà essere trasferito per una fiera o per una prova dimostrativa;
gli stessi Commercianti fanno altresì presente che spesso gli acquisti, da parte dell'utilizzatore finale, non vengono programmati per tempo ma a ridosso delle campagne di raccolta o del momento di utilizzo della macchina;
accade nella prassi che molti costruttori, per motivi di programmazione interna, mettono a disposizione le macchine con tempi molto ristretti che non permetterebbero al concessionario di richiedere le relative autorizzazioni;
si deve ancora, purtroppo, evidenziare che le macchine operatrici spesso devono essere trasferite da un magazzino ad un altro per l'allestimento preconsegna o verifiche, o trasferite dalla sede alla filiale di altra provincia che a volte si trova in altra regione. Quando la macchina
viene trasferita in regioni diverse si è costretti a richiedere più autorizzazioni.
L'UNACMA (Unione Nazionale Commercianti Macchine Agricole), alla luce delle problematiche sorte sulla materia e dei disguidi arrecati agli operatori allo scopo interessati, ha chiesto all'ANAS, la possibilità di poter chiarire le problematiche inerenti la propria categoria e valutare tutte le possibilità per ottenere una unica autorizzazione annuale, per ogni categoria di mezzi, relativa alla targa in prova precedentemente rilasciata, dal momento che le necessità attuali non permettono di sostenere il disagio che crea disorganizzazione ed eventuali illeciti;
risulterebbe altresì che in precedenza, ai sensi di una lettera del 10 novembre 2003, un'analoga richiesta di chiarimenti verso l'ANAS era stata inoltrata dall'Ente Nazionale per la Meccanizzazione Agricola (ENAMA), ente riconosciuto ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica n. 361/2000 del quale fanno parte le organizzazioni professionali agricole, imprese meccanico agrarie, i costruttori di macchine agricole, oltre ai commercianti di macchine agricole (Unacma) ed il Ministero per le Politiche Agricole Forestali, le regioni e le strutture tecniche, tra cui l'Istituto Sperimentale per la Meccanizzazione Agricola (ISMA), ma pare che a tutt'oggi l'ente non abbia ancora ricevuto alcuna risposta in merito alle questioni sollevate,
impegna il Governo
ad adottare gli occorrenti provvedimenti che siano in grado di dare una urgente e concreta soluzione alle problematiche determinate dalle strutture dell'ANAS agli operatori del settore del commercio delle macchine agricole, come in tal senso esposte in premessa.
(7-00304)
«Lion, Bonelli, Fundarò, Camillo Piazza».