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Allegato A
Seduta n. 277 del 21/2/2008
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(A.C. 3395 - Sezione 6)
ORDINI DEL GIORNO
La Camera,
premesso che:
il provvedimento in esame proroga, tra le altre, la partecipazione dell'Italia alla missione Unmik in Kosovo, che vede impegnati nel complesso più di 2300 italiani; con la conversione del decreto si finanziano inoltre le iniziative PESD tra le
quali è stata recentemente definita una missione destinata a coadiuvare l'amministrazione civile del Kosovo, alla quale prendono parte 200 unità italiane;
il Parlamento ha affrontato e dibattuto più volte la questione dello status del Kosovo, nelle Commissioni come in Aula, attraverso dibattiti, informative, atti di indirizzo e controllo, evidenziando sempre come la complessità della situazione nell'area balcanica, per ragioni di diritto e di fatto, non renda opportuna una decisione finale che non sia condivisa da tutte le parti coinvolte e che non sia fondata sul diritto internazionale;
il 29 novembre 2007 la Camera dei deputati ha approvato il dispositivo della mozione 1-00248 che impegna il Governo «ad esprimere in tutte le sedi internazionali una posizione contraria a qualunque violazione del diritto internazionale» e «a coinvolgere il Parlamento dopo la conclusione definitiva della fase negoziale, qualunque ne sia l'esito e prima di assumere posizioni ufficiali del nostro Paese definitive in merito al futuro status del Kosovo»;
il Governo in carica, attraverso il Ministro degli affari esteri, ha dichiarato pubblicamente invece che l'Italia sarà tra le prime quattro nazioni europee a riconoscere l'indipendenza dichiarata unilateralmente da Pristina, indipendentemente da un riconoscimento da parte delle Nazioni Unite o dell'Unione europea, che appaiono oggi quanto mai improbabili vista la grande frattura esistente in tutte le sedi internazionali tra coloro che chiedono il rispetto della risoluzione 1244 e coloro che vogliono chiudere la partita del Kosovo piegandosi ad un atto non legittimato;
nessuno specifico mandato in tal senso è stato dato al governo da parte del Parlamento, il quale è stato semplicemente messo al corrente, in un breve ed improvvisato incontro delle Commissioni di merito del 6 febbraio scorso, della decisione di procedere ad un immediato riconoscimento unilaterale dell'indipendenza della regione serba, decisione di grandissimo rilievo politico assunta da un Governo dimissionario, a Camere sconvocate, e senza un puntuale rispetto dell'impegno previsto dalla mozione 1-00248,
impegna il Governo
a consultare il Parlamento nel contesto di un dibattito ampio e approfondito al fine di assumere indicazioni prima di procedere a qualunque iniziativa che riguardi il riconoscimento dell'autoproclamata indipendenza del Kosovo e a non assumere comunque posizioni unilaterali prima di un pronunciamento delle Nazioni Unite e dell'Unione Europea nel suo insieme.
9/3395/1. (Nuova formulazione) Giancarlo Giorgetti, Maroni, Gibelli, Cota, Dozzo, Alessandri, Allasia, Bodega, Bricolo, Brigandì, Caparini, Dussin, Fava, Filippi, Fugatti, Garavaglia, Goisis, Grimoldi, Lussana, Montani, Pini, Stucchi.
La Camera,
premesso che:
la vasta regione dell'Asia meridionale, che vede al centro l'Afghanistan e si estende dal Caucaso all'Iran al Pakistan, si è oramai caratterizzata, accanto al Medio Oriente, per la sua instabilità e per l'essere l'epicentro di rilevanti interessi geopolitici e geoeconomici;
alla luce della rilevanza che tale regione è venuta assumendo per il mantenimento della pace e della stabilità internazionale, nell'obiettivo di costruire un Afghanistan prospero e democratico, la comunità internazionale ha favorito il processo di Bonn per la costruzione delle istituzioni democratiche, sostenendo il governo afgano democraticamente eletto e impegnandosi alla realizzazione degli obiettivi di sviluppo indicati nell'«Afghanistan compact»;
nel corso del 2007, tuttavia, si sono registrati sviluppi preoccupanti rispetto al raggiungimento degli obiettivi della missione
internazionale: il massiccio ricorso dei talebani a tattiche terroristiche ed attentati kamikaze ha fatto registrare il numero più alto di vittime tra civili e militari dal 2001, mentre i frequenti «danni collaterali» hanno aggravato le condizioni di una popolazione già stremata da decenni di conflitti; l'offensiva degli insorgenti si è estesa a nuove aree rispetto a quelle tradizionalmente più instabili mentre rimane difficoltosa l'azione di contrasto dei talebani nelle aree confinanti con il Pakistan; la lotta contro la produzione e il commercio di oppio, risorsa principale di finanziamento delle milizie talebane e dei signori della guerra, non ha segnato passi in avanti;
si è reso pertanto più concreto il rischio conseguente di una effettiva riduzione del controllo del territorio da parte del governo legittimo di Kabul, nonché della credibilità e della popolarità della stessa missione internazionale, conseguente alla scarsa sicurezza garantita alla popolazione, all'insufficiente miglioramento delle condizioni di vita e a un limitato progresso negli indicatori socio-economici;
in linea con la politica del Governo Karzai, aperto al dialogo con quanti sono disponibili ad accettare la costituzione e la democrazia afghana, appare sempre più evidente la necessità per la comunità internazionale di rilanciare gli sforzi diplomatici e la trattativa con tutte le parti in conflitto, al fine di facilitare un processo di riconciliazione nazionale con quanti intendano abbandonare la lotta armata ed accettare le istituzioni legittimamente elette, sulla base della condivisione dei principi democratici, dello stato di diritto e dei diritti umani;
occorre affermare una nuova concezione delle operazioni di pace che le renda sempre più mirate alla costruzione della pace, piuttosto che al suo mero mantenimento, attraverso la ricostituzione del tessuto sociale e di istituzioni solide e democratiche nei paesi attraversati da conflitti, secondo una visione integrata della sicurezza collettiva che riconosca il legame indissolubile tra sviluppo, sicurezza e diritti umani;
come autorevolmente sostenuto, infatti, nel «Rapporto sulla dottrina europea sulla sicurezza umana», redatto su incarico dell'Alto rappresentante per la politica estera e sicurezza comune, Javier Solana, una moderna concezione della sicurezza collettiva non può prescindere dall'obiettivo primario della tutela dei civili - da considerarsi preminente anche su quello della sconfitta dell'avversario - da cui consegue l'inaccettabilità della logica dei «danni collaterali», la necessità di ridurre al minimo la perdita di qualsiasi vita umana, compresa quella dei terroristi o dei ribelli, che dovrebbero esser considerati sempre più criminali da arrestare, in una logica di operazioni di polizia e di ordine pubblico, piuttosto che nemici da eliminare fisicamente in operazioni di guerra;
proprio in Afghanistan l'allontanamento da questo tipo di approccio alla sicurezza collettiva rischia di aggravare l'empasse politica che è alla radice delle difficoltà sul terreno e di quelle nello sradicamento della propaganda e della militanza pro talebana in molte regioni del Paese;
tale consapevolezza dovrebbe essere condivisa da tutti i partner internazionali, a cominciare dagli Stati Uniti, al fine di assicurare un cambiamento, omogeneo e coerente, delle modalità con cui le truppe internazionali devono operare nel corso delle azioni militari, e nel rapporto con la popolazione, così da ottenere una percezione più positiva da parte degli afghani, assicurando contestualmente il controllo del territorio e la sicurezza della popolazione civile, e coinvolgendo progressivamente in questi compiti, e con sempre maggiori responsabilità, gli stessi afgani;
se la sicurezza collettiva è perseguibile oggi solo nel quadro di un multilateralismo davvero «efficace» - che equivale ad un impegno a lavorare in collaborazione con le istituzioni internazionali,
e mediante le procedure loro proprie; a creare regole e norme comuni per la risoluzione dei problemi, nonché una forte azione di coordinamento tesa ad eliminare duplicazioni e rivalità - la duplice presenza in Afghanistan delle missioni ISAF ed Enduring Freedom appare sempre più scarsamente efficiente perché fonte di confusione tra i ruoli e le regole che presiedono le due missioni, nonché causa, tra le principali, della diminuzione di consenso dei nostri contingenti presso la popolazione locale nelle aree di conflitto;
appare altresì indifferibile tentare di risolvere la crisi afgana in un contesto regionale più ampio, attraversato da tensioni che si riverberano in seno al fragile quadro sociale e istituzionale afgano, influenzato tanto dalle vicende del vicino Pakistan, quanto storicamente collegato all'Iran, indispensabile interlocutore regionale, e infine esposto nelle aree settentrionali alle tensioni interne tra etnie pashtun, uzbeche e tagiche;
nel valorizzare il ruolo di indirizzo e di controllo dell'istituzione parlamentare anche in materia di politica estera e di difesa - coerentemente con i principi costituzionali e con quelli generali dell'ordinamento - considera importante riconoscere la dottrina europea per la sicurezza umana, enunciata nei Rapporti di Barcellona del 2004 e di Madrid del 2007, come uno dei punti fermi di una moderna concezione del modo di operare dei contingenti impegnati nelle missioni internazionali,
impegna il Governo:
ad adottare ogni iniziativa utile volta a rafforzare il ruolo e il coinvolgimento della Nazioni Unite nella gestione della cooperazione, ricostruzione e possibile riconciliazione nazionale in Afghanistan, in particolare nella definizione di un quadro chiaro di principi internazionali che - rimarcando l'inaccettabilità della logica dei danni collaterali - possano presiedere unitariamente alla gestione della crisi nell'area e ad un futuro unico mandato internazionale, che abbia come obiettivo primario quello della protezione dei civili, anche attraverso la soddisfazione dei diritti primari delle popolazioni locali, quali l'educazione, la salute, l'accesso all'acqua e al cibo, al fine di conseguire una durevole stabilizzazione del paese e dell'area;
ad adottare ogni iniziativa utile volta a sostenere nelle opportune sedi internazionali la necessità di assicurare un ruolo effettivo delle Nazioni Unite nella pianificazione delle azioni militari, nel monitoraggio delle stesse, nonché nel garantire la sicurezza del territorio e dei civili;
ad un ulteriore rafforzamento della componente civile dell'intervento sul terreno, attraverso un significativo aumento delle risorse destinate alla ricostruzione ed alla cooperazione nel paese, in un quadro chiaro e definito di compiti e funzioni tra organizzazioni civili e autorità militari, che evitino duplicazioni o inefficienze, e conducano ad una valida integrazione dei rispettivi ruoli nel perseguimento di obiettivi unitari, nonché al potenziamento della presenza italiana nella missione dell'Unione europea di polizia civile internazionale PESD, che comprende effettivi di polizia, carabinieri, e prevede la formazione di esperti dei diritti umani;
ad adottare ogni iniziativa utile, anche nelle opportune sedi internazionali, volta a rafforzare la partecipazione della popolazione afgana attraverso il coinvolgimento delle istanze della società civile locale nel tentativo di un possibile processo di riconciliazione nazionale tra tutti coloro che si dimostreranno pronti ad accettare i principi della legalità internazionale e del rispetto dei diritti umani fondamentali, anche favorendo l'avvio di un processo nazionale per l'accertamento delle responsabilità delle violazioni dei diritti umani occorse prima, durante e dopo la caduta del regime dei talebani;
ad adottare ogni iniziativa utile, anche nelle opportune sedi internazionali, volta al rafforzamento del sistema dell'amministrazione della giustizia locale e all'unificazione del percorso formativo dei giudici, nel quadro del ripristino dei diritti
umani fondamentali; alla realizzazione di programmi in sostegno delle donne afgane e per la promozione dei loro diritti e, più in generale, a favorire progetti di cooperazione che stimolino i diversi settori della società civile afgana, per una ricostruzione del paese non solo materiale, ma anche morale e sociale.
9/3395/2. Ranieri, Pinotti, Mattarella, Papini, Marcenaro, Sereni, Garofani.
La Camera,
premesso che:
in Afghanistan, Iraq, Libano, Sudan e Somalia, donne e bambini sono troppo spesso le principali vittime, non solo di discriminazioni e abusi, ma anche delle fatiscenti condizioni igienico-sanitarie in cui versano quei territori;
l'Italia non può sottrarsi all'esigenza di porre rimedio a una simile situazione, in considerazione della particolare sensibilità che il nostro Paese ha sempre dimostrato su queste questioni;
attualmente, il decreto-legge in esame, pur contenendo all'articolo 1 misure volte ad assicurare il miglioramento delle condizioni di vita della popolazione in Afghanistan, Iraq, Libano, Sudan e Somalia, non fa esplicito riferimento alla lotta contro l'alta mortalità infantile e femminile che caratterizza quei Paesi,
impegna il Governo
a prevedere, nell'ambito degli stanziamenti finalizzati ad assicurare il miglioramento delle condizioni di vita della popolazione in Afghanistan, Iraq, Libano, Sudan e Somalia, specifici interventi destinati alla lotta contro l'alta mortalità infantile e femminile.
9/3395/3. Picano, Cioffi, Giuditta.
La Camera,
premesso che:
in Afghanistan le precarie condizioni socio-economico della maggior parte delle famiglie, i pregiudizi culturali di cui le donne sono vittime, il generale stato di arretratezza del sistema di istruzione, fanno sorgere l'impellente esigenza di rafforzare gli aiuti esterni a sostegno del processo di scolarizzazione delle donne di quel Paese;
l'Italia non può sottrarsi a una tale esigenza, in considerazione della particolare sensibilità che il nostro Paese ha sempre dimostrato su queste questioni;
attualmente, il decreto-legge in esame, pur contenendo all'articolo 1 misure volte ad assicurare il miglioramento delle condizioni di vita della popolazione in Afghanistan, non fa esplicito riferimento alla situazione delle donne afgane, in particolare sotto il profilo della loro istruzione,
impegna il Governo
a prevedere, nell'ambito degli stanziamenti finalizzati ad assicurare il miglioramento delle condizioni di vita della popolazione in Afghanistan, specifici interventi destinati al sostegno del processo di scolarizzazione delle donne afgane.
9/3395/4. Cioffi, Giuditta.
La Camera,
premesso che:
in Afghanistan si assiste ad un forte ritardo dello sviluppo economico, in particolare per ciò che concerne le attività imprenditoriali, ciò che mina in partenza la possibilità di un reale processo di pacificazione di quel Paese;
senza sviluppo economico, infatti, sarà molto difficile, se non impossibile, che il processo di democratizzazione da poco avviato in Afghanistan, sia sotto il profilo istituzionale che culturale, trovi un terreno fertile e attecchisca;
è soprattutto la piccola imprenditoria che deve essere sostenuta, perché è
l'unica in grado di innescare un processo virtuoso di reale modernizzazione del tessuto sociale afgano;
attualmente, il decreto-legge in esame, pur contenendo all'articolo 1 misure volte ad assicurare il miglioramento delle condizioni di vita della popolazione e il sostegno alla ricostruzione civile in Afghanistan, non fa esplicito riferimento all'esigenza di dare un forte sostegno allo sviluppo dell'imprenditoria afgana;
impegna il Governo
a prevedere, nell'ambito degli stanziamenti finalizzati ad assicurare il miglioramento delle condizioni di vita della popolazione e il sostegno alla ricostruzione civile in Afghanistan, specifici interventi destinati al sostegno del microcredito in favore dell'imprenditoria afgana.
9/3395/5. Giuditta, Cioffi.