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XV LEGISLATURA
Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 188 di giovedì 12 luglio 2007
Pag. 1PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE GIORGIA MELONI
La seduta comincia alle 10,05.
SILVANA MURA, Segretario, legge il processo verbale della seduta di ieri.
(È approvato).
Missioni.
PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Bimbi, Buontempo, Catone, De Simone, Di Salvo e Rigoni sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente settantasette, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.
Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.
Seguito della discussione delle mozioni Leoni ed altri n. 1-00159 e Fabris ed altri n. 1-00203 sulle iniziative in favore del popolo saharawi (ore 10,15).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione delle mozioni Leoni ed altri n. 1-00159
(Nuova formulazione) e Fabris ed altri n. 1-00203 sulle iniziative in favore del popolo saharawi (Vedi l'allegato A - Mozioni sezione 1).
La mozione Fabris ed altri n. 1-00203 è stata presentata successivamente alla conclusione della discussione sulle linee generali che ha avuto luogo nella seduta di venerdì 22 giugno ed è già stata iscritta all'ordine del giorno.
(Parere del Governo)
PRESIDENTE. Invito il rappresentante del Governo ad esprimere il parere sulle mozioni all'ordine del giorno.
UGO INTINI, Viceministro degli affari esteri. Signor Presidente, onorevoli colleghi, l'avvio dei negoziati tra il Marocco e il Polisario, sotto gli auspici delle Nazioni Unite costituisce un dato estremamente positivo. L'intera comunità internazionale ha infatti salutato con grande favore il fatto che le due parti si siano finalmente sedute intorno ad un tavolo (a New York) ed abbiano cominciato a parlarsi affrontando i temi di fondo, esattamente come auspicato dalla risoluzione n. 1754 del 30 aprile 2007.
Nella prima tornata negoziale si sono evitate le schermaglie procedurali che avrebbero potuto essere usate come pretesto laddove una delle parti avesse desiderato far naufragare il processo. Questo atteggiamento di entrambe le parti lascia ben sperare.
Si tratta di un processo delicato cui l'intera comunità internazionale guarda con il fiato sospeso nella consapevolezza che, in questa fase, il confine tra il successo e l'insuccesso è sottilissimo. Dopo il primo incontro, il secondo avverrà, sempre alle Nazione Unite a New York il 10 agosto.
La nostra convinzione e quella di tutti i partner che hanno a cuore il successo del processo negoziale è che occorra creare, per così dire, intorno al negoziato unaPag. 2sorta di serra che consenta alla «pianticella» dell'accordo di crescere al riparo da interferenze esterne ed intemperie.
In questa logica si sono collocate recentemente - e saggiamente, a mio parere - prese di posizione dalla destra, dalla sinistra e dal centro come, ad esempio, le risoluzioni dell'internazionale socialista, del partito popolare europeo e del Parlamento spagnolo (che ha votato all'unanimità).
Una cosa è chiara: la soluzione al problema del Sahara occidentale va cercata nel quadro del processo negoziale in corso e spetta alle parti trovare le risorse di intelligenza politica, apertura e disponibilità a studiare soluzioni condivise che possano portare al successo.
L'Italia si è sempre fortemente impegnata per facilitare la ripresa dei negoziati diretti tra Marocco e Polisario, negoziati senza precondizione che si proponessero di giungere ad una soluzione condivisa e definitiva.
Ora che i negoziati sono stati avviati, in un'atmosfera costruttiva, il Governo intende seguirli con interesse, partecipazione e prudenza. Inappropriato sarebbe, ad esempio, il riconoscimento diplomatico del Polisario. Proprio perché ha estremamente a cuore la sorte del processo negoziale, il Governo italiano, così come i Governi dei nostri partner, preferisce astenersi in questa delicatissima fase da iniziative pubbliche che esprimano posizioni nette, tali da rendere meno efficaci gli sforzi di mediazione che, per essere appunto efficaci, devono essere accolti da entrambe le parti in un clima psicologico favorevole.
Per queste ragioni, il Governo comprende lo spirito del dibattito che sino a questo momento si è svolto, condivide a pieno l'auspicio che venga individuata, quanto prima, una soluzione alla questione del Sahara occidentale, ma ritiene di non dover entrare nel merito con iniziative unilaterali. Reputa che un accoglimento delle mozioni (ed in particolare della mozione Leoni ed altri) non aiuterebbe il processo negoziale. Si rimette pertanto all'Assemblea.
Vorrei aggiungere che abbiamo fatto molto (con riservatezza) e altro faremo per trovare una soluzione. Tutte le parti interessate lo sanno e ce ne danno atto. Abbiamo con sincerità e passione esposto le ragioni politiche generali che impongono un accordo e che riguardano l'interesse di tutti, anche il nostro interesse nazionale.
L'Europa - in particolare la parte meridionale del continente e, ancora più in particolare, l'Italia - ha bisogno di un partenariato speciale con l'Africa del nord. Le due sponde debbono trasformare il Mediterraneo in un mare di pace e di sviluppo economico. L'Europa tratta come un'entità politica, come Unione europea, e vorrebbe trovare un Maghreb altrettanto unito, che segua la strada indicata decenni fa dall'Unione europea. Invece, trova il confine tra Algeria e Marocco, due Paesi entrambi amici, chiuso a causa della controversia sul Sahara occidentale. Questo è un fatto semplicemente anacronistico.
L'immigrazione clandestina richiede e sviluppa una cooperazione sempre più stretta tra Europa e nord Africa, che è chiamato ad operare come filtro e freno per l'emigrazione dall'Africa subsahariana e anche ad essere, con l'aiuto dell'Europa, un fattore di progresso economico per l'Africa subsahariana. Tutto ciò richiede cooperazione anche ed innanzitutto tra gli Stati del Maghreb.
Il terrorismo è nemico comune dell'Europa, dell'Algeria, del Marocco. È di ieri l'orribile attentato in Algeria; è stato appena dichiarato lo Stato di massima allerta in Marocco, ma il terrorismo si nutre di conflitti irrisolti, di aree incontrollate, di ingiustizie e tensioni. Algeria, Marocco e Europa debbono lavorare insieme contro il terrorismo, il fondamentalismo, l'estremismo e le loro cause. Tra di esse vi è il sottosviluppo. Possono Marocco e Algeria lavorare insieme con la massima efficacia senza che sia risolto il problema del Sahara? No, il problema va risolto.
Consentitemi, onorevoli colleghi, di chiudere con una nota di speranza. L'enormità del pericolo e della sfida rende oggi la comunità internazionale più determinataPag. 3ed attenta. Proprio la consapevolezza di avere un nemico comune potrebbe oggi avvicinare Algeria e Marocco, Polisario e Marocco. Con il terrorismo c'è stato un salto di qualità; le spine irritative che acutizzano il pericolo debbono essere rimosse. Anche per questo, forse, può finalmente diventare risolutiva oggi la spinta a risolvere il problema del Sahara, con il rispetto delle ragioni di tutti e anche di una popolazione, quella saharawi, che ha tanto sofferto.
In conclusione, per riassumere, apprezzo la prudenza della mozione Fabris ed altri, apprezzo lo spirito, la passione e lo spessore degli interventi e dei dibattiti che si sono avuti su questi temi e che si sono svolti su linee bipartisan, spesso trasversali all'interno degli stessi partiti politici. Sarebbe meglio che tutto si concludesse senza arrivare a votare. Se votazioni vi saranno, mi rimetto all'Assemblea.
(Dichiarazioni di voto)
PRESIDENTE. Passiamo alle dichiarazioni di voto.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Leoni. Ne ha facoltà.
CARLO LEONI. Signor Presidente, comprendo la posizione del Governo ora illustrata dall'onorevole Intini. Tuttavia, penso - e proverò a spiegare - per quale motivo, a mio avviso, vi sono tutte le condizioni per procedere alle votazioni e soprattutto perché ciò, dal mio punto di vista, aiuterà il processo negoziale.
Il rappresentante del Governo, onorevole Intini, ha fatto riferimento ad alcuni recenti atti istituzionali, tra cui quello del Parlamento spagnolo. In effetti, nel mese di aprile scorso il Senato spagnolo ha approvato all'unanimità una risoluzione sul Sahara occidentale, proposta inizialmente dal gruppo popolare al quale poi ha aderito il gruppo socialista. La mozione, che abbiamo presentato e che mi vede primo firmatario, è per la sua quasi totalità una traduzione in italiano della mozione approvata dal Parlamento spagnolo.
Il nostro atto di indirizzo fa seguito a molte iniziative parlamentari, molte mozioni e risoluzioni approvate in Assemblea o in Commissione; fa seguito, ad audizioni, missioni nel Sahara occidentale, che mi fanno dire che la Camera dei deputati ha costantemente seguito il conflitto del Sahara occidentale. Tutto ciò è avvenuto in analogia con molti comuni, province e regioni italiane, gemellate con autorità locali dei campi dei saharawi rifugiati nel deserto algerino, che ospitano bambini, garantiscono loro cure mediche. Ci troviamo innanzi ad una rete di volontariato ampia e senza colore politico.
Può apparire strano che una così ampia solidarietà si sviluppi nei confronti di un popolo di cui non c'è quasi traccia sulla stampa e nei notiziari televisivi. Perché non se ne parla? Eppure si tratta dell'ultimo residuo coloniale presente in Africa; eppure è in un'area calda del pianeta, il Maghreb, tra Marocco, Algeria e Mauritania, un'area, come sappiamo, a rischio terrorismo. Tutti dicemmo, dopo l'11 settembre, che per battere il terrorismo bisognava innanzitutto prosciugare i bacini di tensione e di potenziale conflitto e questo è indubbiamente un bacino di potenziale e ulteriore conflitto da prosciugare.
Sulla grande stampa non se ne parla forse perché - ed è amaro dirlo - quel popolo rispetta il cessate il fuoco stabilito molto tempo fa dalle Nazioni Unite, non imbraccia kalashnikov, non compie azioni terroristiche. Se questa fosse la valutazione sarebbe un pessimo segnale da parte della comunità internazionale, come a dire: se vuoi far sentire le tue ragioni devi sparare, uccidere oppure rapire degli occidentali, come avviene nel Delta del Niger o nello Yemen.
Dalla comunità internazionale deve, invece, venire un segnale del tutto opposto che premia quei movimenti di liberazione che non fanno ricorso alla violenza ed al terrorismo, come il movimento del Fronte Polisario. Pertanto dobbiamo occuparcene, dobbiamo trovare una soluzione. Per questo è lodevole l'impegno che da molti anni la Camera dei deputati, in diverse forme,Pag. 4profonde per la soluzione del conflitto nel Sahara occidentale. In tutti i suoi atti fin qui compiuti, la Camera dei deputati si è sempre mossa nel solco del lavoro svolto dalle Nazioni Unite, come fa anche la nostra mozione che sostiene sostanzialmente tre punti.
Come ha ricordato l'onorevole Intini, vi sono dei negoziati in corso incoraggiati anche - è bene ricordarlo - dal voto positivo del rappresentante italiano nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. È bene che questi negoziati vadano avanti ed arrivino ad una soluzione condivisa.
In secondo luogo, nei negoziati, come sappiamo, si stanno discutendo varie ipotesi: indipendenza del Sahara occidentale, forme di autonomia permanente, forme di autonomia a tempo, come era indicato in una proposta Baker che non fu accolta dal Marocco. Con la nostra mozione non prendiamo posizione né per l'una né per l'altra scelta, perché questo spetta al negoziato, ma diciamo che in ogni caso è bene che venga chiamata a decidere la popolazione interessata, i saharawi, mediante un referendum, secondo quel principio di autodeterminazione che è scritto nella Carta delle Nazioni Unite e che è stato già applicato, ad esempio, per risolvere la delicata questione di Timor Est. Quest'ultimo punto non è precisato nella mozione Fabris ed altri n. 1-00203, che pure si muove in una direzione complessivamente positiva e, pertanto, annuncio fin d'ora che il gruppo Sinistra Democratica si asterrà su tale mozione.
Il terzo punto della nostra mozione invita il Governo a studiare e trovare una forma di riconoscimento di status per i rappresentanti del Fronte Polisario in Italia. Il Fronte Polisario ha un rappresentante alle Nazioni Unite, ha rapporti ufficiale con l'Unione europea, è riconosciuto, visti i negoziati in corso, come un interlocutore ufficiale del Regno del Marocco. Ha rapporti con molti Governi, compreso il nostro, e non riteniamo giusto che i loro rappresentanti siano privi di uno status e siano presenti in Italia con visto turistico; ciò non corrisponde alla realtà. Riteniamo che risolvere anche tale questione aiuti il dialogo perché lo rende più trasparente.
Voglio precisare, ma credo che non ve ne sia bisogno, che non c'è da parte dei firmatari di questa mozione nessuna ostilità pregiudiziale verso il Regno del Marocco. Si tratta di un Paese importante e amico dell'Italia, che svolge e può svolgere ancora di più un ruolo chiave per la crescita economica e civile del Maghreb e per quel dialogo euromediterraneo al quale il nostro Paese tiene molto. Siamo convinti che il Marocco farà questo ed altro, ancora meglio il giorno in cui si sarà liberato di un conflitto pluridecennale che costa al Marocco dal punto di vista economico e politico, ad esempio nelle relazioni con gli altri Paesi africani che riconoscono la Repubblica araba saharawi democratica e con altri Paesi della comunità internazionale.
Infine, com'è evidente a tutti i colleghi, quella in discussione non è una mozione di parte; reca, infatti, le firme di esponenti autorevoli di entrambi gli schieramenti politici e di molti gruppi. Vorrei ricordarli: oltre al sottoscritto, la collega Vicepresidente Meloni, i colleghi D'Elia, De Simone, D'Antona, Forlani, Giulietti, Mantovani, Mariani, Motta, Venier, Mellano, Scotto, Giancarlo Giorgetti, Boato, Leoluca Orlando e Burgio.
Questa proposizione così ampia può consentirci, ancora una volta, come è già avvenuto in Assemblea, un voto ampio e unitario che rappresenti un concreto contributo della Camera dei deputati alla pace e alla sicurezza nel Mediterraneo (Applausi dei deputati dei gruppi Sinistra Democratica. Per il Socialismo europeo, L'Ulivo, Rifondazione Comunista-Sinistra Europea e Verdi - Congratulazioni).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Mellano. Ne ha facoltà.
BRUNO MELLANO. Signor Presidente, colleghi, anch'io a nome del gruppo de La Rosa nel Pugno ringrazio il Viceministro Intini per il suo intervento, per la prudenzaPag. 5e per le parole espresse riguardo alle mozioni in esame. In particolare, lo ringrazio per l'attenzione manifestata verso una situazione che è assolutamente emblematica di come funzionino i rapporti a livello internazionale e di come non funzionino gli organi delle Nazioni Unite.
Il caso del Sahara occidentale è paradigmatico di una vicenda e di un processo di decolonizzazione che ha portato una parte importante del territorio africano ad essere invasa dal Marocco e dalla Mauritania e a diventare una zona cuscinetto di nessuno, in un'area davvero strategica ed importante dello scacchiere geopolitico mondiale.
Per questo a nome de La Rosa nel Pugno dichiaro il voto favorevole ad entrambe le mozioni presentate, sottolineando che io e il collega Sergio D'Elia abbiamo sottoscritto la mozione del Vicepresidente Leoni, che ringrazio per il lavoro svolto, i contatti e l'istruttoria del testo in esame, e anche per la limpidezza con cui ha illustrato il nodo critico, sul quale anche il rappresentante del Governo ha voluto focalizzare la sua attenzione.
Il riconoscimento di una rappresentanza diplomatica al popolo saharawi, alla Repubblica araba democratica del saharawi e al Fronte Polisario è certamente un elemento nuovo e forte ma che, a nostro giudizio, deve essere valutato positivamente dal Parlamento ed è per questo che confermiamo la nostra convinta adesione a tale mozione.
Dopo oltre trent'anni di permanenza di una situazione incancrenita, che ha visto quella parte d'Africa sparire completamente dalle cartine geografiche e diventare una linea tratteggiata, poiché è stata sostanzialmente compresa nel territorio del Marocco, in nome dell'importanza, del ruolo e dell'amicizia che abbiamo con il Regno del Marocco, ritengo sia doveroso da parte nostra attivarsi per la risoluzione del problema. Forse pochi lo sanno, ma voglio ricordare che il re del Marocco, nel 1987, ebbe la capacità e la lungimiranza di chiedere l'adesione alle Comunità economiche e politiche europee, come elemento di gestione di una realtà regionale che nel rapporto con l'Europa, con il Mediterraneo e con l'Italia e la Spagna in particolare, trova la sua frontiera, che è una frontiera politica, di diritto e di conquiste civili.
E dunque, a questo Marocco che guarda all'Europa, che è amico e partner commerciale importantissimo, dobbiamo avere la forza di dire che riconosciamo, come rappresentanza diplomatica del popolo saharawi, la Repubblica democratica araba del saharawi e il Fronte Polisario; tale riconoscimento costituirebbe un aiuto di chiarezza e di franchezza per le trattative e gli incontri che in questi giorni e in queste settimane si stanno svolgendo, e che proprio nella rappresentanza del popolo saharawi individuano un elemento cardine delle trattative da svolgere intorno ad un tavolo che non può prescindere dal ruolo dei Paesi amici - in particolare Spagna e Italia - rispetto all'Algeria, al Marocco e alla zona più larga e complessiva.
Il Viceministro Intini si rimette all'Assemblea, mentre, per quanto ci riguarda, dichiariamo il voto favorevole su entrambe le mozioni presentate, consapevoli che la mozione Leoni n. 1-00159 - che abbiamo firmato e condiviso - presenta un elemento in più.
Il Governo, forse, può riscontrare un aspetto di provocazione e una spinta in avanti eccessiva, ma è questo il ruolo del Parlamento: la prudenza spetta al Governo, mentre il ruolo innovativo, di forza e anche di proposta spetta al Parlamento. Spero, dunque, che l'Assemblea voti a favore della mozione Leoni (Applausi dei deputati dei gruppi La Rosa nel Pugno e Verdi).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Venier. Ne ha facoltà.
IACOPO VENIER. Signor Presidente, condivido appieno gli auspici del Viceministro Intini sulla necessità di intervenire per realizzare, di fronte a noi, un Maghreb unito e partner della costruzione di un Mediterraneo di pace, di incontro, di cooperazionePag. 6e di sviluppo. Riteniamo, infatti, che proprio l'area del Mar Mediterraneo rappresenti uno snodo cruciale per la costruzione di una nuova e grande comunità politica che metta insieme le due sponde di questo mare.
Eppure, il Governo non ha voluto accennare, nel suo intervento, alla questione fondamentale della mozione in esame, ovvero il fatto che il diritto internazionale, le risoluzioni delle Nazioni Unite e il contesto della decolonizzazione riconoscono al popolo saharawi il diritto all'autodeterminazione e a poter scegliere autonomamente e liberamente il proprio destino su quel territorio, il Sahara occidentale, che è stato illegalmente occupato dal Marocco con un'operazione militare mai riconosciuta a livello internazionale e che mai potrà esserlo.
Siamo, quindi, di fronte ad un doppio problema. È necessario riconoscere sia i diritti dei popoli che hanno vissuto la lotta contro il colonialismo - i saharawi, infatti, hanno pagato un prezzo altissimo al colonialismo spagnolo - sia il diritto dei popoli che si battono contro le occupazioni illegali militari dei loro territori (i saharawi da trent'anni vivono sotto occupazione o sono espulsi quali esuli dal loro Paese).
Questo è il nodo fondamentale su cui l'Assemblea, oggi, è chiamata a pronunciarsi, ed è, quindi, importante che abbia piena consapevolezza dell'urgenza di risolvere e di dare una spinta decisiva alla soluzione di questo conflitto. Non ci si può occupare, infatti, dei problemi delle popolazioni martoriate solo quando queste usano gli strumenti della lotta armata per difendere i propri diritti.
Il popolo saharawi ha sempre investito nella legalità internazionale, nelle Nazioni Unite e nella relazione fraterna con i popoli del Mediterraneo. Tantissime famiglie italiane, inoltre, conoscono la vicenda di questo popolo sfortunato grazie alla presenza costante dei bambini nei campi che vengono, ogni anno, a farsi ambasciatori della disperazione, ma anche della speranza, di questo orgoglioso e coraggioso popolo del deserto.
Credo, quindi, che la mozione Leoni n. 1-00159 - che sosteniamo - contenga l'essenziale, in quanto racchiude la definizione di cosa sia oggi il Sahara occidentale: un territorio occupato illegalmente dal Marocco, dove vengono costantemente violati i diritti umani.
Si verificano sparizioni, arresti senza accusa, detenzioni illegali, torture denunciate dalle associazioni internazionali che si occupano di diritti umani e che sono state portate anche all'attenzione del Comitato permanente per i diritti umani della Camera dalle donne che vivono sotto occupazione.
Per quanto riguarda la condizione giuridica del Sahara occidentale, esso è riconosciuto come territorio occupato dall'Assemblea generale e dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, ma è anche riconosciuto come repubblica autonoma, la RASD, da oltre ottanta Paesi nel mondo, che hanno voluto, con il riconoscimento della RASD e non solo del Fronte Polisario, affermare il diritto fondamentale dei saharawi di poter decidere del proprio destino.
I saharawi hanno organizzato nei campi profughi e nelle tendopoli una struttura democratica laica, in cui sono garantiti i diritti fondamentali dell'uomo, delle donne e dei bambini all'istruzione.
Pertanto, la questione fondamentale, che sta alla base dell'accordo di pace che ha portato alla fine del conflitto armato, è il riconoscimento del diritto ad un referendum. Lo dobbiamo dire con amicizia fraterna al Marocco, perché non possiamo dimenticare che in Marocco è in corso un difficile e complesso, ma positivo, processo evolutivo, che ha visto anche l'emergere di elementi importanti di democrazia politica e di riconoscimento del ruolo e dei diritti, addirittura per quanto riguarda il diritto di famiglia nei confronti delle donne.
Il Marocco, però, deve riconoscere il diritto al referendum - che trova fondamento in una risoluzione delle Nazioni Unite e in un impegno della comunità internazionale - che oggi può essere esercitato,Pag. 7essendo stata sostanzialmente definita la platea degli aventi diritto a decidere del loro destino.
Quindi, non vi può essere un negoziato - come è stato detto - senza precondizioni. La precondizione fondamentale è che una delle opzioni del referendum deve essere la possibilità dell'autodeterminazione.
Altre opzioni possono essere valutate, come l'autonomia o addirittura l'annessione al Marocco ma, se non riconosciamo il diritto all'autodeterminazione nel processo politico negoziale ed anche nel referendum che si dovrà svolgere, avremo minato fondamentalmente il diritto di quel popolo, che si batte in modo politico per il proprio destino.
Infine, il negoziato richiamato nella mozione Leoni vede delle parti impegnate. Una di queste parti è il Fronte Polisario - e non può che essere così - che è il rappresentante legittimo e riconosciuto del popolo saharawi ed elemento fondamentale per la pace.
È per questo che chiediamo che lo status del Fronte Polisario sia riconosciuto. Non abbiamo chiesto, con la nostra mozione, il riconoscimento della RASD, ma dobbiamo fare un passo in avanti: non possiamo attendere altri trent'anni per affermare ciò che è nei fatti, cioè che il Fronte Polisario ha e deve avere uno status diplomatico in relazione alla rappresentanza del proprio popolo. L'Europa e, in particolare, l'Italia devono riconoscere lo stato dei fatti, anche perché in questo modo si può influire sul processo di pace in modo positivo.
Infine, vi è il dramma umanitario del popolo saharawi, che vive nei campi, su cui bisogna intervenire ancora di più. Bisogna dare risposte. Vi sono costanti problemi dovuti anche a brusche catastrofi climatiche. Poco tempo fa si è verificata un'enorme inondazione dei campi. Vi sono momenti drammatici per chi vive in quelle situazioni. Dobbiamo dare speranza e fiducia a quel popolo, che ha tanto investito nella legalità internazionale e nella relazione con l'Europa.
Ecco perché crediamo che questo sia il momento giusto e non abbiamo preoccupazioni.
Pensiamo, anzi, che attraverso la mozione in esame si possa chiarire al Marocco - in amicizia, lo ripeto - che l'unica strada possibile del negoziato è quella del riconoscimento reciproco della legalità e, quindi, del diritto all'autodeterminazione, che poi verrà esercitato e che deve essere garantito dalla comunità internazionale.
Vi è un muro di guerra che divide il Marocco dal resto della comunità araba e dall'Africa: tale muro deve essere abbattuto con la pace, con la relazione, con il dialogo.
Ma vi è anche un'ultima questione - lo voglio ricordare al nostro Governo - che deve essere assolutamente affrontata: il Sahara occidentale non è una «scatola di sabbia», ma è un luogo ricchissimo, di risorse ittiche, di fosfati, di petrolio e per la sua posizione geopolitica. L'ipocrisia di alcuni Stati europei, che parlano di diritto e di legalità, ma poi non vogliono affrontare i problemi fondamentali - concludo, signor Presidente - che sono legati all'affermazione del diritto del popolo saharawi di decidere delle proprie risorse, deve cadere e non deve vedere il nostro Governo complice.
È per questo motivo che credo che l'Assemblea debba votare in modo convinto, unitario e trasversale la presente mozione, che afferma un diritto che non può essere cancellato (Applausi dei deputati del gruppo Comunisti Italiani).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Forlani. Ne ha facoltà.
ALESSANDRO FORLANI. Onorevole Presidente, colleghi, ci troviamo di fronte, per ciò che riguarda le prospettive del popolo saharawi, ad una questione che - come è stato sottolineato dagli altri colleghi che sono intervenuti - si trascina da troppo tempo.
La cessazione delle ostilità e del conflitto armato avvenuto molti anni fa, nella prospettiva della definizione del processoPag. 8di pace, non può renderci completamente sicuri e tranquilli in termini di stabilità di quell'area. Infatti, quando le promesse, le aspettative e gli impegni per troppo tempo vengono disattesi, dopo solenni formalizzazioni, facilmente le tensioni possono di nuovo esplodere, le speculazioni e le strumentalizzazioni possono trovare terreno favorevole e le derive di tipo fondamentalista ed estremista, nel senso della destabilizzazione, possono esercitare la loro influenza.
Sappiamo quanto, nell'area islamica, nel mondo arabo e nel Medio Oriente siano forti oggi le tensioni e i disegni strategici di destabilizzazione e come essi si propaghino in modo contagioso, soprattutto nelle situazioni dove emergono insoddisfazioni e frustrazioni in ordine alla divisione delle risorse, del territorio e alla sovranità.
Pertanto, quello del popolo saharawi è un tema che deve trovare una soluzione: vi sono ormai tutti gli strumenti (tutte le deliberazioni del diritto internazionale) che hanno indicato la strada che deve essere seguita. Non stiamo parlando di diverse opinioni su quella che deve essere la soluzione, perché la strada è comunque quella dell'autodeterminazione, ossia della scelta da parte del popolo saharawi, mediante referendum, del proprio avvenire: se restare in qualche modo assorbiti dal Regno del Marocco - come è avvenuto in via di fatto, ma senza alcun elemento di diritto che possa sostenere tale situazione - oppure se diventare uno Stato indipendente, sovrano e distinto dal Regno del Marocco.
Questa è la strada maestra indicata dalle Nazioni Unite; ciò è quanto è stato detto solennemente al popolo saharawi ed è stato sino ad oggi disatteso, con intenti dilatori, con vari tatticismi che hanno portato il problema molto avanti nel tempo, consolidando uno stato di fatto che è chiaramente, protraendosi, diventa sempre più difficile da rimuovere.
Credo che la comunità internazionale debba intervenire in modo più intenso, più deciso e più pressante rispetto a quanto è stato fatto in passato nel momento in cui le due parti e le Nazioni Unite da sole non si sono rivelate in grado di raggiungere una soluzione. È importante che la comunità internazionale, i Paesi terzi rispetto a questa vicenda e le organizzazioni internazionali facciano sentire la propria voce e lascino percepire l'urgenza di una soluzione.
È vero che il popolo saharawi ha avuto pazienza, ma io ho visitato i campi profughi di Tindouf in Algeria dove si sono insediati i saharawi che non hanno accettato di vivere sotto la sovranità del Marocco: ho trovato nuove generazioni nate in quei campi che si trovano oggi senza una prospettiva, senza un Paese, senza una terra, senza conoscere il proprio futuro e senza la prospettiva di svolgere un ruolo sociale ed economico e di un avvenire dignitoso, vivendo in condizione di povertà e di grande disagio sociale, economico e igienico, completamente a carico della comunità internazionale.
La situazione non può rimanere tale! Si ravvisa anche fortemente critica la condizione dei saharawi che vivono in quella parte del Paese occupata dal Marocco nella zona di El Aaiun - anche quella visitata dai parlamentari - che, rispetto alle condizioni della popolazione saharawi che vive sotto la sovranità marocchina (abbiamo ricevuto più volte segnalazione dalle organizzazione internazionali e dallo stesso Fronte Polisario), subiscono violazioni dei diritti umani, repressioni e oppressioni che non sono accettabili, che non possono essere ancora tollerate e che non possono proseguire, soprattutto alla luce delle deliberazioni adottate dalla massima espressione della comunità internazionale che è il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.
Anche io come altri colleghi ribadisco la mia amicizia e il mio apprezzamento per il Regno del Marocco, una grande potenza africana, una potenza con rapporti consolidati e distesi con l'Occidente, tanto di ordine politico quanto di ordine economico. Si tratta di uno Stato che ha saputo resistere alle lusinghe e alle influenze del fondamentalismo e degli estremismi e alla tentazione autoritaria. InPag. 9fondo, è un Paese arabo che ha un Parlamento, dei partiti, dove si svolgono elezioni e in cui gradualmente si sviluppa un processo di acquisizione di una coscienza e di un ordinamento democratico. Ritengo, quindi, molto importante l'attenzione - giustamente rilevata dal Viceministro Intini - rivolta alle relazioni con il Marocco, per incoraggiarlo in tale prospettiva. Ma l'aspetto della politica marocchina relativo all'occupazione indebita del Sahara occidentale dopo la fine della colonizzazione spagnola ritengo debba essere criticato e censurato, perché non trova fondamento sotto il profilo del diritto internazionale.
Non c'è nessun elemento che possa giustificare una sovranità del Regno del Marocco su quell'area; del potere sovrano è depositario il popolo saharawi, che dovrà votare e decidere. Noi dobbiamo andare in questa direzione.
Sono stati proposti più piani di attuazione della prospettiva di autodeterminazione: l'ultimo piano Baker, per come era formulato e articolato, appariva quasi più favorevole alle ragioni più volte ribadite dal Regno del Marocco che non a quelle dei saharawi, ma è stato ugualmente rifiutato. In quel caso abbiamo percepito atteggiamenti dilatori che non sono costruttivi né utili, ma che ostacolano e rendono più tesi gli stessi rapporti tra Marocco e Algeria e allontanano la prospettiva di realizzazione di quell'unione maghrebina che, sull'esempio della Unione europea, dovrebbe diventare un elemento di stabilizzazione e di ulteriore pacificazione, crescita e sviluppo di quell'area geografica e di tutta l'area araba dell'Africa del nord.
Quindi anche sotto il profilo geopolitico, nella prospettiva di una più ampia stabilizzazione, di un più ampio superamento dei conflitti e della realizzazione di una maggiore distinzione, la soluzione del problema, circoscritto ai saharawi ed al Sahara occidentale, potrebbe portare a risultati positivi per tutta la comunità internazionale ed in particolare per tutta l'area.
Ricordo che la Repubblica araba saharawi democratica, la RASD, non riconosciuta dal nostro Governo, è tuttavia riconosciuta dall'Unione africana e vi è una forte condivisione in ambito africano delle ragioni di questa popolazione, che non è mai stata soggetta al Regno del Marocco. L'area era una colonia spagnola, ed oggi si trova indebitamente e di fatto occupata, dopo la «marcia verde», dai coloni marocchini, con una forte presenza militare del Marocco.
Se nella mozione Leoni ed altri n. 1-00159, di cui sono firmatario, troviamo anche dei toni, non dico polemici, ma particolarmente risoluti e determinati, questi ultimi sono legati al tentativo di scongiurare e vanificare certi intenti dilatori che si sono ravvisati nel tempo, e non di ostacolare le negoziazioni - come affermava il Viceministro - bensì di dare un impulso più forte e far sentire, da parte del Parlamento di un grande Paese come quello italiano (nei limiti di quella che può essere la sua influenza) amico sia del Marocco sia dei saharawi, l'apprensione, la preoccupazione e la fretta di risolvere un problema che si è andato incancrenendo e che può produrre nel tempo effetti destabilizzanti.
Per tali ragioni preannuncio il voto del mio gruppo a favore della mozione Leoni ed altri n. 1-00159. Per quanto riguarda la mozione Fabris ed altri n. 1-00203, non vedo francamente significative differenze nei contenuti, nella sostanza, negli intenti e negli obiettivi che vengono perseguiti, e ritengo pertanto che si possa esprimere voto favorevole anche su tale atto di indirizzo, perché non vi sono incompatibilità.
Spero - rimettendosi il Governo, come ha affermato il Viceministro Intini, al voto del Parlamento - che il nostro atto e la nostra presa di posizione possano accelerare una soluzione favorevole che sia condivisa dalle due parti e che non lasci uno strascico di tensioni e di polemiche o di risentimenti, assicurando finalmente dignità, territorio e risorse ad un popolo innocente che da trent'anni subisce questa ingiustizia (Applausi dei deputati dei gruppi UDC (Unione dei Democratici Cristiani ePag. 10dei Democratici di Centro) e Sinistra Democratica. Per il Socialismo europeo).
PRESIDENTE. Ricordo che alle 12 è prevista la riunione del Parlamento in seduta comune e che a tal fine occorre sospendere la seduta alle 11,45 circa, per consentire la predisposizione delle cabine di voto. Al fine di concludere l'esame delle mozioni entro tale ora, occorre, da parte di ciascuno di noi, uno sforzo di brevità.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Cioffi. Ne ha facoltà.
SANDRA CIOFFI. Signor Presidente, accolgo senz'altro il suo invito. Ringrazio il Viceministro Intini per averci chiarito una situazione per la quale proprio questo Parlamento sta dimostrando, come sempre, di avere un grande interesse.
Credo che l'obiettivo di cercare di portare la pace in un luogo che è drammaticamente attraversato da grandi problemi come quelli del popolo saharawi sia comune. Sono tuttavia d'accordo sul fatto che in questo momento - come proposto dal Governo, del quale accetto l'invito - è importante astenersi da iniziative che potrebbero compromettere un momento così delicato, tenuto conto che alla fine di agosto si terranno le importantissimi riunioni cui si è fatto riferimento.
Il collega Leoni ha rammentato l'approvazione di un documento, nella materia in esame, da parte del Parlamento spagnolo, nel quale si afferma che è necessario astenersi dal promuovere qualsiasi azione che possa compromettere il lavoro che si sta svolgendo all'ONU. Vorrei anche ricordare che il Fronte Polisario non è assolutamente citato in tale documento del Parlamento spagnolo.
Quindi, in realtà, la mozione presentata dal gruppo Popolari-Udeur rispecchia perfettamente quella approvata dal Parlamento spagnolo. Però, nonostante questo, rendendoci conto della delicatezza della situazione, riteniamo opportuno ritirarla perché, considerato che alla fine di agosto si svolgeranno gli incontri, riteniamo necessario aiutare questo «effetto serra» di cui ha parlato il Viceministro Intini. Il più grande aiuto può essere quello di vigilare e di seguire con attenzione il processo, che in realtà l'Italia ha sempre seguito, e di non creare problemi che possono impedire ciò che tutti quanti noi in questo Parlamento trasversalmente auspichiamo, vale a dire la soluzione del drammatico problema del popolo saharawi, per il quale è veramente necessaria una definizione rapida della crisi. Si tratta, infatti, di una crisi che ormai da anni attraversa quella popolazione e che colpisce soprattutto i più deboli, le donne, i bambini, gli anziani: ciò è sotto gli occhi di tutti.
Ritirare la nostra mozione non significa non essere interessati, ma significa solamente auspicare che finalmente la situazione trovi una risoluzione. Ciò non toglie - lo dico fin da adesso - che, se alla fine di agosto e nei prossimi mesi la situazione non si sbloccherà e non andrà avanti verso un processo di pacificazione di quella zona, saremo noi per primi a ripresentare la nostra mozione. Quindi invito i colleghi a tenere conto dell'appello del Governo: in fondo, siamo a luglio, si tratta solamente di aspettare un mese, visto che alla fine di agosto ci saranno i prossimi incontri; attendere, anziché far precipitare la situazione, potrebbe senz'altro aiutare.
Pertanto, annuncio il ritiro della mozione Fabris ed altri n. 1-00203, di cui sono cofirmataria, e l'astensione sulla mozione Leoni ed altri n. 1-00159, qualora sia posta in votazione. Questa posizione vuole costruire e incrementare in modo continuo i rapporti con il nord dell'Africa, e in particolare con il Marocco e con l'Algeria. È un obiettivo da perseguire e da raggiungere, cercando di capire quale sia la strada migliore per costruire nel Mediterraneo, tenuto conto della posizione strategica dell'Italia, un rapporto che aiuti la pace, combatta l'immigrazione clandestina e dia la possibilità di incrementare le relazioni economiche e commerciali, utili per il nostro Paese e per tutti i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Quindi, invito ancora una volta i colleghi ad ascoltare la proposta del Governo; ma, nel caso in cui non lo facessero, il gruppo PopolariPag. 11Udeur si asterrà sulla mozione Leoni ed altri n. 1-00159
(Applausi dei deputati del gruppo Popolari-Udeur).
PRESIDENTE. Prendo dunque atto che la mozione Fabris ed altri n. 1-00203 viene ritirata dai presentatori.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Giancarlo Giorgetti. Ne ha facoltà.
GIANCARLO GIORGETTI. Signor Presidente, la storia del conflitto nel Sahara occidentale è impressionante per la sua durata. È dal 1965 che il territorio del Sahara occidentale fa parte della lista, stilata dalle Nazioni Unite, dei territori che sono limitati nel loro diritto all'autodeterminazione. Da allora, il termine autodeterminazione non è mai scomparso dai successivi atti internazionali, in particolare da quelli dell'ONU riguardanti la vicenda. Lo stesso Marocco non si è mai opposto ufficialmente alla necessità di un referendum del popolo saharawi sulle proprie prospettive politiche. Nel piano di pace firmato nel 1988, infatti, con la prospettiva del referendum, si riconosceva anche, da entrambe le parti, l'esistenza di una questione politica e di un interlocutore, il popolo saharawi, con legittime aspirazioni. Nessuno ha poi dato seguito alle parole pronunciate: certamente non il Marocco, che ha in concreto reso impossibile l'attuazione del piano di pace, ma nemmeno le Nazioni Unite, che hanno inviato una missione, ancora oggi sul campo, con il preciso compito di rendere possibile lo svolgimento di un referendum.
Dal 1991 ad oggi si è riusciti a concludere solo un censimento della popolazione, peraltro contestato dal Marocco. L'unico soggetto cui possiamo dare atto di aver mantenuto gli impegni assunti è proprio il Fronte Polisario, che ha rinunciato unilateralmente e senza contropartita alla lotta armata.
La discussione odierna sul tema è giustamente sollecitata dal recente riavvio dei negoziati tra la Repubblica saharawi e il Regno del Marocco, sulla scia della risoluzione n. 1754 del Consiglio di sicurezza dell'ONU del 30 aprile scorso. Ma iniziative e mozioni sulla questione del Sahara occidentale si discutono e si approvano in questa Assemblea sin dai primi anni Novanta. Non è in discussione, quindi, l'attenzione di questo Parlamento verso la necessità di una soluzione condivisa e definitiva della vicenda. Ovviamente, in mancanza di concreti punti di svolta e dopo più di trent'anni di occupazione marocchina, cristallizzatesi all'ombra della missione ONU, il dubbio di un ennesimo rinvio nei tempi e senza motivazioni di rilievo, raffredda un po' le speranze.
Signor Viceministro Intini, non è stato un bell'intervento quello del rappresentante del Governo durante la discussione sulle linee generali: il sottosegretario Craxi ci ha descritto il ruolo di terzietà giocato dal nostro Paese, vale a dire eguale amicizia verso il Marocco, l'Algeria e il popolo saharawi, concetti, peraltro, ribaditi nel suo intervento di oggi. Ritengo, tuttavia, che un'amicizia sana e solida non escluda prese di posizione nette e dure, se necessario, su punti specifici. Non vedo il rischio connesso a iniziative unilaterali, se le iniziative sono quelle proposte dalla mozione Leoni ed altri n. 1-00159, perché facilitare la soluzione del conflitto, in particolare nel periodo in cui l'Italia gode di un seggio al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, non significa altro che stimolare costantemente il processo negoziale, senza alcuna sovrapposizione.
Vorrei soffermarmi su un punto della mozione, che ritengo importante e attuabile se sussistesse, in tal senso, una volontà reale da parte del Governo: riconoscere al Fronte Polisario lo status diplomatico è atto che rientra nella piena disponibilità del Governo e che, con oneri praticamente simbolici, offrirebbe un altissimo sostegno morale e politico alla causa del popolo saharawi. Non dimentichiamo che la Repubblica del Sahara occidentale è riconosciuta da 76 Paesi nel mondo, è interlocutore delle Nazioni Unite e membro dell'Unione africana. Non sussiste impedimento oggettivo, e l'apertura di relazioniPag. 12diplomatiche costituisce sempre un canale di sostegno, ma anche di pressione, nei confronti di un altro Paese.
Sarebbe una mossa coraggiosa e segnerebbe, realmente, una svolta e una novità da parte dell'Italia, offrendo anche un messaggio inequivocabile alla comunità internazionale; segnerebbe, oltretutto, un atto di coerenza rispetto a quanto già concesso alla delegazione in Italia dell'Autorità nazionale palestinese, la quale, dal 1996, gode di status diplomatico e di contributi statali per la sede di rappresentanza, come forma di sostegno alla soluzione del conflitto mediorientale. Credo che, a maggior ragione, la causa saharawi - che si è a lungo trascurata, ma che è anche totalmente priva di aspetti legati al terrorismo e che, da molto tempo, ha superato la lotta armata - meriti uno status diplomatico riconosciuto.
Viceministro Intini, ho ascoltato con attenzione il suo intervento. Lei, abilmente, ha girato al largo, e con una prudenza che probabilmente è connessa al ruolo che riveste, ha evitato di usare, nel suo intervento, un termine che, tuttavia, racchiude il significato profondo della questione e che è anche il motivo per cui voteremo con convinzione a favore della mozione Leone ed altri n. 1-00159: ha evitato di usare il termine autodeterminazione (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).
L'autodeterminazione, vale a dire la possibilità di esprimersi con un referendum (che, peraltro, il Fronte Polisario ha già ribadito più volte di voler accettare), è il motivo che ci spinge a provare simpatia verso tutti i popoli in lotta, democraticamente, per la propria libertà; il principio dell'autodeterminazione è, altresì, il motivo che ci spinge a votare con convinzione a favore della mozione Leoni ed altri n. 1-00159
(Nuova formulazione), che abbiamo anche sottoscritto (Applausi dei deputati dei gruppi Lega Nord Padania e Sinistra Democratica. Per il Socialismo europeo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole De Zulueta. Ne ha facoltà.
TANA DE ZULUETA. Signor Presidente, la crisi del popolo saharawi si è protratta molto a lungo - come hanno ripetuto i colleghi, troppo a lungo - e di ciò siamo convinti.
La storia della profonda cooperazione, non solo dei partiti ma soprattutto della società civile italiana, e la solidarietà che ha unito il nostro popolo, le nostre città e le nostre province a quel popolo così martoriato, rappresenta una pagina importante della storia dei nostri rapporti con il Sahara e con il Maghreb. Vorremmo rimanere e rafforzare questo percorso. Inoltre, pensiamo che una mozione che, in tale fase delicata ma importante, incoraggi un negoziato diretto fra le parti, rappresenti qualcosa di utile.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PIERLUIGI CASTAGNETTI (ore 11,05)
TANA DE ZULUETA. Ritengo che il Governo abbia fatto bene a rimettersi all'Assemblea. Tuttavia, vorrei far subito presente che condivido le considerazioni espresse dal Viceministro degli affari esteri, Intini. Voteremo a favore della mozione Leoni ed altri n. 1-00159, firmata anche dal collega Boato. Successivamente spiegherò i motivi per cui anch'io vorrei chiederne la votazione per parti separate.
Ritengo che la violazione dei diritti umani, citata all'inizio della mozione in discussione, rappresenti un punto molto importante e che i colleghi abbiano fatto bene a mantenere tale riferimento. Ciò rappresenta altresì un elemento sottolineato dalla mozione depositata in seno al Parlamento spagnolo dai colleghi del gruppo Catalunya Verds e della Izquierda unida. Nell'ambito del Comitato permanente sui diritti umani della Commissione affari esteri della Camera dei deputati, si è svolta un'audizione, nel corso della quale abbiamo potuto ascoltare importanti testimonianze su quanto poco siano tutelati iPag. 13diritti fondamentali delle persone che si trovano nel Sahara attualmente occupato.
Inoltre, vi sono anche i diritti di coloro che sono stati costretti a fuggire e vivono in condizione di grave difficoltà nei campi attualmente situati in Algeria. L'Italia ha sempre mostrato grande attenzione ai bisogni di questa popolazione. Tuttavia, ritengo che probabilmente sia un peccato che la mozione in discussione non vi faccia riferimento e non impegni il Governo ad una particolare attenzione nel vigilare affinché non vi siano problemi di sussistenza e non si aggravi il rischio di una crisi alimentare in tali campi. Pertanto, vorrei chiedere al Governo, anche se non ve ne è cenno nell'ambito di tale mozione, di seguire anche questo aspetto, assicurando un quadro di adeguate garanzie umanitarie per la popolazione che vive nei campi, anche sotto l'egida dell'ONU.
Giustamente, la mozione Leoni ed altri n. 1-00159, pone altresì il principio di autodeterminazione, ribadito anche nel documento, citato da parte del Viceministro Intini, dell'Internazionale socialista, e ripetutamente confermato dall'Organizzazione delle Nazioni Unite in diverse risoluzioni dell'Assemblea e, da ultimo, nella risoluzione del Consiglio di sicurezza n. 1495 del 2003. Tuttavia, lo sviluppo più interessante si è avuto quest'anno, mediante la risoluzione del Consiglio di sicurezza n. 1754 del 30 aprile 2007, nella quale si sostiene il negoziato diretto fra le parti.
Si tratta di uno sviluppo importante, che testimonia un'evoluzione politica in Marocco, un'attenzione ed una maggiore flessibilità, che non possiamo che sostenere ed incoraggiare.
Per tale motivo sarebbe forse opportuno accogliere la richiesta del Governo e non votare a favore di quella parte del dispositivo in cui si fa una richiesta molto particolare: il riconoscimento dello status diplomatico alla rappresentanza del Fronte Polisario in Italia; delegazione che ha lavorato bene e con grande efficacia per lunghi anni. Sarebbe una forzatura che andrebbe, come dire, a predeterminare l'esito di un negoziato che è in corso.
Concedere lo status diplomatico vuol dire predeterminare l'esito in quanto si riconosce una sovranità piena, una statualità all'interlocutore così come si è fatto con l'Organizzazione per la liberazione della Palestina. A tale proposito, faccio notare ai colleghi che anche il Governo di Israele riconosce e saluta la creazione di uno Stato sovrano palestinese, ma c'è una grande differenza. Allora, proprio accogliendo quello che era il cuore della risoluzione spagnola, cioè di non creare problemi al negoziato, credo che sarebbe opportuno accogliere l'invito del rappresentante del Governo. Ci sono stati cambiamenti nella situazione di cui dobbiamo tenere conto al fine di arrivare a quella soluzione positiva che tanto desideriamo.
Ringrazio i colleghi che si sono occupati della questione con costanza e si sono fatti portatori di un'istanza molto seguita nel Paese, che spero potremo oggi onorare nel modo più efficace, facilitando il raggiungimento di una soluzione pacifica di un conflitto che si è trascinato troppo a lungo e che deve essere risolto (Applausi dei deputati del gruppo Verdi).
PRESIDENTE. Mi permetto di ribadire la sollecitazione rivolta poc'anzi dalla Vicepresidente Meloni di contenere, se possibile, la durata degli interventi, ferma restando la prerogativa di ogni parlamentare, in modo da riuscire a votare la mozione prima della sospensione della seduta prevista per le 11,45, dovendo il Parlamento in seduta comune procedere all'elezione di un giudice costituzionale. Abbiamo, quindi, davvero molto poco tempo. A tale fine, conto sulla comprensione dei colleghi.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Evangelisti. Ne ha facoltà.
FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente raccoglierò senz'altro il suo invito e sarò brevissimo anche perché si rischia di ripetere cose che si sono dette più volte non soltanto questa mattina, ma in questi anni, direi in questi decenni, in cui abbiamo cercato di prestare attenzione ePag. 14portare la nostra solidarietà al dramma che vive il popolo saharawi.
Ho grande rispetto per la posizione assunta dal Governo, in particolare dal Viceministro Intini; capisco, inoltre, che se da quello scranno ci viene rivolto un invito, questo lo dobbiamo prendere assolutamente in considerazione, sebbene ci si debba ragionare sopra. Intendo dire che sicuramente non può essere accolto l'invito a non fare niente, però c'è da interrogarsi su quel passaggio difficile che veniva poco fa sottolineato, ossia il riconoscimento dello status diplomatico ai rappresentanti in Italia del Fronte Polisario.
Poco fa la collega De Zulueta - a cui presto sempre molta attenzione e che considero una delle più sensibili espressioni del panorama politico italiano in tema di diritti umani - ha ricordato come in questo momento, più che di un riconoscimento, ci sarebbe bisogno di attenzioni materiali, persino del sostentamento alimentare al popolo saharawi.
Permettetemi di fare una breve digressione: io provengo da una regione, la Toscana, che, come istituzione, da anni è impegnata a sostenere le istanze del popolo saharawi. C'è un comune nella provincia di Firenze particolarmente attivo nelle relazioni con tale popolo, tant'è che ogni anno ospita centinaia di bambini saharawi i quali trascorrono, accolti in famiglie, almeno 15 giorni di vacanza nel nostro Paese.
In questi anni abbiamo potuto appurare quanto sia considerata importante questa vicinanza, questa forma di solidarietà, che si concretizza nell'inviare viveri e medicinali, nell'installare negli accampamenti del popolo saharawi le celle frigorifere per mantenere le derrate alimentari, ma quello che ci viene chiesto oggi è di concorrere a trovare una soluzione definitiva del loro problema.
Il riconoscimento dello status diplomatico non deve e non può suonare come un'offesa per altri interlocutori. Poiché c'è questa novità dell'avvio dei negoziati sulla base dell'ultima risoluzione delle Nazioni Unite, noi vorremmo - parlo al plurale perché anche il gruppo dell'Italia dei Valori, con Leoluca Orlando, ha sottoscritto la mozione di cui è primo firmatario l'onorevole Leoni - non accentuare i dissapori e i problemi esistenti, ma sottolineare lo sforzo profuso in questo caso dall'ONU e, quindi, favorire l'azione diplomatica.
Il riconoscimento può suonare come un'offesa? No, il riconoscimento è nelle corde del popolo italiano e nella tradizione diplomatica del nostro Paese. Suona, invece, persino offensivo che i rappresentanti del Fronte Polisario in Italia possano operare soltanto con un visto di carattere turistico.
Per tale motivo, sono favorevole, se ci saranno le condizioni - lo dico, in primo luogo, all'onorevole Leoni -, anche ad una riformulazione della mozione; ma se le condizioni non vi fossero, non credo che verrebbe alcun nocumento ai negoziati in corso se la Camera dei deputati italiana votasse a favore della mozione Leoni ed altri nella sua interezza (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Barani. Ne ha facoltà.
LUCIO BARANI. Signor Presidente, ovviamente il suo invito alla brevità sarà tenuto in grande considerazione.
Intervengo, innanzitutto, per chiedere di apporre anche la mia firma alla mozione Leoni ed altri e per dire al rappresentante del Governo che noi non possiamo condividere la sollecitazione che ci ha rivolto, perché il punto centrale, il più importante, di questa mozione è proprio il riconoscimento dello status diplomatico alla rappresentanza in Italia del Fronte Polisario È questo, lo ripeto, il punto centrale! Noi non possiamo, se vogliamo votare questa mozione, attenerci a quello che ci dice il Parlamento spagnolo o a quello che altri ci dicono - di stare in silenzio, perché altrimenti potremmo alterare gli equilibri - al fine di trovare una soluzione al problema, che si protrae dal 1965, cioè da più di quarant'anni. No, il nostro grido a favore di questo popolo delPag. 15Sahara occidentale lo dobbiamo lanciare senza «se» e senza «ma»! Il Parlamento italiano non può essere condizionato da altri! Altri ci condizionano e ci dicono: «occhio se dite qualcosa di più».
Condivido gli interventi svolti da quasi tutti i colleghi intervenuti, tranne quelli di colleghi che affermano che bisogna votare la mozione per parti separate. La mozione in esame tratta argomenti che sono un tutt'uno; ogni parte del dispositivo è importante per intervenire su una situazione che ormai si è incancrenita.
Vorrei suggerire ai due rappresentanti del Governo che sono intervenuti, cioè al Viceministro Intini e all'altro Viceministro presente nel corso della discussione sulle linee generali, che forse, se prendessero a riferimento colui che è stato per uno il padre biologico e per l'altro il padre politico, si renderebbero conto che quello statista aveva più coraggio di quello che questo Governo sta mostrando! Quando doveva essere riconosciuto il popolo palestinese e aprire la prima ambasciata in Italia, negli anni Ottanta, egli lo ha fatto senza «se» e senza «ma», anche contro i pareri espressi da altri Paesi europei, perché aveva capacità e coraggio, sapeva quello che andava a fare e non avrebbe mai proposto al Parlamento di compiere un passo indietro. A quell'insegnamento, quindi, vi invito a riferirvi, perché sicuramente, se ci fossero statisti di quel livello oggi in Italia, le violazioni dei diritti umani che il popolo saharawi continua a subire sarebbero cessate. Com'è possibile che il Parlamento italiano sia sensibile su un problema così importante, ma che ai rappresentanti di quel popolo, per venire in Italia, si debba ancora concedere il visto turistico e non già il riconoscimento dello status di rifugiati politici?
Per tale motivo, noi voteremo la mozione in esame nella sua interezza, invitando il Governo a guardare indietro, a chi aveva grande capacità, e a trarre da quegli esempi le dovute conclusioni. La voteremo, ripeto, nella sua interezza e invitiamo i colleghi a fare altrettanto. Dobbiamo avere il coraggio di farlo senza essere ricattati o a mezzo servizio perché altri Parlamenti ci chiedono di non esagerare nel difendere, anzi nell'urlare il nostro totale appoggio all'autodeterminazione di quel popolo, che non merita le sofferenze che gli stanno facendo partire.
PRESIDENTE. Invito alcuni colleghi del gruppo di Forza Italia, che stanno telefonando, ad abbassare almeno i toni, perché disturbano i colleghi che sono vicini e sicuramente quelli che stanno parlando. Purtroppo, i colleghi in questione non mi stanno ascoltando. È il caso che qualcuno glielo dica.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Rivolta. Ne ha facoltà.
DARIO RIVOLTA. Signor Presidente, desidero manifestare al Viceministro Intini il duplice sentimento che ha suscitato in me la sua interessante relazione.
Il primo è di approvazione, di ammirazione e anche, come parlamentare e cittadino italiano, di gratitudine per quello che il Governo italiano sta facendo, in modo particolare negli ultimi tempi presso l'ONU, quale sede competente, per cercare di recare rimedio a una situazione che, come da più parti è stato sostenuto, si è malauguratamente incancrenita, con gravi sofferenze da una parte e dall'altra e col coinvolgimento, in termini di rapporti, fra due Stati vicini che, come il Viceministro ha sottolineato, sono entrambi nostri amici.
Sono molto soddisfatto - ringrazio per questo il Viceministro - del fatto che l'ultimo incontro svoltosi all'ONU su tale problematica abbia fatto registrare una posizione attiva dell'Italia ai fini di una mediazione.
Il Viceministro ha ricordato quanto è contenuto nella premessa della mozione Leoni ed altri, ovverosia che nel mese di agosto, il giorno 10, il negoziato proseguirà, con buone chances che esso arrivi a buon fine: almeno questo è l'auspicio che tutti rivolgiamo. Siamo convinti che il Governo, in nome del Parlamento italiano, farà tutto ciò che è nelle sue possibilità affinché si arrivi a una soluzione positiva che ponga termine, o almeno ponga lePag. 16premesse perché questo avvenga, alle sofferenze che in quell'area del mondo più persone, non soltanto sedicenti appartenenti al popolo saharawi, ma anche sedicenti puramente marocchini, stanno patendo.
Vi è però l'altro dei sentimenti che sono nati in me nell'ascoltarla, signor Viceministro: esso paradossalmente si contrappone al precedente, poiché è di delusione. Infatti, signor Viceministro, lei - e tutti coloro che con lei hanno riflettuto sulle mozioni presentate - ha certamente e attentamente letto parola per parola la parte dispositiva della mozione presentata dai colleghi Leoni ed altri. E dal momento che voi vi occupate, per ragioni istituzionali, di politica estera, certamente non vi è sfuggito che alcune affermazioni contenute in essa, in questa situazione non soltanto potrebbero rendere più difficile l'opera di mediazione, come lei ha sottolineato, ma addirittura, in circostanze normali, potrebbero creare problemi nei rapporti bilaterali fra l'Italia e il Regno del Marocco.
Signor Viceministro, quando vi è un negoziato in corso - lei lo ha detto molto bene - esso deve avvenire, se vi sono possibilità di riuscita, il più possibile lontano dai riflettori e soprattutto al riparo da pressioni che delegittimino uno dei mediatori nella sua funzione. Ora, è evidente a tutti che, dopo tanti anni - almeno dieci - che il Parlamento si occupa della vicenda, la possibile vicinanza di una soluzione positiva va guardata con attenzione eccezionale. Dunque, dopo tutti questi anni, perché vi è tanta fretta? Si vuol forse esercitare una pressione specifica? Si vuol forse porre voi negoziatori - o chi per il Governo effettuerà la negoziazione - nella difficile posizione di doversi giustificare e di dire che non si può mediare? Lei ha giustamente sottolineato questo aspetto; ma non ha evidenziato il fatto che, nell'ultima parte del dispositivo, si rigetta la politica non solo del Governo italiano, ma anche di tutti i Paesi europei in relazione ai rapporti con il Regno del Marocco. Dal momento in cui la mozione dovesse essere approvata, si negherebbe al Governo italiano qualunque possibilità di riconoscere al Governo del Marocco ogni tipo di autorità su una parte di territorio, che fino ad oggi noi, così come gli altri Paesi europei, abbiamo continuato - mi dica lei se abbiamo finto di continuare - a considerare una regione amministrata legittimamente, sia pur in presenza di punti interrogativi cui si doveva dare risposta, da parte del Regno del Marocco.
Signor Viceministro, la delusione nei confronti del suo intervento si è completata quando lei ha affermato che il Governo si rimette all'Assemblea. È ovvio che il Governo si rimette all'Assemblea: mi dica quando il Governo potrebbe (o vorrebbe) non rimettersi all'Assemblea. Il Governo deve sempre, nei fatti, rimettersi all'Assemblea, poiché, secondo la Costituzione, sovrano è il Parlamento e non il Governo, che è un organo esecutivo. Allo stesso tempo, però, il Governo ha il dovere di informare il Parlamento della sua posizione e anche delle possibili conseguenze di scelte che quest'ultimo può compiere. In particolare nel caso della politica estera non è detto che tutti membri del Parlamento possano essere immediatamente a conoscenza del cento per cento delle conseguenze dei propri atti. In proposito, però, lei ha esposto solo una parte di queste conseguenze, non l'altra: cioè non ha detto quelle che sarebbero le conseguenze nei rapporti bilaterali con il Regno del Marocco nel momento in cui questa mozione dovesse essere approvata. Eppure ciò non può esserle sfuggito.
Noi sappiamo, signor Viceministro, che in quella zona è auspicabile ed indispensabile - lo abbiamo detto e sostenuto anche come gruppo di Forza Italia, votando in favore di risoluzioni presentate in Commissione - che si arrivi ad un referendum per l'autodeterminazione; sappiamo che questo è il disegno proprio delle negoziazioni in corso. Sappiamo, altresì, che il Marocco non ha mai negato questa possibilità: dal piano Baker in poi, il contenzioso verteva e verte - e speriamo non verterà più - su chi sia titolato a partecipare a tale referendum.
È una sottigliezza. In tutti i referendum e in tutte le elezioni il problema principePag. 17- oltre, evidentemente, a decidere di tenere le elezioni - è costituito dalla decisione riguardo a chi potrà parteciparvi. Pertanto, si tratta - come lei sa - di uno dei punti cruciali, mentre l'altro è rappresentato dai rapporti bilaterali tra Marocco e Algeria, che lei ha opportunamente citato.
Signor Viceministro, lei ha invitato il Parlamento ad esprimersi, però ha detto anche di non auspicarsi che si arrivi a votare. È un modo, un po' nascosto, di dire che voi ritenete negativa l'approvazione, a seguito anche delle altre sue parole, della mozione in esame. Lo dichiari in maniera esplicita, lo dica, non abbia il timore di violare la sensibilità di qualcuno della maggioranza. Lei non ha dei doveri nei confronti della maggioranza: lei, innanzitutto, ha dei doveri nei confronti del Paese; poi, viene la maggioranza. Il nostro Paese, in questo momento, ha il diritto e l'onore di poter essere mediatore e deve salvaguardare tali possibilità. Il nostro Paese ha il diritto di continuare ad avere rapporti ottimali con i Paesi che sono amici, fra cui il Regno del Marocco. Il nostro Paese ha anche il diritto e il dovere di cercare di aiutare a risolvere le situazioni che sono penose - uso un eufemismo - per tanta gente che sta soffrendo da molti anni, ma bisogna sempre che ogni Governo responsabile cerchi di fare in modo che questi tre diritti e doveri trovino un punto di incontro e di equilibrio.
Il gruppo di Forza Italia ha deciso di astenersi. Avremmo preferito, glielo confesso, che non si arrivasse a votare le mozioni. L'onorevole Cioffi - e lo apprezzo molto - con senso di responsabilità, ha presentato una mozione molto più moderata, che rispecchia esattamente il vero spirito di quanto già presentato e approvato in altri Parlamenti. Lo ripeto: avremmo auspicato che non si arrivasse a votare adesso su tale argomento, e che si aspettasse settembre (oppure ottobre, ma non oltre) nel caso in cui, malauguratamente, l'accordo del 10 agosto (quello che auspichiamo diventi un accordo) dimostrasse l'impossibilità di proseguire il negoziato; però, sembra che qualcuno, a mio giudizio un po' meno sensibile alle esigenze del nostro Paese e della pace, abbia insistito per votare ora.
Signor Viceministro, la invito - quando potrà farlo, alla fine degli interventi - a dichiarare nettamente che non solo auspicavate che non si arrivasse a votare, ma auspicate che non si voti e che venga ritirata anche l'altra mozione o nel caso in cui questo non avvenisse, che si voti contro.
Il gruppo di Forza Italia si asterrà. Personalmente, preannuncio che, ove si dovesse arrivare a votare, voterò contro.
Preavviso di votazioni elettroniche (ore 11,30).
PRESIDENTE. Poiché nel corso della seduta potranno aver luogo votazioni mediante procedimento elettronico, decorrono da questo momento i termini di preavviso di cinque e venti minuti previsti dall'articolo 49, comma 5, del Regolamento.
Si riprende la discussione.
(Ripresa dichiarazioni di voto)
PRESIDENTE. Mi dispiace dover ricorrere ancora alla cortesia dei colleghi, tuttavia mi corre l'obbligo di chiedere se sia possibile contenere gli interventi, perché sarebbe opportuno concludere la discussione e arrivare al voto questa mattina, altrimenti dovremo interrompere e votare in data imprecisata. Confido nella collaborazione dei colleghi.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Mantovani. Ne ha facoltà.
RAMON MANTOVANI. Signor Presidente, sarò breve. Non è vero, onorevole Rivolta, che la mozione in esame sbilanci la posizione del Governo italiano e non sia utile a favorire il dialogo e l'eventualePag. 18compromesso nei negoziati in corso. Non è vero perché il testo della mozione non sostiene quanto lei ha affermato.
Si afferma che non si riconosce al Marocco la sovranità su quella che, onorevole Rivolta, per le Nazioni Unite non si tratta di una regione amministrata dal Marocco, ma di un territorio occupato, e per alcuni Stati, di un territorio conteso. Pochi sono gli Stati al mondo che riconoscono la sovranità del Marocco su quei territori, che sono stati occupati con un'iniziativa militare.
Si scrive nella mozione di aspettare il pronunciamento tramite referendum, cioè fino a quando non sarà data attuazione alle risoluzioni delle Nazioni Unite.
Pertanto, ciò che lei ha testé affermato, mi dispiace, non è vero. La mozione in esame serve a favorire il dialogo, il negoziato ed una soluzione condivisa. La nostra mozione recita: «...mettere in pratica ogni iniziativa per giungere ad una soluzione condivisa». Vi è un conflitto, che attualmente non è stato eliminato. Esiste una tregua, ma di tregua si tratta. Quando vi è una tregua e per vent'anni non si dà applicazione alla risoluzione delle Nazioni Unite, c'è rischio che il conflitto riprenda anche in forme più cruente del passato.
È questo il senso dell'intervento della mozione presentata, anche per ciò che attiene lo status diplomatico dei rappresentanti del Fronte Polisario. In questa sede qualche collega - non so se trascinato dall'enfasi - ha affermato che con questa mozione ci apprestiamo a riconoscere la Repubblica saharawi democratica. Non è così, onorevole Crema; me ne dispiace, onorevole De Zulueta, ma non mi aspettavo una posizione simile dai Verdi. È la prima volta, nella storia del Parlamento, che sento i Verdi prendere una simile posizione. L'onorevole De Zulueta ha fatto un paragone completamente sbagliato: quando i rappresentanti dell'OLP hanno avuto lo status diplomatico nel nostro Paese, l'OLP non riconosceva lo Stato di Israele e conduceva la lotta armata nei confronti dello stesso (Applausi di deputati del gruppo Lega Nord Padania). Allora lo Stato di Israele dava all'OLP il titolo di terroristi. Il riconoscimento dello status diplomatico per quella rappresentanza fu uno dei passi decisivi per favorire il dialogo ed anche un'evoluzione dell'Organizzazione per la liberazione della Palestina. Pertanto, ciò che lei ha detto è infondato, anzi è proprio il contrario.
Vogliamo che ai rappresentanti del Fronte Polisario sia riconosciuto lo status diplomatico, cioè che abbiano il trattamento di diplomatici: non si tratta del riconoscimento della Repubblica saharawi democratica, che tuttavia è riconosciuta da settantasei Paesi del mondo, per esempio dal Messico - faccio questo esempio affinché qualche collega, magari di qualche altro gruppo, non abbia il sospetto che vi siano solo alcuni Paesi che riconoscono la Repubblica saharawi democratica - e da tutta l'Unione africana, a cominciare dal Sud Africa.
La rappresentanza unitaria del Fronte Polisario non solo svolge funzioni appunto di rappresentanza della propria causa, ma per esempio organizza ogni anno con centinaia di amministrazioni locali, l'accoglimento di centinaia di bambini, che non possono stare tutta l'estate nei campi profughi con cinquanta gradi all'ombra, in una condizione di vita insopportabile e invivibile: ebbene, i membri di questa rappresentanza sono costretti a svolgere questo importante lavoro, che ha anche una valenza umanitaria, possedendo il visto turistico.
Credo che facciamo solo un atto di giustizia nel riconoscere alle persone, rappresentanti del Fronte Polisario, lo status diplomatico.
Infine, basta leggere chi ha firmato la mozione in esame: si va da esponenti del gruppo della Sinistra Democratica, a quelli del gruppo di Alleanza Nazionale, con due Vicepresidenti della Camera. Ci sono firmatari di tutti i gruppi e probabilmente in alcuni gruppi, soprattutto in quelli grandi vi sono opinioni diverse.
Apprezzo moltissimo che il Viceministro si sia rimesso all'Assemblea, perché così dovrebbe fare, molto più spesso, il Governo. Come è stato detto, infatti, il Parlamento è sovrano dal punto di vistaPag. 19costituzionale e, comunque, di fronte ad una mozione che gode, a mio avviso, di un larghissimo consenso e che ha una natura evidentemente e chiaramente bipartisan e trasversale, è giusto che il Governo non blindi la sua maggioranza e non faccia valere la sua posizione utilizzando e strumentalizzando, in questo caso, la propria maggioranza. Votare in tali condizioni è uno degli atti migliori, più liberi e più coerenti con il mandato che abbiamo ricevuto come rappresentanti del popolo italiano (Applausi dei deputati del gruppo Rifondazione Comunista-Sinistra Europea, Sinistra Democratica. Per il Socialismo europeo e Comunisti Italiani).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Meloni. Ne ha facoltà.
GIORGIA MELONI. Signor Presidente, penso che nel momento in cui ci accingiamo ad esprimere un voto su una controversia internazionale tra le più complesse e, forse, tra le meno conosciute sia utile, in questa sede, offrire ai colleghi e al nostro dibattito alcuni elementi che possano aiutarci a meglio comprendere questa vicenda tormentata.
La disputa - se così può essere definita - tra il popolo saharawi e il Marocco in tema di Sahara occidentale ruota attorno a due punti. Da una parte, il Marocco sostiene che il territorio del Sahara occidentale è parte integrante del proprio territorio, dall'altra il popolo saharawi rivendica la propria storica peculiarità e diversità rispetto agli Stati confinanti e, in ragione di ciò, il proprio diritto all'autodeterminazione.
Potrebbe sembrare che ci troviamo di fronte ad uno dei molti casi aperti sullo scacchiere internazionale di rivendicazione di indipendenza da parte di una minoranza. Voglio invece dire che non è così e ciò può servire a fare chiarezza. La vicenda del popolo saharawi non si inserisce nella fattispecie delle minoranze che chiedono l'indipendenza nei confronti dello Stato di appartenenza. Siamo di fronte alla prosecuzione trentennale di una guerra di occupazione. I saharawi non sono una minoranza all'interno del Marocco; il popolo saharawi ha visto il proprio territorio oggetto di un tentativo di annessione. È importante capire ciò, anche perché si possa avere un'idea chiara circa le nostre determinazioni.
A me sarebbe piaciuto avere il tempo per effettuare una breve ricostruzione storica, che avrebbe consentito a ciascuno di noi di comprendere meglio. Purtroppo, poiché auspico che si faccia in tempo a votare, cercherò di tagliare il mio intervento il più possibile. Voglio, tuttavia, offrire un elemento. Nel 1966, quando il Sahara occidentale era una colonia spagnola, nella Commissione per la decolonizzazione delle Nazioni Unite, Marocco e Mauritania votarono a favore dell'autodeterminazione del popolo saharawi e, dopo ripetute sollecitazioni in sede ONU, nel 1974 la Spagna accettò il principio di autodeterminazione. Proprio nel momento in cui la Spagna accettava il principio di autodeterminazione, anche su sollecitazione di Marocco e Mauritania, questi due Stati decidevano di occupare quei territori. Questo piccolo elemento di una storia molto travagliata può aiutare a non fare confusione su tale complessa tematica, che richiede sicuramente l'attenzione da parte nostra.
Conosciamo la storia recente. C'è stata una guerra; nel 1990 sono intervenute le Nazioni Unite con una missione di pace, che aveva il compito di far celebrare entro sei mesi un referendum di autodeterminazione. Non si chiedeva altro di diverso - e non si chiede ancora oggi - che il popolo saharawi abbia la possibilità di esprimersi democraticamente circa il proprio futuro.
Credo che noi dobbiamo concentrarci con attenzione su tale elemento. È, infatti, incredibile che a distanza di oltre trent'anni dall'inizio delle ostilità e a distanza di 17 anni dall'ingresso delle Nazioni Unite nel territorio del Sahara occidentale, ancora oggi non si sia trovata una soluzione a questa controversia e non si sia celebrato il referendum di autodeterminazione,Pag. 20che le Nazioni Unite individuavano come strumento per la soluzione già nel 1990.
Intanto, 250 mila saharawi vivono in campi profughi in territorio algerino e nel territorio dell'ex Sahara spagnolo, un muro divide i territori occupati da quelli sotto il controllo del Fronte Polisario. Negli ultimi mesi la diplomazia si è rimessa in cammino e noi ovviamente non possiamo che essere rallegrati dalla ripresa dei negoziati diretti tra Marocco e Fronte Polisario, che sono stati avviati nello scorso giugno e che proseguiranno nel mese di agosto.
Non possiamo che essere rallegrati anche dalle importanti novità che da questi confronti provengono: il riconoscimento da parte del Marocco del Fronte Polisario come unico interlocutore, la disponibilità di quest'ultimo a ridiscutere ancora una volta la composizione del corpo elettorale ai fini del referendum, il fatto che il rapporto di Ban Ki-Moon stabilisca un negoziato sotto l'egida dell'ONU, da tenersi, leggo testualmente, «senza condizioni preliminari in buona fede, per giungere ad una soluzione giusta, duratura e reciprocamente accettabile che permetta l'autodeterminazione del popolo del Sahara occidentale».
Sulla questione del Sahara occidentale l'Italia ha sempre tenuto una posizione conforme ai principi della Carta delle Nazioni Unite e alle pertinenti risoluzioni adottate su tale problematica.
Oggi, con questa mozione, non intendiamo far altro che continuare su questa strada e impegnare il Governo a vigilare, in sede di Consiglio di sicurezza, su quanto stabilito nel rapporto del Segretario generale delle Nazioni Unite. Sottoscrivo pienamente le parole utilizzate dal Vicepresidente Leoni circa l'importanza dei rapporti tra Italia e Marocco e circa l'importanza che quest'ultimo riveste in ambito mediterraneo. Noi desideriamo ribadire questa amicizia e questa posizione.
Questa è forse l'ultima possibilità di risoluzione pacifica della controversia e la comunità internazionale ha il dovere di mettere in pratica ogni possibile iniziativa volta al buon fine del negoziato; non lo dobbiamo solamente alla nostra credibilità, ma anche a quella delle Nazioni Unite.
Voglio aggiungere qualche considerazione sulla questione del riconoscimento della diplomazia saharawi, che è stata oggetto di buona parte della discussione di questa mattina. Desidero precisare all'onorevole De Zulueta che ciò che noi chiediamo nella mozione non è un riconoscimento statuale; sarebbe stato così qualora avessimo chiesto il riconoscimento della Repubblica araba democratica saharawi. Noi abbiamo chiesto il riconoscimento diplomatico di una rappresentanza, che da anni dialoga con le nostre amministrazioni ad ogni livello, perché ha scelto la forma del dialogo quale forma della propria battaglia (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Nazionale)!
Voglio anche precisare all'onorevole Rivolta che, a differenza di quanto ha affermato, la sovranità marocchina sul territorio del Sahara occidentale non è mai stata riconosciuta a livello internazionale, così come voglio ricordare che, invece, la Repubblica araba democratica saharawi è stata riconosciuta, già dal 1982, in sede africana.
Ritengo, signor Presidente e mi avvio alla conclusione, che la questione del Sahara occidentale non sia semplicemente una delle tante controversie aperte sullo scacchiere internazionale, ma che sia, piuttosto, il simbolo di alcune contraddizioni della politica internazionale e del coraggio che noi dobbiamo avere, soprattutto nella stagione che stiamo vivendo, di fronte ad alcune questioni.
Chi è stato nei campi profughi alle porte di Tindouf ha visto la realtà di una società arabo-musulmana che non conosce il fondamentalismo. Chi è stato nei campi di Tindouf ha visto il miracolo di un popolo, nel quale le tendopoli riprendono i nomi e le organizzazioni di città che sono occupate. Chi è stato in quei campi ha visto la democrazia con la quale vengono organizzate le tendopoli anche a livello locale e le donne che governano gran parte delle amministrazioni delle tendopoli. Chi è stato in quei campi conosce il miracoloPag. 21di un popolo che ha ricostruito in pieno deserto, in mezzo al nulla, con l'aiuto della comunità internazionale, orti, campi, scuole e scuole di formazione per le donne.
Credo che tutto ciò rappresenti un simbolo del nostro tempo, se vogliamo davvero combattere il fondamentalismo e che costituisca un simbolo avere coraggio su tale questione, se vogliamo combattere il terrorismo.
Signor Presidente, annunciando il voto favorevole del gruppo di Alleanza Nazionale alla mozione Leoni, concludo ponendo delle domande. Come faremo a combattere il fondamentalismo e il terrorismo se a chi rifiuta la strada del terrorismo diciamo che la politica internazionale non può risolvere il problema? Se a chi rifiuta il terrorismo, magari per fare luce sulla propria vicenda, noi diciamo che deve aspettare trenta, quarant'anni prima che la politica internazionale decida? Come possiamo combattere il terrorismo se a distanza di trent'anni la comunità internazionale non è ancora in grado di tenere fede agli impegni presi (Applausi dei deputati dei gruppi Alleanza Nazionale, Rifondazione Comunista-Sinistra Europea, Sinistra Democratica. Per il Socialismo europeo, La Rosa nel Pugno e Comunisti Italiani)?
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Motta. Ne ha facoltà.
CARMEN MOTTA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, comprendiamo la posizione del Governo espressa dal Viceministro Intini di rimettersi all'Assemblea, nell'affrontare oggi le mozioni sulle iniziative a favore del popolo saharawi.
I negoziati in corso tra le parti e il raggiungimento di un accordo, che auspichiamo fortemente, richiedono una posizione attenta da parte del Governo verso le parti coinvolte, che comprendiamo.
Come sostenuto in modo autorevole dai colleghi intervenuti in sede di discussione sulle linee generali e nella seduta odierna, ribadisco che la questione dei saharawi ha per l'Italia un doppio profilo di attenzione e di interesse.
Una prima ragione di interesse è dovuta alla costante, diffusa e sentita solidarietà che alla popolazione saharawi è stata dimostrata da numerosi enti locali, organizzazioni, associazioni e agenzie di cooperazione che in tutti questi anni, a partire dal 1976, quando la questione ebbe avvio con il ritiro delle truppe spagnole e, successivamente, con la creazione del Fronte Polisario, non hanno smesso di richiedere una soluzione per il popolo del deserto, ancora oggi costretto nei campi profughi di Tindouf in Algeria, in una condizione di vita insostenibile. Sottolineo tale aspetto perché chi ha visitato quei luoghi lo ha potuto constatare personalmente.
In questi anni non si è mai interrotto il flusso di aiuti, di sostegno e di visite che, in qualche decennio, ha dato vita ad una maglia fitta e resistente di amicizia e simpatia tra i nostri due popoli; ciò, peraltro, è avvenuto al di là delle opinioni politiche e delle posizioni di partito.
Un secondo profilo di interesse attiene, invece, alla posizione geopolitica del Sahara occidentale, compreso a tutti gli effetti in quel primo cerchio di interesse della politica estera italiana costituito dal Mediterraneo. La questione saharawi, infatti, rappresenta uno dei tanti conflitti che ostacolano l'idea di un Mediterraneo di pace, più coeso e stabile e, quindi, predisposto a quel progetto di pace, sviluppo e cooperazione di cui si è parlato anche nella seduta odierna. Proprio la permanenza, magari a bassa intensità e a intermittenza, di tali situazioni conflittuali non consente di creare quel quadro politico che aiuterebbe lo stesso processo di pace e stabilità dell'area.
Conosciamo bene il lavoro delle Nazioni Unite, che dal 1988 hanno stabilito l'indizione del referendum per far esprimere il popolo saharawi sul suo futuro e hanno finito per accumulare da allora numerose altre risoluzioni del Consiglio di sicurezza, senza giungere ad alcuna soluzione definitiva. È, pertanto, giunto il momento di un accordo. È, infatti, assolutamentePag. 22necessario non alimentare il fuoco delle tensioni che covano da decenni e che potrebbero improvvisamente incendiarsi e che, soprattutto, nel caso del popolo saharawi incidono sulla pelle di oltre 250 mila persone costrette a vivere in una sorta di lager incandescente, piazzato da decenni nel deserto algerino, nonostante le annuali condanne da parte delle associazioni dei diritti umani e il costante allarme lanciato dalle agenzie dell'ONU che si occupano dei rifugiati e dei popoli.
La comunità internazionale deve continuare ad operare per aiutare e sostenere un popolo fiero e pacifico, che da tempo ha dichiarato di abbandonare la lotta armata e ha sofferto e soffre, ancora oggi, le lesioni di diritti umani e politici in patria, dove non è consentita alcuna forma di libera espressione. Quindi, la comunità internazionale deve lavorare per superare gli ostacoli che ancora si frappongono ad una soluzione del problema e, primi fra tutti, nell'ambito degli Stati che si affacciano sul Mediterraneo, i Paesi della sponda europea, ma anche quelli della sponda nordafricana, per non incorrere nel rischio di ritrovarsi tra qualche anno a rammaricarsi per l'ennesima infiltrazione terroristica dell'islamismo radicale, che oggi è assolutamente estraneo e lontano dalla cultura saharawi.
Da tali considerazioni e preoccupazioni nasce la mozione che oggi discutiamo e che intendiamo votare. Nell'avviarmi alla conclusione, aggiungo che conosciamo la delicatezza del momento diplomatico, così come la rilevanza della questione che ho cercato brevemente di illustrare nella parte iniziale del mio intervento. Tuttavia, è dovere del Parlamento mantenere alta l'attenzione per il rispetto dei nobili principi del diritto dei popoli: il diritto all'autodeterminazione e a disporre di un territorio in cui vivere liberamente e nel quale siano rispettate tutte le tutele internazionalmente riconosciute nei confronti degli uomini e delle donne.
In particolar modo, per il gruppo dell'Ulivo è importante riaffermare la necessità che l'area internazionale sia sempre più un luogo ove viga il diritto internazionale, in cui le decisioni delle Nazioni Unite, una volta assunte, vengano applicate e rispettate e nel quale le controversie e i conflitti vengano riportati ad un principio di ordine e risoluzione pacifica, sulla base della supremazia del diritto.
È evidente che ai firmatari della mozione in esame e ai gruppi che la sostengono sta a cuore il risultato concreto: la soluzione della questione dei profughi e un immediato alleviamento delle loro condizioni di vita, nonché ridare dignità al popolo saharawi, riconoscere i suoi diritti e risolvere e disinnescare una situazione di conflitto latente, che da troppi anni attende una soluzione.
Con queste motivazioni esprimo, pertanto, un voto complessivamente favorevole sulla mozione Leoni ed altri n. 1-00159 (Nuova formulazione) (Applausi dei deputati dei gruppi L'Ulivo, Sinistra Democratica. Per il Socialismo europeo e Comunisti Italiani).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Allam. Ne ha facoltà, per un minuto.
KHALED FOUAD ALLAM. Signor Presidente, mi hanno detto che ho a disposizione due minuti.
PRESIDENTE. In via del tutto eccezionale.
KHALED FOUAD ALLAM. Signor Presidente, signor Viceministro, sono realmente sconcertato, non tanto perché non ho a cuore la questione del Sahara occidentale. Provengo, infatti, da una zona dell'Algeria e, inoltre, ho due famiglie, una in Marocco e una in Algeria, che ha patito, ovviamente, tale situazione. Sono sconcertato, tuttavia, dal metodo politico della mozione in esame, perché mi pare evidente che, mentre si sta assistendo, dopo tantissimi anni, all'inizio di uno spiraglio e di un piccolo negoziato, si sostiene una delle parti coinvolte in tale questione.
Sono anche sconcertato, come direbbe Kundera, dalla leggerezza con il qualePag. 23questo conflitto, che dura da più di trent'anni, è discusso in aula. Mi pare evidente, infatti, che non possiamo occultare la dimensione complessa di tale problema, legato alla colonizzazione e ai processi di decolonizzazione che hanno mutato totalmente il problema della territorialità e del passaggio fra frontiere nomadi e frontiere definite dal prodotto del colonialismo stesso. Non lo dimentichiamo, in quanto il Sahara occidentale è un paradigma di tutto ciò.
Non possiamo occultare, inoltre, le tonnellate di analisi di esperti antropologi che hanno sempre evidenziato, proprio in questa zona, il legame storico e antropologico tra il potere sovrano e le tribù nomadi del Sahara occidentale. Non possiamo neanche sottovalutare il fatto che questo grande problema politico non deve essere più inquadrato nella dimensione di una dialettica tra Algeria e Marocco, ma nella dimensione geopolitica mediterranea di una macro-regione concernente tutto il Maghreb unito.
Io ovviamente riconosco il Fronte Polisario e il popolo saharawi, ma non è detto che tutti i saharawi si riconoscano in tale Fronte. Credo sia necessario essere molto attenti...
PRESIDENTE. La invito a concludere.
KHALED FOUAD ALLAM. ...a questo spiraglio e a proporre questo tipo di mozione perché si rischia, in un certo senso, di incidere negativamente...
PRESIDENTE. Grazie...
KHALED FOUAD ALLAM. ...sulla ricerca della pace all'interno di tale contenzioso.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Crema. Ne ha facoltà.
GIOVANNI CREMA. Signor Presidente, condivido appieno l'intervento del Viceministro Intini e sono molto preoccupato per la mozione in esame.
In particolare, non concordo con la sua parte finale e specificamente con il penultimo capoverso, la cui permanenza non mi induce a votare a favore della mozione. Mi riconosco, infatti, nelle risoluzioni dell'ONU e nella recente risoluzione, molto prudente, dell'Internazionale socialista, tenutasi ad Accra il 15 e 16 giugno, che si rifà al negoziato e ad una soluzione pacifica del problema. Sono convinto che non si risolvono in modo diplomatico tensioni internazionali come questa partendo da posizioni di carattere ideologico. Sono favorevole, invece, ad aiutare, come Parlamento, il nostro Governo nell'opera di mediazione e di ricerca di una soluzione pacifica e diplomatica. Se permarrà nel testo della mozione questa parte, non sarò assolutamente d'accordo.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Marcenaro. Ne ha facoltà.
PIETRO MARCENARO. Signor Presidente, intervengo per associarmi, a nome del gruppo dell'Ulivo - per il quale l'onorevole Motta ha già dichiarato il voto a favore della mozione Leoni ed altri n. 1-00159 (Nuova formulazione) - alla richiesta dell'onorevole De Zulueta di votazione per parti separate della mozione in esame.
In particolare, tenendo conto della fase delicata nella quale ci troviamo e delle preoccupazioni che lo stesso Governo ha annunciato, annuncio il voto contrario del nostro gruppo per quanto riguarda il riconoscimento dello status diplomatico, in questo momento e in questa fase, alla vigilia della tornata dei negoziati di agosto, alla rappresentanza del Fronte Polisario.
PRESIDENTE. Sono così esaurite le dichiarazioni di voto.
(Votazioni)
PRESIDENTE. Ricordo che la mozione Fabris ed altri n. 1-00203 è stata ritirata.Pag. 24
Ricordo, inoltre, che è stata richiesta la votazione per parti separate della mozione Leoni ed altri n. 1-00159 (Nuova formulazione), nel senso di votare il terzo capoverso del dispositivo distintamente dalla restante parte della mozione.
Avverto che è stata chiesta la votazione nominale mediante procedimento elettronico.
Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla mozione Leoni ed altri n. 1-00159 (Nuova formulazione) limitatamente alla premessa nonché al primo, al secondo e al quarto capoverso del dispositivo, su cui il Governo si è rimesso all'Assemblea.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazioni).
(Presenti 483
Votanti 384
Astenuti 99
Maggioranza 193
Hanno votato sì 372
Hanno votato no 12).
Prendo atto che i deputati Volontè e Rao hanno segnalato che non sono riusciti a votare.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla mozione Leoni ed altri n. 1-00159 (Nuova formulazione) limitatamente al terzo capoverso del dispositivo, su cui il Governo si è rimesso all'Assemblea.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Applausi dei deputati dei gruppi Sinistra Democratica. Per il Socialismo europeo, Alleanza Nazionale, Rifondazione Comunista-Sinistra Europea, Lega Nord Padania e Comunisti Italiani - Vedi votazioni).
(Presenti 486
Votanti 379
Astenuti 107
Maggioranza 190
Hanno votato sì 214
Hanno votato no 165).
Prendo atto che i deputati Rao e Ciro Alfano hanno segnalato che non sono riusciti a votare e che i deputati Sperandio e Rocchi hanno segnalato che avrebbero voluto esprimere voto favorevole.
Prendo altresì atto che il deputato Brandolini ha segnalato che avrebbe voluto esprimere voto contrario e che il deputato Martella ha segnalato di aver erroneamente votato a favore mentre avrebbe voluto esprimere voto contrario.
Sull'ordine dei lavori (ore 12).
VALDO SPINI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
VALDO SPINI. Vorrei sensibilizzare l'Assemblea e il Governo sulla pena di morte inflitta alle cinque infermiere bulgare e al medico palestinese.
PRESIDENTE. Onorevole Spini, per favore, è già stato fatto ieri.
LUCA VOLONTÈ. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà. La prego di essere veloce, come mi ha promesso.
LUCA VOLONTÈ. Signor Presidente, intervengo solo per ricordare la richiesta, che ho avanzato anche ieri, che il Ministro dell'interno venga in aula per farci una panoramica anche delle dichiarazioni di ieri.
Pag. 25
PRESIDENTE. Sospendo la seduta, che riprenderà alle 15 con lo svolgimento di interpellanze urgenti.
Ricordo che fra dieci minuti è convocato il Parlamento in seduta comune per l'elezione di un giudice della Corte costituzionale.
La seduta, sospesa alle 12, è ripresa alle 15,05.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE GIORGIA MELONI
Missioni.
PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Brugger, De Simone, Di Salvo, Donadi, Franceschini, Landolfi, Migliore, Leoluca Orlando, Pinotti, Ranieri, Sgobio e Villetti sono in missione a decorrere dalla ripresa pomeridiana della seduta.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente settantasei, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.
Svolgimento di interpellanze urgenti (ore 15,07).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di interpellanze urgenti.
(Orientamenti del Governo sull'unificazione degli enti previdenziali - n. 2-00606)
PRESIDENTE. L'onorevole Lo Presti facoltà di illustrare l'interpellanza La Russa n. 2-00606, concernente gli orientamenti del Governo sull'unificazione degli enti previdenziali (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 1), di cui è cofirmatario.
ANTONINO LO PRESTI. Signor Presidente, mi riservo di intervenire in sede di replica.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali, Giampaolo Vittorio D'Andrea, ha facoltà di rispondere.
GIAMPAOLO VITTORIO D'ANDREA, Sottosegretario di Stato per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali. Signor Presidente, onorevole Lo Presti, come è noto, il tema della razionalizzazione della spesa, anche attraverso l'unificazione degli enti previdenziali, è stato posto tra i dodici punti prioritari adottati dal Governo. Questa stessa circostanza testimonia la forte attenzione di tutto l'Esecutivo, del Presidente del Consiglio, nonché del Ministro per l'attuazione del programma, nei confronti di una questione che ha assunto l'importanza strategica fondamentale per lo svolgimento del programma di Governo.
I Ministri Damiano e Nicolais, nella loro relazione alla Commissione parlamentare di controllo sull'attività degli enti gestori di previdenza e assistenza sociale, hanno già evidenziato le ragioni che spingono a prendere in seria considerazione il progetto di razionalizzazione degli enti previdenziali. Mi limito, pertanto, ad esporre in modo sintetico i punti principali della questione.
Va premesso che la pluralità di enti previdenziali è l'eredità del vecchio sistema previdenziale, di tipo particolaristico, perché differenziato a seconda delle categorie di lavoratori. Oggi, alla luce dell'uniformità previdenziale e pensionistica introdotta negli anni Novanta, la pluralità degli enti rappresenta un anacronismo non più giustificabile. Il prodotto previdenziale, oggetto dell'attività degli enti in questione nel settore pubblico, è ormai tendenzialmente omogeneo. È perciò opportuno che, per quanto riguarda il settore pubblico, sia gestito ed erogato in forme e modi tendenzialmente omogenei.
I principali benefici che l'Esecutivo si prefigge nel perseguire la razionalizzazionePag. 26degli enti previdenziali sono due: da un lato, la qualità dei servizi, dall'altro, la riduzione dei costi. Il primo e più importante ordine di benefici consiste nella possibilità di garantire servizi e prestazioni qualitativamente sempre più elevati: la ridefinizione gestionale ed organizzativa delle strutture deputate al welfare rappresenta un'occasione irripetibile per avviare sinergie indispensabili sul piano dello snellimento delle procedure e del miglioramento delle prestazioni. A questo proposito, i notevoli risultati prodotti dalle sinergie avviate proprio dagli enti previdenziali negli ultimi decenni rappresentano un presupposto incoraggiante. L'azione di riforma, inoltre, costituisce l'occasione di allineare verso l'alto gli standard operativi dei diversi enti, usufruendo degli specifici punti di forza maturati da ciascuno di essi nel corso degli anni. Infine, è da considerare la maggiore semplicità che incontrerebbero sia i lavoratori sia i datori di lavoro nel rapportarsi con un unico soggetto gestore, invece che con una molteplicità di soggetti diversi per procedure operative, tempi e modulistica.
Il secondo ordine di benefici consiste nella riduzione dei costi degli apparati amministrativi, che conseguirebbe all'eliminazione degli eccessi di spesa che si annidano nella duplicazione di apparati e di funzioni, nelle inefficienze organizzative, nelle complicazioni burocratiche che derivano dalla pluralità dei soggetti gestori.
Ciò premesso, a proposito delle forme e dei modi con cui realizzare l'obiettivo dell'unificazione degli enti, ribadisco quanto già il Ministro ha avuto occasione di dire nel corso del convegno nazionale del 7 giugno 2007 dedicato al tema dell'unificazione degli istituti previdenziali, e cioè che al momento non sono ancora stati definiti la struttura, i modi e la forma dell'intervento da porre in essere. A tale riguardo, non posso che confermare quanto è già stato dichiarato alla Commissione parlamentare di controllo sugli enti previdenziali e assistenziali dai Ministri Nicolais e Damiano, circa la necessità di un percorso articolato, graduale e condiviso. Tale percorso dovrà necessariamente coinvolgere non solo tutti i ministri interessati, ma anche il Parlamento e le parti sociali. Fra queste, un ruolo particolare sarà riservato alle organizzazioni sindacali, per quanto concerne la delicata questione della sorte dei dipendenti degli enti che verrebbero soppressi.
Più in dettaglio, gli onorevoli La Russa e Lo Presti chiedono se il Governo intenda servirsi dei commi 482 e seguenti dell'articolo 1 della legge n. 296 del 2006 (legge finanziaria per il 2007). Tali disposizioni, come è noto, al fine di perseguire stabilità e crescita, di ridurre le spese delle pubbliche amministrazioni, di incrementare l'efficienza e la qualità dei servizi, attribuiscono al Governo il compito di procedere, entro il 30 giugno 2007, al riordino, alla trasformazione o soppressione di enti ed organismi pubblici, mediante appositi regolamenti di delegificazione. Il Governo non ha ritenuto di usare tale potere regolamentare per realizzare l'accorpamento degli enti previdenziali e assistenziali, come pure legittimamente avrebbe potuto. Si è infatti preferito privilegiare percorsi, forme e tempistiche che tenessero conto della particolarità e della delicatezza della materia.
PRESIDENTE. L'onorevole Lo Presti ha facoltà di replicare.
ANTONINO LO PRESTI. Signor Presidente, quanti minuti ho a disposizione?
PRESIDENTE. Ha disposizione venticinque minuti.
ANTONINO LO PRESTI. Non abuserò così a lungo della pazienza della Presidenza, dei colleghi e del rappresentante del Governo.
Non mi ritengo soddisfatto, perché nella risposta si affronta in modo superficiale l'argomento che abbiamo posto. Seppure la domanda fosse abbastanza semplice, essa in realtà avrebbe richiesto, dal nostro punto di vista, una più articolata risposta. Il Governo ci viene a dire che il progetto di riordino degli enti previdenzialiPag. 27è cosa buona e giusta. Questo lo sapevamo, è una tesi scontata in cui ogni persona di buon senso credo si ritrovi, perché è evidentemente necessario mettere mano ad un sistema che produce delle diseconomie e che tutti gli studiosi ritengono sia venuto il momento di riformare.
Tuttavia il Governo dimentica di dire che il 30 giugno è scaduto il termine entro il quale avrebbe dovuto esercitare questa delega, che gli era stata concessa dal Parlamento con la legge finanziaria per il 2007 e che, in questi sei mesi, al di là dei buoni propositi, delle belle disquisizioni, di chiacchiere e di progetti fumosi senza alcun contenuto, non ha prodotto alcunché.
Facendo parte della Commissione bicamerale di controllo sugli enti di previdenza, che ha avviato da qualche mese un'indagine conoscitiva in proposito, ho potuto constatare con mano il livello di disarticolazione all'interno del Governo in ordine alla coerenza di un progetto che non è mai venuto fuori in questi sei mesi. La Commissione bicamerale si è preoccupata di cercare di organizzare un minimo di coordinamento in una discussione che si è conclusa pochi giorni fa, ma che non ha ancora prodotto nulla di concreto.
Il processo di unificazione è complicato e difficile. È vero, sinergie negli ultimi decenni hanno portato grandi benefici, ma si tratta di sinergie che, per l'appunto, si sono sviluppate negli ultimi decenni. Che motivo c'era di inserire nella legge finanziaria una norma che dava al Governo sei mesi di tempo per articolare, attraverso un processo di delegificazione o di legificazione positiva, una riforma che non è avvenuta? Si è trattato, chiaramente, del classico effetto annunzio, sul quale siamo ormai abituati a vedere svilupparsi l'azione di Governo, così come un classico effetto annunzio è stato quello di inserire questo progetto nell'ambito dei famosi dodici punti che hanno consentito a Prodi di salvare la faccia e la poltrona nell'ultima crisi di Governo. In realtà non avete idea di come si debba procedere per arrivare ad un risultato che tutti vogliamo. Avete, inoltre, esposto i vostri Ministri a figure non proprio brillanti ed essi non hanno saputo esprimere una sola linea di comune accordo.
Ancora oggi lei, signor sottosegretario, in questa sede parla di unico soggetto gestore, mentre tutti gli studiosi e, in generale, tutti coloro che si stanno occupando del problema - professori universitari, tecnici ed esponenti degli enti di previdenza - concordano nel ritenere impossibile arrivare ad un unico ente gestore, se prima non si procede ad un chiarimento sulla necessaria separatezza dell'assicurazione obbligatoria, ossia della parte assistenziale che tutela la sicurezza dei lavoratori, da quella più specificamente previdenziale.
È impossibile che ancora oggi, nonostante i passi in avanti compiuti dalla Commissione bicamerale di controllo, si affermi che l'obiettivo è quello dell'unico ente gestore: tutti hanno ritenuto che questo sia un obiettivo impraticabile e impossibile per i problemi colossali che il suo raggiungimento porrebbe. Dunque, i vostri tecnici e collaboratori dovrebbero essere impiegati per lavorare su un progetto più concreto e su un piano industriale che, nonostante sia stato annunciato con buoni propositi dal Ministro Nicolais nell'audizione dinanzi alla Commissione bicamerale, ancora oggi manca, considerato che non si è prodotto nemmeno uno straccio di documento.
Signor sottosegretario e signori del Governo, occorre un piano industriale chiaro e che qualcuno si adoperi per mettere nero su bianco quale deve essere il percorso che può portare alla semplificazione e alla riorganizzazione del sistema. Occorre, altresì, che qualcuno si confronti con le parti sociali, la politica, gli imprenditori e con gli stessi soggetti che in questo momento gestiscono gli enti, per mettere nero su bianco un progetto di riforma.
Nella Commissione bicamerale abbiamo anche introdotto il dibattito sulla possibile attuazione, nell'immediato, di alcune sinergie - come si usa dire - che potrebbero fare da battistrada ad un processo di unificazione. Mi riferisco, ad esempio, a sinergie quali l'unificazione deiPag. 28servizi legali, l'unificazione dei servizi ispettivi, la riorganizzazione del settore medico di prevenzione dei diversi enti. Su questa base la Commissione ha richiesto dei pareri, ma dall'altra parte ha trovato un'assoluta impreparazione.
Ci faremo carico, in sede di Commissione bicamerale, di definire un indirizzo. Tuttavia, signori del Governo e signor sottosegretario, non possiamo ancora immaginare tale progetto di riforma se non mettiamo per iscritto un percorso da avviare, uno start up iniziale, come l'ha definito ieri un funzionario della Ragioneria generale dello Stato che ha condiviso la necessità di creare economie a medio termine. Certamente non si può parlare di economie a breve termine, perché, ammesso che si vogliano unificare servizi e uffici, anche da un punto di vista logistico, è impossibile che con un colpo di bacchetta magica si possano creare economie. Anzi, forse nell'immediato sarebbero maggiori le diseconomie rispetto alle economie, ma, ragionevolmente, e in base al buonsenso che deriva dall'esperienza di burocrate di alto livello, il funzionario ha riconosciuto comunque la necessità di avviare o almeno di mettere su carta un piano industriale.
È ciò che si chiede al Governo. Se il Governo non è in grado di farlo, ben vengano i tavoli tecnici che si sono aperti in questi giorni all'università La Sapienza di Roma, dove volenterosi professori universitari ed esperti in materia previdenziale si stanno interrogando e si stanno confrontando per offrire un contributo meritorio al Governo, al Parlamento e al Paese, su un'ipotesi concreta di riorganizzazione efficace degli enti di previdenza. Ben vengano, dunque, questi tavoli, ai quali possono partecipare tutti coloro che, politici o non politici, di Governo o di opposizione, abbiano un'esperienza tecnica nel settore e intendano metterla a disposizione di tale iniziativa.
Signor sottosegretario, prendiamo atto anche del fatto che il Ministro Santagata, per suo tramite, smentisce di aver affermato, in occasione di un convegno universitario - perché questa è la questione che ha generato l'interpellanza - che era pronto un provvedimento amministrativo di riorganizzazione degli enti, da emanare addirittura entro il 30 giugno. Prendiamo atto che si è trattato di una gaffe, di un incidente dovuto probabilmente alla fretta e alla necessità di tener fede ad un impegno che avete assunto con la vostra stessa maggioranza e con il Paese quando, con i famosi dodici punti per salvare il Governo Prodi, avete tentato di rilanciarne l'azione.
L'insoddisfazione, ovviamente, è totale: l'impegno dell'opposizione, comunque, sarà quello di controllare questo percorso, che speriamo si possa avviare. Si tratta, infatti, di un percorso volto a garantire l'interesse del Paese, ma il Governo non deve ricadere in contraddizioni ed inefficienze che danneggerebbero molto un'ipotesi che da più parti, invece, è avvertita come necessaria per il Paese.
Tale processo di riforma e riordino degli enti previdenziali, ripeto, non può portare ad un'unificazione tout court del grande mare della previdenza italiana e deve presupporre un impegno di tutta la classe politica: siamo pronti ad offrirlo e lo faremo, oltre che nelle sedi istituzionali competenti - qual è, appunto, la Commissione bicamerale - anche in Assemblea, ove, però, ci sia fornita almeno una traccia sulla quale lavorare.
(Iniziative per evitare l'istituzione del profilo professionale dell'odontotecnico - n. 2-00653)
PRESIDENTE. L'onorevole Marinello ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00653 concernente iniziative per evitare l'istituzione del profilo professionale dell'odontotecnico (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 2).
GIUSEPPE FRANCESCO MARIA MARINELLO. Signor Presidente, le motivazioni sono ampiamente espresse nell'interpellanza: mi riservo, pertanto, di intervenire in sede di replica.
Pag. 29PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per la salute, Gian Paolo Patta, ha facoltà di rispondere.
GIAN PAOLO PATTA, Sottosegretario di Stato per la salute. Signor Presidente, in merito a quanto rappresentato dagli onorevoli interpellanti, ritengo opportuno fornire alcune notizie sull'iter finora svolto circa la possibile individuazione dell'odontotecnico come professione sanitaria.
L'entrata in vigore del decreto legislativo n. 502 del 1992 ha prodotto profondi cambiamenti nel settore delle professioni sanitarie, in un'ottica di armonizzazione con la normativa europea. L'obiettivo del legislatore è stato quello di disciplinare compiutamente le singole professioni e di accrescere il livello della formazione professionale, prevedendo non più corsi regionali, ma piuttosto corsi universitari, secondo una disciplina uniforme su tutto il territorio nazionale ed un modello formativo che comprende l'insegnamento teorico e un apprendistato pratico, da svolgersi presso le strutture del Servizio sanitario nazionale. Sono stati definiti, inoltre, ulteriori livelli di specializzazione: lauree specialistiche e master di primo e di secondo livello. Il Ministero della salute, pertanto, aveva individuato con propri decreti ventidue professioni sanitarie, per le quali, di concerto con i competenti soggetti istituzionali, venivano attivati i relativi corsi di laurea.
Nell'ambito di tale riordino, questa Amministrazione aveva previsto di ricomprendere tra le professioni sanitarie anche l'ottico e l'odontotecnico - già arti ausiliarie delle professioni sanitarie - predisponendo, nel 2001, gli schemi di regolamento miranti a disciplinare le suddette nuove figure. Nel corso dell'attività istruttoria è stata più volte interpellata, al riguardo, la Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e odontoiatri, la quale, relativamente allo schema di regolamento dell'odontotecnico, ha formulato alcune osservazioni, recepite in buona parte nel testo successivamente trasmesso al Consiglio di Stato, per l'acquisizione del necessario parere.
Al riguardo, voglio precisare che il testo approvato dal Consiglio superiore di sanità è sostanzialmente analogo a quello inviato a suo tempo all'organo di giustizia amministrativa. L'iter procedurale avviato è stato interrotto non per questioni di merito, concernenti le mansioni e il ruolo che l'odontotecnico avrebbe dovuto svolgere, ma in seguito all'entrata in vigore della legge costituzionale n. 3 del 2001, che ha modificato il riparto delle competenze normative tra Stato e regioni. Per tali sopravvenute modifiche, infatti, l'individuazione di nuove professioni sanitarie non può più essere effettuata da parte dello Stato con atto avente natura regolamentare, come il decreto ministeriale, ma necessita di una norma di grado primario, che, avendo individuato i principi fondamentali della materia, consenta alle regioni l'emanazione della disciplina precettiva e di dettaglio. Conseguentemente, il Ministero ha dato avvio alla predisposizione di una normativa mirata a disciplinare il settore, conformemente alle nuove norme costituzionali.
L'entrata in vigore della legge 1 febbraio 2006, n. 43, che fissa i principi fondamentali in materia di professioni sanitarie e, in particolare, l'articolo 5, che disciplina la procedura per l'individuazione e la normazione di nuove professione in ambito sanitario, ha posto fine a una situazione di incertezza normativa.
Desidero ribadire che la determinazione di avviare il procedimento per l'individuazione della professione sanitaria di odontotecnico non è, come sostenuto nell'atto parlamentare, un automatismo legato alla legge 26 febbraio 1999, n. 42, ma costituisce una scelta di questa amministrazione, che ha tenuto conto delle caratteristiche specifiche di una professione la cui attività operativa si inserisce certamente nel contesto salute.
Risulta inesatto, inoltre, quanto affermato nell'interpellanza in merito ad una possibile individuazione della professione sanitaria di odontotecnico con decreto ministeriale. Nel rispetto dell'articolo 5 della legge n. 43 del 2006, tale individuazione avverrà al termine di un prescritto iter,Pag. 30mediante accordo sancito in sede di Conferenza Stato-regioni, recepito con decreto del Presidente della Repubblica, previa delibera del Consiglio dei ministri. Come già precisato, questa procedura è stata introdotta dal legislatore allo scopo di rispettare il riparto di competenze tra Stato e regioni ed è conforme ai rilievi formulati dal Consiglio di Stato nella pronuncia alla quale fanno riferimento gli onorevoli interpellanti.
Va segnalato, inoltre, che le attività attualmente svolte dall'odontotecnico, pur afferenti all'area della tutela della salute, non corrispondono a quelle svolte da altre professioni sanitarie. Gli stessi operano nel campo delle arti ausiliarie delle professioni sanitarie con metodiche operative, che li pongono in stretto contatto con gli odontoiatri, senza tuttavia indebita invasione di campo, che, peraltro, laddove si verificasse, sarebbe comunque perseguibile per legge, indipendentemente dalla qualificazione giuridica dell'odontotecnico. Pertanto, poiché le suddette metodiche non vengono modificate dall'iter normativo avviato, non è ipotizzabile alcuna parcellizzazione o invasione di competenze proprie di altre professioni sanitarie.
Quanto al rilievo secondo cui l'individuazione di questa professione sarebbe in contrasto con l'articolo 5 della legge n. 43 del 2006, laddove lo stesso prescrive che le nuove professioni sanitarie debbono essere individuate in considerazione di fabbisogni connessi agli obiettivi di salute previsti dal piano sanitario nazionale o dai piani sanitari regionali, che non trovano rispondenza in professioni già riconosciute, si rappresenta che l'iter avviato prevede il coinvolgimento di una commissione istituita presso il Consiglio superiore di sanità per un esame scientifico delle funzioni delle nuove professioni sanitarie, allo scopo anche di evitare eventuali frazionamenti e sovrapposizioni con le professioni sanitarie già esistenti.
Inoltre, va ricordato che fino al 2001 il Consiglio superiore di sanità si era espresso positivamente sullo schema di decreto ministeriale, che riconosceva quella di odontotecnico come professione sanitaria, ravvisando pertanto la relativa rispondenza a un effettivo fabbisogno del sistema sanitario nazionale.
In merito alle perplessità espresse circa la possibilità che, dopo l'individuazione delle nuove figure sanitarie, i soggetti in possesso dei vecchi titoli professionali verrebbero equiparati ex lege ai laureati, si segnala che gli schemi di accordo all'esame del Consiglio superiore di sanità stabiliscono che i suddetti soggetti potranno svolgere attività professionale, secondo le norme vigenti prima dell'entrata in vigore degli accordi stessi.
Del resto, secondo quanto previsto dalla normativa del 2006, l'equipollenza paventata non potrebbe realizzarsi se non con legge, mentre l'iter normativo avviato si concluderà con un decreto del Presidente della Repubblica. Va precisato anche che la formazione universitaria, che gli odontotecnici dovranno avere qualora venissero riconosciuti come professione sanitaria, corrisponde non ad una scelta discrezionale del Ministero della salute, ma alle disposizioni del decreto legislativo del 30 dicembre 1992, n. 502. In ogni caso, la formazione universitaria non può, di per sé, essere considerata come fonte di indebite interferenze funzionali tra l'odontoiatra e l'odontotecnico, in considerazione delle diversità fra le due figure professionali, degli insegnamenti svolti, delle mansioni e del tipo di formazione.
Non va sottovalutato, peraltro, che una formazione di livello universitario garantisce maggiori conoscenze professionali, a vantaggio certamente della sicurezza dei cittadini. Inoltre, una disciplina del settore delle professioni sanitarie che possa definire con precisione le caratteristiche e i contesti operativi degli operatori, risponde tra l'altro alla necessità di reprimere efficacemente il fenomeno dell'abusivismo. È peraltro ragionevole supporre che la regolamentazione della figura dell'odontotecnico avrà positivi riscontri in tal senso.
Da ultimo, si rappresenta che la direttiva n. 93/42/CE - citata nell'atto parlamentare - si riferisce non alle professioni dell'area sanitaria, ma ai dispositivi medici, stabilendo le caratteristiche e i requisitiPag. 31necessari per l'immissione in commercio. Va evidenziato che, poiché gli odontotecnici già adesso realizzano e mettono in commercio dispositivi medici conformi alla normativa comunitaria - analogamente a quanto avviene per il tecnico ortopedico, che è un professionista sanitario - nell'ipotesi in cui anche l'odontotecnico diventi una professione sanitaria non vi sarebbe alcuna violazione della direttiva citata.
PRESIDENTE. L'onorevole Marinello ha facoltà di replicare.
GIUSEPPE FRANCESCO MARIA MARINELLO. Signor Presidente, non mi reputo soddisfatto, addirittura potrei aggiungere che mi sento assolutamente inquieto a causa della risposta testé data dal rappresentante del Ministero della salute. Essa parte da un assunto a nostro avviso assolutamente sbagliato, vale a dire quello dell'automatica assimilazione di un'arte ausiliaria delle professioni sanitarie ad una professione sanitaria propriamente detta. Si tratta di un assunto, lo ripeto, completamente sbagliato e da parte nostra non condivisibile.
Siamo fermamente convinti che l'iter procedurale previsto all'articolo 5 della legge 1 febbraio 2006, n. 43, debba essere rigorosamente seguito. Siamo, inoltre, preoccupati perché, allo stato attuale, presso il Consiglio superiore della sanità, ma soprattutto da parte dell'attuale responsabile del Dicastero della salute, non vi è stato adeguato ascolto delle ragioni addotte dai rappresentanti delle professioni sanitarie interessate. In particolare, non sono state ascoltate appieno le ragioni della federazione dell'ordine dei medici, cioè la FNOMCeO, che - lo ricordo - non è soltanto l'unico soggetto ad avere titolarità giuridica nella rappresentanza dei medici e degli odontoiatri, ma è anche ente ausiliario dello Stato.
Non c'è stata assolutamente la volontà di ascoltare le più importanti società scientifiche; non è stato dato il necessario ascolto, ad esempio, al comitato intersocietario di coordinamento delle associazioni odontostomatologiche, che raccoglie tutte le società scientifiche oggi operanti in Italia ed accreditate a livello europeo e internazionale. Non c'è stata alcuna volontà di ascoltare - neanche sotto forma di audizioni in forma epistolare - i rappresentanti dell'Accademia italiana di odontoiatria protesica, che tra l'altro è quell'organo scientifico che riunisce in un unico consesso sia laureati, sia cultori della materia, sia odontotecnici.
Siamo fondamentalmente convinti che la direttiva n. 93/42/CE, sebbene non riguardi specificatamente la figura degli odontotecnici, nel definire in modo assolutamente esplicito l'odontotecnico come fabbricante addetto alla produzione di manufatti individuali, appartenente quindi alle attività riconosciute dall'artigianato, indichi la strada maestra da seguire la quale, però, fino ad oggi non è stata mai assolutamente seguita!
La volontà dell'attuale guida politica del Ministero della salute è quella di andare avanti su questa strada ignorando le ragioni portate da decine di migliaia di professionisti - ricordo che attualmente l'assistenza odontoiatrica è garantita da 52 mila medici e odontoiatri regolarmente esercenti la professione e iscritti all'ordine dei medici - e trascurando l'esigenza prioritaria della tutela della salute dei cittadini.
Siamo fermamente convinti che i profili e le figure del medico, del professionista che ha una formazione universitaria medica o biologica, siano una realtà ben diversa dalla figura professionale dell'odontotecnico, che assolutamente rispettiamo e intendiamo rispettare. Si tratta di competenze assolutamente diverse e, come tali, tra loro non possono e non debbono esistere alcune commistioni.
Siamo persuasi che ci debba essere collaborazione tra le diverse figure nella progettazione e nella individuazione dell'insieme delle metodiche, ma siamo anche convinti che la materiale individuazione del migliore presidio odontotecnico che si dovrà inserire sull'essere umano debba rimanere di competenza dei medici e degli odontoiatri. Allo stesso modo, siamo convintiPag. 32che la verifica di funzionalità dell'esecuzione debba continuare a rimanere unicamente nella sfera di competenza del medico e dell'odontoiatra. Noi paventiamo un rischio non aleatorio ma reale, che trae origine anche dalla risposta data dal sottosegretario Patta, che vi sia la possibilità che si possa e si voglia arrivare ad una commistione fra figure professionali. Una deriva di questo genere rappresenterebbe un serio e reale pericolo in un Paese, in cui la piaga dell'esercizio abusivo della professione, della confusione e delle cattive pratiche in materia di sanità è sotto gli occhi di tutti (è sufficiente considerare in questo campo i dati statistici legati a fatti giudiziari penalmente rilevanti).
Siamo altresì convinti che l'università abbia un compito ben preciso, che è quello di dedicarsi prevalentemente all'alta formazione universitaria; da alcuni anni, però, assistiamo ad una sorta di tentativo di amplificare a dismisura il numero dei corsi di laurea triennale.
Tali corsi, spesso, non trovano alcuna rispondenza con le reali necessità del mondo del lavoro, dell'utenza e, nello specifico, dato che parliamo di sanità, con l'unico vero interesse: quello della tutela della salute pubblica! Probabilmente, tali esigenze dell'università italiana nascono da altri interessi, come quello della proliferazione delle cattedre universitarie, ma questo, evidentemente, è un aspetto che non deve minimamente preoccupare la politica, in quanto si tratta, semmai, di un fenomeno del tutto patologico!
Siamo convinti che il Ministero della salute debba ascoltare le voci della federazione dell'ordine dei medici e degli odontoiatri, nonché delle società scientifiche, le quali, da decenni, si occupano della tutela della salute pubblica in un settore così delicato che è stato, di fatto, trascurato dalla sanità pubblica e, molto spesso, relegato e demandato all'attività solo ed esclusivamente privata.
Siamo persuasi che tali voci debbano essere ascoltate, perché la tutela della salute pubblica deve essere, sicuramente, al centro dell'attenzione, non soltanto del Ministero della salute, ma anche del Parlamento italiano. In ogni caso, prendiamo atto della risposta del sottosegretario, che non ci convince, che non condividiamo affatto e che, tra l'altro, non troviamo assolutamente rispondente ai quesiti da noi posti, alcuni dei quali sono stati, francamente, elusi. In particolare, siamo convinti che alcune delle questioni già poste, nel passato, dal Consiglio di Stato, torneranno oggi ad essere argomento di contendere.
Da parte nostra, continueremo la nostra azione, attenta e vigile, nel seguire l'intero iter; proporremo tutti quegli atti parlamentari e metteremo in campo tutte quelle azioni consentite dal nostro ordinamento, al fine di avviare una netta inversione di tendenza.
Non vorremmo che la decisione assunta recentemente - credo di ieri - del Consiglio superiore della sanità sia da ascrivere a quella sorta di «impazzimento» generale del Paese, molto spesso denunciato da tanti arguti pensatori, anche della parte politica che sostiene questo Governo, nonché da esponenti del Governo stesso, al punto che addirittura - come sappiamo tutti - ieri un «dottor Sottile» ha dovuto ricorrere a grossolane scemenze!
(Rinvio interpellanza urgente Compagnon n. 2-00656)
PRESIDENTE. Avverto che, su richiesta dei presentatori e con il consenso del Governo, lo svolgimento dell'interpellanza urgente Compagnon n. 2-00656, concernente opere infrastrutturali da realizzare nella regione Friuli Venezia Giulia, è rinviato ad altra seduta.
(Finanziamenti del progetto Mose per la salvaguardia di Venezia - n. 2-00660)
PRESIDENTE. L'onorevole Leone ha facoltà di illustrare l'interpellanza Elio Vito n. 2-00660, concernente finanziamenti del progetto Mose per la salvaguardia di Venezia (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 3), di cui è cofirmatario.
Pag. 33
ANTONIO LEONE. Signor Presidente, l'interpellanza urgente Elio Vito n. 2-00660 - presentata dai vertici del gruppo di Forza Italia, in particolare dai deputati veneti e da quelli che fanno parte delle Commissioni ambiente e bilancio - trae spunto da una notizia che, se confermata, costituirebbe il triste epilogo di una tra le più importanti opere che nel nostro Paese potrebbe essere portata a termine nei prossimi anni.
Con tale interpellanza urgente si vuole mettere nuovamente in evidenza come il Governo Prodi e questa - per la verità - incerta maggioranza che lo sostiene, siano, in maniera ormai più che evidente, ostili nei confronti della realizzazione di qualsiasi opera pubblica di rilevante interesse nazionale. È, infatti, evidente il prevalere della componente dei contrari alle grandi infrastrutture, all'interno di una maggioranza costituita dalla diversità delle anime: la sinistra massimalista comunista e, soprattutto, i Verdi sono tout court contrari alla realizzazione di qualsiasi opera di modernizzazione del Paese, sia sul versante dei trasporti e della viabilità, sia su quello delle infrastrutture di preminente interesse nazionale, come il Mose di Venezia, nonché contrari alla realizzazione di tante altre opere pubbliche.
Di recente, è emersa la volontà da parte del Ministero dell'economia e delle finanze, nonché dello stesso Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di ridurre il finanziamento già stanziato, pari a 550 milioni di euro, per lo sviluppo dei lavori di realizzazione del sistema del Mose a Venezia, in netta contraddizione rispetto alle dichiarazioni rassicuranti provenienti dagli stessi rappresentanti di entrambi i dicasteri, circa il mantenimento delle cifre inizialmente previste per il completamento di tale indispensabile opera pubblica.
È doveroso ricordare come, durante la precedente legislatura, il Governo Berlusconi ha varato un programma imponente per quanto riguarda le infrastrutture, puntando l'attenzione sul miglioramento del corridoio n. 5 (che comprende la linea Torino-Lione), il nuovo traforo del Brennero, il ponte sullo stretto di Messina e per l'appunto, il Mose di Venezia.
Proprio per la realizzazione di quest'ultima opera, per far partire i cantieri del Mose, il precedente Governo aveva disposto il finanziamento urgente a favore di Venezia e del suo hinterland di una somma di circa 4 miliardi e 300 milioni di euro, dopo decenni di discussione e di studio, unitamente alla previsione della realizzazione di altri interventi infrastrutturali, quali la tangenziale, l'alta velocità, lo stesso corridoio n. 5 che i Verdi, invece, vorrebbero bloccare non soltanto in Val di Susa ma anche a Mestre.
Se venisse confermata l'intenzione del Governo di stornare 550 milioni di euro dalla somma necessaria per la realizzazione delle infrastrutture funzionali ed indispensabili per il progetto del Mose, si tratterebbe di un colpo durissimo per il completamento dell'opera i cui lavori sono già iniziati nel 2003. Infatti, si rischierebbe una battuta di arresto irreversibile per una serie di lavori già effettuati, che si trovano in acqua, non potrebbero essere più completati e finirebbero per marcire.
È anche importante ricordare come lo stesso Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, Di Pietro, solo pochi mesi fa, abbia fornito rassicurazioni circa l'entità complessiva dei finanziamenti, affermando che, qualora si fossero arrestati i lavori o ridotti gli stanziamenti vi sarebbe stato un rischio gravissimo e il costo complessivo sarebbe certamente aumentato, addirittura in misura considerevole.
Lo stesso ministro Di Pietro ha auspicato il completamento dei lavori, così come previsto nel programma di realizzazione di questi ultimi e dei relativi stanziamenti, proprio per evitare un aumento dei costi dei lavori stessi, se non per evitare che il progetto potesse addirittura andare a monte.
Vale la pena di ribadire che il Mose rappresenta un grande sistema modernissimo di dighe mobili che servirà a salvare Venezia dalle acque alte e che, proprio gli ambientalisti, avevano lanciato un grido diPag. 34allarme sull'imminente innalzamento delle acque nel mondo, comprese quelle di Venezia.
È sotto gli occhi di tutti la contraddizione tra le parole e i fatti da parte di coloro che fanno capo alla cosiddetta ala ambientalista del Governo. Ed è proprio a causa di tale sinistra antagonista e massimalista e del partito dei Verdi (rappresentati da un Ministro dell'ambiente fiero della propria visione «paleolitica» e fortemente ideologizzata per quanto riguarda le politiche ambientali) i quali, insieme, formano il «partito del no» che si pone sotto gli occhi di tutti come la responsabilità del ritardo dell'Italia dal punto di vista infrastrutturale rispetto al resto d'Europa rischi di diventare incolmabile.
Non è una polemica politica; è la constatazione di quanto accade in questa maggioranza relativamente al comparto del quale stiamo discutendo. Chiediamo al riguardo contezza al Governo di quanto testé abbiamo chiesto di sapere, vale a dire se corrisponda al vero la riduzione dei finanziamenti e, ove mai ciò fosse, come sarebbe possibile arginare il depauperamento dei lavori già realizzati. Inoltre, vorremmo sapere come sia possibile far fronte a tutte le conseguenze di natura, non solo tecnica ma anche legale, che scaturirebbero da inadempimenti riconducibili alla volontà non delle imprese, né tanto meno del committente, ma dello Stato che non provvede ad erogare i contributi nei tempi e secondo la «tabella di marcia» stabilita non solo dal precedente Governo, ma anche dall'attuale: ciò determinerebbe conseguenze - lo ripeto - di natura non solo tecnica ma anche legale che potrebbero creare qualche «piccolo problema».
PRESIDENTE. Il Viceministro delle infrastrutture, Angelo Capodicasa, ha facoltà di rispondere.
ANGELO CAPODICASA, Viceministro delle infrastrutture. Signor Presidente, preliminarmente credo sia indispensabile confermare, come ha già fatto il Governo e come il Ministro Di Pietro ha più volte ribadito, l'indifferibilità e l'urgenza di portare a compimento nei tempi previsti le opere relative al sistema di paratie mobili per la salvaguardia di Venezia definito Mose. Tant'è che anche da ultimo, con l'allegato infrastrutture strategiche al Documento di programmazione economico-finanziaria per gli anni 2008-2012, datato 28 giugno 2007 (quindi, recentemente approvato), si è previsto il completamento del finanziamento di alcune opere strategiche e prioritarie, tra le quali il sistema Mose, mediante le prossime leggi finanziarie relative al quinquennio 2008-2012, indicando per tali opere la previsione annuale di spesa, sebbene non il relativo piano delle assegnazioni.
Per quanto concerne quindi gli aspetti finanziari dell'opera oggetto dell'interpellanza, va chiarito che la legge n. 296 del 2006 - la legge finanziaria per il 2007 - all'articolo 1, comma 977, autorizza la concessione di contributi pluriennali per la prosecuzione della realizzazione delle opere strategiche di preminente interesse nazionale e viene indicato l'importo residuo di contributi pluriennali ancora disponibile, nel triennio 2007-2009, suscettibile di attivare un volume di investimento di circa 1,5 milioni di euro, non specificando, tuttavia, l'assegnazione di tali somme che spetterebbe sempre al CIPE.
Il Ministro delle infrastrutture ha ultimamente ribadito la necessità di reperire ulteriori fondi per il proseguimento dei lavori in corso, fondi che non possono essere reperiti tra quelli previsti dal surrichiamato comma 977 dell'articolo unico della legge finanziaria ma cercati altrove attraverso altri e diversi strumenti.
Per questo motivo, il Ministro delle infrastrutture ha più volte proceduto ad avanzare richiesta al competente Ministero dell'economia e delle finanze per un'ulteriore assegnazione al fine di consentire la prosecuzione dei lavori del Mose.
In particolare, tale somma, consentirebbe di far fronte ad uno scenario di breve periodo, per fronteggiare gli impegni produttivi indispensabili nel 2007 e nel 2008 e assicurerebbe una curva di produzione sostanzialmente coerente con il cronoprogrammaPag. 35del contratto a «prezzo chiuso» (atto 11 maggio 2005, repertoriato con il numero 8067, aggiuntivo alla convenzione generale repertoriata con il numero 7191 del 1991).
La mancata assegnazione della nuova tranche di finanziamento costituirebbe di fatto una interruzione del piano dei finanziamenti preordinato alla realizzazione dei lavori secondo il cronoprogramma contrattualizzato.
Allo stato l'avanzamento dei lavori è tale per cui l'eventuale rinvio di nuovi stralci esecutivi determinerebbe l'esigenza di provvedere alla realizzazione di opere provvisionali necessarie ad evitare deterioramenti e danni ai lavori già eseguiti, a causa della loro permanenza in ambiente marino e dell'azione erosiva delle correnti, con maggiori oneri per l'amministrazione concedente. Inoltre, la mancata prosecuzione delle opere potrebbe altresì esporre l'amministrazione a richieste indennitarie e-o risarcitorie di danni da parte del concessionario.
L'assegnazione urgente della nuova tranche di finanziamento è da considerarsi, pertanto, un obiettivo strategico-operativo essenziale per la prosecuzione del sistema Mose, opera individuata quale indispensabile per l'effettiva salvaguardia fisica di Venezia e della sua laguna.
La sua conclusione, secondo il cronoprogramma contrattualizzato, eviterà all'amministrazione di dover sostenere maggiori costi rispetto al «prezzo chiuso» di cui all'atto repertoriato n. 8067 del 2005, aggiuntivo alla convenzione generale n. 7191 del 1991.
PRESIDENTE. L'onorevole Leone ha facoltà di replicare.
ANTONIO LEONE. Signor Presidente, sono soddisfatto del fatto che il Viceministro Capodicasa, evidentemente, condivida appieno tutte le preoccupazioni riportate nell'interpellanza che abbiamo sottoposto al Governo.
Il fatto che un atto di sindacato ispettivo sia indirizzato ad un ministro anziché ad un altro corrisponde ad una valutazione fatta in base all'argomento riguardato che fa ritenere che la risposta debba essere data dal ministro competente ratione materiae.
Sta di fatto che non abbiamo avuto risposta: abbiamo avuto una sorta di solidarietà da parte del Ministero delle infrastrutture, gradita, perché evidentemente il Ministro o chi lo sta rappresentando in questo momento condivide il fatto che si tratta di un'opera che non può essere interrotta, che deve essere finanziata e portata a compimento, per evitare tutto quello che abbiamo esposto nell'interpellanza e che lei, signor Viceministro, ha ribadito.
Ma lei non ci ha detto se le preoccupazioni riportate da notizie di stampa circa il taglio delle risorse siano fondate, se - come si dice in Veneto - gli sghei ci sono o non ci sono, se sono stati tolti o meno. Non ha risposto a questo!
Evidentemente, questa è la riprova del fatto che l'attuale Governo vada a compartimenti stagni. Per questo motivo, mi dichiaro insoddisfatto. Forse, avrebbe dovuto rispondere il Ministro dell'economia e delle finanze; forse avrebbe dovuto essere il Ministero delle infrastrutture ad interpellare il Ministro dell'economia per acquisire la risposta alla domanda posta con l'interpellanza rappresentando al dicastero economico come, appunto, fosse nel relativo potere fornirla o meno; forse, dunque, il suo Ministero ha omesso di interpellare il detentore del portafoglio, ma non possiamo pensare che lei non abbia «girato» la domanda al Ministro dell'economia solo e soltanto perché non vi parlate. Evidentemente, invece, non eravate in grado, forse, di avere la risposta, che non solo era gradita a noi, ma, da quello che ha detto, era gradita anche a voi. È questo quanto ci preoccupa! Vuol dire, evidentemente, che sarà premura del gruppo che rappresento e dei colleghi del Veneto, che hanno preoccupazioni molto forti per questo atteggiamento del Governo - evidentemente non del suo Ministero, ma di chi «dispone» -, inoltrare, forse, qualche altro atto di sindacato ispettivo a chi può venire a darci contezza.
Pag. 36Sta di fatto che siamo agli sgoccioli dell'approvazione del DPEF e si sta formando in questi giorni il megadecreto che costituisce peraltro il corpo della manovra finanziaria, in maniera molto, ma molto «capodica» e autoritaria, e forse non solo i parlamentari, ma anche i ministeri non potranno metterci non solo le mani, ma neanche il naso. È questo che bisogna evitare!
Se il suo dicastero ha a cuore, così come ha rappresentato prima, il fatto che questa vicenda venga portata a conclusione, non basta una risposta di solidarietà. Ci vuole un'azione molto più energica, di natura politica, ed è per questo che non siamo soddisfatti (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia).
(Stato dei lavori relativi al progetto di realizzazione della stazione Porta di Afragola - n. 2-00643)
PRESIDENTE. L'onorevole Nespoli ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00643, concernente lo stato dei lavori relativi al progetto di realizzazione della stazione Porta di Afragola (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 4).
VINCENZO NESPOLI. Signor Presidente, siamo addivenuti alla convinzione di presentare l'interpellanza urgente in esame perché siamo fortemente preoccupati per il modo in cui si stanno svolgendo i lavori per la definizione del nodo dell'alta velocità a Napoli, non solo per quel che riguarda la stazione di Porta Afragola, ma anche per la linea di penetrazione su Napoli e per tutte le opere di completamento che erano previste dall'accordo di programma di vecchia data; esse dovevano soprattutto rispettare dei tempi e delle modalità che erano interne a una procedura avviata da molto tempo e che ha visto protagonisti i comuni interessati all'attraversamento dell'alta velocità, la provincia, la regione, i vari Governi che si sono succeduti in questi decenni, e ovviamente Italferr, Ferrovie dello Stato e TAV.
Siamo preoccupati perché innanzitutto dobbiamo - in questa sede, ma lo abbiamo fatto già con altri interventi ispettivi - denunciare una sorta di atteggiamento razzista, da parte del Governo e della TAV, nei confronti del Mezzogiorno. Infatti, per alcune problematiche inerenti ai lavori della TAV in alcune zone della nazione (Bologna e Roma) vengono riconosciuti ai cittadini costretti a sopportare i disagi dei cantieri della TAV alcuni indennizzi; ciò non è invece previsto per la penetrazione a Napoli città, nella zona di Ponticelli e San Giovanni a Teduccio, e per l'attraversamento del rione San Marco ad Afragola. Si è verificato nei fatti che tali attraversamenti a Napoli e in provincia di Napoli sono molto più dannosi degli altri previsti a Roma e a Bologna, ma non hanno lo stesso trattamento da parte della TAV, delle Ferrovie e delle regioni interessate. Sicché, a Roma e a Bologna vengono riconosciuti alle popolazioni interessate dai lavori indennizzi e indennità maggiorati in rapporto al disagio che sono state costrette a subire, ad esempio per quanto riguarda le polveri, i disagi che derivano dai cantieri e dall'attraversamento dei mezzi meccanici presenti all'interno delle aree interessate; invece, a Napoli (e in particolare nel rione San Marco, che è stato sventrato ad Afragola dall'attraversamento dell'alta velocità), tutte queste misure vengono negate nonostante le richieste dei comitati che si sono costituiti, nonostante anche la battaglia che nel quartiere Poggioreale sta portando avanti padre Salvatore Marseglia a favore dei cittadini che sono interessati da tale tipo di problematica.
Accanto a tale dato, vi sono poi una serie di atteggiamenti che le Ferrovie, Italferr e la TAV hanno assunto ultimamente, che riguardano ad esempio la preannunciata chiusura della sede sul territorio dell'osservatorio relativo all'alta velocità, che ha seguito in questi anni le problematiche di raccordo con le amministrazioni locali, con le popolazioni interessate. Vi è nei fatti la chiusura del nucleo della TAV e il trasferimento di tutto il personale all'interno di Italferr, ePag. 37non si riesce a capire quale ripartizione seguirà poi i lavori che si stanno svolgendo, se c'è una continuità o se questo smembramento, questa chiusura della divisione TAV, che una volta (è bene ricordarlo) era una società a parte, possa incidere sull'andamento dei lavori e soprattutto sul rispetto dei tempi.
Ma quanto più ci ha meravigliato è la notizia secondo la quale viene di fatto ritardata la consegna delle aree alla società aggiudicataria della gara per la costruzione della stazione dell'alta velocità, la stazione Porta Campania nel territorio di Afragola, perché ci sarebbero ritardi dovuti soprattutto a una verifica dei progetti sottesi alla realizzazione di queste opere.
Tali progetti avrebbero dovuto essere resi esecutivi con la realizzazione da parte del consorzio di imprese che è risultato vincitore della gara di aggiudicazione della realizzazione della stazione Porta, ma è emersa - nel confronto avviatosi fra tale ditta e il consorzio concessionario Italferr e TAV - una serie di limiti progettuali che comportano, fra l'altro, una serie di interventi diversi da quelli previsti nel progetto originariamente posto a base della gara effettuata. Si tratta di modifiche che delineano un quadro economico diverso, del quale non è dato capire se vi è capienza economica; né è dato capire se ciò determinerà, nei fatti, un ulteriore rallentamento nel timing di realizzazione della stazione in questione, nonché della definitiva costruzione della tratta Roma-Napoli che oggi è già in esercizio attraverso il cosiddetto «baffo di Gricignano».
Le perplessità così esposte mirano, in questo momento, ad illustrare l'interpellanza urgente da noi presentata: a seconda dell'esito della risposta del Governo, ci riserviamo - ovviamente - non solo di dichiarare la nostra posizione in merito, ma anche di aggiungere ulteriori elementi di preoccupazione che, si ritiene e ci si augura, saranno trattati nel corso di tale risposta.
PRESIDENTE. Il Viceministro delle infrastrutture, Angelo Capodicasa, ha facoltà di rispondere.
ANGELO CAPODICASA, Viceministro delle infrastrutture. Signor Presidente, con riferimento a quanto evidenziato nell'atto cui si risponde e all'illustrazione testé svolta dal suo primo firmatario, Ferrovie dello Stato ha comunicato quanto segue.
L'ATI Sacaim ha completato la consegna del progetto esecutivo della stazione Campania e relativa offerta economica in data 30 maggio 2007. Italferr ha in corso l'istruttoria del progetto, che si concluderà entro il 30 luglio. A tal fine, sono attualmente in corso i confronti con il progettista e l'appaltatore per analizzare la sussistenza delle motivazioni sulla base delle quali è stata presentata un'offerta economica che comporta un incremento rispetto al valore di aggiudicazione dell'appalto: solo alla fine del processo di verifica sarà possibile esprimersi in modo circostanziato circa presunte carenze del progetto a base di gara; comunque, ad oggi, non sono emerse carenze rilevanti di natura progettuale. L'incremento dei costi ad oggi consolidato, pari a circa 864 mila euro, è dovuto esclusivamente all'attività di indagine e scavi archeologici richiesti dalla soprintendenza di Napoli e Caserta: tale attività non era stata inserita nel progetto a base di gara, in quanto avrebbe dovuto essere svolta direttamente dalla soprintendenza, con oneri a carico della TAV. Dal momento che la stessa soprintendenza ha poi comunicato a TAV di non poter procedere all'esecuzione delle indagini in questione, le stesse sono state affidate all'ATI Sacaim.
L'invio di personale da Roma a Napoli, ovvero possibili modifiche alle strutture organizzative di Italferr non sono correlabili ad eventuali carenze progettuali. Peraltro, il personale viene spesso spostato a livello nazionale in considerazione delle necessità tecnico-organizzative legate alle specifiche commesse di investimento e, conseguentemente, alla professionalità e all'esperienza delle singole risorse. Il presidente di Italferr svolge le attività e lePag. 38verifiche che attengono per istituto al ruolo rivestito in ambito societario.
PRESIDENTE. L'onorevole Nespoli ha facoltà di replicare.
VINCENZO NESPOLI. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, la risposta alle questioni poste appare essere poco più che un telegramma: dunque, anche il modo con cui il Viceministro ha fornito i chiarimenti conferma i dubbi che abbiamo esplicitati con l'interpellanza urgente in esame.
Sembra peregrino affermare che i lavori di verifica archeologica erano stati affidati alla soprintendenza, poiché nell'ambito di tutte le opere in passato realizzate dalla TAV tali lavori sono stati svolti, sempre ed unicamente, da parte dei concessionari e si collocavano quindi all'interno del quadro economico previsto a carico di essi.
Mi riferisco, ovviamente, alla tratta senza i nodi: sto parlando del concessionario Iricav-uno, che contemplava, all'interno del quadro economico, anche le spese previste per le indagini di natura archeologica le quali, nei modi consentiti dalla legge, avrebbe poi eseguito lo stesso concessionario.
È chiaro che, in tutto il mondo, le gare vengono espletate dopo che è stata condotta l'indagine archeologica e che l'indagine archeologica non viene affidata successivamente. Avremmo potuto trovare, sotto il terreno o i terreni sui quali deve sorgere la stazione dell'alta velocità, una antica città romana. Che avremmo fatto allora? Non avremmo, forse, cambiato il tracciato o avremmo fatto altro? È chiaro, quindi, che i rilievi archeologici sono sempre preventivi alla realizzazione di qualsiasi opera. In verità, qualcuno si era dimenticato di indicarli ed è chiaro che il consorzio affidatario ha fatto notare che mancava tale tipo di indagini, le quali gli sono state commissionate, dal momento che, storicamente, la sovrintendenza non le esegue in maniera diretta.
Il secondo aspetto, che pure viene evidenziato da parte del Viceministro, riguarda il fatto che, mentre eravamo - e siamo - in attesa della consegna materiale del cantiere al consorzio concessionario che si è aggiudicato la gara (mentre, cioè, sta per consumarsi tale intervallo di tempo), è in corso una verifica sul progetto esecutivo, il quale, badate bene, era a base della gara che è già stata realizzata l'anno scorso. Nei fatti, già la circostanza in sé che si proceda ad una verifica progettuale significa che il progetto - considerato come progetto a base dell'asta poi realizzata - era manchevole di qualche elemento. Noi abbiamo individuato una serie di carenze ed indicato anche il costo presunto richiesto dalla ATI aggiudicataria, che fa lievitare notevolmente, di quasi 20 milioni di euro, i costi per la realizzazione della stazione dell'alta velocità.
Anche con riferimento agli spostamenti di personale, alla chiusura dell'osservatorio ed allo smembramento di fatto della ripartizione TAV all'interno delle Ferrovie, la risposta del Viceministro è sintetica, telegrafica ed irrispettosa del ruolo del Parlamento: il Viceministro si è limitato unicamente a dire che le Ferrovie tengono informato il Governo, come se il Viceministro fosse diventato il delegato postino, per conto delle Ferrovie, nel dare una risposta al Parlamento, senza assumersi neanche l'onere di verificare se tali informazioni sono veritiere. Il Governo è diventato, quindi, il portavoce delle Ferrovie: ne prendiamo atto, ma su questo dato svilupperemo poi una serie di considerazioni che, in qualche modo, anche da parte del Governo, vorremmo fossero tenute in considerazione.
Sono state presentate, quindi, richieste di variante, specificatamente da parte dell'impresa, per un valore di 21 milioni di euro. Ovviamente, è in corso un tavolo che sta valutando tali richieste. Anche dal punto di vista del progetto, l'ATI ha presentato una serie di modifiche, ora al vaglio di Italferr e dello studio Hadid, che ha vinto il progetto internazionale. Per quanto riguarda la stazione, invece, è stata effettuata una gara per la costruzione della stazione, mentre tutta la viabilità di supporto alla stazione, prevista dagli accordiPag. 39di programma e dagli accordi procedimentali approvati negli anni scorsi, non è stata finanziata. Ancora non sappiamo chi la deve finanziare, e le gare non sono state avviate. Vi sarebbe una grande stazione esterna al sistema dell'alta velocità (nelle previsioni o nei programmi del Governo si dovrebbe realizzare anche la tratta Napoli-Bari, con una ulteriore penetrazione dell'alta velocità oltre alla linea a nord del Vesuvio fino a Battipaglia e a Reggio Calabria, e quindi una stazione esterna al sistema dell'alta velocità è obbligata), ma tale stazione non è collegata al sistema viario, perché non si è ancora definito chi finanzia l'ingresso dell'asse mediano e non è previsto un ingresso della «bretella» dell'autostrada, di competenza ANAS, che collega i caselli di uscita della A1 con il sistema tangenziale di Napoli.
Sono opere indispensabili per rendere fruibile, anche al trasporto su gomma, il collegamento con la stazione Porta e che nessuno si preoccupa di finanziare. Ma al di là di tale dato, i vincoli che prevedevano la pubblica utilità su quella zona sono scaduti e non vengono rinnovati, né da parte della provincia né da parte della regione, mentre entrambe evidenziano - chiaramente - tentativi egemonici, attraverso la costituzione di una STU (Società di trasformazione urbana), di appropriarsi della programmazione del territorio intorno alla stazione dell'alta velocità, nei fatti relegando i comuni interessati ad un ruolo comprimario rispetto alla spasmodica attività dell'assessore ai trasporti della regione Campania, Cascetta, che vorrebbe così, attraverso le STU, avere anche l'egemonia sullo sviluppo di tali territori. Si tratta di una serie di problematiche tutte aperte, che riguardano il progetto e la realizzazione della stazione Porta dell'alta velocità e la viabilità per l'accesso alla stazione, tenuto conto che quella attuale è insufficiente a causa della presenza di grandi centri commerciali in zona e già da adito a gravi blocchi viari in quel contesto.
Vi sono problematiche ambientali, che sottolineavo all'inizio del mio intervento, nel trattamento diversificato fra i cittadini italiani costretti a convivere con i lavori e i cantieri dell'alta velocità. A Bologna e a Roma i cittadini si vedono riconosciuti indennizzi a vario titolo, mentre ad Afragola e a Napoli tutto ciò non è lecito. Su tale discriminazione torneremo con ulteriori atti ispettivi, perché riteniamo che da parte del Ministero, del Governo, delle Ferrovie e della TAV la concezione che relega i cittadini del sud in una categoria inferiore rispetto ai cittadini di altri territori e ad un trattamento diversificato non sia accettabile da parte nostra.
Tale contesto e il quadro tratteggiato, che in parte viene confermato dalla risposta del Governo, ovviamente ci lascia molto interdetti, perché non vi è certezza dei tempi di realizzazione della stazione, né del completamento della penetrazione su Napoli, né della definizione completa del tracciato Napoli-Roma e credo che la messa in esercizio, prevista per il 2010, si allontani di molti anni. Ciò sottolinea come il Governo, nei fatti, faccia proclami - cioè effetti-annuncio - mentre poi, nella realizzazione concreta di certe opere, vi sono rallentamenti che molto spesso sono esclusivamente addebitabili non solo alla lentezza con cui si muovono il Governo e gli enti delegati, in questo caso le Ferrovie, ma anche al modo in cui la regione Campania non adempie in toto agli obblighi che le sono propri, attraverso gli accordi di programma sottoscritti e le conferenze di servizi.
Vale ricordare che ancora oggi, signor Viceministro, l'accordo procedimentale prevedeva la contestualità dei lavori per la stazione dell'alta velocità e degli innesti delle reti ferroviarie regionali che sono previste, il cosiddetto ammagliamento sulla stazione dell'alta velocità. Non è stato definito il tracciato della tratta Cancello-Napoli, che deve arrivare sulla stazione Porta dell'alta velocità, né l'arretramento della circumvesuviana, che pure si deve appostare sulla stazione Porta dell'alta velocità. Si tratta di due ammagliamenti necessari, perché altrimenti costruiremo una cattedrale nel deserto, che non avrà nessuna funzione, perché se non è collegata alla rete di trasporti regionali, laPag. 40stazione dell'alta velocità non ha senso. All'esterno basterebbe averla a piazza Garibaldi o nella stazione centrale di Napoli, forse tornando al vecchio auspicio del presidente della regione.
Tutti questi dubbi ci inducono ad affermare che la risposta fornita dal Governo è insufficiente e, ovviamente, non siamo soddisfatti.
(Iniziative per evitare la chiusura della scuola allievi carabinieri «Piemonte» di Fossano - n. 2-00655)
PRESIDENTE. L'onorevole Delfino ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00655, concernente iniziative per evitare la chiusura della scuola allievi carabinieri «Piemonte» di Fossano (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 5).
TERESIO DELFINO. Signor Presidente, intendo illustrare la mia interpellanza urgente. La preoccupazione che intendo esprimere in questa sede, non soltanto a nome personale, ma di tutte le istituzioni locali (della provincia, delle forze sociali e politiche) è capire dal Governo quale futuro voglia garantire alla scuola allievi di Fossano. L'importanza di questa scuola è documentata da una storia gloriosa, da una serie innumerevole di corsi, dalle migliaia di giovani che sono usciti da tale struttura formativa. Si tratta di una struttura che ha risposto pienamente alle finalità per le quali era stata istituita e che onorava la provincia di Cuneo, che già in passato - anche recentemente - ha subito forti penalizzazioni dalla soppressione di strutture militari e di altre scuole, come la scuola allievi della Guardia di finanza di Mondovì.
Pertanto, non comprendiamo l'accanimento con cui il Governo persegue il suo obiettivo. Vorremmo anche sapere quale sia l'autorevole opinione dell'Arma dei carabinieri sul caso in esame, perché si tratta di una struttura presente in un luogo assolutamente adeguato alla possibilità di continuare la sua attività ed in una posizione logistica assolutamente invidiabile. Inoltre la funzionalità della caserma «Dalla Chiesa» è stata sempre assolutamente ribadita in questi anni e, soprattutto, esiste un profondo legame storico della scuola con la città di Fossano, con la provincia, con l'indotto economico che la presenza della scuola assicurava a tutto il distretto territoriale di riferimento più vicino.
Allora, ci domandiamo perché siano insorte le ricordate difficoltà e perché le esigenze - che non vediamo in assoluto - di riorganizzazione e di una maggiore efficacia di queste scuole porti sempre a penalizzare la provincia di Cuneo. Non posso non esprimere un forte dissenso qualora si verificasse anche in questa occasione una situazione simile.
Chiediamo, nell'interpellanza urgente in esame, di sapere dal Governo quali siano le iniziative urgenti adottate per fare in modo che questa scuola gloriosa possa continuare a rappresentare un punto di riferimento assolutamente efficace e presente nella nostra provincia.
Senza dubbio, sappiamo - e quindi diamo per scontato - che c'è stato, in questi anni, un forte programma di ridimensionamento delle scuole allievi delle diverse Armi, tuttavia vogliamo capire, oggi, perché vi sia una simile attenzione verso una realtà (come quella della struttura formativa in oggetto) che ha sempre ben funzionato ed ha, come dicevo prima, tutte le condizioni per poter procedere nella sua attività.
Questo è il primo tipo di risposta e di sollecitazione che rivolgiamo al Governo. Naturalmente, vogliamo anche andare avanti e capire quali ulteriori proposte vengano avanzate in merito all'utilizzo della struttura di cui si tratta per il futuro. Abbiamo sentito parlare - l'abbiamo anche evocato e richiamato in questa interpellanza urgente - della dislocazione del battaglione Moncalieri e delle altre possibilità che riguardano l'Arma.
Non vi è, tuttavia, una cognizione puntuale di tali intendimenti da parte della comunità locale, degli enti e delle istituzioni. Vorrei, quindi, capire lo stato dell'arte e lo stato progettuale complessivo diPag. 41questa iniziativa, che porterebbe comunque ad un forte ridimensionamento della scuola e della struttura militare.
Tra l'altro, sono certo che non sfugge al Governo che quella amplissima area di oltre 480 mila metri quadrati, costituita da terreni e strutture a disposizione della scuola, da anni viene utilizzata solo in parte. Cogliamo, quindi, l'occasione di questo passaggio, di questo progetto di riprogrammazione e ridefinizione della struttura in oggetto, per capire se vi sia la possibilità di utilizzare comunque tale area, rimanendo invariate - come auspichiamo - la finalità e la presenza della scuola allievi carabinieri a Fossano.
Vorremmo, comunque, cogliere l'occasione per conoscere i programmi rispetto alla disponibilità di quest'area amplissima. Le istituzioni locali e, segnatamente, il comune di Fossano, infatti, si sono da tempo dichiarati disponibili ad acquisire tale area per la parte non utilizzata, al fine di destinarla ad un programma di valorizzazione, che corrisponda maggiormente alle necessità e alle esigenze della comunità locale.
Tra l'altro, tale collaborazione tra il demanio, il Ministero, l'Arma dei carabinieri ed il comune potrebbe certamente portare a reperire risorse per ristrutturare, ammodernare e implementare le strutture militari già esistenti, in particolare quelle della scuola allievi carabinieri di Fossano, che vogliamo difendere e sostenere fino in fondo.
In conclusione, signor sottosegretario, gradiremmo ascoltare una parola chiara e di speranza sia in ordine al mantenimento di una realtà presente ed efficace dell'Arma dei carabinieri, sia per quanto riguarda la valorizzazione e l'alienazione da parte del demanio di tutta l'area non utilizzata dalla struttura militare. Quest'ultima potrebbe, infatti, rappresentare una risorsa sia in termini di ritorno per l'accensione di finanziamenti volti a migliorare le strutture militari esistenti e attualmente funzionanti, sia per mettere a disposizione della comunità un'area che la stessa rivendica e attraverso la quale sarebbe possibile soddisfare tanti bisogni non solo della cittadinanza di Fossano, ma, in generale, del più ampio territorio provinciale. Mi auguro che la sua risposta corrisponda alle nostre aspettative.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per la difesa, Emidio Casula, ha facoltà di rispondere.
EMIDIO CASULA, Sottosegretario di Stato per la difesa. Signor Presidente, nell'ambito della generale missione affidata alle Forze armate per la difesa del Paese e la salvaguardia delle libere istituzioni, l'Arma non solo concorre alla difesa integrata del territorio nazionale, ma partecipa anche alle operazioni per il mantenimento e il ristabilimento della pace e della sicurezza internazionale. Contribuisce, inoltre, alle attività volte alla ricostruzione e al ripristino dei corpi di polizia locale nei teatri operativi, garantisce i servizi di sicurezza alle rappresentanze diplomatiche e consolari all'estero ed esercita funzioni di polizia militare in via esclusiva per tutte le Forze armate.
Proprio in relazione a tali compiti l'Arma ha sviluppato un graduale processo di rinnovamento delle strutture e delle procedure, perseguendo un programma di razionalizzazione del settore logistico-gestionale finalizzato precipuamente al recupero di risorse a favore degli impieghi operativi. Ciò anche in considerazione dell'intervenuta legge 27 dicembre 2006, n. 696, che ha imposto a tutte le amministrazioni l'obbligo di ottimizzare le risorse e di razionalizzare le strutture.
Peraltro, la consapevolezza della valenza della duplice natura istituzionale dell'Arma ha condotto il legislatore nel 2000 ad esaltarne tale specificità, ribadendo i compiti militari e inserendoli in un aggiornato quadro organico maggiormente funzionale alle evolute esigenze.
Ciò detto, in merito alla questione sollevata con l'interpellanza in discussione, si precisa in primo luogo che la richiamata scuola allievi carabinieri «Piemonte» di Moncalieri non rientra tra i reparti dell'Arma con sede a Moncalieri dove sono presenti, invece, il primo battaglione carabinieriPag. 42«Piemonte», preposto a compiti di tutela dell'ordine pubblico e di controllo del territorio e la compagnia territoriale la cui presenza ed esistenza non può certo essere posta in discussione.
A questo riguardo è opportuno ricordare che le Forze armate, compresa l'Arma dei carabinieri, stanno vivendo da tempo un delicato e complesso processo di riorganizzazione connesso ai provvedimenti normativi concernenti la trasformazione dello strumento militare in senso interamente professionale. L'intervenuta sospensione della coscrizione obbligatoria, in particolare, ha reso necessaria l'attuazione di un programma di sostituzione dei carabinieri ausiliari con quelli effettivi che inciderà sensibilmente sull'entità degli arruolamenti nel ruolo iniziale.
È, dunque, in tale contesto che si devono inquadrare le eventuali iniziative, nel senso ipotizzato dagli onorevoli interpellanti, che potrebbero interessare l'Arma nell'ottica dell'adeguamento degli attuali enti addestrativi alle mutate e diminuite esigenze di formazione del personale dei carabinieri del ruolo iniziale, oltre che per corrispondere con sempre maggiore efficacia ai nuovi compiti attribuiti all'istituzione, quale forza di polizia ad ordinamento militare con rango di forza armata.
In particolare, nel rappresentare come al momento non sia stato adottato alcun provvedimento afferente eventuali ridimensionamenti o riconversioni degli enti addestrativi in argomento, si assicura comunque che, a premessa di ogni decisione, non verranno certamente trascurati gli eventuali riflessi di carattere sociale, economico e infrastrutturale, nonché quelli connessi con i legami storici e con la presenza dei carabinieri in Piemonte e nelle aree interessate, anche nel rispetto del tradizionale e sentito legame dell'Arma con i cittadini.
Ciò nella consapevolezza che l'Arma dei carabinieri rappresenta una delle istituzioni più vicine ai cittadini nei confronti dei quali svolge la sua costante azione di prevenzione, quale espressione significativa della presenza dello Stato nel territorio.
L'Arma dei carabinieri, come sapete, in una storica evoluzione che ne ha plasmato la tradizione, si è sempre mostrata in sintonia con i cambiamenti della società italiana. I suoi militari, nell'anonimato del duro e generoso servizio quotidiano, sorvegliano in ogni modo la cittadinanza, dando e ricevendone incondizionata fiducia.
PRESIDENTE. L'onorevole Delfino ha facoltà di replicare.
TERESIO DELFINO. Signor Presidente, signor sottosegretario, dovrò leggere con attenzione la risposta, perché se da un lato mi pare che lei abbia affermato che non è stata ancora presa alcuna decisione, dall'altro lato ha richiamato, in termini generali, che per il superamento della leva obbligatoria vi è l'esigenza di ridefinire il quadro complessivo delle realtà formative, anche per l'Arma dei carabinieri.
Noi non neghiamo tale assunto; quello che sosteniamo nell'interesse della provincia di Cuneo, tramite la nostra interpellanza, è che non riteniamo giusta, equa e neanche funzionale una decisione che escluda la scuola di Fossano dal progetto complessivo di riorganizzazione delle scuole allievi. Tale valutazione si fonda sulle ragioni esposte nell'illustrazione dell'interpellanza, che attengono all'ottima realtà logistica, all'ottimo inserimento e, come da lei affermato, al consolidato rapporto e alla vicinanza creatasi, in generale, tra i cittadini e l'Arma dei carabinieri, nonché, nello specifico, all'ottimo e storico rapporto consolidatosi tra la comunità provinciale - segnatamente la comunità fossanese - e l'Arma dei carabinieri.
Pertanto, ci auguriamo che questo momento di confronto tra Parlamento e Governo porti a riconsiderare, nell'ambito del programma, l'esigenza che la scuola rimanga aperta e che, in provincia di Cuneo, nella città di Fossano, vi sia un rafforzamento della presenza dell'Arma dei carabinieri per le disponibilità esistenti sotto il profilo logistico. E, soprattutto, auspichiamo che, qualunque sarà la decisione che verrà assunta, si tenga conto, signorPag. 43sottosegretario, che la provincia di Cuneo ha dato negli anni, nella grande guerra, nell'ultima guerra mondiale, un notevole tributo di sangue e di martiri per la battaglia per l'unità nazionale, per la resistenza e per la Costituzione repubblicana.
Riteniamo, dunque, che davanti ad un attaccamento profondo, condiviso dalla popolazione, nel rapporto con l'Arma dei carabinieri, il Governo attuale (così come quelli futuri), non possa nuovamente penalizzare la provincia di Cuneo.
Signor sottosegretario, è certamente a conoscenza del fatto che nei prossimi giorni si terranno incontri con l'Arma dei carabinieri e con il Ministero della difesa. Noi ci stiamo mobilitando affinché questa struttura continui ad esistere e affinché si colga, come ho affermato già nell'illustrazione dell'interpellanza, questa occasione di confronto per migliorare, qualificare ulteriormente e rafforzare la presenza dell'Arma dei carabinieri.
Spero, inoltre, che anche attraverso questo atto di sindacato ispettivo, riusciremo a fornire un contributo alla conoscenza del rapporto esistente nella nostra provincia tra l'Arma dei carabinieri e la comunità provinciale, e alla conoscenza dei riflessi di determinate decisioni su una realtà provinciale che ha già dato tanto in termini di chiusura di strutture militari analoghe (parlo, ad esempio, del Corpo degli alpini e della Scuola allievi della Guardia di finanza di Mondovì) che, in base a quanto da lei affermato, il Governo non sottovaluterà, ma terrà ben presenti.
L'ulteriore eventuale chiusura - la definisco tale perché lei ha escluso qualsiasi decisione al riguardo - sarebbe certamente considerata un ennesimo schiaffo ad una provincia laboriosa, che ha dato tanto per la formazione dello Stato e per la Resistenza.
Quindi, mi auguro che tali elementi generali, ascrivibili tutti al merito dei cuneesi e di questa grande provincia che noi chiamiamo «Granda», possano in questa occasione valere, affinché il Governo insieme all'Arma dei carabinieri assuma una decisione conseguente e coerente alle aspettative che abbiamo in questa sede rappresentato, speriamo in modo buono. La ringrazio, signor sottosegretario, per l'attenzione prestata.
(Legge approvata dal consiglio regionale della Valle d'Aosta relativa alla presentazione delle liste per le elezioni regionali - n. 2-00659)
PRESIDENTE. L'onorevole Brigandì ha facoltà di illustrare l'interpellanza Maroni n. 2-00659, concernente la legge approvata dal consiglio regionale della Valle d'Aosta relativa alla presentazione delle liste per le elezioni regionali (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 6), di cui è cofirmatario.
MATTEO BRIGANDÌ. Signor Presidente, la questione prospettata nell'interpellanza riguarda un problema che noi reputiamo piuttosto serio. È chiaro che il principio che io e il partito al quale ho l'onore di appartenere affermiamo è quello di riconoscere il massimo di sovranità alle popolazioni, nell'ambito delle singole regioni. È altrettanto chiaro, però, che non è pensabile che una regione arrivi ad un grado di indipendenza tale da costituire una monarchia della Lombardia.
Abbiamo rilevato un aspetto che appare antidemocratico e che, pertanto, sottoponiamo al Governo: il soggetto che ha approvato la norma che illustrerò brevemente è, infatti, contemporaneamente controllore e controllato. La regione Valle d'Aosta, cioè, nell'ambito della propria discrezionalità e del proprio potere, ha posto in essere, come hanno fatto anche molte altre regioni, una normativa riguardante il sistema elettivo, individuando il numero delle firme necessarie per la presentazione di una lista elettorale.
Se la legge fosse uguale per tutti non ci sarebbe nulla da dire, perché è chiaro che vi sono due elementi in contrasto che vanno equilibrati: da una parte, l'esigenza della maggiore rappresentatività possibile, dall'altra, quella di assicurare la governabilità di qualsiasi ente, quindi anche dellaPag. 44regione. Qui non vi è, però, una situazione di uguaglianza, perché per i soggetti già presenti in consiglio regionale non è prevista la necessità di presentare le liste con un certo numero di firme di appoggio. Se la quantità di queste ultime fosse allineata a quella prevista dalle altre regioni, non ci sarebbe nulla da dire, ma qui si richiede un numero di firme di appoggio pari (se non ricordo male) a mille elettori, a fronte di una popolazione elettorale di 50-60 mila abitanti. Siamo di fronte, quindi, ad un meccanismo che appare ictu oculi di «auto-salvaguardia». I soggetti appartenenti al consiglio regionale della Valle d'Aosta hanno creato un limite minimo di accesso, sostanzialmente un meccanismo di «auto-conservazione»: nessuno, se non una grandissima forza politica, potrebbe concretamente raggiungere il numero di firme necessarie per presentare una lista, mentre i soggetti appartenenti al consiglio regionale non hanno bisogno di questo requisito!
Tale norma, approvata dal consiglio regionale della Valle d'Aosta, può essere impugnata esclusivamente dal presidente della regione: da ciò deriva la nostra preoccupazione!
Non siamo mai stati molto favorevoli alla figura del prefetto: in questo caso, però, un prefetto avrebbe potuto rappresentare una preoccupazione del Governo; ma non può farlo, in virtù della normativa vigente.
L'interpellanza, pertanto, è finalizzata a conoscere l'opinione del Governo e ad ottenere una rassicurazione nel caso di una eventuale impugnazione.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per gli affari regionali e le autonomie locali, Pietro Colonnella, ha facoltà di rispondere.
PIETRO COLONNELLA, Sottosegretario di Stato per gli affari regionali e le autonomie locali. Signor Presidente, onorevole Brigandì, la legge in esame - rispetto alla quale era fissata la scadenza del 1o giugno 2007 - è stata esaminata dal Consiglio dei ministri il 17 maggio, con esito di «non impugnativa».
La regione Valle d'Aosta, a differenza di altre regioni che hanno scelto l'elezione diretta a suffragio universale del presidente del consiglio e del presidente della regione, ha optato per il mantenimento nell'ordinamento del sistema elettivo previgente. La legge in esame ha apportato modifiche ed integrazioni alle legge regionale n. 3 del 1993, recante norme per l'elezione del consiglio regionale della Valle d'Aosta, al fine di armonizzare la legge elettorale alle modifiche introdotte dalla legge costituzionale n. 2 del 2001, che attengono al merito e non sono, comunque, costituzionalmente illegittime, come sospettato dagli interpellanti.
Infatti, per quanto riguarda in particolare la lista dei candidati, corredata dai moduli contenenti le firme di non meno di mille e non più di millecinquecento elettori, si fa presente che la normativa regionale precedente prevedeva le firme di non meno di cinquecento e non più di ottocento elettori.
Tale modifica non è apparsa illegittima al Governo dal punto di vista costituzionale, in quanto rientrante nella completa competenza regionale l'individuazione del numero degli elettori presentatori di lista. Al più, ciò può essere discutibile e può essere censurato dal punto di vista delle opportunità, così come quando si discute anche di soglie di sbarramento, ma ciò non costituisce il fondamento dei ricorsi proposti dal Governo alla Corte costituzionale, piuttosto attiene alla responsabilità politica locale.
Il competente Ministero dell'interno, peraltro, ha espresso un parere di legittimità costituzionale sulla citata legge statutaria.
Considerato, quindi, che la regione ha competenza primaria in materia, ossia non limitata dai principi fondamentali della legislazione statale, ma soltanto dal rispetto della Costituzione, dell'ordinamento comunitario e degli obblighi internazionali, si è ritenuto di non promuovere la questione di legittimità dinanzi alla Corte costituzionale, ai sensi dell'articolo 123 della Costituzione.Pag. 45
Peraltro, un parere favorevole alla non impugnativa è stato espresso anche ad abundantiam dal Ministero dell'economia e delle finanze e dal Dipartimento per i diritti e le pari opportunità.
PRESIDENTE. L'onorevole Brigandì ha facoltà di replicare.
MATTEO BRIGANDÌ. Signor Presidente, è ovvio che non posso che dichiararmi totalmente insoddisfatto, anche perché sono suffragato dai numeri. Il numero di cinquecento o mille può sembrare basso per regioni come il Lazio o la Lombardia, dove ci si trova di fronte ad una popolazione di milioni di persone, per le quali la previsione di cinquecento o mille firme appare un meccanismo normale per la presentazione delle liste, per evitare lo svolgimento di elezioni con schede elettorali lunghe come lenzuola, con venticinquemila liste.
Ciò è chiaro, ma è altrettanto evidente che elevare da cinquecento a mille il numero delle firme comporta un incremento pari al 100 per cento. Non è una cosa da poco! La previsione di seicento firme avrebbe già determinato un incremento del 20 per cento.
L'incremento del numero delle firme da cinquecento a mille può sembrare in astratto - questa è la ragione per la quale è stata sollecitata l'attenzione del Governo - una cosa da poco, ma un aumento del 100 per cento per una popolazione in cui vi sono circa 50 mila elettori produce certe conseguenze: come dire che, per le elezioni della Camera dei deputati, devono essere presentare liste elettorali per le nuove formazioni politiche con un milione di firme.
Nella mia interpellanza ho inserito alcune proporzioni. Il problema risiede nel fatto che il Governo avrebbe dovuto avere la sensibilità di verificare questo aspetto, ma ormai credo che l'unica strada residua sia quella giurisdizionale, cioè di raccogliere firme per bocciare il provvedimento di cui si parla, di sollevare l'incidente di legittimità costituzionale dinanzi alla Corte costituzionale.
Che il meccanismo sia formalmente giusto è un dato scontato. È stata approvata una legge che rientrava certamente nella competenza della regione ed è stato seguito l'iter previsto, ma non ci si deve limitare a verificare il dato formale, perché a questo fine sarebbe stato sufficiente non un Governo, ma un notaio, il quale verifica che l'iter sia corretto e chiude ogni questione.
Bisognava verificare il dato sostanziale, vale a dire le conseguenze, in concreto e non in astratto, che l'incremento del 100 per cento, ossia il raddoppio del numero di firme necessario per la presentazione di una lista, avrebbe comportato.
In sostanza, tale incremento determinerebbe una situazione, per cui non vi sarà mai alcun partito nuovo in grado di presentarsi alle elezioni e si finiranno per «cristallizzare» i partiti vecchi. Il punto non è se io sia favorevole ai partiti nuovi o ai partiti vecchi: io sono favorevole alla democrazia.
Pertanto, se vi sono forze che esprimono idee nuove, possono raccogliere le firme (500 su 50 mila votanti non sono poche) attraverso un meccanismo normale, per poi presentarsi alle elezioni.
Se, invece, si prevedesse uno sbarramento enorme sarebbe la fine: è come se affermassimo in quest'Assemblea la necessità di un milione di firme per presentare una lista nuova e vi sarebbe spazio solo per i partiti attuali, mentre quelli nuovi risulterebbero svantaggiati, perché, per presentare un milione di firme, occorrerebbe un'«attrezzatura» politica, che evidentemente non può corrispondere a idee appena nate, né a criteri di democrazia.
Questa sensibilità il Governo non l'ha avuta quindi non posso che dichiararmi insoddisfatto, sperando che poi la Corte costituzionale vi ponga rimedio.
(Situazione del sistema giudiziario in Afghanistan - n. 2-00654)
PRESIDENTE. L'onorevole Deiana ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00654, concernente la situazione delPag. 46sistema giudiziario in Afghanistan (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 7).
ELETTRA DEIANA. Signor Presidente, illustrerò brevemente l'interpellanza urgente, che fa riferimento, in particolare, alla conferenza internazionale sulle questioni della giustizia svoltasi nei giorni scorsi a Roma, relativa all'Afghanistan. L'Italia non è stata soltanto il Paese ospitante, ma anche quello che, con maggiore determinazione e continuità, ha lavorato per la realizzazione di tale conferenza internazionale.
La ragione fondamentale di tale interesse consiste nel fatto che il nostro Paese è stato leader nella realizzazione del programma giustizia in Afghanistan negli anni scorsi ed è tuttora impegnato in tale compito.
A me pare, avendo seguito i lavori della conferenza, che siano state affermate moltissime cose, ma che non sia emerso in maniera convincente il profilo complessivo di quanto è stato realizzato attraverso questo impegno, piuttosto pesante anche dal punto di vista degli investimenti finanziari.
In ragione di ciò, ma anche delle notizie che continuano a provenire dall'Afghanistan, a mio giudizio assolutamente non confortanti sotto il profilo dello stato di diritto e della difesa dei diritti umani in Afghanistan, chiedo al Governo - in dettaglio se fosse possibile - quali siano gli elementi positivi che il programma italiano di giustizia in Afghanistan ha effettivamente realizzato.
Inoltre, chiedo anche notizie circa la situazione piuttosto pesante che riguarda almeno settanta donne madri detenute nel carcere di Pol-i-Chark, in base ad accuse che - secondo quanto sostengono molti avvocati islamici - sono assolutamente infondate anche dal punto di vista della legge coranica (che, come sappiamo, non è affatto «tenera» con le donne).
Queste donne sono detenute in base a criteri del tutto tribali, più che informali, e non è assolutamente possibile sapere quando saranno scarcerate e quali siano le condizioni reali di detenzione. Poiché si tratta di un fatto di cui i giornali hanno parlato (la notizia è trapelata ed è stata diffusa) ed essendo appunto l'Italia impegnata nel compito di realizzazione del sistema giustizia, vorrei conoscere le informazioni di cui il Governo è in possesso.
Infine, vorrei avere qualche notizia sulla ristrutturazione e l'ammodernamento del carcere di Pol-i-Chark a Kabul, soprattutto in relazione alle notizie che sono apparse sulla stampa, relative al fatto che verranno probabilmente trasferiti in quel luogo detenuti che sono stati fino ad ora a Guantanamo.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per gli affari esteri, Donato Di Santo, ha facoltà di rispondere.
DONATO DI SANTO, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Signor Presidente, fin dal 2002 l'Italia è stata in prima linea nel campo della ricostruzione del settore della giustizia in Afghanistan. Dal 2002 al 2006 abbiamo erogato aiuti per 45 milioni di euro, mentre per il solo 2007 è previsto un finanziamento complessivo di 19,5 milioni di euro. I nostri interventi hanno riguardato soprattutto la revisione della legislazione vigente, la redazione delle leggi fondamentali, attività di training e di coordinamento nonché di costruzione e riabilitazione di edifici pubblici. All'interno di quest'ultima tipologia di intervento si situa anche la ricostruzione di una parte del carcere di Pol-i-Chark, curata direttamente, anche grazie ai finanziamenti italiani, dall'Ufficio delle Nazioni Unite sulle droghe ed il crimine (UNODC). L'UNODC ha realizzato nell'istituto alcune opere in conformità alle cosiddette regole minime di vivibilità, quali la nuova infermeria, una nuova cucina, spazi per gli incontri tra detenuti e familiari ed interventi igienico-sanitari per il risanamento dell'impianto fognario.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PIERLUIGI CASTAGNETTI (ore 17)
DONATO DI SANTO, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Il carcere èPag. 47formato da numerosi blocchi detentivi, tra cui in particolare l'«old block», formato da malsani padiglioni detentivi con celle all'interno delle quali potevano essere stipati oltre duecento detenuti. I nuovi blocchi invece, presentano condizioni di vivibilità migliore e, in alcuni casi, sono addirittura adeguati ai minimi standard internazionali per quanto riguarda i locali di detenzione.
A tutt'oggi mancano però una serie di spazi didattici, ricreativi e lavorativi per rendere il penitenziario realmente adeguato ad assolvere, oltre alla funzione di restrizione, anche quella di recupero.
Questi disagi sono stati sentiti da tutta la popolazione carceraria, ma sono particolarmente sensibili nel caso della popolazione femminile. All'interno del carcere di Pol-i-Chark sono effettivamente incarcerate circa 70-80 donne, alcune anche con bambini, detenute sia per reati comuni che per comportamenti contro la morale.
Nei confronti di queste donne il nostro Paese sta esprimendo un duplice impegno. Da un lato, si sta adoperando, assieme agli altri membri della comunità internazionale, ad aiutare il Governo afghano a migliorare la situazione delle carceri, rendendole più vivibili. Dall'altro lato, si sta impegnando attivamente per far sì che si eviti la detenzione di donne per le accuse che si riferiscano ad usanze locali di derivazione tribale - perché spesso di questo stiamo parlando, quando ci riferiamo a comportamenti contro la morale - anziché a precise fattispecie criminose. In questo senso, l'Italia sta sviluppando forme di collaborazione con ONG locali, che si aggiungono all'attività svolta per la formazione di giudici, la codificazione del diritto e la creazione di infrastrutture.
Il sistema giudiziario afgano resta, tuttavia, un cantiere aperto, su cui molto ancora resta da fare. Proprio per tale motivo abbiamo promosso il 2 e 3 luglio scorso - come citato dall'onorevole Deiana - la conferenza ministeriale sul rule of law in Afghanistan, copresieduta dall'Italia, dal Governo afgano e dalle Nazioni Unite.
La conferenza, cui hanno partecipato ventisei delegazioni di alto livello di Paesi e di organizzazioni rappresentanti del mondo accademico e della società civile, delegati di oltre venti organismi, agenzie e ONG, ha riconfermato il ruolo cruciale della riforma della giustizia e della realizzazione del rule of law ai fini della ricostruzione dell'Afghanistan.
Senza giustizia e senza un ruolo della legge non sarebbe possibile ottenere sicurezza, stabilità, sviluppo economico e protezione dei diritti umani.
In termini di risultati concreti, si è assistito all'adozione delle conclusioni della presidenza e delle raccomandazioni congiunte, documenti che hanno consolidato, con un consenso più ampio, i risultati dei negoziati condotti a Kabul con il Governo afgano, l'UNAMA e gli altri partecipanti.
Superiore alle aspettative è stata anche la raccolta di finanziamenti, che ha raggiunto e superato la cifra di 360 milioni di dollari, grazie innanzitutto alla contabilizzazione dell'impegno quadriennale dell'Unione europea, ma anche per i singoli apporti, tra i quali il contributo italiano straordinario di 10 milioni di euro.
Completa il quadro la fissazione di un programma di lavoro per i prossimi mesi, che porterà all'adozione, entro il prossimo ottobre, di un National Justice Program e, successivamente, di una precisa road map per la sua attuazione.
Certo, la situazione in Afghanistan - a causa anche delle tormentate vicende storiche che quel Paese ha attraversato - rimane a livelli «ben lontani» da quegli standard necessari per ogni sistema basato su un reale Stato di diritto, sul pieno rispetto dei diritti umani e delle libertà individuali.
Sarebbe, tuttavia, ingeneroso negare che, seppure a fatica, si stiano realizzando degli importanti progressi tanto dal punto di vista delle infrastrutture materiali (prigioni, tribunali) quanto dal punto di vista delle infrastrutture immateriali (codici, norme).
Fra queste ultime, vale la pena di sottolineare che l'Afghanistan è parte diPag. 48una serie di strumenti internazionali in materia di salvaguardia dei diritti umani: la Convenzione contro la tortura, la Convenzione sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne e la Convenzione per i diritti del fanciullo. Il Paese ha, inoltre, firmato - sebbene non lo abbia ancora ratificato - il Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali, la Convenzione sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale ed i Protocolli opzionali alla Convenzione sui diritti del fanciullo (il primo, riguardante il diritto dei bambini coinvolti nei conflitti armati, e il secondo, concernente la vendita dei bambini e la pedo-pornografia) ed ha ratificato lo Statuto di Roma della Corte penale internazionale.
Non ci nascondiamo, quindi, che persistono ancora considerevoli difficoltà, ma il Governo ritiene che, sebbene con inevitabili lentezze, si possa dire che, con lo sforzo congiunto della Comunità internazionale, a livello di Stati e organizzazioni internazionali, e con l'appoggio della società civile, oltre che con l'impegno dello stesso Governo afgano, ci si sia avviati sulla strada del ristabilimento delle condizioni minime di uno Stato di diritto.
È importante che, in tale contesto, si stiano compiendo dei primi passi in avanti sotto il profilo del rispetto dei diritti della donna e, in particolare, per tornare ai quesiti sollevati dall'onorevole interpellante, delle condizioni di detenzione e della possibilità di accesso al sistema della giustizia ufficiale da parte della componente femminile della società.
Nei contatti con le autorità afgane e nelle sue attività di assistenza e cooperazione, il Governo continuerà ad adoperarsi attivamente per assecondare questi sviluppi ed incoraggiare ulteriori progressi sul fronte del rispetto dei diritti della donna.
PRESIDENTE. L'onorevole Deiana ha facoltà di replicare.
ELETTRA DEIANA. Signor Presidente, do atto al sottosegretario di aver confermato le preoccupazioni relative alla situazione generale in Afghanistan su un tema che, ovviamente, è legato non soltanto ad una lunga tradizione tribale e di supremazia di forme di diritto informale in Afghanistan, ma anche alla situazione di occupazione da parte di truppe straniere, di guerra e di scontri presenti in varie parti del Paese, che rendono molto difficile compiere passi in avanti significativi su uno snodo così importante come la giustizia.
Credo, tuttavia, che le ammissioni relative alle difficoltà contrastino con l'indeterminatezza delle notizie fornite.
Quando ho chiesto di conoscere ciò che è stato realizzato concretamente, alludevo alla necessità di fare chiarezza sugli elementi di realizzazione relativi alla messa in atto dei dispositivi del sistema giudiziario. Mi riferisco alla formazione dei giudici, ai luoghi dei tribunali, ai meccanismi di rapporto tra l'istituzionalizzazione di forme moderne o semi-moderne di giustizia e la permanenza di forme locali informali, le quali devono trovare elementi di accordo, connessione e mediazione.
In sostanza, avrei voluto che il quadro della situazione fosse più preciso e concreto, senza fare riferimento ad una serie di dichiarazioni e di impegni che, poi, sappiamo bene, rimangono sulla carta e che, comunque, potranno essere operativi e impegnativi chissà quando.
Vorrei conoscere il risultato degli sforzi compiuti da parte del nostro Paese, in termini di concretizzazione di elementi del sistema della giustizia, di operatori e luoghi dove si svolgono operazioni ed attività giuridiche, nonchè i meccanismi di connessione tra la tradizione del paese e i tentativi di introdurvi elementi dello Stato di diritto e di difesa dei diritti umani e civili.
Da tale punto di vista, anche nel corso di audizioni di esponenti del Governo e della Farnesina, l'informazione fornita al Parlamento continua ad essere molto carente, e ciò mi fa temere che i risultati siano molto inferiori rispetto a quanto il Governo tiene a rappresentare pubblicamente.Pag. 49
Vorrei fare un'ultima osservazione in merito al ruolo politico, istituzionale e diplomatico che ritengo l'Italia dovrebbe avere nei confronti di un paese come l'Afghanistan, rispetto al quale ha assunto tale impegno. Vi sono dei casi in cui ritengo dovrebbe esserci un atteggiamento e un orientamento politico molto più preciso.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE GIORGIA MELONI (ore 17,10)
ELETTRA DEIANA. Nella mia interpellanza, ho fatto riferimento al caso della deputata Malalai Joya, sospesa dal Parlamento afgano per avere rivolto una critica molto forte, ma assolutamente legittima, non soltanto dal punto di vista del Parlamento come tale, ma anche relativamente alla storia di tale donna e al suo rapporto con un Parlamento le cui regole non sono assolutamente conformi a quelle che dovrebbero osservarsi in un'istituzione di un paese ove viga lo stato di diritto.
Inoltre, ho fatto riferimento al caso dell'operatore umanitario Hanefi, del quale non racconto la storia, in quanto è nota. Rispetto a tali casi talmente eclatanti, ritengo che il nostro Paese dovrebbe svolgere un ruolo di critica molto più determinato e maggiormente orientante rispetto a quanto è successo, invece, nei singoli casi.
Infine, vorrei aver sentito che, da parte del nostro Paese, della Farnesina e delle autorità competenti, vi è un impegno urgente e cogente affinchè la situazione di tali donne - detenute per ragioni che, perlomeno in gran parte, non hanno nulla a che vedere con episodi qualificabili come reato (donne che sono colpevoli, invece, soltanto di reati contro la morale tribale, contro norme misogine, caratteristiche di una parte piuttosto vasta delle comunità tribali dell'Afghanistan) - venga risolta. Peraltro, si tratta di situazioni emblematiche di una dinamica e di processi che, nell'ambito del Paese, vedono una forte ripresa dell'iniziativa da parte dei settori più tradizionalisti, misogini e legati alle culture tradizionali, come è avvenuto per la richiesta di ristabilire regole relative a costumi sessuali più conformi alla tradizione.
Mi auguro quindi che questo tipo di impegni nella prossima fase sarà realizzato con maggiore forza.
(Interventi presso le autorità albanesi per il riconoscimento di quanto stabilito in sede giudiziale a favore delle società Icma Srl e Agri.Ben. Sas - n. 2-00658)
PRESIDENTE. L'onorevole Marcazzan ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00658, concernente interventi presso le autorità albanesi per il riconoscimento di quanto stabilito in sede giudiziale a favore delle società Icma Srl e Agri.Ben. Sas (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 8).
PIETRO MARCAZZAN. Signor Presidente, come si evince dalle premesse in fatto contenute nell'interpellanza in oggetto il Ministero dell'agricoltura e dell'alimentazione dello Stato albanese è debitore nei confronti della società italiana Icma Srl di oltre due milioni di dollari in virtù di un lodo esecutivo reso in sede arbitrale internazionale, oramai divenuto inoppugnabile per intervenuta decorrenza dei termini all'uopo previsti dalle norme vigenti in materia.
In buona sostanza i torti subiti dall'impresa italiana sono stati acclarati da un organo giudicante internazionale - la Corte internazionale di arbitrato - all'esito di un procedimento al quale lo Stato albanese ha preso parte accettandone formalmente ogni eventuale conseguenza.
Ciò nonostante, ad oggi, trascorso oltre un anno e mezzo dalla pronuncia del lodo e pur essendo lo stesso immediatamente esecutivo, lo Stato albanese non ha ancora ottemperato al dovuto pagamento in favore dell'impresa italiana. In tal modo lo Stato albanese rifiuta l'esecuzione spontanea della pronuncia.Pag. 50
Siffatto comportamento, dati anche i rapporti intercorrenti tra il nostro Paese e l'Albania e gli aiuti che da sempre abbiamo fornito all'esito della democratizzazione di questo popolo a noi vicino, appare del tutto ingiustificato ed inaccettabile.
Stante tale biasimevole presa di posizione dell'Esecutivo albanese l'impresa italiana ha attivato, dinnanzi alla corte di appello di Tirana, la procedura di asseverazione del lodo onde poterlo poi eseguire coattivamente in Albania. Ma qui sta un altro riprovevole aspetto della vicenda: a quanto pare detto organo giudiziario albanese non ha alcuna intenzione di concludere la pur semplicissima procedura di asseverazione ivi pendente dall'inizio del 2006, frapponendo alla sua pronta definizione una serie di inutili rinvii, l'ultimo dei quali addirittura fondato su un'affermazione dell'Avvocatura dello Stato albanese in base alla quale si nega persino l'inoppugnabilità del lodo.
Di fronte a questa pervicace negazione dell'ormai conclamato diritto dell'impresa italiana appare evidente che l'Albania non ha alcuna intenzione di rispettare né le regole del diritto internazionale, né gli impegni di reciproca collaborazione assunti con l'Italia.
È improcrastinabile pertanto un intervento politico concreto e deciso del Governo italiano al fine di sbloccare la situazione e dare un senso alla credibilità e all'autorevolezza delle nostre istituzioni - che comunque sono proprie di qualunque Stato di diritto - e soprattutto dare delle risposte ai nostri cittadini i quali molto spesso invece si trovano dinanzi a situazioni imprevedibili senza apparentemente una via d'uscita.
Nel concludere, esprimo un biasimo per la mancanza di sensibilità istituzionale che mi è stata riservata. Avendo mandato una nota al Ministro il 17 febbraio del corrente anno, ad oggi non ho ricevuto alcuna risposta, malgrado alcune sollecitazioni presso il Gabinetto dello stesso.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per gli affari esteri, Donato Di Santo, ha facoltà di rispondere.
DONATO DI SANTO, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Signor Presidente, le relazioni commerciali bilaterali con l'Albania sono da sempre caratterizzate da un rilievo notevole. Esse hanno tuttavia presentato momenti di difficoltà per le crisi verificatesi nel Paese a partire dagli anni Novanta, che hanno prodotto situazioni pregiudizievoli per gli imprenditori stranieri operanti in loco.
Questo carattere, per certi versi accidentato, è riconducibile alla transizione del Paese da una condizione di notevole arretratezza verso un quadro nuovo di istituzioni democratiche e di libero mercato. Le opportunità per l'investitore non sono mancate e gli operatori economici nazionali si sono dimostrati attivi nel coglierle: l'Italia è il primo partner commerciale dell'Albania, con una quota superiore al 40 per cento dell'interscambio complessivo, il primo investitore (con quasi la metà di tutti gli investimenti stranieri nel Paese e oltre 500 aziende miste) e il terzo donatore bilaterale dopo Stati Uniti e Grecia.
Tra i più recenti sviluppi positivi registrati in tale ambito, anche in relazione al superamento di annosi contenziosi commerciali, vanno segnalati: l'ingresso nel mercato albanese del gruppo San Paolo IMI, attraverso la rilevazione dei pacchetti azionari della Banca Italo-Albanese (BIA) e della American Bank of Albania nella prospettiva di dar vita alla Italian-American Bank of Albania, nonché l'inaugurazione della prima banca a capitale interamente italiano, la BIS (Banca Italiana di Sviluppo); il riconoscimento da parte del Governo albanese, intervenuto lo scorso 7 novembre 2006, della quasi totalità dei crediti commerciali, circa 3,5 milioni di dollari, maturati da ditte italiane nei confronti di ditte statali albanesi negli anni 1990-1992; alcuni recenti successi di nostre aziende in rilevanti gare e nella penetrazione commerciale nei settori energetico e del turismo, che rafforzano ulteriormente il trend favorevole. In particolare, il consorzio Maire Engineering e Ansaldo Energia si è recentemente aggiudicato i lavori di costruzione della centralePag. 51termoelettrica di Valona (si tratta del più significativo investimento italiano realizzato finora in Albania, per un valore pari a 90 milioni di euro); il progetto della società Petrolifera italo rumena per la costruzione di un terminal petrolifero nella zona di Valona, per un valore di circa 30 milioni di euro, che sarà inaugurato nel prossimo mese di settembre; l'assegnazione di una concessione per la costruzione di una centrale idroelettrica a Kalivac alla società italiana Albanian Beg dell'imprenditore Becchetti.
Per quanto concerne il contenzioso relativo alle società italiane Icma Srl e Agri.Ben. Sas, la nostra ambasciata a Tirana è intervenuta a varie riprese - da ultimo lo scorso 11 luglio - a sostegno delle richieste delle due aziende, sollecitando direttamente il Presidente del Consiglio albanese Sali Berisha ad adempiere a quanto stabilito dalla Corte internazionale di arbitrato di Ginevra. Quest'ultima, con sentenza del 22 dicembre 2005, ha condannato il Ministero dell'agricoltura albanese al pagamento di 1,6 milioni di dollari, con un tasso di interesse del 4,61 per cento a decorrere dal 1o gennaio 2005.
La nostra ambasciata continuerà ad esercitare pressioni sul Governo albanese al massimo livello al fine di ottenere soddisfazione per le nostre aziende, cui è stato riconosciuto il diritto ad un indennizzo nei termini sopra menzionati. Di analogo tenore sono gli interventi esercitati direttamente dal Ministero degli affari esteri sull'ambasciata di Albania a Roma.
PRESIDENTE. L'onorevole Marcazzan ha facoltà di replicare.
PIETRO MARCAZZAN. Signor sottosegretario, la ringrazio e mi ritengo soddisfatto, anche se potrò dire di esserlo del tutto quando finalmente vedremo sanare questa situazione, che si protrae ormai dal 1993. Pertanto, mi auguro davvero che lei si faccia carico, presso la nostra ambasciata, perché tutti i canali siano attivati per dare una celere, celerissima risposta a tale situazione che costituisce una vera e propria prevaricazione che non possiamo ulteriormente accettare.
(Situazione della pianta organica del tribunale di Torre Annunziata - n. 2-00642)
PRESIDENTE. L'onorevole Cesario ha facoltà di illustrare l'interpellanza Scotto n. 2-00642, concernente la situazione della pianta organica del tribunale di Torre Annunziata (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 9), di cui è cofirmatario.
BRUNO CESARIO. Signor Presidente, signor sottosegretario, la questione posta dai firmatari è relativa alle problematiche del tribunale di Torre Annunziata, così come esposte nell'interpellanza; problematiche dalle quali si evincono la difficoltà di un territorio - oltretutto crocevia del traffico internazionale di droga e con una forte presenza di malavita organizzata - che ha bisogno di un tribunale che difenda in maniera efficiente la legge e che organizzi la tutela dei cittadini in modo decoroso.
Purtroppo, vediamo (e abbiamo partecipato a diversi incontri, con interventi anche del sottosegretario Scotti che è venuto in sede) che la situazione è precipitata; infatti, è ancora in atto uno sciopero dell'ordine professionale degli avvocati proprio per la carenza di personale, per la mancanza di collegialità, di organizzazione. Non sappiamo quali siano le reali cause, ma sappiamo che anche i locali risultano fatiscenti. Le faccio un esempio per quanto riguarda la costruzione della nuova struttura: sono anni ormai che non si procede, perché una volta la ditta aggiudicataria fallisce, un'altra volta viene inquisita per qualcosa, altre volte vi sono stati ricorsi. Abbiamo quindi una situazione pesantissima dal punto di vista giudiziario per il prosieguo dei lavori, e per rendere quindi il tribunale efficiente anche relativamente alle strutture; un tribunale che ha un carico di lavoro talmente ampio da non riuscire in alcun modo ad esercitare efficacemente la tutela giurisdizionale.Pag. 52
Rileviamo che anche le sezioni distaccate hanno la stessa carenza sia di personale ma anche di strutture elementari, tanto che addirittura si è verificato uno specifico episodio in cui l'assenza per malattia del cancelliere ha costretto alla chiusura della sezione distaccata di Torre del Greco. Registriamo quindi una serie di episodi sconcertanti che non danno un'immagine della giustizia decorosa e fanno allontanare ancora di più la fiducia dei cittadini dal principio di legalità.
Vogliamo intervenire su tale situazione. L'interpellanza è quindi firmata da parlamentari di tutti gli schieramenti politici che, preoccupati della situazione di tale tribunale (che è fondamentale per il nostro territorio), hanno deciso di sottoscriverla, certi però della sensibilità (lo voglio ribadire) del Ministero (più volte interessato) verso la tematica. Sono certo che, una volta individuate le disponibilità di personale, ma anche un supporto materiale, organizzativo-logistico, sarà possibile trovare una soluzione. Chiedo quindi al sottosegretario di intervenire attraverso una riunione operativa, sul territorio, con le massime cariche istituzionali del tribunale, del consiglio dell'ordine e degli avvocati di Torre Annunziata, per cercare di dare un impulso in positivo e portare quella serenità, quel clima diverso che si aspetta il territorio. Un territorio che già ha grandi «fibrillazioni» di carattere sociale che non accennano a placarsi e non dovrebbe pertanto registrarne altre anche nella sede atta a garantire la legalità.
Resto dunque in attesa della risposta del sottosegretario.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per la giustizia, Luigi Li Gotti, ha facoltà di rispondere.
LUIGI LI GOTTI, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, la delicatezza della situazione del tribunale di Torre Annunziata e il fatto che sulla stampa è spesso all'ordine del giorno la problematica giudiziaria dell'intero territorio impongono una risposta analitica, che possa anche costituire la base per l'auspicato incontro, sollecitato dall'onorevole interpellante: ossia per l'individuazione delle effettive cause del notevole disagio avvertito sul territorio, anche da parte dei cittadini, degli operatori e dal mondo dell'avvocatura. Ciò, però, tenendo conto dei dati effettivi esistenti.
La dotazione organica del tribunale di Torre Annunziata prevede 115 unità: ne sono presenti 122 (considerate 1 unità di personale a tempo determinato, 15 comandate da altre amministrazioni, 3 centralinisti non vedenti e 4 dipendenti in soprannumero). L'ufficio notifiche e protesti (NEP) di Torre Annunziata prevede 18 unità: ne sono presenti 18. La dotazione organica della procura della Repubblica presso il tribunale prevede 44 unità: ne sono presenti 50. L'ufficio del giudice di pace di Torre Annunziata prevede 12 unità: ne sono presenti 15. La dotazione organica della sezione distaccata di Castellammare di Stabia prevede 16 unità: ne sono presenti 17. L'ufficio NEP di Castellammare di Stabia prevede 10 unità: ne sono presenti 11. L'ufficio del giudice di pace di Castellammare di Stabia prevede 5 unità: ne sono presenti 9. La dotazione organica della sezione distaccata di Gragnano prevede 8 unità: ne sono presenti 9. L'ufficio NEP di Gragnano prevede 5 unità: ne sono presenti 4. L'ufficio del giudice di pace di Gragnano prevede 4 unità: ne sono presenti 9. L'organico della sezione distaccata di Sorrento prevede 9 unità e non presenta vacanze. L'ufficio NEP di Sorrento prevede 7 unità: ne sono presenti 6. L'ufficio del giudice di pace di Sorrento prevede 5 unità: ne sono presenti 4. La dotazione organica della sezione distaccata di Torre del Greco prevede 9 unità: ne sono presenti 12. L'organico dell'ufficio NEP di Torre del Greco prevede 9 unità: ne sono presenti 7. L'ufficio del giudice di pace di Torre del Greco prevede 5 unità: ne sono presenti 8. L'ufficio del giudice di pace di Pompei prevede 5 unità: ne sono presenti 12.
Per quanto riguarda il problema dell'edificio giudiziario ove ha sede il giudice di pace di Torre del Greco, più volte è stata segnalata la criticità delle strutturePag. 53ed è stata evidenziata l'insufficienza e l'inadeguatezza dei locali. La struttura ha una dimensione di circa 400 metri quadrati ed è utilizzata promiscuamente da uffici giudiziari e da privati, mentre per le esigenze dell'ufficio sarebbe necessaria una superficie di circa 800 metri quadrati. Il Ministero ha più volte invitato, senza esito, il comune di Torre del Greco a reperire locali idonei, anche ricorrendo a locazioni da terzi, in considerazione del fatto che i canoni potrebbero essere ammessi ai contributi previsti dalla legge n. 392 del 1941.
Deve peraltro farsi presente che, da informazioni assunte presso il tribunale di Torre Annunziata, si è avuta notizia che sarebbe stato individuato un nuovo immobile da prendere in locazione per essere destinato a sede del giudice di pace, e che tale soluzione sarà sottoposta alla valutazione della competente Commissione di manutenzione del tribunale di Torre Annunziata. Ciò premesso, deve farsi presente che, in linea generale, per effetto di successivi decreti della Presidenza del Consiglio dei ministri, dal mese di ottobre 2000 la dotazione organica del personale amministrativo è stata ridotta di complessive 701 unità, al fine di realizzare, nel rispetto dei vincoli di bilancio, un assetto organico corrispondente al nuovo ordinamento professionale delineato dal contratto collettivo integrativo.
Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 27 ottobre 2005 le dotazioni organiche nazionali dell'amministrazione giudiziaria sono state ulteriormente rideterminate, apportando una riduzione ai contingenti complessivi del personale dirigenziale di seconda fascia e del personale amministrativo ed UNEP pari a 2.495 unità (parliamo del dato nazionale).
In linea tendenziale, con il provvedimento attuativo, costituito dal decreto ministeriale 8 marzo 2007, si è proceduto a decurtare le risorse destinate a ciascuna struttura in modo proporzionale alla riduzione dei contingenti complessivi. Conseguentemente a tali riduzioni sul territorio nazionale, le piante organiche delle sezioni dei tribunali sono state ridotte - parliamo di Torre Annunziata - di 3 unità nel solo profilo professionale di operatore giudiziario B2. Il tribunale di Torre Annunziata è stato ridotto di 4 unità complessive, nei profili professionali di cancelliere C2 e B3 e ausiliario B1 e A1.
Per quanto riguarda la lamentata sproporzione tra i carichi di lavoro dei tribunali di Napoli e Torre Annunziata, si fa presente che i valori pro capite relativi al tribunale di Napoli, risultanti dal rapporto tra «sopravvenuti» nell'anno 2005 e piante organiche, sono superiori ai valori pro capite del tribunale di Torre Annunziata. Tale situazione non cambia, anche tenendo conto del rapporto tra personale amministrativo e magistrati, in quanto il circondario del tribunale di Napoli risulta essere sfavorito, numericamente, rispetto al tribunale di Torre Annunziata. Pertanto, la situazione del personale amministrativo in servizio nel tribunale di Torre Annunziata e negli uffici del circondario non appare particolarmente problematica se rapportata con le attuali piante organiche, le quali, come detto, sono state recentemente ridimensionate con il decreto ministeriale 8 marzo 2007, che ha ripartito le piante organiche con una riduzione del 5 per cento, in applicazione della legge n. 311 del 30 dicembre 2004.
Quindi, ad eccezione di alcune vacanze di rilievo nel tribunale e nella procura circondariale - vacanze che interessano le posizioni apicali dell'area C -, negli altri uffici si evidenzia una scopertura minima, che spesso è compensata dalla presenza di un consistente numero di unità in comando da altre amministrazioni. Infatti, sono complessivamente presenti ben 52 dipendenti di altre amministrazioni in posizione di comando, il cui apporto lavorativo non appare trascurabile, tenuto anche conto che alcuni di essi prestano servizio negli uffici giudiziari già da numerosi anni e, pertanto, hanno acquisito le necessarie competenze specifiche nel settore.
Ciò premesso, il motivo principale delle attuali, ma limitate, scoperture degli uffici va individuato nel blocco delle assunzioni di personale nella pubblica amministrazione.Pag. 54Tale blocco, infatti, impedisce di provvedere alla copertura delle vacanze e induce ad un aggravamento determinato dalla cessazione - fenomeno fisiologico - per limiti di età, che avviene con gli anni. Inoltre, alcuni posti vacanti, in particolare quelli di operatore giudiziario B3 e di ufficiale giudiziario C2, incidono solo formalmente sulla situazione degli uffici, poiché sono relativi a figure professionali e posizioni economiche introdotte ex novo in funzione delle procedure di riqualificazione e per le quali non esiste personale in servizio.
Questa amministrazione, negli ultimi anni, è stata autorizzata ad assumere un limitato numero di unità. Tali unità nel 2005 sono state riservate, dalla legge n. 311 del 2004, esclusivamente ai vincitori ed idonei del concorso a 443 posti di ufficiale giudiziario. Con i vincitori di tale concorso sono stati coperti 3 posti di ufficiale giudiziario C1 nell'ufficio di Torre Annunziata ed un posto di ufficiale nell'ufficio NEP di Castellammare di Stabia.
Anche nel 2006 è stata autorizzata l'assunzione di sole 99 unità complessive - parliamo del dato nazionale - a fronte di oltre 5.000 vacanze in ambito nazionale, da attingere dalla medesima graduatoria degli ufficiali giudiziari C1 per coprire posti vacanti di cancellieri C1. All'esito di tale procedura sono stati coperti 3 posti di cancelliere C1 nella procura della Repubblica di Torre Annunziata.
Si fa ancora presente che, come concordato con le organizzazioni sindacali nell'accordo del 27 marzo 2007 sui criteri della mobilità interna, sono stati recentemente pubblicati gli interpelli per la copertura, tramite trasferimenti a domanda, di alcuni posti vacanti nelle varie figure professionali. L'accordo del 27 marzo 2007 è intervenuto a distanza di anni ed è stato vanamente atteso, sino a quella data, dal personale. Nello specifico, sono stati pubblicati un posto di direttore di cancelleria C3 nella procura della Repubblica di Torre Annunziata, un posto di direttore di cancelleria C3 e 2 posti di cancelliere B3 nella sezione distaccata di Castellammare di Stabia (i quali costituiscono le uniche vacanze dell'ufficio), un posto di ausiliario A1 (che costituisce l'unica vacanza dell'ufficio) nella sezione distaccata di Gragnano, uno di operatore giudiziario B1 ed uno di operatore giudiziario B2 nell'ufficio del giudice di pace di Castellammare di Stabia ed uno di operatore giudiziario B2, rispettivamente negli uffici del giudice di pace di Gragnano, Sorrento e Torre Annunziata. Inoltre, con l'interpello dello scorso 27 giugno è stata pubblicata la posizione dirigenziale vacante nella procura della Repubblica di Torre Annunziata.
Sono state inoltre adottati dall'amministrazione ulteriori provvedimenti, quale quello del rinnovo del contratto del personale in servizio a tempo determinato, gli ex lavoratori socialmente utili. Inoltre è stato attivato il comando di una unità della posizione economica C3 da altra amministrazione a favore del tribunale di Torre Annunziata e di una unità, della posizione economica A1, nella sezione distaccata di Gragnano. Infine, si aggiunge che per fronteggiare le situazioni di maggiori criticità, anche di natura temporanea, gli organi di vertice del distretto possono adottare lo strumento dell'applicazione, che trova fondamento nell'esigenza di sopperire alla mancanza di personale, sia nell'ipotesi di scopertura del posto sia di assenze prolungate. Ovviamente, tale iniziativa spetta al presidente della corte di appello per gli uffici NEP e per gli uffici giudicanti, ed al procuratore generale per gli uffici requirenti. Proprio con il ricorso alle applicazioni in ambito distrettuale è possibile sopperire alle carenze dei cancellieri C2 a cui si fa espresso riferimento nell'interrogazione, ma tenendosi conto della diffusa carenza di personale di tale figura professionale in tutto il Paese.
Inoltre, in relazione al personale degli uffici NEP, si menziona la circolare del 27 settembre 2002 che ha ribadito l'interfungibilità delle funzioni di notificazione e di esecuzione degli atti tra le posizioni economiche C1 e B3 dell'ufficiale giudiziario, consentendo una maggiore efficienza del servizio attraverso la flessibilità dell'impiego delle risorse umane. Infine, va tenutoPag. 55conto che l'attuale scopertura del personale amministrativo della giustizia per l'Italia settentrionale è pari circa al 30 per cento, per l'Italia meridionale e insulare è dell'ordine di circa l'8 per cento e che recentemente il ministero è stato autorizzato, straordinariamente, all'assunzione di 2.800 unità nell'area C, posizione economica C1.
PRESIDENTE. L'onorevole Cesario ha facoltà di replicare.
BRUNO CESARIO. Signor Presidente, ringrazio il sottosegretario per la sua relazione, anche precisa, sui dati e sull'organico previsto presso il tribunale di Torre Annunziata.
Ovviamente quanto enunciato riguarda, da una parte, la certezza e, dall'altra, il futuro (dopo l'interpello di marzo). Anche se ci avviamo ad una risoluzione della questione dell'organico, il dato che emerge, rispetto all'organico consolidato, è un raddoppio del carico di lavoro. Facendo un esempio si osserva come la sezione distaccata di Sorrento abbia procedimenti civili di cognizione ordinaria pendenti che sono passati da 2.090 (nel 2001) a 4.257 nel 2006, con processi che durano in media sette anni. Pertanto, si ha, rispetto all'organico impiegato, tale enorme lavoro che aumenta il contenzioso e quindi anche la possibilità di chiudere i processi in tempi ragionevoli.
La segnalazione che abbiamo fatto è volta - ovviamente tenendo conto della disponibilità del Ministero, così come ho sottolineato anche in precedenza - a chiedere al sottosegretario un incontro per fare in modo che tali dati siano accompagnati da una volontà politica, sul territorio, per dare un segnale forte ad una realtà in difficoltà, che ha bisogno del supporto dello Stato cosicché, al contempo, possa avere anche il Ministero al suo fianco per superare le questioni di organico, organizzative e strutturali, dando un'accelerazione al completamento di una struttura che ormai è diventata una parodia. Sono anni che esiste un conflitto perenne sul completamento di quest'opera fondamentale. Pertanto, partendo da ciò, con il supporto del Ministero, con un tavolo sul territorio (presso il tribunale, considerata la disponibilità del sottosegretario), penso che faremo un buon servizio ad un territorio importante (la fascia vesuviana e la zona dell'hinterland di Napoli), ma che ha bisogno di tutela da parte dello Stato.
(Iniziative per il completamento dei lavori per il corridoio tirrenico - n. 2-00651)
PRESIDENTE. L'onorevole Evangelisti ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00651, concernente iniziative per il completamento dei lavori per il corridoio tirrenico (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 10).
FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, intervengo brevemente anche se l'argomento meriterebbe di ricordare la storia, perché si tratta di una storia trentennale. Stiamo parlando del tracciato autostradale tra Livorno e Civitavecchia, oggetto delle attenzioni - direi quasi dei desideri, ma si può parlare, più propriamente, di aspettative - dei cittadini di tutta la Toscana e non solo, poiché sono coinvolte anche le amministrazioni locali e le forze produttive ed imprenditoriali. Se posso fare un paragone, in qualche modo forzato e azzardato, paragonerei la vicenda alla TAV che doveva attraversare la Val di Susa, ma con una piccola differenza. In Val di Susa erano tutti contrari, mentre in Toscana sono tutti d'accordo. Non vi è una amministrazione, ad esclusione del comune di Capalbio (ma forse è un caso), che si sia pronunciata contro il provvedimento e la realizzazione del tratto autostradale. Quest'ultimo, infatti, riveste un ruolo strategico per un equilibrato sviluppo di decongestionamento dell'attraversamento della dorsale appenninica. Vi è, poi, un riverbero anche per quanto riguarda la sinergia con le attività portuali di Piombino, Livorno e Marina di Carrara.
Inoltre, vorrei che potessimo leggere questa tratta - che declino soltanto nellaPag. 56dimensione regionale e toscana - in un ideale collegamento con l'Europa, perché se il sottosegretario ha in mente (mi rivolgo direttamente a lui, se mi è consentito) una strada che da Parigi arriva a Lione, Nizza e poi fino a Genova e Livorno constaterà che si ferma in quel punto. Poi, vi è Roma e si prosegue. Si vede, pertanto, come vi sia proprio un «dente» che manca.
Quindi, si tratterebbe di ritornare lì e, finalmente, autorizzare la proroga della concessione alla SAT, la Società Autostrada Tirrenica, che ha presentato un piano che prevede l'apertura dei cantieri nel 2010 e la conclusione dei lavori entro il 2013. Tale previsione pecca forse di un eccesso di ottimismo, così come forse vi è un eccesso di ottimismo quando si parla della realizzazione di questo progetto a costo zero. Non esiste nulla a costo zero. Non ci sarà sicuramente un costo immediato per lo Stato, ma saranno i cittadini a finanziare l'opera, attraverso il meccanismo del project financing.
Detto questo ed avendo fatto presente che si tratta di sottoporre al CIPE il rinnovo della convenzione, oggi solleviamo tale questione in quanto, da notizie apparse recentemente sugli organi di informazione, il direttore generale del dipartimento salvaguardia ambientale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha ipotizzato una nuova valutazione di impatto ambientale.
In particolare, il 4 luglio, dal quotidiano Il Tirreno, si è appreso che, per intervento del Ministro Francesco Rutelli, è stata ulteriormente rinviata la firma, prevista per il 4 luglio stesso, degli atti relativi al completamento del corridoio tirrenico. Quel giorno si sarebbero dovuti incontrare a Firenze i rappresentanti dell'ANAS, della SAT, del Ministero delle infrastrutture e della regione Toscana. Tale notizia ci ha spinto a presentare questa interpellanza urgente. Tuttavia, dopo una settimana - oggi è il 12 luglio - sul quotidiano la Repubblica si legge che il Ministro Francesco Rutelli rinvia la firma per l'inizio dei lavori e la regione Toscana deve incassare un nuovo slittamento dei tempi. Dopo la valutazione di impatto ambientale, il Ministero dei beni culturali vuole esprimere anche il proprio parere sull'intero progetto di completamento del tratto autostradale Livorno-Civitavecchia.
Quindi, chiediamo ai Ministri Rutelli, Di Pietro e Pecoraro Scanio quali siano i provvedimenti che hanno intenzione di intraprendere al fine di dissipare ogni dubbio sulla fattibilità ed il concreto avvio dei lavori.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali, Danielle Mazzonis, ha facoltà di rispondere.
DANIELLE MAZZONIS, Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali. Signor Presidente, cercherò di dare una risposta molto circostanziata, per cui mi scuso se mi dilungherò. La tratta autostradale A-12 Cecina-Civitavecchia, denominata «corridoio tirrenico», rappresenta l'insieme delle infrastrutture dei trasporti che effettivamente consentono, come ha sostenuto l'interpellante, i collegamenti lungo tutta la costa tirrenica.
In particolare, si fa riferimento all'unico tratto della direttrice che non risulta coperto da assi viari di tipo autostradale. Il percorso tra Rosignano e Civitavecchia - in totale 230 chilometri, di cui una parte importante (188 chilometri) in Toscana, nelle province di Livorno e Grosseto - risulta molto disomogeneo nelle sue caratteristiche.
Da Rosignano a Grosseto Sud il collegamento avviene con la variante dell'Aurelia a quattro corsie, con spartitraffico centrale, con una larghezza di quasi 19 metri. Da Grosseto al confine con la regione Toscana, il transito si sviluppa, invece, sul tracciato originario dell'Aurelia, in gran parte a quattro corsie, con una carreggiata inferiore ai 15 metri. Il tratto finale, tra Ansedonia e il confine regionale, ha solo due corsie.
Il corridoio tirrenico, invece, è a livello europeo considerato come una rete transeuropea, denominata «itinerario E80», come lei stesso ha sostenuto. Pertanto, ilPag. 57completamento del tratto tra Rosignano e Civitavecchia deve essere rapidamente ultimato, considerate anche le condizioni di pericolosità dell'Aurelia, egualmente esplicitate nella sua interpellanza.
È soprattutto necessario arrivare, in tempi ormai irrinunciabili e rapidi, ad adeguati livelli di mobilità e di intermodalità.
Vorrei ricordare, per chi non lo sapesse (so che voi ne siete a conoscenza, ma è giusto che altri ne prendano atto), che il dibattito sulla realizzazione del corridoio tirrenico nasce negli anni Settanta; l'accordo sulla sua realizzazione risale al 2000, porta la firma di tutti i soggetti interessati ed è stato oggetto di dibattiti interminabili (consideriamo che dagli anni Settanta al 2000 sono passati 30 anni!).
In ogni caso la firma del 5 dicembre del 2000 è di tutti i soggetti interessati: il Ministero delle infrastrutture, la regione Toscana, la regione Lazio e l'ANAS. L'intesa di cui si parla prevede l'adeguamento dell'Aurelia a tipologia autostradale. La Commissione VIA del Ministero dell'ambiente, una volta raggiunto questo accordo, ha espresso parere di compatibilità ambientale negativo sul tracciato misto, a causa dell'alto impatto sull'ambiente; ha invece espresso un parere di compatibilità ambientale positivo sul tracciato costiero, modificato a seguito delle integrazioni presentate dalla società.
Il tracciato finale, disegnato in totale accordo con la regione Toscana, ha ottenuto finalmente un parere positivo dal Ministero dell'ambiente nel marzo del 2003.
Con riferimento al tratto Rosignano-Grosseto sud la soluzione del tracciato che è stata reputata più idonea dalla Commissione VIA (il parere, però, è soltanto del 31 febbraio 2006) è l'ampliamento in sede di variante dell'Aurelia stessa.
Per il tratto a sud di Grosseto la soluzione indicata dalla società SAT è la realizzazione di un'autostrada costiera che si colloca per buona parte in affiancamento all'Aurelia la quale dovrebbe diventare, invece, una strada parco di raccordo con le reti viarie locali. Questo è, più o meno, lo scenario obiettivo della situazione.
A questo punto vengo alla valutazione del Ministero per i beni e le attività culturali. Esso ha svolto le valutazioni di competenza con le proprie strutture periferiche, in particolare con le sovrintendenze per i beni architettonici, paesaggistiche e quelle archeologiche. Bisogna considerare anche quelle del Lazio e quelle della Toscana. Nel complesso gli uffici hanno espresso pareri tecnici favorevoli alla soluzione costiera, condizionandola però al rispetto di alcune osservazioni tendenti alla salvaguardia dei valori paesaggistici e al rispetto dei siti archeologici.
Mi soffermo anche sul dettaglio delle valutazioni degli uffici. La prima di esse proviene dalla sovrintendenza dei beni archeologici per l'Etruria meridionale e risale al 2003; quella dei beni archeologici del Lazio sulle nuove versioni è del 2005; ve ne è una ulteriore dei beni archeologici, alla luce dei cambiamenti intervenuti, dell'ottobre del 2005; infine, il parere della sovrintendenza per i beni architettonici e storici-artistici delle province di Pisa e Livorno è dell'agosto 2005. Ho citato tali dati per sottolineare il numero dei pareri che sono stati espressi, man mano che venivano apportati dei cambiamenti: pareri che sono stati sempre positivi. La sovrintendenza per i beni architettonici e paesaggistici di Siena e Grosseto ha espresso parere positivo nel 2005.
In ogni caso, a seguito di tutte queste disamine, la direzione generale a Roma, il 25 ottobre 2005, richiede una documentazione integrativa al fine di poter valutare l'opera con riferimento alle tematiche di impatto sul paesaggio e sul patrimonio culturale. La società recepisce le integrazioni e le sovrintendenze che ho citato e di cui non ripeto i nomi, esprimono parere positivo.
A questo punto la direzione generale a Roma acquisisce tali pareri, li esamina e li integra per quanto concerne la situazione vincolistica e paesaggistica e chiude l'istruttoria (vi risparmio tutti i dettagli dei vari passaggi).Pag. 58
Conclusa l'istruttoria, si verificano una serie di agitazioni che riguardano il tracciato Livorno-Civitavecchia; una mobilitazione delle comunità locali che si contrappongono alla realizzazione di una nuova infrastruttura sul territorio della Maremma.
Dal punto di vista dell'impegno sulle nuove aree occupate, rispetto a tale questione si possono distinguere due diverse parti del progetto: una riguarda il tratto Cecina-Grosseto e l'altra Grosseto sud-Civitavecchia. Il primo tratto (Cecina-Grosseto) in linea di massima si sovrappone alla superstrada Aurelia e, pertanto, riduce in maniera notevole l'occupazione delle nuove aree, per cui non sembra destare problemi. Il secondo tratto (Grosseto sud-Civitavecchia) presenta caratteristiche diverse dal primo; il tracciato si discosta per la maggior parte dalla viabilità esistente inducendo problematiche di accettabilità - così ci riferiscono - da parte delle amministrazioni locali che hanno chiesto di svolgere un ruolo di rilievo più importante sulle questioni paesaggistico-territoriali, nel rispetto dei principi di sussidiarietà. Ciò ha determinato ulteriori perdite di tempo che l'ufficio legislativo definisce con i termini di gestazione, cambiamenti sostanziali nel tracciato iniziale e proposizione di varie soluzioni progettuali.
Per il secondo tratto, situato nel territorio laziale, la regione Lazio, quale istituzione locale interessata all'intervento sino al confine regionale, che coincide con il comune di Montalto di Castro, ha richiesto, al fine di valutare la compatibilità dell'opera, l'integrazione del progetto autostradale con la viabilità esistente e con gli strumenti di programmazione regionale.
Il Ministero per i beni e le attività culturali, in considerazione dell'alto valore paesaggistico che il territorio coinvolto possiede, pur non ritenendo la soluzione autostradale in contrasto con un possibile scenario dello sviluppo infrastrutturale del territorio, considera opportuna, per tale secondo tratto, la valutazione di soluzioni che consentano il raggiungimento del miglioramento della mobilità attraverso un minor impiego del territorio ed un minore impatto sul paesaggio quale bene del patrimonio culturale, considerando pertanto l'adeguamento della superstrada Aurelia tra Grosseto sud e Civitavecchia obiettivo primario per avviare a soluzione problemi di sicurezza, di omogeneità e di transitabilità del corridoio tirrenico.
Tutto ciò considerato, il Ministero ha espresso il parere tecnico favorevole per quanto riguarda il tratto Cecina-Grosseto sud, nel rispetto delle prescrizioni impartite dalle soprintendenze territoriali competenti che di seguito si evidenziano.
In merito alle problematiche di rischio archeologico, si richiedono che siano presentati in fase di progetto definitivo, da parte della società - ma questa è l'ordinaria procedura, non è una novità -, approfondimenti per quanto riguarda: l'abitato etrusco di Val Petraia, l'area di Vignale Riotorto e tutti i siti individuati nel corso dello studio preliminare situati a distanza inferiore a cento metri dal tracciato da realizzare.
In fase definitiva si chiede che tutte le operazioni che comportino qualsiasi movimento di terra, debbano essere effettuate sotto il controllo di personale qualificato e, qualora si renda opportuno, vengano effettuati saggi di accertamento archeologico. Il tracciato autostradale dovrà collocarsi in modo più possibile in aderenza alla configurazione morfologica del terreno, evitando rilevati e viadotti eccessivamente emergenti dal piano campagna al fine di rendere una percezione visiva del nastro autostradale più aderente e mitigabile al territorio. Dovranno, inoltre, essere presentati i progetti delle opere di mitigazione da concordare con le soprintendenze territorialmente competenti.
I progetti di mitigazione dovranno, in particolare, rendere la continuità paesaggistica delle aree boscate, mitigare gli impatti visivi degli imbocchi delle gallerie dei viadotti e degli svincoli i quali dovranno, peraltro, essere progettati con un minore impegno del territorio. Dovranno essere redatti, inoltre, progetti di inserimento paesaggistico relativamente all'accessibilitàPag. 59ai fondi agricoli. Il proponente dovrà ottemperare a tutte le suddette prescrizioni nella redazione del piano definitivo, da presentarsi prima dell'inizio delle opere: i relativi elaborati progettuali di recepimento andranno sottoposti alla verifica di ottemperanza da parte delle soprintendenze di settore.
Poiché il tracciato Grosseto sud-Civitavecchia prefigura impegni di nuove aree territoriali e ulteriori delicate trasformazioni del paesaggio, il progetto definitivo andrà qualificato nel senso di ridurre al minimo l'incidenza sui valori paesaggistici e andrà reso integralmente compatibile con le istanze di tutela. Il Ministero per i beni e le attività culturali darà il suo assenso all'opera, poiché si tratta di un obiettivo primario per avviare a soluzione problemi di sicurezza e di omogeneità con riferimento alla transitabilità del corridoio tirrenico e si riserva, attraverso i propri uffici competenti, di esprimere i pareri di legge sul progetto definitivo, in funzione dell'effettiva mitigazione derivante dall'adozione di idonee ed adeguate soluzioni progettuali.
PRESIDENTE. L'onorevole Velo, cofirmataria dell'interpellanza Evangelisti n. 2-00651, ha facoltà di replicare.
SILVIA VELO. Signor Presidente, signor sottosegretario, mi dichiaro parzialmente soddisfatta della risposta, molto dettagliata, di illustrazione dello stato di attuazione del progetto e della discussione in corso. L'interpellanza ai Ministri per i beni e le attività culturali, delle infrastrutture, e dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare era, in realtà, un pretesto per cercare di capire quale sia l'intendimento del Governo sulla realizzazione del progetto in questione. È chiaro che la realizzazione di un'autostrada sulla costa tirrenica italiana, che attraversa un territorio preziosissimo dal punto di vista ambientale e paesaggistico e delle emergenze culturali è, di per sé, un progetto delicato, da approfondire e trattare con la massima cautela. Noi, però, siamo convinti che la politica e gli strumenti della tecnologia possano garantire la fattibilità di quest'opera, necessaria per lo sviluppo del Paese e non solo della Toscana: lo sviluppo del Paese, infatti, passa anche attraverso lo sviluppo della Toscana e dei suoi porti (Livorno, Piombino, Marina di Carrara, Civitavecchia ed altri).
Si può costruire quest'opera senza peggiorare l'altissima qualità ambientale del territorio. Come diceva l'onorevole Evangelisti, non è vero che sull'opera ci sono mobilitazioni locali: se ve ne sono, esse, almeno in Toscana, sono a sostegno dell'opera. Sono sindaco di uno dei comuni attraversati dal corridoio tirrenico e posso testimoniare il lavoro puntuale e preciso che è stato svolto dagli uffici regionali toscani e dalla SAT (Società autostrada tirrenica) nel definire, tratto per tratto, le viabilità accessorie. Abbiamo addirittura progettato le rotonde agli incroci significativi della vecchia strada statale Aurelia, per disincentivare il ritorno del traffico pesante su tale strada: un lavoro certosino, che ha riguardato, in alcuni tratti, anche le proprietà poderali, per evitare danni in un'area che a Grosseto - e, in particolare, nella provincia - è fortemente vocata all'agricoltura. Non si può disconoscere la volontà dei territori, che chiedono, naturalmente, di essere salvaguardati nella tutela ambientale, ma anche di non rimanere isolati in un'area del Paese che rischia, appunto, di essere identificata in un buen retiro per chi vive in città e di decadere nella sua possibilità di sviluppo e di creazione di occupazione e di lavoro.
Il lavoro legato al mare, concentrato in un periodo di tempo ristretto, non basta. Vogliamo che l'industria presente, per esempio, a Piombino, possa svilupparsi e così anche la logistica e la portualità.
Come dicevo, vi è un progetto che tutti i comuni - tranne uno - delle province di Livorno e di Grosseto, le stesse province di Livorno e di Grosseto e la regione Toscana hanno approvato. Si tratta, quindi, di un progetto concordato, condiviso e voluto dalle comunità locali.
Crediamo che se questo progetto fosse bloccato dalla volontà di un movimento di pensiero, che è evidente e che sta esercitandoPag. 60con forza la sua azione in Toscana, e che si esplicita anche attraverso gli organi di stampa, si porrebbe un problema di ordine democratico.
Questa volta, peraltro, a differenza del caso TAV, il problema di democrazia si porrebbe in maniera opposta, con il disprezzo della volontà della maggioranza.
Pertanto, sollecitiamo i ministeri competenti, affinché tutti gli approfondimenti tecnici necessari vengano espletati - perché anche le comunità locali vogliono le adeguate garanzie -, ma crediamo che siamo giunti al momento in cui le questioni tecniche sono state praticamente tutte affrontate.
È il momento che il progetto venga trasmesso al CIPE, al quale ciascun ministero competente potrà esprimere liberamente il suo giudizio. Credo sia difficile continuare a girare intorno ad una questione tecnica che, in realtà, non è tecnica, ma politica.
Per questo motivo, abbiamo interpellato il Ministero per l'università e la ricerca, nonché il Vicepremier Rutelli ed i Ministri Di Pietro e Pecoraro Scanio, per coinvolgere il Governo in una decisione che non aspetta altro che di essere adottata (Applausi dei deputati dei gruppi L'Ulivo e Italia dei Valori).
(Schema di regolamento recante modalità di svolgimento dei concorsi per ricercatori universitari - n. 2-00650)
PRESIDENTE. L'onorevole Filipponio Tatarella ha facoltà di illustrare l'interpellanza La Russa n. 2-00650, concernente lo schema di regolamento recante modalità di svolgimento dei concorsi per ricercatori universitari (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 11), di cui è cofirmataria.
ANGELA FILIPPONIO TATARELLA. Signor sottosegretario Dalla Chiesa, a me sembra che, con riferimento alla problematica relativa all'accesso alla carriera di ricercatore universitario, il peccato originario risieda nel comma 647 dell'articolo 1 della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007), il quale testualmente dispone - lo ricordo anche se lei lo conosce - che, in attesa della riforma dello stato giuridico dei ricercatori universitari, il Ministro dell'università e della ricerca, con proprio decreto, da emanare entro il 31 marzo 2007, sentiti il Consiglio universitario nazionale (CUN) e la CRUI, disciplina le modalità di svolgimento dei concorsi per ricercatore, banditi dalle università successivamente alla data di emanazione del predetto decreto ministeriale, con particolare riguardo alle modalità procedurali ed ai criteri di valutazione di titoli didattici e dell'attività di ricerca, garantendo celerità, trasparenza e allineamento agli standard internazionali.
Già qui, a mio avviso, si radica il primo errore, sia sotto il profilo giuridico costituzionale, sia sotto quello politico. Con riguardo al primo aspetto, non può, infatti, non destare profondo disappunto il ricorso ad un meccanismo di delega in bianco, che il legislatore, cioè lo stesso Governo, ha conferito al Ministro dell'università e della ricerca, che, titolare dell'esercizio della potestà normativa regolamentare, si accinge ora a disciplinare ex novo un settore così importante dell'ordinamento universitario, quale quello che attiene alle procedure concorsuali dei ricercatori.
Noi tutti - penso anche lei - abbiamo imparato, studiando sui più importanti manuali di diritto costituzionale e di diritto pubblico, che l'istituto della delega è, per antonomasia, quello individuato dall'articolo 76 della Costituzione, che autorizza il Governo ad esercitare la funzione legislativa, previa determinazione da parte del Parlamento dei principi e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti.
Nulla in questo schema viene riprodotto dalla citata norma della legge finanziaria che, nelle more di una futuribile riforma dello stato giuridico dei ricercatori universitari, consegna nelle mani della burocrazia del Ministero il compito di introdurre nell'ordinamento, legibus solutus, norme che, anche nel merito, appaionoPag. 61molto discutibili. Inoltre, sul piano del rispetto della gerarchia delle fonti del diritto, si configura un monstrum, nel senso etimologico del termine: con un decreto ministeriale - quindi con un mero atto amministrativo, questo per me è il punto - si modifica una precedente disciplina normativa, anzi la si abroga di fatto, in modo implicito, non tenendo conto che la vigente disciplina in materia di reclutamento dei ricercatori è contenuta nella legge n. 210 del 1998 e nel relativo regolamento di attuazione. Tra l'altro, nel caso di specie, non ci troviamo nemmeno di fronte ad un regolamento di delegificazione, di cui all'articolo 17 della legge n. 400 del 1988, che è l'unico autorizzato ad abrogare norme di rango primario o norme contenute in altri tipi di regolamenti, emanati ai sensi della stessa legge n. 400 del 1988. Signor sottosegretario, in questo modo non si abroga solo una legge (sarebbe poco male); secondo me si abroga il principio di legalità che, come lei sa, è un pilastro dello Stato di diritto, vale a dire di ciò che attiene all'essenza stessa del diritto.
Finora - ma solo per non essere prolissa - ho esposto i limiti giuridico-formali del provvedimento, ma l'intera questione non può sfuggire ovviamente ad un sindacato di natura politica. Infatti, come già ho avuto modo di sottolineare in altra sede, un'ulteriore conseguenza di questa improponibile soluzione normativa è anche quella che attiene all'oggettivo esautoramento del ruolo del Parlamento, che in questa vicenda ha ricevuto, mi sia consentito dirlo, «l'avviso di notifica» Mi rendo conto che la conversione al bipolarismo politico, in cerca di un maturo e definitivo radicamento nel nostro Paese, vede le forze politiche, dell'una e dell'altra coalizione, essere portate irresistibilmente a riscrivere, a propria immagine e somiglianza, segmenti rilevanti dell'ordinamento giuridico. Tuttavia, in tal modo la certezza del diritto - intendendosi per tale il bisogno di mantenere una ragionevole, tendenziale stabilità del quadro normativo complessivo - viene ad essere sottoposta ad uno stress continuo, causato dall'uso congiunturale ed occasionalistico degli strumenti di normazione, la cui finalità (preciso che non ritengo che questa finalità che sto per esporre sia insita nel provvedimento in esame), il più delle volte, è solo quella di soddisfare interessi politici (e ribadisco la precisazione che ho esposto poc'anzi).
Ecco allora, signor sottosegretario, che l'aver optato per il ricorso allo strumento del decreto ministeriale equivale non solo a ledere l'impianto politico-istituzionale di base, già compromesso dal rinnovo, a ritmi incalzanti, della relativa normativa di settore, ma soprattutto equivale ad introdurre, nell'universo mondo dell'ordinamento, norme di rango secondario, non solo non condivisibili sul piano del merito - come ha affermato la CRUI, con il parere dello scorso 24 maggio, che lei ben conosce - ma che sono assai fragili e precarie. Infatti, come lei stesso può immaginare, il prossimo Ministro dell'università e della ricerca, sia egli di centrodestra o di centrosinistra, può provvedere a revisionare in un attimo questo provvedimento predisposto da voi, proprio in quanto trattasi di atto amministrativo. Quindi, questo atto ha meno chance di perdurare nel tempo rispetto ad una normativa di rango primario, che il signor Ministro avrebbe potuto promuovere, con senso di responsabilità istituzionale e con il concorso di tutte le forze politiche, di maggioranza e di opposizione.
Non è questa la via che avete seguito! Avete seguito la via del decreto ministeriale. Francamente, ciò mi stupisce, perché riconosco e sono convinta, per la conoscenza che posso avere, che il Ministro Mussi ha un elevato senso istituzionale, nonché un autentico interesse per la riforma dell'università e per la stessa in genere. Tale incongrua scelta - ripeto - oltre a ledere i principi del diritto e l'interesse dell'università, mi stupisce e mi dispiace, perché si sarebbe potuta evitare.
Quello che chiediamo è che si scelga una forma giuridica più congeniale all'importanza dell'oggetto di cui stiamo discutendo.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l'università e la ricerca, Nando Dalla Chiesa, ha facoltà di rispondere.
NANDO DALLA CHIESA, Sottosegretario di Stato per l'università e la ricerca. Signor Presidente, l'interpellante ha ampliato il quadro critico rispetto all'interpellanza che ci era stata proposta e quindi aggiungerò delle notazioni riferite agli appunti che sono stati aggiunti.
Ricordo intanto che le disposizioni alle quali si è riferita l'onorevole Filipponio Tatarella prevedono che, in attesa della riforma dello stato giuridico dei ricercatori universitari, il Ministro dell'università e della ricerca, con suo decreto, disciplini le modalità di svolgimento dei concorsi per ricercatore, con particolare riguardo alle modalità procedurali e ai criteri di valutazione dei titoli didattici e dell'attività di ricerca, garantendo celerità, trasparenza ed allineamento agli standard internazionali.
È evidente che la legge finanziaria, che è una norma ordinaria e, quindi, fonte di rango primario, ha stabilito i criteri da seguire per la regolamentazione della materia dei concorsi a ricercatore e ha rimesso al decreto del Ministro l'attuazione dei criteri indicati.
Il Governo ha, pertanto, dato seguito alle disposizioni della legge n. 296 del 2006. In relazione alle considerazioni esposte, non si ritiene che sul provvedimento adottato potrà essere ipotizzato un fondato contenzioso giurisdizionale.
Il regolamento per il reclutamento è stato presentato dal ministro Mussi nell'audizione presso la 7a Commissione del Senato del 29 maggio 2007 nel corso della quale ha, tra l'altro, esposto i contenuti del provvedimento ed ha illustrato gli obiettivi del piano straordinario di reclutamento. Tali argomenti sono stati ripresi anche in occasione dell'audizione del Ministro presso la VII Commissione della Camera dei Deputati svoltasi il 13 giugno 2007.
Il provvedimento, come è senz'altro noto agli onorevoli interpellanti, prevede una razionalizzazione dello svolgimento dei concorsi per l'assunzione dei ricercatori, con l'obiettivo di eliminare le molte problematiche collegate alla procedura di reclutamento prevista dalla normativa vigente; il testo della proposta ministeriale tiene conto dei suggerimenti del Consiglio universitario nazionale e della CRUI, il che non esclude che la stessa CRUI possa, a sua volta, muovere ulteriore rilievi tanto che alcuni suggerimenti proposti sono state adottati.
In conclusione, il Ministero ha intenzione di proseguire l'iter di approvazione del provvedimento che prevede l'acquisizione del parere del Consiglio di Stato e delle Commissioni parlamentari, ritenendo di dover dare applicazione alle disposizioni previste dalla legge finanziaria per l'attuazione del riordino della disciplina relativa alle modalità di svolgimento dei concorsi per i ricercatori.
Vorrei aggiungere che i rilievi a cui ha fatto riferimento l'onorevole Filipponio Tatarella, che mi sembra condividano alcune delle perplessità e dei rilievi che sono stati proposti dalla CRUI, non sono in sé infondati. Credo che il problema non sia quello di respingere quelle osservazioni, ma sia quello di valutare se vi sia un saldo positivo della scelta adottata di dare corso al reclutamento nelle forme che sono state indicate.
Credo che tale saldo positivo vi sia. Non si tratta di «disfare» gli ordinamenti legislativi, né di destabilizzare il sistema accademico, portando le leggi di chi ha vinto le elezioni; mi sembra, piuttosto, che, nel mondo dell'università, l'ossatura del sistema universitario su cui ha lavorato il precedente Governo sia stata mantenuta. Ed è proprio in omaggio al principio per il quale non si disfano le cose, se non si sono valutati attentamente i vantaggi e gli svantaggi, che stiamo monitorando con tanta attenzione gli effetti del nuovo impianto degli studi universitari.
Il problema è che era necessaria un'iniezione di giovani ricercatori nel sistema universitario ed il provvedimento che viene criticato dagli onorevoli Filipponio Tatarella e La Russa nella loro interpellanza urgente è stato pensato esplicitamente - come anche lei, onorevole, haPag. 63ricordato - in attesa della riforma dello stato giuridico dei ricercatori universitari.
Non si tratta, quindi, di un provvedimento che ha l'ambizione di valere per sempre, ma di una disciplina che si inserisce in un momento transitorio della vita dell'università italiana e che intende far fronte alla necessità di reclutare nuovi ricercatori e che si propone, certo, anche di disegnare delle modalità di reclutamento, le quali - se pure presentano quegli inconvenienti a cui lei faceva riferimento - hanno anche vantaggi, a nostro avviso, importanti, in termini di trasparenza e di imparzialità della valutazione (è un grande problema nel reclutamento dei ricercatori, come lei sa meglio di me).
Tale imparzialità va garantita, individuando meccanismi che riescano a sottrarre il procedimento di valutazione a pregiudizi, interessi o lealtà di tipo accademico baronale (per usare un'espressione molto in voga) e garantire che, davvero, i giovani talenti migliori possano accedere al ruolo di ricercatore.
Pertanto, è chiaro che il meccanismo che è stato pensato si presta ad alcune critiche; tuttavia, credo che il saldo, alla fine, sia ampiamente positivo per l'interesse generale dell'università. Inoltre, ritengo anche che aver delineato - sia pure in una circostanza transitoria - meccanismi che potrebbero essere successivamente adottati mediante una fonte normativa di rango primario sia un'iniziativa che può avere una certa utilità anche per il futuro del nostro sistema accademico.
Lei parlava dell'eccezionalità del fatto che tale scelta passi attraverso una fonte normativa di rango secondario; a tal proposito, devo ricordarle che anche l'attuale normativa è disciplinata con una fonte di rango secondario: il decreto del Presidente della Repubblica 23 marzo 2000, n. 117, che non è appunto fonte di rango primario.
Pertanto, stiamo parlando di innovare una fonte normativa di rango secondario con una fonte di pari grado. Su tale aspetto possiamo, naturalmente, improntare tutte le discussioni del caso e rispetto tutte le valutazioni che lei ha fornito, tuttavia, se è così, non ci troviamo di fronte ad un monstrum giuridico.
PRESIDENTE. L'onorevole Filipponio Tatarella ha facoltà di replicare.
ANGELA FILIPPONIO TATARELLA. Signor Presidente, per ricambiare la cortesia del sottosegretario, il quale ha trovato non infondate le mie obiezioni, potrei dire che mi sento parzialmente soddisfatta della sua risposta, ma, signor sottosegretario, purtroppo non lo posso dire e gliene spiego i motivi.
Sulle finalità di tale norma, da lei indicate, non sono d'accordo con lei, ma c'è di più!
Come ho sempre detto e ripetuto questa sera, non penso affatto che da parte vostra vi sia, per così dire, la malafede. Sono convinta che cerchiate una soluzione e che il vostro fine sia il migliore possibile. Tuttavia, proprio per tale ragione, se mi consente, impiego le mie energie per cercare di intervenire, perché ritengo che, almeno in relazione a ciò, condividiamo lo stesso obiettivo. Tuttavia, come lei stesso mi insegna, i mezzi per raggiungere un fine, purtroppo, non sono facili da trovare. Sto parlando proprio di ciò.
Purtroppo, non posso dichiararmi soddisfatta. Lei sostiene che ci troviamo in presenza di un provvedimento transitorio. Tuttavia, è proprio questo il problema! Tale norma non è nemmeno quella definitiva, bensì si va a sostituire ad un'altra precedente. A me non interessa se la norma precedente sia migliore o peggiore e da chi sia stata varata; mi sto riferendo solo alla successione di ciò che accade.
Vi è una norma precedente e vi è questa, la quale, tuttavia, è transitoria, così transitoria che è stato utilizzato lo strumento del decreto ministeriale. Tuttavia, è mai possibile - mi ripeto - che qualcosa di talmente importante, di cui lei stesso poc'anzi ha evidenziato le finalità, possa essere disciplinato da una carta straccia, perché così può essere considerato il decreto ministeriale? Il decreto ministeriale può essere modificato da qualsiasi altroPag. 64ministro, senza interpellare nessuno. È possibile che si adotti un tale provvedimento anche solo in una situazione di attesa? Sappiamo che tali provvedimenti hanno bisogno di tempo, c'è poco da fare!
Lei è a conoscenza di quanto tempo sia stato necessario per varare le riforme precedenti. Un'attesa di sei mesi? Se si fosse trattato di soli sei mesi, sarebbe stata sufficiente la disciplina precedente. La mia è una questione di principio. Se neanche nel Ministero dell'università e della ricerca si bada ai principi, mi dica lei dove si deve fare. Se noi stessi, che per primi legiferiamo in materia, non badiamo ai principi del diritto - che il ministero culturale par excellence deve tutelare - mi dica lei quando invocarli!
Ritengo che, da un punto di vista pragmatico, che per me va benissimo, non si raggiunga il risultato che lei stesso ha sottolineato poc'anzi. È vero che esiste il problema - sono la prima a dirlo - di passare dai concorsi su base locale a quelli su base nazionale. Tra l'altro, esiste la legge Moratti: non mi interessa ricordarlo, vorrei solo far presente che già esisteva tale passaggio. Si può migliorare e cambiare tutto quello che vuole; tuttavia, si tratta di un argomento decisivo per persone giovani, perché i ricercatori sono persone tra i 23 e i 30 anni, che cominciano a fare tale carriera, mi creda, solo per passione. Può darsi che, strada facendo, si guastino - ciò posso ammetterlo - ma, secondo la mia lunga esperienza, ritengo che, all'inizio, tali ragazzi abbiano un certo livello di entusiasmo che va colto. Pertanto, metterli di fronte a tale incertezza sul loro avvenire e sulla legge relativa al loro primo reclutamento, che ancora non si sa quale sarà, non mi sembra la via migliore anche da un punto di vista psicologico!
Le espongo due ipotesi. In primo luogo, se questo provvedimento è il migliore possibile, perché lo avete affidato ad un decreto ministeriale? Mi scusi, così non tutelate il vostro provvedimento. In secondo luogo, se il provvedimento non è valido, perché lo emanate? Qui non se ne esce! Se è un provvedimento valido, presentatelo al Parlamento e lo approveremo con entusiasmo. Altrimenti, a maggior ragione, non c'è bisogno di aver fretta.
Volendo andare alla base del discorso, questo è quello che mi interessa: cercare la soluzione migliore possibile. Non mi interessa salvare vecchi, nuovi o futuri provvedimenti, bensì soltanto l'università, perché è molto difficile reclutare.
Le dico che non esiste una legge ad hoc che risolva questo problema perché se un ragazzo vale o non vale - stiamo parlando di ricercatori - lo può sapere soltanto il professore che lo propone. In questo caso, ci dobbiamo affidare, purtroppo, alla sua buona fede, e quando i due non hanno lo stesso cognome la buona fede si può anche ravvisare: non vedo perché un professore debba portare avanti una persona che non vale.
Quindi, il problema è grave, come può immaginare. Lei ha affermato che questa normativa è transitoria e vale solo per i ricercatori e via dicendo. Tuttavia - se me lo permette - ciò non è completamente vero. Sa che il Ministro Mussi ha dichiarato che, se tale legge funzionerà, essa verrà estesa alla prima e alla seconda fascia?
Esiste un modo di dire che afferma che «la montagna ha partorito un topolino»; in questo caso, però, è il topolino ad aver partorito la montagna! Il topolino ha la pretesa di aver partorito una montagna.
(Rinvio interpellanza urgente Camillo Piazza n. 2-00657)
PRESIDENTE. Avverto che, su richiesta dei presentatori e con il consenso del Governo, lo svolgimento dell'interpellanza urgente Camillo Piazza n. 2-00657, concernente iniziative normative in merito al fenomeno del bracconaggio, è rinviato ad altra seduta.
È così esaurito lo svolgimento delle interpellanze urgenti all'ordine del giorno.
Sull'ordine dei lavori (ore 18,30).
PRESIDENTE. Comunico che, a seguito dell'odierna riunione della Conferenza deiPag. 65presidenti di gruppo, l'esame del disegno di legge n. 2852 - Conversione in legge del decreto-legge 2 luglio 2007, n. 81, recante disposizioni urgenti in materia finanziaria (da inviare al Senato - scadenza: 31 agosto 2007), già previsto a partire da lunedì 16 luglio (antimeridiana), avrà luogo a partire da mercoledì 18 luglio (antimeridiana e pomeridiana, con eventuale prosecuzione notturna) (con votazioni), con la discussione sulle linee generali, cui seguirà l'esame del relativo articolato, che proseguirà nei giorni successivi.
Restano fermi gli altri argomenti già previsti in calendario per la prossima settimana.
La discussione sulle linee generali della proposta di inchiesta parlamentare doc. XXII, n. 8 - Istituzione di una Commissione parlamentare d'inchiesta sugli errori in campo sanitario - e della mozione Ciocchetti ed altri n. 1-00134 sulle iniziative in favore di centri di studio, ricerca e cura della poliomielite avrà inizio martedì 17 luglio (antimeridiana, con eventuale prosecuzione al termine delle votazioni), anziché lunedì 16 luglio (antimeridiana).
Ordine del giorno della prossima seduta.
PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.
Lunedì 16 luglio 2007, alle 15:
Discussione congiunta dei documenti:
Conto consuntivo della Camera dei deputati per l'anno finanziario 2006 (Doc. VIII, n. 3).
Progetto di bilancio della Camera dei deputati per l'anno finanziario 2007 (Doc. VIII, n. 4).
La seduta termina alle 18,35.
VOTAZIONI QUALIFICATE
EFFETTUATE MEDIANTE PROCEDIMENTO ELETTRONICO
INDICE ELENCO N. 1 DI 1 (VOTAZIONI DAL N. 1 AL N. 2 | ||||||||||
---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|
Votazione | O G G E T T O | Risultato | Esito | |||||||
Num | Tipo | Pres | Vot | Ast | Magg | Fav | Contr | Miss | ||
1 | Nom. | Moz. Leoni ed a n. 1-159 I p. | 483 | 384 | 99 | 193 | 372 | 12 | 63 | Appr. |
2 | Nom. | Moz. Leoni ed a n. 1-159 II p. | 486 | 379 | 107 | 190 | 214 | 165 | 62 | Appr. |
F = Voto favorevole (in votazione palese). - C = Voto contrario (in votazione palese). - V = Partecipazione al voto (in votazione segreta). - A = Astensione. - M= Deputato in missione. - T = Presidente di turno. - P = Partecipazione a votazione in cui è mancato il numero legale. - X = Non in carica.
Le votazioni annullate sono riportate senza alcun simbolo. Ogni singolo elenco contiene fino a 13 votazioni. Agli elenchi è premesso un indice che riporta il numero, il tipo, l'oggetto, il risultato e l'esito di ogni singola votazione.