Commissione parlamentare per le questioni regionali

Documentazione presentata in audizione da:

UNIONE NAZIONALE COMUNI, COMUNITA’, ENTI MONTANI (UNCEM)

La politica di attuazione della legge n. 59 del 1997 per un efficiente governo della montagna

 

Le zone montane rivestono un grande interesse nazionale

E' ormai matura e sempre più estesa la consapevolezza della necessità di costruire un solido ed efficiente governo della montagna.

Le condizioni di marginità, che di fatto il modello di industrializzazione e di urbanizzazione ha provocato nelle zone montane, possono e debbono essere superate restituendo ad esse ampie capacità di autodeterminazione del loro sviluppo economico e sociale.

La montagna è riconosciuta oggi una grande risorsa nazionale; la sua interazione con le aree di pianura e con i centri urbani risponde ad una indiscutibile interesse generale del Paese e dell'Unione Europea.

Il governo della montagna si profila quale momento coessenziale dell'intero riordino del sistema dei poteri locali, protagonista non eludibile della riforma "dal basso" delle istituzioni e della pubblica amministrazione.

Ne sono riprova e sollecitazione i principi di sussidiarietà e di differenziazione esplicitati dalle proposte, ormai acquisite, della Bicamerale e dalla legge di delega legislativa n. 59/97, anticipati e "preparati" dalle leggi nn. 142/90 e 97/94, sanciti dalla Carta Europea delle Autonomie locali, recepita dall'Italia nel 1989.

Momento strutturale e strategico di ricomposizione del governo della montagna è la Comunità montana, istituto di aggregazione dei Comuni montani, Ente locale chiamato ad un processo dinamico di innovazione istituzionale, rappresentativo e funzionale.

Per condurre tale processo a coerente ed efficace completamento è indispensabile una rigorosa politica di attuazione della legge n. 59. I principi e criteri direttivi della delega legislativa, ove applicati fedelmente e conseguentemente, faranno compiere al governo della montagna un decisivo passo in avanti.

L'Uncem ha guardato a queste ragioni, che sono alla base del cambiamento della forma di Stato, anche a Costituzione vigente, fin dalla presentazione del ddl nel luglio 1996, offrendo un proprio apporto di riflessione, che viene direttamente dalle esperienze e dalle battaglie dell'autonomia e del riscatto delle comunità della montagna.

Alla riflessione culturale e politica sono seguite proposte di modifica migliorativa rivolta ad accrescere la qualità "autonomistica" del provvedimento, in uno con la più precisa attenzione verso il rafforzamento delle istituzioni della montagna.

 

Il contributo dell'Uncem si è pertanto dislocato su tutto il ventaglio dei principi delle norme di delega per il conferimento di compiti e funzioni a Regioni ed Enti locali, stabilendo momenti di piena sintonia con Anci e Upi, perseguendo, dentro tale processo complessivo di coerenze, la valorizzazione del profilo istituzionale della montagna.

Larga considerazione queste proposte delle Associazioni hanno incontrato presso il Parlamento e il Governo.

Nel complesso intreccio dei principi della delega, due snodi si sono subito proposti nella evoluzione delle Comunità montane come soggetti coprotagonisti, assieme ai Comuni e alle Province, della restituzione dei poteri e delle risorse nei sistemi infraregionali e nella reidentificazione del ruolo dei piccoli Comuni, da rendere partecipi (e quindi da non escludere) nella riallocazione delle funzioni e dei compiti statali e regionali sul territorio, secondo il parametro basilare della sussidiarietà.

Non è stato certo fortuita la tempestività dell'iniziativa dell'Uncem di tenere, all'immediato domani della entrata in vigore della legge 59, il 22 marzo a Parma, un dibattito approfondito, in un primo diretto e costruttivo confronto con il Ministro Bassanini, sulla portata riordinatrice generale della legge e, in parallelo, sul profilarsi del nuovo assetto istituzionale della montagna. Le relazioni, la discussione e l'intervento del Ministro in quel convegno dell'Uncem hanno segnato, pensiamo, un momento significativo per la costruzione del federalismo autonomista.

Su questi assi si è mossa e si muove l'Uncem, in cooperazione con le altre Associazioni degli Enti locali, confidando in un fruttuoso confronto con le Regioni, il Parlamento, il Governo.

Lungo questo itinerario solidale e cooperativo si è collocato il dpr n.281/97, che, disciplinando la Conferenza Stato/Regioni e Province autonome unificata con la Conferenza Stato/Città e Autonomie locali, ha voluto istituzionalizzare la presenza in quest'ultimo organismo dei rappresentanti delle Comunità montane.

Al medesimo tracciato di crescente attenzione istituzionale verso le politiche di sviluppo delle aree montane si iscrive anche la recente creazione del Sottosegretariato per la montagna che costituirà finalmente un momento unificante all'interno della compagine governativa.

Nella stessa prospettiva e con la stessa filosofia riformatrice, l'Uncem ha attivamente compartecipato alla redazione del documento riguardante i criteri di attuazione della legge n.59, presentato unitariamente dalle Associazioni degli Enti locali al Governo e alle Regioni (successivamente da queste fatto proprio) fin dal mese di maggio e illustrato dall'Anci a codesta Commissione parlamentare nell'audizione del 23 settembre scorso.

Con analoghi intenti, il presente documento esprime ulteriori esigenze e più specifiche indicazioni sulla applicazione della legge delega.

 

Il metodo di attuazione

Il metodo, precetto di fatto, della decretazione legislativa di attuazione della legge 59 sembra aver imboccato una strada, che in qualche modo richiama quella di decreti delegati, impostati per singole materie e soprattutto per singoli ministeri, con il rischio che si innervi una logica di decentramento prevalentemente tratta dal modello centralistico di organizzazione delle funzioni amministrative.

Le Associazioni delle Autonomie locali Anci, Upi e Uncem, avevano segnalato ripetutamente il rischio che si sarebbe potuti scivolare su modelli di decentramento tratti da rigidi comparti ministeriali. Per questo, le Associazioni proposero che fosse mantenuta la formula iniziale di un "unico decreto legislativo" per il conferimento delle funzioni e dei compiti.

Malgrado le garanzie e gli intenti in più circostanze rinnovati, l'avvio della attuazione delle norme di conferimento non pare ancora corrispondere a quella organicità e soprattutto a quell'impianto di costruzione "dal basso" che deve sganciare tutta l'operazione della "Bassanini" dai vincoli culturali e organizzativi propri del modello dicasteriale-centralistico.

Dopo l'eccezione, motivata con ragioni di tempismo politico in vista della scadenza referendaria del decreto legislativo n. 143 in materia di agricoltura e pesca, dopo l'altra eccezione del decreto legislativo in materia di trasporto pubblico locale, il Consiglio dei Ministri ha ora approvato uno schema di decreto legislativo in materia di servizi all'impiego; esso riguarda, a differenza dei precedenti, materia (il lavoro) al di fuori dell'art. 117, c.1, Cost., e dovrebbe coinvolgere nei trasferimenti delle funzioni e dei compiti direttamente e in primo luogo le Autonomie Locali; viceversa il loro ruolo è previsto in maniera del tutto marginale, attraverso una loro poco più che simbolica presenza all'interno di un organismo istituzionale.

La preoccupazione espressa da tempo e per tempo dalle Associazioni in ordine ai rischi derivanti da un procedere frammentario ed episodico della attuazione della 59, stanno perciò diventando effettivi, con l'esito di spostare sul terreno settoriale e dispersivo della contrattazione con singoli ministeri la verifica delle coerenze della legge delega, costringendo tutti gli interlocutori a "inseguire" un approccio istituzionale che, nella sua stessa filosofia, disattende il principio di sussidiarietà.

° ° °

    Dare attuazione alla legge 59 del 15/3/97 significa anzitutto prendere compiuta consapevolezza della portata e delle dimensioni di una operazione di riordino che è destinata a produrre, anche in tempi estremamente ravvicinati, conseguenze rilevanti sull'assetto delle istituzioni e della qualità delle funzioni pubbliche. Ciò comporta prendere atto di un profondo mutamento della configurazione e degli equilibri della pubblica amministrazione.

    Il richiamato principio di sussidiarietà come chiave portante di tutto il disegno del conferimento dei compiti e delle funzioni amministrative a Comuni, Comunità montane, Province e Regioni costituisce una vera "rivoluzione copernicana" nell'idea stessa della organizzazione dei pubblici poteri e perciò nell'impostazione culturale dei destinatari della Funzione Pubblica.

    Quest'ultimi diventano da momento terminale e passivo, attraverso l'applicazione della sussidiarietà e mediante la restituzione di un ruolo protagonista delle comunità locali e quindi del momento centrale in cui i cittadini esprimono le loro propensioni, ad autentici attori determinanti del modo di essere delle istituzioni e della pubblica amministrazione.

    Con la legge n. 59, si deve mettere perciò in cantiere un vero e proprio capovolgimento del tradizionale equilibrio nel rapporto tra la base sociale e i cittadini, da un lato, e i titolari della funzione pubblica, dall'altro; riequilibrio che procede quindi anzitutto "dal basso".

    La progressiva ricomposizione delle responsabilità istituzionali interviene perciò riannodando in primo luogo un legame di solidarietà della gente con la propria comunità locale e agendo direttamente sulla qualità democratica dell'esercizio del potere, sulle sue effettive motivazioni e sulla stessa legittimazione.

    Se, detto in sintesi, queste sono le più significative ragioni alla radice delle finalità della legge 59, diventa chiaro che si richiede un impegnativo e diffuso balzo culturale che sappia investire l'insieme degli attori, chiamati anzitutto a garantire una rigorosa e coerente politica di attuazione della legge di delega.

    E qui vengono alcune basilari questioni di metodo, in larga misura già prefigurate dai principi, dai criteri direttivi, dalle procedure e dalla tempistica della legge "Bassanini I"; profili di metodo che tuttavia debbono trovare nella loro concreta specificazione tracciati di consequenzialità e di realizzazione.

 

L'iniziativa delle Associazioni delle Autonomie locali

    Chiarito, già in sede di legge delega, che i poteri dello Stato centrale rimangono soltanto quelli tassativamente indicati, la partita più delicata si sta spostando proprio sul crinale innovativo della ripartizione dei compiti tra le Regioni e gli Enti locali.

    Da questo punto di vista, la legge n. 59 ha prescelto, come si sa, la strada del doppio binario, a seconda che le materie rientrino nella potestà legislativa delle Regioni, in base all'articolo 117, c.1, della Costituzione, ovvero non vi siano comprese.

    Nel primo caso, spetta alla legge regionale operare l'applicazione del principio di sussidiarietà, conferendo la generalità delle funzioni amministrative a Comuni, Comunità Montane e Provincie, con l'esclusione di quelle che attengono alla gestione unitaria a livello regionale. Va però tenuto conto che le Regioni hanno l'obbligo di legiferare nelle singole materie entro sei mesi dall'entrata in vigore del decreto delegato. Qualora non intervenga la legge regionale di settore nella singola Regione, subentra, entro i tre mesi successivi, altro decreto legislativo che diventa sostitutivo della mancata legge regionale di ripartizione delle funzioni agli (e tra gli) Enti locali.

    Si badi bene che la questione e tutt'altro che teorica; si pensi al citato decreto in materia di agricoltura e pesca, che e entrato in vigore il 5 giugno scorso e che quindi impone alle 15 regioni a statuto ordinario di legiferare nella stessa materia per il conferimento dei compiti e delle funzioni agli Enti locali non oltre il 4 dicembre prossimo, operando oltretutto anche sulle funzioni trasferite dallo Stato centrale ad esse fin dal 1972, come inequivocabilmente prevede la l. 59, in applicazione dell'art. 3 della legge n. 142/90.

    Nel secondo caso, quello delle materie che non sono comprese nell'articolo 117, c. 1, Cost., il decentramento delle funzioni e dei compiti invece opera subito e in via diretta nei confronti degli Enti Locali.

    A fronte di questo scenario di articolato disporsi della scacchiera di tutta la legislazione delegata, già intrapresa, con i limiti frammentari e settorialisti prima segnalati, ma in larga misura ancora in via di formazione e di definizione, le associazioni delle Autonomie locali puntano sulla previsione di disposizioni generali che abbiano efficacia sull'intero arco delle materie.

    Tali norme di efficacia generale, come meglio specificheremo più avanti, dovranno garantire soprattutto il coinvolgimento degli Enti Locali nella nuova assunzione delle responsabilità funzionali, finanziarie e strumentali. In particolare, tali disposizioni dovranno fissare in maniera netta il sostegno dei processi di associazione intercomunale, nel caso dei piccoli Comuni, ma anche le garanzie di partecipazione degli Enti Locali e delle loro associazioni alle strutture di cooperazione tra lo Stato e le Regioni, l'applicazione del principio della cosiddetta "sussidiarietà orizzontale" per l'affidamento a "famiglie, associazioni, comunità" di funzioni di interesse collettivo, la soppressione delle strutture statali investite dal conferimento delle funzioni, ma, soprattutto, la specifica regolazione dei meccanismi di copertura finanziaria e di trasferimento del personale e dei beni che avvenga non soltanto a favore delle Regioni anche degli Enti Locali destinatari dei nuovi compiti.

    Con questo taglio di iniziativa e di proposta, le Associazioni hanno trasmesso il loro documento alle Regioni e al Governo, affinchè si possa assicurare un procedere complessivo della applicazione della delega secondo un metodo unificante che è stato definito della cosiddetta "cabina di regia", in vero da molti auspicato o annunciato, ma ancora tutto da verificare. In particolare le Associazioni autonomistiche rivendicano un impianto di tutta l'operazione del decentramento delle funzioni che sia qualificato da omogeneità e da sostanziale simmetria, evitando la tentazione di sempre, sia a livello nazionale che a livello regionale, che si determini una condizione di sostanziale marginalità del ruolo e delle funzioni degli Enti Locali.

    Viceversa è indispendabile che la composizione e l'organizzazione della funzione pubblica avvenga sulla base della domanda e delle esigenze della gente e della realtà comunitaria e sociale per la quale la funzione mantiene o può rinnovare le sue stesse ragioni fontandi.

    Un rischio che si intravede è altresì quello che non acquisisca una sufficiente considerazione l'insieme degli istituti di cooperazione e di concertazione tra tutti i livelli di Governo, senza alcuna riduzione della posizione degli Enti Locali. Dovranno altresì trovare adeguata regolamentazione in sede di legislazione delegata gli aspetti finanziari, organizzativi e delle risorse umane.

    Il nuovo conferimento delle funzioni pubbliche rappresenta una opportunità, da non disperdere per ridurre funzioni che possano essere superflue, ovvero che non più utilmente e necessariamente debbano essere esercitate da uffici pubblici e a livello istituzionale, mentre, come ricordato, può trovare uno spazio considerevole l'applicazione del principio della sussidiarietà orizzontale, che permette l'assegnazione di compiti direttamente ad organizzazioni portatrici di interessi sociali e collettivi, soprattutto come può avvenire nel caso del non-profit, dove la mancanza di interessi lucrativi può offrire opportunità di alleggerimento del sovraccarico amministrativo e spesso burocratico delle istituzioni.

    Questo della riduzione e del ridimensionamento quantitativo e qualitativo della funzione pubblica costituisce un fronte sul quale in particolare già da tempo le amministrazioni locali, sensibili alle domande di un sociale che prende le diverse forme solidaristiche del volontariato e comunque di altre forme più avanzate e compenetrate di coinvolgimento negli interessi collettivi da parte della base sociale, hanno già saputo sperimentare concretamente momenti di "decentramento sociale".

    Il lavoro di approfondimento da parte delle Associazioni delle Autonomie locali, che si sono date un metodo di lavoro solidale e integrato, in grado di coinvolgere in maniera sintonizzata il punto di vista e la sensibilità dell'insieme dei livelli di governo infraregionale, non si è soltanto attestata nella formulazione di ipotesi normative di portata generale ma si è soffermata anche sui singoli settori e materie, richiedendo a questo riguardo soprattutto una netta distinzione tra le materie dell'articolo 117, comma 1, Cost. e di quelle che non vi rientrano, escludendo categoricamente l'ipotesi che si determini, come qualche autore ha ipotizzato, una sorta di assimilazione delle seconde alle prime, attraverso una applicazione, che sarebbe del tutto impropria, del secondo comma dell'articolo 117 della Costituzione, ove si prevede la possibilità che la legge statale affidi alla legislazione regionale il potere di emanare norme di attuazione della stessa.

 

Valutazioni e proposte nelle diverse materie da conferire ad Enti locali e Regioni

    Un quadro di analisi, di valutazioni e di proposte si sta istruendo per iniziativa delle Associazioni degli Enti Locali nelle diverse materie, cercando di stabilire tutte quelle connessioni che le funzioni dei diversi settori possono ristabilire nella loro proiezione sul territorio.

    L'esame si è incentrato sulle diverse materie, come nel caso dei beni culturali, dove è presente la preoccupazione che non si riconduca alla scala regionale la solita piramide burocratica di tipo settorialistico che rischierebbe di irrigidire e rendere scarsamente aderente alle esigenze delle comunità l'impianto delle nuove funzioni amministrative. Forme via via più evolute di coinvolgimento dei soggetti sociali ma anche di quelli privati possono liberare questo settore che abbisogna, anche dopo alcune parziali aperture introdotte dalla legge 127/97, di stabilire anzitutto nei comuni alcune sinergie con altri segmenti di intervento come quelli del turismo e delle attività culturali ed economiche. Azioni che si attestino soltanto sulla articolazione verticistica, rischiano di non introdurre le necessarie nuove opportunità che in particolare si possono realizzare attraverso processi di associazionismo intercomunale e di coinvolgimento quindi, nelle aree montane, delle Comunità montane.

    Anche nel campo del diritto allo studio universitario sarà possibile introdurre momenti di connessione con le attività, ormai tipicamente comunali, di assistenza scolastica, pensando soprattutto nelle grandi città, ad una nuova utilizzazione degli immobili statali.

    Nel campo dello sport, tenendo presente che si tratta di materia non prevista dall'articolo 117, comma 1, Cost., è impensabile che la nuova organizzazione delle politiche pubbliche non consideri in prima istanza la funzione e la capacità propositiva e l'attività dei comuni.

    Altro settore particolarmente delicato e soprattutto caratterizzato da forti elementi di intersettorialità che insorgono proprio nelle ricadute sul territorio, è rappresentato dall'ambiente. Materia questa che in qualche modo stabilisce interconnessioni tra materie diverse e che chiama in causa aspetti particolarmente importanti come quelli dell'impatto e della compatibilità ambientale sia a scala urbana sia a quella extraurbana. Si pensi all'insieme delle attività, alcune delle quali già in parte decentrate, come la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti, le risorse idriche, l'inquinamento atmosferico e acustico, la tutela del paesaggio, la difesa del suolo, la difesa delle coste e l'utilizzazione del demanio fluviale e la quale oltre che marittimo, che costituiscono ambiti di intervento la cui "ricomposizione" va ricondotta alla scala delle comunità locali, conferendo ad esse poteri, risorse e responsabilità che la vecchia logica centralistica tenderebbe ad escludere, riportandone tuttalpiù momenti di particolare concentrazione alla scala regionale.

    In connessione con l'ambiente, v'è la materia dei parchi e delle risorse naturali, che esige anzitutto una normativa di riordino quantomeno delle competenze, riducendo vincoli anch'essi di tipo centralistico, che molto spesso non consentono una piena utilizzazione sociale di queste fondamentali risorse.

    La particolare complessità che investe la materia dei lavori pubblici e dona viabilità, materia che rientra indubbiamente nelle potestà regionali in base all'articolo 117, comma 1, Costituzione, richiede un attento cadenzamento nel passaggio delle funzioni dallo Stato alle Regioni e da queste agli Enti locali. Soprattutto sotto il profilo del trasferimento dei beni e delle proprietà e della gestione occorre evitare che si determinino operazioni troppo complesse e farraginose con un ipotesi di doppio passaggio che renderebbe particolarmente arduo un decentramento delle funzioni che ancora sono in capo allo Stato. Di qui la necessità di adottare soluzioni chiare, lineari e semplificate che permettano di puntare rapidamente, senza ritardi, ad un effettivo decentramento delle responsabilità.

    Nel campo dell'assistenza e della beneficenza pubblica, vanno individuate con molta precisione le funzioni che tassativamente possono essere riservate alla unitaria gestione a livello regionale, che comunque si dovrà aprire ad un maggiore coinvolgimento degli Enti locali per tutti gli aspetti, sempre più acuti e delicati, di connessione tra l'assistenza e la gestione della sanità, di cui si avvertono con chiarezza i limiti di un eccesso di centralizzazione alla scala regionale.

    Per tutti i riflessi che produce sul mondo del lavoro e dell'occupazione, l'opportunità di una ridefinizione dei compiti legati alla formazione professionale e all'istruzione scolastica, è necessario che si conduca a termine un buon lavoro di approfondimento che è stato intrapreso e che deve trovare coerenti sbocchi nella formulazione della legislazione delegata.

    Ancora persiste la presunzione che in materia di energia il potere degli Enti Locali debba rimanere sostanzialmente estraneo, nonostante che l'esperienza abbia dimostrato come invece l'energia costituisca un ambito di intervento particolarmente prezioso per le politiche territoriali, sia in ordine ad una equilibrata utilizzazione delle fonti, sia per il peso che queste possono avere nella rigenerabilità, sia per le azioni di risparmio e di economia e di conseguente sensibilizzazione nei confronti degli utenti.

    Momenti importanti e forti per la nuova topografia delle funzioni pubbliche sono rappresentati dall'industria, dall'artigianato e dalle attività estrattive, nonché quelli del commercio e delle fiere e mercati; occorre tener presente che accanto alla necessità di una corretta armonizzazione e integrazione tra i diversi segmenti di attività, va tenuta presente la distinzione delle materie che rientrano nella potestà legislativa regionale e quelle che vi sono estranee. La conseguenza non può essere quella di imboccare automaticamente la strada dell'affidamento, nella prima fase, esclusivo a favore delle Regioni, rimandando soltanto ad un secondo momento il passaggio da queste agli Enti locali.

    Momenti di collegamento e di sinergia dovranno essere stabiliti anche in ordine alle politiche per lo sviluppo del turismo e con quelle per le attività di spettacolo e di utilizzazione del tempo libero.

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    Si è fatto un cenno sintetico alla attenzione che le Associazioni stanno rivolgendo a questi diversi settori di attività pubbliche che dovranno formare oggetto del conferimento delle funzioni statali alle Regioni e agli Enti Locali per significare come l'attenzione rivolta dal sistema delle autonomie sia ad ampio raggio, secondo una visualizzazione che non si limita ad individuare le coerenze e le linee di continuità "orizzontali", ma anche l'impegno e la disponibilità a entrare nel vivo e nel merito delle questioni che si pongono in maniera molto complessa e articolata anche per i singoli settori.

    Ciò che conta rilevare, anche sotto un profilo di metodo, è l'esigenza che l'approccio specialistico non sia condizionato dal modello ministeriale centralistico e non impedisca tutti quegli elementi di organicità e di interconnessione che debbono fondare la linea di applicazione della legge di delega, incardinata su una strategia di ordine generale.

 

Caratteri e requisiti necessari della decretazione legislativa: le disposizioni generali

    L'Uncem e le altre Associazioni delle autonomie locali hanno segnalato nell'accennato documento la necessità che l'insieme della decretazione legislativa risponda ad alcuni caratteri e requisiti basilari. In particolare hanno evidenziato l'opportunità che tutto il processo di attuazione della legge n.59 risponda a criteri di unitarietà, organicità, coerenza sistemica, evitando in ogni caso il rischio che prevalgano, come in particolare è avvenuto nella prima fase dell'ordinamento regionale, logiche di tipo verticale e settorialistico che siano ritratte dalla stratificazione dell'apparato burocratico ministeriale centrale, in aperta contraddizione, come già detto, con le esigenze di integrazione degli interventi sul territorio, anche in vista dell'attuazione dei nuovi programmi di sviluppo da realizzare anzitutto nelle zone più deboli e nelle aree di montagna.

    Secondo le Associazioni, pertanto, sarà opportuno che, come già avvenne sulla base della legge n. 382 del 1975 e del conseguente decreto delegato n. 616 del 1977, che siano previste disposizioni generali ad efficacia su tutte le norme delegate.

    Anzitutto andrà definito il ruolo dei livelli di governo locale e regionale. Per quanto riguarda i Comuni, a questi, in quanto autorità più vicine ai cittadini va conferita da tutti i decreti delegati e dalle leggi regionali, la generalità dei compiti e delle funzioni amministrative, secondo settori organici di materie che possono essere raggruppate nello sviluppo economico, nei servizi sociali e nell'assetto territoriale e ambientale.

    Ove richiesto da ragioni di adeguatezza e di idoneità organizzativa, i compiti e le funzioni comunali saranno conferite ad associazioni intercomunali e, nelle zone montane, alle Comunità montane.

    A quest'ultime saranno conferite inoltre compiti e funzioni finalizzati ad interventi speciali e integrati per lo sviluppo della montagna.

    Alle Province saranno conferiti tutti i restanti compiti e funzioni che riguardano in particolare vaste zone intercomunali o l'intero territorio provinciale, nonché le attività di coordinamento, programmazione, promozione e assistenza tecnico amministrativa a favore degli Enti Locali di minori dimensioni demografiche e organizzative posti in condizioni di marginalità territoriale.

    Alle Regioni, invece, le norme dei decreti legislativi e le singole leggi regionali, riserveranno in maniera tassativa l'attribuzione di compiti e funzioni volti a consentirne l'esclusivo esercizio unitario a livello regionale. Pertanto le norme statali e regionali di conferimento dei compiti e delle funzioni, nella ripartizione degli stessi, osserveranno il principio di sussidiarietà e gli altri principi e criteri direttivi indicati dalla legge delega.

    Andrà inoltre specificato il contenuto del principio di unicità dell'amministrazione che sarà destinataria delle funzioni, sempre in connessione con il principio di sussidiarietà e quello, sul quale ci soffermeremo più avanti, dell'associazionismo intercomunale che riguarda segnatamente i comuni di minori dimensioni.

    Sarà opportuno inoltre che le disposizioni generali prevedano l'elencazione circostanziata delle materie che non rientrano nell'articolo 117, comma 1, Cost. Tra queste si possono fin d'ora rinvenire le materie del lavoro e della cooperazione, difesa del suolo, l'ambiente, l'industria, l'energia, le miniere, le attività e i beni culturali, il commercio, i porti e il demanio marittimo, il diritto allo studio universitario, lo sport, l'edilizia residenziale, lo spettacolo. Particolarmente importante tale elencazione risulterà, in quanto le relative norme delegate dovranno attestarsi al conferimento a favore delle funzioni e dei compiti a favore delle Regioni ma dovranno contestualmente stabilire il conferimento diretto a favore dei Comuni, delle Comunità montane e delle Province, con la sola esclusione dei compiti e delle funzioni che appunto non richiedono l'unità di esercizio a livello Regionale.

    Le disposizioni generali dovranno altresì specificare la tipologia delle strutture di cooperazione, con la partecipazione di Anci, Upi, Uncem sia Nazionali che Regionali per definire accordi, patti territoriali e altre forme di negoziazione interistituzionale.

    Dovranno poi essere previste garanzie e sedi regionali con compiti di diretto coinvolgimento nelle codeterminazioni che riguardano i diversi livelli istituzionali. Alcuni indirizzi potranno essere altresì previsti per la disciplina della programmazione riguardante le funzioni e i compiti conferiti sia dalla decretazione legislativa che dalle leggi regionali.

    Nella ricomposizione "dal basso" e nella ridistribuzione delle funzioni di rilevanza sociale a "famiglie, associazioni, comunità" sarà importante che le disposizioni generali definiscano i diversi ruoli distinguendo i soggetti sociali in base a criteri che affidino alla libera determinazione degli Enti locali sia tale attribuzione al sociale sia la soppressione delle funzioni pubbliche considerate superflue.

    Sarà altresì importante che un criterio omogeneo sia stabilito per la soppressione delle strutture, a cominciare da quelle periferiche, dello Stato che sono investite dal conferimento delle funzioni e dei compiti alle Regioni e degli Enti Locali, specificando regole di concertazione e di intesa con la partecipazione degli Enti Locali, a garanzia della effettività di tale processo di ristrutturazione e di ridimensionamento dell'apparato burocratico centrale.

    Particolarmente delicata sarà, anche qui in via generale, la disciplina dei meccanismi, da attuarsi mediante atti del Governo, che assicurino la copertura finanziaria e il trasferimento di beni e risorse organizzative, umane e strumentali.

    Una norma di portata generale potrà essere prevista per quanto riguarda la disciplina dei sistemi informativi integrati, evitando soluzioni troppo enfatiche e universalistiche, garantendo invece momenti di cooperazione e responsabilità legata all'esercizio delle nuove funzioni, contrastando i rischi sempre presenti nei sistemi informativi di riaccentramenti dei compiti, dei poteri e delle risorse.

    Sul tema, particolarmente delicato, dei processi di cooperazione intercomunale, è opportuno che queste note si soffermino in maniera più attenta, perché soprattutto in ordine ai Comuni di minori dimensioni e in considerazione del principio della differenziazione, gli stessi siano posti nella condizione concreta di non essere estromessi dal processo di massiccio decentramento delle funzioni prefigurato dalla legge Bassanini.

 

L'esercizio associato intercomunale dei compiti e delle funzioni: i Comuni minori e le Comunità montane

    I principi rinvenibili nelle norme che regolano la delega legislativa in materia di decentramento delle funzioni e dei compiti amministrativi, conducono ad una sottolineatura del favor che l'ordinamento esprime nei confronti dei processi di aggregazione, di collaborazione e di associazione tra i Comuni, a cominciare da quelli che si trovano in condizioni di maggiore difficoltà e inadeguatezza organizzativa, oltre che di marginalità territoriale ed economica.

    D'altronde il principio della cooperazione, è affermato con previsione di carattere generale dal comma 3, dell'art. 3 della legge 142/90, laddove viene indicata la finalità strategica esplicitamente riferita ai compiti della legislazione regionale, di "realizzare un efficiente sistema delle autonomie locali al servizio dello sviluppo economico, civile e sociale".

    Ribadiamo che si tratta di un indirizzo di tale ampiezza e latitudine da poter essere assunto come un indirizzo ordinamentale di efficacia generale riferibile non soltanto alle scelte, ai contenuti e alle strumentazioni disciplinati dalla legislazione regionale.

    Il principio erige a sistema l'insieme delle Autonomie locali e chiama in causa, dato il suo carattere omnicomprensivo le stesse scelte del legislatore "ordinario" soprattutto quando interviene in ambiti di settore; vale comunque come obbligo per tutti i soggetti che operano sul territorio non solo per le regioni, ma per tutti gli enti locali, comprese le province e le stesse comunità montane.

    Come si rinviene nella legge Bassanini il principio della cooperazione e della associazione intercomunale si connette al requisito-parametro dell'efficienza che viene riferito al sistema delle autonomie locali, che nello stesso tempo è riconducibile ai comportamenti di tutte le singole amministrazioni, in specie di quelle richiamate a ricercare livelli di maggiore capacità organizzativa attraverso forme, modalità e condizioni operative. Queste possono infatti dar luogo ad un impiego più razionale e conveniente delle risorse pubbliche, al fine di ottenere risultati "di servizio" dello sviluppo economico, civile e sociale delle comunità locali e quindi di tangibile interesse per i cittadini e le aggregazioni sociali.

    Molteplici sono le strumentazioni poste in atto al fine di incentivare forma di cooperazione. Tra queste vanno ricordate innanzitutto le convenzioni previste dall'art. 24 della legge 142/90 che rappresentano un istituto attraverso il quale i comuni (oltre alle province e alle comunità montane) possono regolare i loro rapporti e le loro intese per esercitare "in modo coordinato" sia funzioni sia servizi, sia pure alla condizione che gli stessi siano "determinati" e non riferibili a quella "pluralità di funzioni e di servizi" che l'art.26 indica come scopo dell'unione dei comuni di comuni "in previsione di una loro fusione".

    Si aggiunga a tale previsione riguardante le convenzioni istituzionali, l'istituto del consorzio che l'art. 25 della stessa legge del 1990 finalizza nella sua configurazione giuridica oggi riconducibile ad una nuova formulazione della norma che prevede i consorzi non soltanto legati alla gestione associata di uno o più servizi ma anche all'esercizio associato di funzioni amministrative. Peraltro la materia del servizi pubblici locali costituisce uno dei terreni tipici in cui più viva è l'esigenza per gli enti locali di ricercare momenti di cooperazione e di associazione, essendo a ciò spinti anche da logiche di tipo economico, produttivo ed imprenditoriale. Aspetti questi che sembrano sempre più destinati ad acquisire peso sulla finanza locale ma che anche in termini di prezzi e di tariffe che ricadono sugli utenti e in genere sulle comunità locali.

    Si richiama a titolo esemplificativo anche qualche intervento previsto dalle leggi di settore volto ad incoraggiare forme di associazione intercomunale. Si pensi alla legge Galli sui servizi idrici integrati oggi in fase di attuazione (anche se ritardata); si pensi al decreto legislativo n.382/89 istitutivo del sistema statistico nazionale che prevede la possibilità di uffici statistici intercomunali ovvero al decreto legislativo 77 sul nuovo sistema di contabilità degli enti locali che prevede la possibilità di dar vita ad uffici finanziari in forma associata.

    Vanno tenuti presenti, inoltre, gli istituti degli accordi di programma, della conferenza dei servizi, dei patti territoriali e dei contratti d'area anche se questi ultimi sono ancora in via di precisazione istituzionale. Non va trascurato infine che le comunità montante oltre ad aver assunto il ruolo di veri e propri enti locali che rappresentano il territorio e l'insieme dei comuni in esso compresi costituiscono un momento di espressione associativa degli stessi comuni.

    Viceversa per il carattere obbligatorio scarsa fortuna hanno trovato sia le ipotesi della fusione tra i piccoli comuni sia quella della unione disciplinate dalla legge 142/90. E' comunque utile ricordare che è attualmente all'esame del Senato un'ipotesi di riforma della legge 142 diretta a favorire ed incentivare la gestione associata dei servizi e delle funzioni lasciando però (questa è la richiesta dell'Anci) ai singoli Comuni la facoltà di utilizzare queste forme cooperative di gestione delle cosa pubblica locale.

 

Conclusioni

    L'insistenza con cui l'Uncem e le altre Associazioni degli Enti locali reclamano organicità e coerenza nell'esercizio delle deleghe è ampiamente motivata dall'intera curva dell'esperienza dei precedenti momenti di decentramento statale, esperienza maturata non soltanto nel 1972 ( con un trasferimento monco e settorialistico, comunque arenatosi . alla soglia Regionale ), ma anche nel 1977 quando i Comuni si videro trasferire competenze parziali di una certa significatività soltanto nel settore dei servizi sociali, con una sostanziale esclusione da quello dello sviluppo economico e con soluzioni modeste in quello dell’assetto territoriale.

    Dal D.P.R. 616 del 1977, tra 1'altro, restarono pressoché completamente escluse le Province e le Comunità Montane; ciò rappresentò un indubbio punto di debolezza per l'intero sistema autonomistico e regionale.

    Anche l'esperienza del confronto, rimasto poi incompiuto, con il Governo e con le Regioni sulle deleghe che erano previste dal "collegato" alla Legge finanziaria 1996, per il decentramento delle funzioni a Regioni e Enti Locali, ha insegnato che proprio nella impostazione e nella metodologia dei processi di conferimento e di riordino dei compiti e delle funzioni si possono insidiare nuovi recuperi centralistici ovvero si possono imboccare strade fruttuose e produttive.

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