I Commissione - Resoconto di marted́ 20 febbraio 2007


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SEDE REFERENTE

Martedì 20 febbraio 2007. - Presidenza del vicepresidente Karl ZELLER. - Intervengono i sottosegretari di Stato per l'interno Marcella Lucidi e Alessandro Pajno.

La seduta comincia alle 9.50.

Modifica alla legge sulla cittadinanza.
C. 24 Realacci, C. 908 Ferrigno, C. 909 Ferrigno, C. 938 Mascia, C. 1297 Ricardo Antonio Merlo, C. 1462 Caparini, C. 1529 Boato, C. 1570 Bressa, C. 1607 Governo, C. 1653 Santelli, C. 1661 Piscitello, C. 1686 Diliberto, C. 1693 Angeli, C. 1727 Adenti, C. 1744 De Corato, C. 1821 Angeli, C. 1836 Fedi e C. 1839 D'Alia.
(Seguito dell'esame e rinvio).


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La Commissione prosegue l'esame del provvedimento, rinviato, da ultimo, nella seduta del 7 febbraio 2007.

Karl ZELLER, presidente, avverte che il rappresentante del Governo si è riservato di intervenire in altra seduta.

Franco RUSSO (RC-SE) ringrazia il relatore per l'approfondito lavoro svolto, che ha portato alla definizione di un testo che la sua parte politica condivide nella sostanza, salvo alcuni profili critici che esporrà di seguito. L'articolo più importante ed innovativo è, a suo avviso, l'articolo 4, che prevede finalmente il riconoscimento della cittadinanza allo straniero che risiede sul territorio dello Stato, sia pure con un requisito di tempo e di reddito. Ritiene che questo sia un elemento fortemente innovativo: si afferma infatti il principio che la persona può acquisire la cittadinanza del Paese nel quale risiede legalmente per effetto della sola residenza, in quanto ha sul territorio forti legami ed interessi. Tale principio rompe con il concetto tradizionale della cittadinanza basata sul legame di sangue e di stirpe ed apre ad un concetto dinamico di nazione, intesa come qualcosa di formato da coloro che vivono e lavorano assieme. Per inciso, essendo personalmente favorevole a questa idea della cittadinanza, è anche contrario al riconoscimento e al mantenimento della cittadinanza per gli italiani che risiedono all'estero per lungo tempo. È infatti convinto che i diritti di cittadinanza debbano essere riservati a coloro che risiedono sul territorio di uno Stato ed hanno lì i propri legami ed interessi fondamentali.
Ricorda che il concetto di cittadinanza legato alla residenza si rinviene già nel progetto di costituzione repubblicana elaborato nel contesto della rivoluzione francese da Condorcet. Fu abbandonato con gli Stati nazione ottocenteschi e si sta ora riaffermando per effetto dei moderni movimenti migratori. Ricorda altresì che il trattato che istituisce l'Unione europea prevede la cittadinanza europea per coloro che risiedono in uno degli Stati membri. Si tratta, certo, di una cittadinanza limitata, ma rappresenta il segno dell'emergere di una tendenza nel senso di connettere la cittadinanza alla residenza, anziché al legame di nascita e di sangue. Negli Stati Uniti, del resto, dove pure la lotta contro l'immigrazione clandestina è forte, si sta pure affermando tale tendenza. Ritiene quindi che aderire a questa nozione di cittadinanza non implichi una minore attenzione alle questioni connesse all'immigrazione, ma soltanto il superamento del pregiudizio che vuole la cittadinanza riservata a coloro che hanno un legame di sangue con quanti sono già cittadini. Si tratta di un pregiudizio, in quanto un popolo è un'entità storico-culturale, e non un fatto biologico, e la cittadinanza è un artificio giuridico e non un fatto naturale.
Passando ai rilievi critici, osserva che si sarebbe dovuto non semplicemente novellare, ma piuttosto interamente riformare la legge n. 91 del 1992, in quanto questa si fonda sul principio della cittadinanza attribuita in base al criterio della nascita, prevedendo come residuali gli altri criteri. In altre parole, il testo in esame, pur operando all'articolo 4 una scelta forte nel senso di connettere la cittadinanza alla residenza, indebolisce poi questa scelta mantenendo per il resto l'impianto complessivo della legge del 1992 e lasciando intatto il principio di fondo della cittadinanza legata al fatto biologico della discendenza. Sarebbe stato invece preferibile che il criterio della residenza divenisse l'unico o il principale criterio per l'acquisizione della cittadinanza.
Si sofferma poi sull'articolo 2, che definisce la procedura, peraltro a suo avviso farraginosa, per il riconoscimento della cittadinanza ai minori figli di stranieri. Ritiene che tale previsione in sostanza indebolisca la portata del principio sancito dall'articolo 4, in quanto è presumibile che il minore figlio di stranieri sia egli stesso residente sul territorio e dovrebbe quindi divenire cittadino sulla base del principio di residenza di cui all'articolo 4 stesso.


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Ritiene poi inutile e ingiustificato l'esame di conoscenza della lingua previsto per lo straniero che chieda la cittadinanza. Osserva infatti che può esservi cittadinanza anche dove c'è plurilinguismo: come ha già ricordato, la cittadinanza, a differenza della lingua, è un concetto giuridico e non un fatto naturale. Basti pensare che gli appartenenti alle minoranze linguistiche italiane non hanno bisogno di parlare la lingua ufficiale del Paese per essere cittadini. Invita pertanto il relatore ad avviare una riflessione per verificare se non sia possibile espungere la previsione del test linguistico dal testo in esame. Parimenti, ritiene immotivato il giuramento richiesto agli stranieri, che non è richiesto agli altri cittadini, né alle minoranze linguistiche. Si sofferma infine sulla disciplina stabilita dall'articolo 12 in materia di doppia cittadinanza, che ritiene innovativa e condivide.
In conclusione, ritiene che il lavoro svolto dal relatore sia di grande valore ed abbia prodotto un testo largamente condivisibile, ancorché migliorabile in alcuni punti. Nel preannunciare la presentazione di emendamenti migliorativi, esprime la valutazione nel complesso favorevole della sua parte politica.

Italo BOCCHINO (AN) preannuncia l'intenzione di prendere la parola dopo l'intervento del Governo.

Gianclaudio BRESSA (Ulivo), relatore, desiderando ascoltare l'intervento del Governo e quelli dei colleghi dell'opposizione, chiede alla presidenza di valutare la possibilità di rinviare il seguito dell'esame del provvedimento alla prossima settimana.

Karl ZELLER, presidente, ricorda che il 2 marzo prossimo si svolgeranno le previste audizioni. Ricorda altresì che il termine per la presentazione degli emendamenti è fissato al 6 marzo prossimo. Per quanto riguarda la richiesta del relatore, ritiene che non vi siano difficoltà.
Quindi, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

Procedura per la modifica degli statuti delle regioni a statuto speciale.
C. 203 cost. Zeller, C. 980 cost. Bressa, C. 1241 cost. Boato e C. 1606 Biancofiore.
(Rinvio del seguito dell'esame).

La Commissione prosegue l'esame del provvedimento rinviato, da ultimo, nella seduta del 13 settembre 2006.

Karl ZELLER, presidente, considerata l'assenza dei relatori e del rappresentante del Governo e nessuno chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

Aggregazione del comune di Lamon alla regione Trentino-Alto Adige.
C. 1359 cost. Boato e C. 1427 cost. Governo.
(Seguito dell'esame e rinvio).

La Commissione prosegue l'esame del provvedimento, rinviato, da ultimo, nella seduta del 14 settembre 2006.

Karl ZELLER, presidente, avverte che sono pervenuti i pareri dei consigli delle province autonome di Trento e di Bolzano, mentre non sono ancora pervenuti quelli dei consigli regionali del Veneto e del Trentino-Alto Adige.

Gianclaudio BRESSA (Ulivo), relatore, non intende aggiungere nulla alla relazione da lui già svolta e resta quindi in attesa dei pareri ancora mancanti e degli interventi dei colleghi. Per quanto riguarda il parere del Veneto, fa presente che il Consiglio regionale aveva inizialmente calendarizzato l'esame dell'atto, che è stato però poi rinviato in Commissione, per cui allo stato esiste soltanto il parere della Commissione affari istituzionali.

Karl ZELLER, presidente, nessuno chiedendo di intervenire, rinvia quindi il seguito dell'esame ad altra seduta.

La seduta termina alle 10.15.


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COMITATO DEI NOVE

Martedì 20 febbraio 2007.

Decreto-legge 299/06: Decorrenza del termine di prescrizione per la responsabilità amministrativa.
C. 2200-A Governo, approvato dal Senato.

Il Comitato si è riunito dalle 11.10 alle 11.20.

SEDE REFERENTE

Martedì 20 febbraio 2007. - Presidenza del vicepresidente Karl ZELLER. - Interviene il sottosegretario di Stato per i Rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali Giampaolo D'Andrea.

La seduta comincia alle 11.25.

Decreto-legge 300/06: Proroga di termini previsti da disposizioni legislative.
C. 2114-B, approvato dalla Camera e modificato dal Senato.
(Seguito dell'esame e conclusione).

La Commissione prosegue l'esame del provvedimento, rinviato nella seduta del 19 febbraio 2007.

Karl ZELLER, presidente, avverte che sono pervenuti i pareri del Comitato per la legislazione e delle Commissioni II, VI, VII, VIII, IX, X, XI e XII.

Sesa AMICI (Ulivo), relatore, rileva che il parere più significativo è quello espresso dal Comitato per la legislazione, che ha richiamato l'attenzione, tra l'altro, sul fatto che non appare corrispondente al corretto utilizzo dello strumento del disegno di legge di conversione di decreto-legge l'inserimento in esso di disposizioni volte a conferire al Governo deleghe legislative. Per quanto riguarda, poi, il parere della VI Commissione, questa segnala l'opportunità di coordinare il testo dell'articolo 6, comma 8-quinquies in quanto potrebbe risultare incoerente là dove al primo periodo dispone che la misura agevolativa ivi prevista si applichi entro un limite di spesa, mentre al secondo periodo indica la disposizione come mera previsione di spesa; al riguardo fa presente che la V Commissione bilancio si esprimerà direttamente in Assemblea. Per quanto riguarda, infine, le altre Commissioni, queste hanno espresso pareri favorevoli, corredati in qualche caso da osservazioni.
Rileva poi che il testo trasmesso dal Senato apre nuovamente la questione, già ampiamente dibattuta nel corso della prima lettura del provvedimento, della differenza dei regimi di ammissibilità degli emendamenti ai decreti-legge vigenti nei due rami del Parlamento e delle conseguenze che ne derivano in termini di rappresentatività sulla Camera. Non intende riaprire in questa sede il dibattito, che sarà senza dubbio ripreso in Assemblea, e si limita quindi a ricordare che il Senato ha approvato emendamenti al decreto-legge che erano stati presentati anche alla Camera ma dichiarati inammissibili.

Marco BOATO (Verdi), premesso di condividere la relazione svolta dal relatore nella seduta di ieri e l'intervento di oggi, dichiara il proprio voto favorevole sul mandato al relatore.

Franco RUSSO (RC-SE) condivide le preoccupazioni manifestate dal relatore rispetto alle conseguenze provocate dal diverso regime di ammissibilità degli emendamenti previsto nei due rami del Parlamento. Ritiene che tale diverso regime apra non solo un problema nei rapporti tra la Camera ed il Senato, ma anche un problema in termini di rappresentanza. Ricorda che alla Camera erano stati presentati emendamenti anche largamente condivisi, che tuttavia la Presidenza della Camera, a suo avviso giustificatamene, ha ritenuto di dichiarare inammissibili in quanto concernenti materie estranee a quella del decreto-legge in esame. Poiché però l'orientamento del Senato è


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stato ancora una volta difforme e non ha tenuto conto di quanto è emerso nel corso del dibattito svoltosi alla Camera, invita il Governo a sanare la situazione di sperequazione tra i due rami del Parlamento presentando propri emendamenti volti per un verso a sopprimere quanto meno quelle modifiche introdotte al Senato per effetto di emendamenti identici ad altri presentati anche alla Camera, ma qui dichiarati inammissibili, e per altro verso ad espungere dal disegno di legge di conversione le due deleghe che vi sono state inserite dal Senato. Pur sapendo che al riguardo sussistono in dottrina orientamenti diversi, ritiene non di meno che anche su questo punto le posizioni delle Presidenze dei due rami del Parlamento debbano essere uniformi. Un intervento del Governo nel senso da lui auspicato avrebbe il merito di ripristinare l'equità e la parità delle due Camere rispetto al potere di emendare un decreto-legge e sanerebbe quello che altrimenti potrebbe divenire un momento di difficoltà nel rapporto tra il Governo e la sua maggioranza alla Camera. Resta fermo che la questione dovrà in ogni caso essere ripresa dalle Giunte per il regolamento delle due Camere e dalle rispettive Presidenze.

Il sottosegretario Giampaolo D'ANDREA, rispondendo al deputato Franco Russo, esprime l'avviso che non sia realistico ipotizzare una nuova modifica del testo del decreto-legge, atteso che ciò comporterebbe una nuova lettura da parte del Senato, per la quale non c'è tempo. Sul merito della richiesta avanzata, osserva che il Governo, pur auspicando l'uniformazione delle procedure e dei criteri di valutazione degli emendamenti nei due rami del Parlamento, non può ergersi a giudice delle controversie in materia di procedura parlamentare tra la Camera ed il Senato. Fa inoltre presente, per quanto attiene in particolare all'inserimento delle deleghe legislative nel disegno di legge di conversione, di aver personalmente sollevato al Senato la questione dell'opportunità di procedere in questo modo: gli è stato risposto che la prassi applicata al Senato è tradizionalmente nel senso di consentire l'introduzione delle deleghe nei disegni di legge di conversione.
Fa inoltre presente che, lasciando per un momento da parte i profili procedurali e valutando l'aspetto più propriamente politico di quanto è accaduto, le modifiche apportate dal Senato erano non solo largamente condivise dai gruppi lì costituiti, ma anche dalle forze politiche rappresentate alla Camera, come prova il fatto che le Commissioni parlamentari competenti in sede consultiva hanno espresso tutte un parere favorevole, salvo apporvi in alcuni casi delle osservazioni. Ciò dimostra che la valutazione politica del merito delle modifiche è ampiamente favorevole e che le contrarietà investono esclusivamente i profili procedurali e di principio. Nell'auspicare quindi che i problemi di coordinamento regolamentare tra la Camera e il Senato siano in futuro superati, si riserva di verificare se sia percorribile l'ipotesi che il Governo si astenga dall'esercitare le deleghe legislative previste dal disegno di legge di conversione.

Oriano GIOVANELLI (Ulivo), nell'esprimere il parere favorevole del suo gruppo sul mandato al relatore, interviene sulla questione sollevata dal deputato Franco Russo osservando che la situazione verificatasi in questa come in precedenti occasioni è implicita nel bicameralismo e non va drammatizzata. Valuta anzi favorevolmente il fatto che il Senato abbia apportato al testo quelle modifiche che anche alla Camera erano state ritenute necessarie o opportune e che non era stato possibile introdurre nel testo a causa del più severo regime di ammissibilità degli emendamenti vigenti in questo ramo del Parlamento.

Franco RUSSO (RC-SE), alla luce di quanto dichiarato dal rappresentante del Governo, preannuncia il voto favorevole del suo gruppo sul mandato al relatore.

Nessun altro chiedendo di intervenire, la Commissione delibera di conferire al relatore il mandato a riferire in senso


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favorevole all'Assemblea sul provvedimento in esame. Delibera altresì di chiedere l'autorizzazione a riferire oralmente.

Karl ZELLER, presidente, avverte che la Presidenza si riserva di designare i componenti del Comitato dei nove sulla base delle indicazioni dei gruppi.

La seduta termina alle 11.40.

SEDE REFERENTE

Martedì 20 febbraio 2007. - Presidenza del presidente Luciano VIOLANTE. - Interviene il sottosegretario di Stato per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali Paolo Naccarato.

La seduta comincia alle 14.05.

Sull'ordine dei lavori.

Luciano VIOLANTE, presidente, annuncia di aver questa mattina inviato al Presidente della Camera una lettera per sollecitare nuovamente un suo intervento per evitare in futuro il ripetersi di quanto accaduto in sede di esame parlamentare del disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 300 del 2006, recante la proroga di termini previsti da disposizioni legislative (C. 2114-B). Il Senato, infatti, ha approvato emendamenti presentati anche alla Camera, ma qui dichiarati inammissibili sulla base di una diversa disciplina e prassi in materia di criteri di ammissibilità. In particolare ha segnalato al Presidente della Camera l'esigenza di un intervento per superare l'attuale situazione di notevole squilibrio tra Camera e Senato anche in riferimento alla rappresentanza. Il dibattito dovrà a questo punto proseguire in Assemblea.

Giacomo STUCCHI (LNP) dichiara di condividere l'iniziativa del presidente Violante, tanto più in quanto l'accaduto ha creato una forte situazione di disagio nei componenti della Camera dei deputati.

Roberto ZACCARIA (Ulivo) ricorda che il sottosegretario D'Andrea, rispondendo questa mattina ad un intervento del deputato Franco Russo, ha fatto presente che al Senato l'inserimento di deleghe nei disegni di legge di conversione di decreti-legg è frutto di una scelta consapevole, fondata su una prassi consolidata. Ritiene pertanto che la questione assuma un rilievo di carattere procedurale.

Luciano VIOLANTE, presidente, esprime l'avviso che le scelte operate dal Senato siano tutte consapevoli, ma improntate a norme regolamentari e prassi diverse da quelle vigenti alla Camera.

Franco RUSSO (RC-SE) ringrazia il presidente Violante per la sua iniziativa, che il suo gruppo condivide pienamente. Ritiene che la questione sia rilevante e che, attraverso accordi tra le presidenze delle Camere o una proposta delle rispettive Giunte per il regolamento, si dovrà pervenire ad una qualche soluzione che eviti in futuro il ripetersi di situazioni come quelle venutesi a creare in occasione dell'esame parlamentare del decreto-legge n. 300 del 2006. Per quanto riguarda, più nello specifico, la questione se sia possibile inserire deleghe legislative in un disegno di legge di conversione di decreto-legge, si dichiara personalmente favorevole ad una interpretazione rigida dell'articolo 15 della legge n. 400 del 1988. Al riguardo reputa opportuno che la I Commissione avvii una riflessione, anche acquisendo il punto di vista di giuristi esperti attraverso apposite audizioni informali o mediante relazioni scritte. Parimenti utile, a suo avviso, sarebbe verificare se la Corte costituzionale si sia pronunciata sul punto, in un senso o nell'altro.

Luciano VIOLANTE, presidente, premesso che si tratta di materia rientrante nella competenza della Giunta per il regolamento, si riserva di verificare la possibilità di adottare iniziative nel senso caldeggiato dal deputato Franco Russo.


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Conflitto di interessi.
C. 1318 Franceschini.
(Seguito dell'esame e rinvio - Adozione del testo base).

La Commissione prosegue l'esame del provvedimento, rinviato, da ultimo, nella seduta del 20 dicembre 2006.

Luciano VIOLANTE, presidente e relatore, presenta una proposta di testo base, che illustra ricordando innanzitutto come l'esperienza degli Stati contemporanei abbia visto con una certa frequenza affacciarsi alla vita politica personalità affermatesi nel mondo dell'impresa. Il superamento della tradizionale distinzione tra società politica e società civile ha quindi portato tutti i paesi di democrazia matura alla definizione di principi intesi alla separazione degli interessi privati dalle funzioni pubbliche, in modo da integrare il principio della separazione dei poteri dello Stato, proprio della democrazia classica.
Ricorda che il problema del conflitto di interessi si è presentato per la prima volta negli Stati Uniti, i quali hanno quindi provveduto a dotarsi di una legislazione in materia. In seguito anche gli altri paesi di democrazia matura hanno approvato normative specifiche per far fronte a questa esigenza; fa eccezione il Regno Unito, che si affida a regole non scritte, potendo contare su un'etica pubblica consolidata e condivisa.
Per quanto riguarda l'Italia, ricorda che la prima legge in materia di conflitto di interessi fu approvata dal Parlamento nel 2004: si tratta della cosiddetta legge Frattini (20 luglio 2004 n. 215), dal nome del ministro che la sostenne in Parlamento. Nei confronti di questa legge l'Autorità garante della concorrenza e del mercato e l'Autorità per le comunicazioni hanno sollevato, nelle loro relazioni, ben sedici rilievi, segnalando come, per effetto di alcune lacune normative, il provvedimento sia in sostanza inefficace. Di qui nasce l'esigenza di una nuova disciplina del conflitto di interessi, che, pur riprendendo l'ispirazione di fondo della legge Frattini, pervenga ad una più compiuta definizione normativa della materia, anche al fine di risolvere i problemi emersi dall'esperienza applicativa della legge stessa.
Chiarisce che il testo base testé presentato si informa ai dodici criteri da lui indicati nella seduta del 13 settembre 2006, in occasione dell'introduzione dell'esame del provvedimento in titolo. Si trattava di criteri desunti dall'esperienza applicativa della legge Frattini e dall'esperienza comparativa. In particolare, occorreva innanzitutto valutare se dovesse conservarsi l'attuale nozione legislativa di conflitto di interessi, la quale fa riferimento al conflitto di interessi attuale, o non dovesse invece rivedersi l'impostazione complessiva nel senso di far riferimento piuttosto al conflitto di interessi potenziale; in sostanza si trattava di decidere se il conflitto di interessi debba essere represso dopo che è sorto o piuttosto prevenuto prima che sorga. Si trattava poi di rendere rilevante, ai fini del conflitto di interessi, ogni atto del Governo o del singolo ministro che avvantaggi in modo specifico e preferenziale il responsabile politico dell'atto o un altro componente del Governo; a quest'ultimo riguardo, ricorda che l'Autorità garante della concorrenza e del mercato abbia individuato una lacuna della legge Frattini nella mancata previsione dell'eventualità che un membro del Governo adotti un atto utile a favorire non se stesso, ma altri membri del Governo. Era poi necessario definire chiaramente i doveri pubblici dei destinatari della legge, sulla base delle previsioni costituzionali relative alla pubblica amministrazione e all'esercizio di funzioni pubbliche. Si trattava inoltre di rendere la normativa applicabile anche agli amministratori regionali e dei grandi enti locali e di rendere pubbliche le dichiarazioni patrimoniali dei soggetti interessati dal provvedimento, come oggi accade per i parlamentari, nonché di istituire un'Autorità autonoma, dotandola degli stessi poteri sanzionatori oggi attribuiti alle due Autorità competenti in materia e facendone un organo capace di fornire


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consulenze preventive e di individuare, insieme all'interessato, le misure più opportune per prevenire l'insorgere di conflitti di interessi. Si trattava di valutare l'opportunità di prevedere l'obbligo di comunicare gli atti di governo all'Autorità in questione, in modo che questa potesse poi segnalare al presidente del Consiglio o, a seconda dei casi, al presidente di regione, al presidente di provincia o al sindaco i possibili conflitti di interessi. Occorreva d'altra parte privilegiare la categoria dell'incompatibilità rispetto a quella dell'ineleggibilità, rispetto alla quale la Corte costituzionale ha in più occasioni mostrato il proprio sfavore, rimarcando l'esigenza di evitare il più possibile di porre ostacoli alla eleggibilità. Occorreva, ancora, dedicare un apposito approfondimento al tema dei mezzi di comunicazione, tenendo conto delle innovazioni e delle continue trasformazioni del settore e guardando con prudenza alla tipologia delle procedure preventive e delle sanzioni successive, al fine di tipizzare misure efficaci e non esorbitanti rispetto allo scopo.
Si dice consapevole del fatto che il testo dovrà essere sottoposto in ogni sua parte ad attenta valutazione e ad eventuali correzioni, inevitabili in quanto si tratta di una materia estremamente complessa e delicata, nella quale, da una parte, esigenze giuridiche si intrecciano strettamente ad esigenze di carattere politico, e dall'altra si scontrano anche punti di vista più generali sui caratteri della democrazia contemporanea.
Illustra quindi l'articolato, che si compone di sei capi. Al capo I è sancito il principio generale che tutti i titolari di cariche pubbliche sono tenuti ad operare esclusivamente per la cura degli interessi pubblici, evitando pertanto che i loro interessi privati ne condizionino decisioni e attività. Il capo II reca invece norme specifiche per la prevenzione dei conflitti di interessi in capo ai titolari della cariche di Governo. Al riguardo, nel ricordare il dibattito svoltosi in Commissione circa l'opportunità di estendere la disciplina sul conflitto di interessi anche ai membri delle Autorità amministrative indipendenti, chiarisce di aver alla fine preferito escludere questi ultimi dall'ambito dei destinatari delle norme, sembrando inopportuno che un'Autorità indipendente, la nuova Autorità di vigilanza sul conflitto di interessi istituita dal testo base in esame, vigilasse sulle altre Autorità indipendenti. Ribadisce, in ogni caso, che la norma di principio di cui all'articolo 1 riguarda tutti i titolari di cariche pubbliche, e non solo i titolari di cariche di Governo. Per questi ultimi il testo base prevede l'obbligo di dichiarare all'Autorità di vigilanza la propria situazione patrimoniale e i propri interessi economici e di fornire dati utili a permettere all'Autorità di verificare la correttezza delle dichiarazioni rese. Le dichiarazioni devono essere presentate anche dal coniuge, dai parenti e affini entro il secondo grado e dalle persone conviventi non a scopo di lavoro domestico.
Chiarisce che, ove gli interessi economici siano inferiori ad un valore complessivo di 15 milioni di euro, il titolare della carica di governo deve astenersi dall'adozione di atti in conflitto di interessi, mentre, ove gli interessi economici siano di valore superiore a 15 milioni di euro, sorge per lui l'obbligo di alienare beni in misura sufficiente a scendere al di sotto di tale quota o di affidare il proprio patrimonio ad un trust cieco, che è scelto dall'interessato, d'intesa con l'Autorità di vigilanza, la quale detta specifiche disposizioni. Il trustee è tenuto a vincoli di riservatezza in ordine agli investimenti effettuati e ai beneficiari. Non rilevano i beni immobili o mobili registrati destinati alla fruizione propria, del coniuge, dei parenti e degli affini entro il secondo grado, delle persone conviventi. Per quanto riguarda il trust, una difficoltà aggiuntiva è rappresentata dal fatto che non esiste una disciplina interna in materia, ed è pertanto necessario rinviare alla Convenzione dell'Aja del 1989 sui trust e sul loro riconoscimento.
Per quanto riguarda il tetto di 15 milioni di euro, premesso di essere consapevole che si tratta di una soglia suscettibile di approfondimento e riflessione, chiarisce che esso è stato individuato alla


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luce di uno studio elaborato da Mediobanca, dal quale si desume che le imprese italiane i cui patrimoni siano superiori a 15 milioni di euro rappresentano circa il 2,5 per cento del totale.
Descrive quindi la composizione dell'Autorità di vigilanza, della quale fanno parte cinque membri, due dei quali eletti dalla Camera dei deputati, due dal Senato ed uno, il presidente, nominato dai Presidenti delle Camere, d'intesa tra loro. Nel caso in cui un titolare di carica di governo non ottemperi all'obbligo di alienazione dei beni o di ricorso ad un trust cieco, ne è prevista la decadenza automatica. Al riguardo, riconosce che si tratta di una scelta estremamente delicata; ritiene, peraltro, che rimettere alle assemblee legislative la decisione se far decadere il titolare di carica di governo in conflitto di interessi avrebbe di fatto comportato l'inefficacia della norma, in quanto difficilmente la maggioranza parlamentare o consiliare, quale che sia, compirebbe un atto volto a provocare le dimissioni o la decadenza per conflitto di interessi di un membro del Governo o della Giunta da essa sostenuta. Aggiunge che si potrebbe, in astratto, ipotizzare che la decadenza del titolare della carica di governo venga decisa da una maggioranza qualificata, per esempio quella dei due terzi dei componenti, ma fa presente che a questa soluzione si oppone la circostanza che, per quanto riguarda le deliberazioni delle Camere, è impossibile prevedere una maggioranza qualificata con legge ordinaria, stante il vincolo costituzionale. È stato quindi previsto che la decisione dell'Autorità comporti l'automatica decadenza dell'interessato, al quale resta tuttavia la possibilità di impugnare la decisione dell'Autorità in sede giurisdizionale, con la possibilità di giungere, all'occorrenza, fino a sollevare conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato. Trattandosi poi di diritti di rilevanza costituzionale, è sembrato opportuno attribuire al giudice ordinario, piuttosto che a quello amministrativo, la competenza a decidere della controversia tra titolare di carica di governo e Autorità; per quanto riguarda la composizione del collegio giudicante, si è preferito far riferimento alle sole sezioni civili, e non anche a quelle penali, in modo da garantire la presenza di magistrati competenti in materia di diritti civili e politici.
Per quanto riguarda, infine, l'organizzazione dei tempi di esame, dopo aver ricordato che la Commissione è chiamata oggi ad adottare il testo base, il quale sarà quindi fatto oggetto della successiva fase emendativa, esprime l'avviso che si possano dedicare all'esame del testo una o due sedute, fissando fin da ora il termine per la presentazione degli emendamenti a tre settimane da oggi.

Gabriele BOSCETTO (FI) ritiene indispensabile accordare ai gruppi un congruo lasso di tempo per approfondire adeguatamente le complesse questioni sottese al testo base predisposto dal presidente relatore, in modo che sia poi possibile raccogliere gli orientamenti dei diversi gruppi. Invita pertanto il presidente a non calendarizzare il provvedimento nella prossima settimana e a non fissare già da oggi il termine per la presentazione degli emendamenti.

Marco BOATO (Verdi), preannunciando fin d'ora il voto favorevole del proprio gruppo sull'adozione del testo base predisposto dal presidente relatore, si dice d'accordo a dedicare alcune sedute all'approfondimento del testo, anche in vista di un lavoro migliore e più spedito nella fase di predisposizione degli emendamenti.

Giacomo STUCCHI (LNP) ritiene necessaria una lettura approfondita del testo base, anche al fine di valutare le questioni più controverse e di semplificare la successiva fase emendativa. Dopo aver premesso che la sua parte politica intende collaborare alla definizione del miglior provvedimento possibile sulla materia e non intende in alcun modo strumentalizzare il dibattito, nella convinzione che tale sia anche l'orientamento del presidente e relatore, chiede che il termine per la presentazione degli emendamenti non venga fissato ad una data anteriore alla


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metà di marzo, in modo da consentire ai commissari nelle prossime settimane una analisi approfondita del testo, anche nell'ambito di apposite sedute della Commissione.

Franco RUSSO (RC-SE), nel ringraziare, anche a nome del gruppo, il presidente e relatore per l'accurato lavoro svolto, preannuncia il voto favorevole sull'adozione del testo del presidente e relatore come testo base, rilevando, per inciso, con soddisfazione che il testo raccoglie la sollecitazione della sua parte politica a prevedere lo strumento del trust cieco. Si riserva in ogni caso di esaminare il testo nel dettaglio, anche in considerazione delle complesse questioni che lo stesso affronta. In particolare, segnala l'importanza di definire anche una specifica disciplina in relazione al peculiare a anomalo conflitto di interessi che concerne il titolare di carica di governo che sia proprietario di mezzi di comunicazione di massa, al riguardo facendo presente che la proprietà di mezzi di comunicazione di massa determina uno specifico conflitto di interessi, in quanto chi controlla i mezzi di comunicazione di massa ha il potere di influenzare la formazione dell'opinione pubblica e di incidere quindi significativamente sull'andamento di una campagna elettorale. Ritiene poi che la soglia di 15 milioni di euro sia da ritenersi alta, in quanto interessa un limitato numero di grandi imprenditori, laddove il tessuto produttivo italiano è formato per la grande maggioranza da imprenditori a capo di imprese medio-piccole.

Roberto ZACCARIA (Ulivo), premesso che la complessità del testo rende indispensabile una lettura approfondita prima di esprimere una valutazione definitiva, esprime l'avviso che si tratti di un testo di grande interesse, anche in considerazione del fatto che introduce, con il trust cieco, attualmente non previsto dall'ordinamento italiano, un elemento di significativa novità. Per quanto riguarda l'organizzazione dei tempi di esame, ricorda che la discussione generale è già stata svolta e che occorre portare il provvedimento all'attenzione dell'Assemblea in tempi ragionevoli. Ritiene pertanto che si possa rinviare di due o tre settimane l'inizio della fase emendativa, a condizione però che il tempo sia utilizzato per svolgere un serrato lavoro di approfondimento sul testo, anche al fine di semplificare la fase emendativa.

Gabriele BOSCETTO (FI) rileva che il testo base predisposto dal presidente e relatore è significativamente diverso dalla proposta di legge in titolo e che si basa inoltre sulla nozione di conflitto di interessi potenziale, anziché reale, come previsto dalla legge Frattini. Ricorda, quindi, che la sua parte politica era favorevole ad una riforma della legge Frattini che, mantenendone l'impostazione di fondo incentrata sul conflitto di interessi reale, ne superasse le inadeguatezze, anche tenendo conto di quanto posto in evidenza dalla Autorità garante della concorrenza e del mercato e dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Considerato che il testo elaborato dal presidente è significativamente diverso rispetto alle attese, ritiene si renda necessario un esame minuto dell'articolato, che va svolto con la dovuta attenzione, trattandosi di un testo che per importanza politica e giuridica non può senz'altro venir definito affrettatamente.
Annuncia pertanto il voto di astensione del suo gruppo sull'adozione del testo base, in attesa di poterlo esaminare nel dettaglio.

Maurizio RONCONI (UDC) e Giacomo STUCCHI (LNP) annunciano il proprio voto di astensione sull'adozione del testo base.

Nessun altro chiedendo di intervenire, la Commissione delibera di adottare come testo base per il seguito dell'esame il testo proposto dal relatore (vedi allegato 1).

Luciano VIOLANTE, presidente e relatore, considerato che, in generale, quanto più è approfondito il lavoro svolto in Commissione su un provvedimento, tanto


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più spedita è la discussione in Assemblea, ritiene di poter accedere alla richiesta del deputato Boscetto. Propone pertanto di dedicare all'esame del testo base le sedute del 7 e dell'8 marzo e di fissare successivamente il termine per la presentazione degli emendamenti.

La Commissione concorda.

Luciano VIOLANTE, presidente e relatore, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia quindi il seguito dell'esame ad altra seduta.

La seduta termina alle 14.45.

ATTI DEL GOVERNO

Martedì 20 febbraio 2007. - Presidenza del vicepresidente Karl ZELLER. - Interviene il sottosegretario di Stato alla solidarietà sociale Franca Donaggio.

La seduta comincia alle 14.45.

Schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri relativo alla ricognizione delle strutture e risorse del ministero del lavoro e della previdenza sociale e del ministero della solidarietà sociale.
Atto n. 69.

(Esame e conclusione - Parere favorevole).

La Commissione inizia l'esame del provvedimento.

Maria Fortuna INCOSTANTE (Ulivo), relatore, illustra il contenuto del provvedimento in titolo, che, in attuazione di quanto previsto dal decreto-legge n. 181 del 2006, convertito con modificazioni dalla legge 17 luglio 2006, n. 233, e similmente ad altri schemi di decreto già esaminati dalla Commissione, reca disposizioni concernenti la ricognizione delle strutture e delle funzioni del Ministero del lavoro e della previdenza sociale e del Ministero della solidarietà sociale.
Ricorda che il citato decreto-legge ha modificato per più aspetti l'organizzazione del Governo stabilita dal decreto-legislativo n. 300 del 1999 e successive modificazioni, innanzitutto incidendo sull'articolazione in Ministeri, il cui numero è stato aumentato da quattordici a diciotto; conseguentemente si è realizzato un ampio riordino delle attribuzioni della Presidenza del Consiglio dei ministri e dei Ministeri. Nell'ambito del riordino disposto dal decreto-legge citato è stato tra l'altro istituito il Ministero della solidarietà sociale, al quale sono state attribuite le competenze in materia di politiche sociali, e di assistenza, e di vigilanza dei flussi di entrata dei lavoratori immigrati, competenze precedentemente spettanti al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, la cui denominazione è conseguentemente stata sostituita da quella di Ministero del lavoro e della previdenza sociale. Si è previsto conseguentemente il trasferimento delle inerenti risorse finanziarie, strumentali e di personale.
Ricorda che al Ministero della solidarietà sociale sono state trasferite altresì le competenze in materia di coordinamento delle politiche contro le tossicodipendenze e alcooldipendenze e di organizzazione, indirizzo e controllo del Servizio civile nazionale, precedentemente attribuite alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Al Ministero del lavoro e della previdenza sociale sono invece rimaste le competenze - precedentemente attribuite al Ministero del lavoro e delle politiche sociali - in materia di politiche previdenziali e di politiche del lavoro e dell'occupazione e tutela dei lavoratori, eccetto per quanto riguarda la vigilanza dei flussi dei lavoratori esteri. Come conseguenza del riordino in esame, il Ministero della solidarietà sociale viene inserito nell'elencazione dei Ministeri di cui all'articolo 2, comma 1, del decreto legislativo n. 300 del 1999 e, nella stessa elencazione, in conseguenza di tale ridisegno di funzioni, l'attuale «Ministero del lavoro e delle politiche sociali» assume, come già detto, la nuova denominazione di «Ministero del lavoro e della previdenza sociale».


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In relazione al fondamento normativo dello schema di decreto in esame, ricorda che il comma 10 dell'articolo 1 del decreto-legge n. 181 del 2006 dispone che con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri adottato d'intesa con il Ministro dell'economia e delle finanze e sentiti i ministri interessati, si proceda alla ricognizione delle strutture trasferite in relazione alla modifica delle funzioni ministeriali, nonché alla determinazione in via provvisoria, del contingente minimo degli uffici strumentali e di diretta collaborazione. I successivi commi 10-bis e 10-ter dispongono in ordine al mantenimento presso le singole amministrazioni, nell'ambito delle strutture trasferite, degli incarichi dirigenziali conferiti ad esterni, anche in deroga ai limiti numerici fissati dall'articolo 19 del decreto legislativo n. 165 del 2001, al fine di garantire il funzionamento delle strutture trasferite.
Rileva che il carattere ricognitivo del provvedimento sembra sostanziare una semplice esplicitazione in concreto di un effetto già prodotto - il trasferimento - dal citato decreto-legge. Va d'altronde considerato che il comma 23 dispone che gli assetti organizzativi delle Amministrazioni interessate dal riordino debbano essere disciplinati con regolamento. Il successivo comma 25-ter delinea la procedura per l'emanazione della generalità dei decreti del Presidente del Consiglio intesi a dare attuazione al complessivo riordino dei Ministeri e della Presidenza del Consiglio dettato dal decreto-legge. In particolare, si stabilisce che gli schemi dei decreti del Presidente del Consiglio in questione debbano essere accompagnati dalla relazione tecnica, predisposta dalle amministrazioni competenti, sulla quantificazione degli oneri recati da ciascuna disposizione, nonché delle relative coperture finanziarie; siano sottoposti al parere, nel merito, delle Commissioni parlamentari competenti per materia e, per quanto riguarda gli aspetti finanziari, delle Commissioni bilancio. Qualora il parere non venga reso entro 30 giorni dalla richiesta, il Governo può emanare i decreti anche in assenza dello stesso.
Per quanto riguarda il contenuto del provvedimento, ricorda che questo si compone di nove articoli. Gli articoli 1 e 2, in attesa dell'emanazione dei nuovi regolamenti di riorganizzazione, effettuano una ricognizione dell'articolazione delle strutture rispettivamente del Ministero del lavoro e della previdenza sociale e del Ministero della solidarietà sociale, disponendo il trasferimento ai medesimi Dicasteri delle funzioni (nonché delle inerenti risorse finanziarie, strumentali e di personale) relative alle strutture di primo livello attribuite a ciascuno. L'articolo 3 provvede alla individuazione provvisoria del contingente minimo degli uffici di diretta collaborazione dei medesimi due Dicasteri, con le corrispondenti risorse umane e finanziarie. L'articolo 4, per consentire al Ministero della solidarietà sociale l'espletamento delle funzioni di carattere strumentale, già svolte presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali dalla Direzione generale delle risorse umane e affari generali e dalla Direzione generale per l'innovazione tecnologica, dispone il trasferimento al Ministero della solidarietà sociale di un contingente di 40 unità; transitoriamente si dispone che le menzionate Direzioni generali continuano ad espletare i propri compiti anche per il Ministero della solidarietà sociale. Si prevede inoltre che il Ministero della solidarietà sociale, nell'ambito delle proprie competenze, possa avvalersi delle Direzioni provinciali e regionali del lavoro per quanto riguarda le attività già svolte da queste strutture territoriali in riferimento a funzioni trasferite al medesimo Dicastero. L'articolo 5 prevede che, fatte salve le specifiche norme dello schema che dispongono il trasferimento di determinati contingenti di personale tra i due Dicasteri in esame, il personale delle strutture amministrative resta in servizio presso i rispettivi uffici, conservando lo stato giuridico ed economico già in godimento. L'articolo 6 precisa che i rapporti pendenti, compresi quelli contrattuali, già facenti capo al soppresso Ministero del lavoro e delle politiche sociali, proseguono con uno dei due Dicasteri derivanti dalla riorganizzazione,


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tenendo conto sia dei criteri di ripartizione delle risorse sia dell'articolazione delle strutture dei medesimi Dicasteri. L'articolo 7 opera il riparto, tra i medesimi Dicasteri, degli immobili in cui erano ubicati gli uffici centrali del Ministero del lavoro e delle politiche sociali. L'articolo 8 provvede all'individuazione delle forme di esercizio coordinato, tra Il Ministero del lavoro e della previdenza sociale e il Ministero della solidarietà sociale, delle funzioni che presentano in maniera congiunta profili di natura assistenziale e previdenziale, ivi incluse quelle di indirizzo e vigilanza sugli enti di settore. L'articolo 9 detta disposizioni finali, precisando che alla definizione dei rapporti tra i medesimi Dicasteri e l'ISFOL, Italia Lavoro S.p.A. e l'Istituto italiano di medicina sociale, si provvederà nell'ambito di un successivo provvedimento.
In conclusione, formula una proposta di parere favorevole (vedi allegato 2).

Marco BOATO (Verdi) annuncia il proprio voto favorevole sulla proposta di parere del relatore.

Nessun altro chiedendo di intervenire, la Commissione approva la proposta di parere favorevole del relatore.

La seduta termina alle 14.50.