Commissioni Riunite VII e IX - Resoconto di mercoledì 16 maggio 2007

TESTO AGGIORNATO AL 17 MAGGIO 2007


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SEDE REFERENTE

Mercoledì 16 maggio 2007. - Presidenza del presidente della VII Commissione Pietro FOLENA. - Interviene il sottosegretario di Stato per le comunicazioni Luigi Vimercati.

La seduta comincia alle 15.

Disposizioni per la disciplina del settore televisivo nella fase di transizione alla tecnologia digitale.
C. 1825 Governo, C. 2077 Beltrandi e C. 2502 De Zulueta.
(Seguito dell'esame e rinvio - Adozione del testo base).

La Commissione prosegue l'esame del provvedimento, rinviato, da ultimo, nella seduta del 15 maggio 2007.

Pietro FOLENA, presidente, avverte che è stato richiesto che la pubblicità dei lavori dell'odierna seduta delle Commissioni riunite sia assicurata anche attraverso l'impianto audiovisivo a circuito chiuso.
Non essendovi obiezioni, ne dispone l'attivazione.

Michele Pompeo META, relatore per la IX Commissione, intervenendo in replica, fa presente che le Commissioni riunite hanno svolto un ampia indagine conoscitiva e un approfondito dibattito che consente di passare alla fase degli emendamenti avendo acquisito tutti gli elementi necessari per deliberare con cognizione di causa. Su alcuni argomenti le posizioni sono rimaste distanti, come è forse inevitabile discutendo una materia che è sempre stata argomento di accesa polemica tra le forze politiche, e di differenti opinioni anche tra gli addetti ai lavori. Su altri punti, tuttavia, l'indagine e la discussione hanno dimostrato qualche possibile convergenza, che potrà forse consentire di migliorare il testo proposto dal Governo con un più ampio concorso da parte dei componenti queste Commissioni. Non gli sfugge che il percorso del disegno di legge è solo alla prima tappa, ma crede che sia nell'interesse di tutti, e soprattutto nell'interesse del sistema televisivo, se queste Commissioni riusciranno a consegnare all'Aula un testo migliorato in alcuni punti con il concorso più largo possibile.
Il disegno di legge presentato dal Ministro Gentiloni per disciplinare il settore radio-televisivo ha il pregio di sanare un


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vuoto normativo lasciato nel quadro di riferimento dalla riforma del settore approvata nella passata legislatura. In particolare, con il nuovo progetto di legge viene proposto di introdurre alcune norme specifiche finalizzate a guidare la transizione dalle trasmissioni televisive analogiche terrestri a quella digitali, così da consentire un avvio ordinato delle trasmissioni digitali. Il Ministro proponente, quando ha presentato il disegno di legge, ha evidenziato un dato che caratterizza da sempre il sistema televisivo analogico: c'è necessità di più concorrenza e di più pluralismo.
La legge n. 66 del 2001 aveva infatti avviato il processo di introduzione delle trasmissioni digitali, ritenute un valido strumento per attenuare la forte concentrazione duopolistica delle risorse tecniche, e ne aveva previsto una rapida diffusione in sostituzione del sistema analogico. Dopo poco tempo però, autorevoli istituzioni nazionali e comunitarie, quali l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM) e la Commissione europea, hanno evidenziato il rischio di replicare anche nel sistema digitale la condizione di mercato duopolistico con una concentrazione di risorse economiche, tecniche e di audience senza paragoni in Europa. Ancor più preoccupante, l'AGCOM ha rilevato, nell'analisi del mercato televisivo digitale, le costituenda posizione dominante di un unico soggetto in virtù delle rilevanti risorse economiche necessarie per la realizzazione delle reti digitali. Sul piano tecnico, è stato evidenziato da rappresentanti istituzionali ed accademici che la gestione efficiente ed ordinata dello spettro di frequenze è largamente compromessa dalla «storica e consolidata situazione di occupazione di fatto». Tutto ciò rende inapplicabile, in assenza di un ulteriore intervento legislativo, anche la norma che attribuisce all'AGCOM, l'attuazione del piano di assegnazione della frequenze, confermando la preoccupazione che le risorse di frequenza restino fortemente concentrate a danno della concorrenza e del pluralismo. Le frequenze sono però un bene primario per l'esistenza stessa del pluralismo all'interno del sistema.
Come ha sottolineato anche il presidente dell'Autorità per la concorrenza ed il mercato nel corso dell'audizione tenuta di fronte alle Commissioni riunite, vi è una «connessione virtuosa tra un corretto funzionamento del mercato e la garanzia del pluralismo informativo, nondimeno quest'ultima richiede, come di fatto storicamente ha richiesto, interventi regolatori assai ben più penetranti ed incisivi di quelli volti semplicemente a garantire l'efficiente funzionamento del sistema economico». In tale ottica l'intervento ex post di tutela della concorrenza non è di per sé sufficiente a ripristinare condizioni competitive soddisfacenti a tutela del cittadino. È pertanto necessario un intervento legislativo mirato a garantire un sistema televisivo pluralista, riequilibrato nelle sue concentrazioni economiche e tecniche.
In tale quadro il Ministro Gentiloni ha proposto alcune disposizioni mirate a gestire la complessa - e lunga - fase di transizione, individuando le seguenti linee di azione: adozione di misure intese a contenere la raccolta di risorse pubblicitarie nel settore televisivo in capo a ciascun soggetto; superamento delle barriere all'ingresso di nuovi soggetti nel mercato della televisione digitale terrestre; limitazione di fenomeni di sovrapposizione e ridondanza nell'utilizzo delle risorse frequenziali; adozione di misure idonee a consentire la deconcentrazione del mercato delle reti radiotelevisive, la liberazione di frequenze e l'assicurazione di generali condizioni di obiettività; trasparenza, proporzionalità e non discriminazione nell'accesso e nell'uso delle risorse frequenziali; assicurazione dell'accesso alle reti a banda larga secondo condizioni e criteri di obiettività, trasparenza, proporzionalità e non discriminazione; introduzione di una disciplina della rilevazione degli indici di ascolto televisivo in grado di assicurare la massima rappresentatività di tutte le piattaforme trasmissive e di tutti


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gli operatori presenti sul mercato; previsione di un sistema sanzionatorio più efficiente e più efficace.
Anche alla luce delle audizioni, e del dibattito svolto, intende poi sottolineare che il settore televisivo è sempre più caratterizzato da un vivace mutamento delle infrastrutture e dei servizi. Negli ultimi anni si stanno sviluppando diverse piattaforme digitali, tenuto conto che la piattaforma satellitare è già molto diffusa e si stanno avviando le offerte di televisione via internet. Ritiene però errato affidarsi a queste nuove tecnologie per sperare che il sistema ritrovi un suo equilibrio pluralista spontaneamente, soltanto grazie alla disponibilità di capacità trasmissiva. È stato evidenziato, da alcuni operatori, un problema di acquisizione dei diritti e di utilizzo delle nuove reti da parte dei detentori dei diritti - che ancora preferiscono stare sulla piattaforme tradizionali, - che comporterà presumibilmente il perdurare della predominanza della piattaforma terrestre.
Quanto agli elementi da considerare ai fini di un miglioramento, ricorda che la Commissione europea, con lettera di messa in mora del 19 luglio 2006, ha avviato una procedura di infrazione in capo allo Stato italiano, contestando in particolare il contrasto di alcuni aspetti fondamentali della legge n. 112 del 2004, cosiddetta «legge Gasparri» e del Testo unico della radiotelevisione con il quadro delle regole comunitarie in materia di gestione efficiente dello spettro e di accesso non discriminatorio alle risorse frequenziali, ed ai relativi diritti d'uso, con connessi ripetuti rilevi in ordine alle barriere esistenti all'ingresso di nuovi operatori ed all'esigenza di rimuovere sollecitamente tale situazione attraverso le opportune iniziative. Onde evitare la prosecuzione dell'iter di tale procedura, il Governo italiano ha concretizzato la propria volontà di adeguare la legislazione interna alle disposizioni dell'ordinamento comunitario violate, attraverso il disegno di legge in esame. La Commissione europea, dopo aver esaminato il provvedimento, ha inviato al Governo italiano una lettera, in data 12 aprile 2007, nella quale - seppur esprimendo un generale apprezzamento al testo - effettua alcuni rilievi, di carattere formale e sostanziale. In sintesi, la Commissione europea contesta la terminologia «posizione dominante» utilizzata all'articolo 2, comma 1, così come il riferimento agli operatori titolari delle infrastrutture a larga banda notificati come aventi significativo potere di mercato, così come formulato all'articolo 3, comma 10. La Commissione, inoltre, ritiene necessario che si chiariscano ulteriormente le disposizioni di cui all'articolo 3 sull'utilizzo efficiente dello spettro elettromagnetico, garantendo che le disposizioni siano commisurate al raggiungimento di un obiettivo di interesse generale. Infine, un ultimo rilievo riguarda l'imposizione di diritti speciali che, se presente, deve essere giustificato alla luce di obiettivi di carattere generale.
Ritiene poi opportuno ricordare che, con particolare riferimento alla situazione delle risorse frequenziali, l'AGCOM ha identificato - nel luglio 2006 - Rai e RTI (Reti Televisive Italiane) quali imprese aventi una posizione dominante collettiva, sul mercato nazionale dei servizi di diffusione televisiva, su rete terrestre in tecnica analogica, derivante, tra le altre cose, dal controllo di infrastrutture difficili da duplicare, quali il numero e la copertura delle reti analogiche, e dall'integrazione verticale dei soggetti. L'AGCOM ha rilevato, oltretutto, che la posizione di Rai e RTI nel mercato costituisce una barriera all'accesso del mercato, non esistendo oggi frequenze disponibili per nuovi operatori.
Fa presente quindi che, a livello europeo, è in corso un ampio dibattito sulla destinazione del cosiddetto digital dividend, atteso che la Commissione europea ha adottato, l'8 febbraio 2007, la comunicazione relativa alla «Maggiore flessibilità per un accesso rapido allo spettro radio riservato alla comunicazioni elettroniche senza fili», nella quale raccomanda l'utilizzo del dividendo digitale per lo sviluppo di nuovi servizi. Nello stesso tempo, la stessa Commissione ha previsto, per il prossimo anno, l'emanazione di una raccomandazione che incentivi gli Stati membri


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a destinare parte dello spettro liberato dallo switch off a nuove applicazioni e servizi. In particolare, la Commissione ha sottolineato che la flessibilità nell'uso dello spettro radio, rappresenta una condizione essenziale per sfruttare la capacità del settore delle comunicazioni elettroniche senza fili di innovare e di fornire servizi nuovi e diversificati. In termini pratici, la maggiore flessibilità della gestione dello spettro rientrerà nel riesame del quadro normativo comunitario per le comunicazioni elettroniche, i cui risultati entreranno in vigore nel 2010. Nel frattempo, la Commissione europea intende proporre, nel 2007, una raccomandazione che fornisce orientamenti relativi alle condizioni di autorizzazione di un primo gruppo di bande da riservare a un utilizzo flessibile. Un altro aspetto da prendere in considerazione è il buon esito dato dal primo caso di passaggio dall'analogico al digitale, avvenuto a Cagliari nei mesi scorsi. L'esperienza è stata replicata con successo anche ad Aosta.
Ritiene pertanto che, alla luce delle precedenti considerazioni e sulla base delle audizioni e del dibattito svolto, il testo del disegno di legge potrebbe essere migliorato in primo luogo con riferimento alla questione dei limiti alle risorse economiche. In proposito, sull'articolo 2 e sulle misure conseguenti al raggiungimento di ricavi pubblicitari, superiori al 45 per cento del totale dei ricavi pubblicitari del settore televisivo, tanto le audizioni, quanto gli interventi dei commissari hanno fatto registrare differenti valutazioni di ordine giuridico ed economico. Non è sorpreso che su questo punto siano emerse opinioni divergenti, da una parte delle imprese televisive e delle concessionarie pubblicitarie che superano questo limite, dall'altra dei concorrenti, del mondo dell'editoria e dei nuovi entranti, che vorrebbero norme più stringenti. La sintesi di questa discussione ritiene possa ritrovarsi nei due autorevoli interventi dei presidenti Catricalà e Calabrò, che non sono tra loro contraddittori. Ma, mentre il Presidente dell'Autorità Antitrust critica la fissazione di un tetto ex ante «al fine del raggiungimento di obiettivi di carattere antitrust», il Presidente dell'AGCOM ne riconosce la liceità ai fini della tutela del pluralismo. La decisione quindi resta nelle mani del Parlamento, che si esprimerà in primo luogo con il voto sugli emendamenti presentati nelle Commissioni.
È stato poi giustamente chiarito dall'intervento del deputato Barbi che la riduzione degli affollamenti pubblicitari, peraltro alternativa al trasferimento in digitale di una rete, ha un impatto economico molto più limitato di quanto paventato da altri commissari. Ci si attende che questo impatto economico, pur limitato, sia utile per i soggetti svantaggiati nel mercato della pubblicità, in particolare gli altri mezzi di comunicazione, per gli editori già attivi nel mercato della televisione e per chi volesse entrarvi. A tal fine, proprio in ragione del suo carattere limitato, nella misura e nella durata, è opportuno che sia consentito all'AGCOM di deliberare la riduzione degli affollamenti in tempi più rapidi e certi da quelli previsti dal provvedimento in esame.
Il disegno di legge prevede un limite alla raccolta pubblicitaria pari a 45 per cento, superato il quale si ha una posizione dominante vietata, disponendo che la verifica sull'esistenza di una posizione dominante vietata debba essere effettuata secondo le procedure richiamate all'articolo 43 del decreto legislativo n. 177 del 2005. La Commissione europea, nella sua lettera del 12 aprile 2007, osserva che la relazione ex ante tra il superamento del 45 per cento del totale dei ricavi pubblicitari e la «posizione dominante vietata» è impropria, ma semmai dovrebbe essere considerata nel quadro di un'analisi ex post caso per caso. Pertanto, sarebbe opportuno non utilizzare la locuzione «posizione dominante», così da evitare il riferimento al diritto antitrust, fermo restando l'utilità di una soglia il cui superamento consente all'AGCOM di applicare, per un periodo limitato, una riduzione degli affollamenti pubblicitari a tutela del pluralismo, anche in base a quanto affermato dal presidente Calabrò, secondo il quale «considerata la sua natura strumentale e


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temporanea, la misura in parola può rivelarsi proporzionale al fine dell'ampliamento del pluralismo».
Inoltre, la Commissione europea rileva come il riferimento all'articolo 43 del decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177 sia improprio, perché questa disposizione fa riferimento - nella procedura da seguire per identificare posizioni dominanti nel mercato della raccolta pubblicitaria - agli articoli 15 e 16 della direttiva 2002/21 della Comunità europea che - a sua volta - fanno riferimento agli articoli 6 e 7 della medesima direttiva. Il riferimento è improprio perché le procedure richiamate si applicano ai 18 mercati previsti nella «Raccomandazione» della Commissione europea sui mercati rilevanti dell'11 febbraio 2003, tra i quali non è compreso il mercato pubblicitario. Inoltre, il richiamo all'articolo 43 del decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177 implica la consultazione comunitaria, chiamando in causa la Commissione che dovrebbe su questo esprimersi, cosa che esula dai suoi compiti. Sarebbe quindi opportuno eliminare il riferimento all'articolo 43 del decreto legislativo n. 177 del 2005.
Peraltro, sulla base delle osservazioni della Commissione appaiono utili altre modifiche. A tale proposito, tenuto conto che l'articolo 3, comma 7, del disegno di legge dispone la separazione societaria tra operatori di rete e fornitori di contenuti ed essendo gli operatori di rete e non i fornitori di contenuti i titolari della capacità trasmissiva, dovrebbero essere questi ultimi i destinatari dell'obbligo di cessione di cui al comma 9, e non i fornitori di contenuti, come attualmente previsto. Inoltre, dal momento che i criteri per la cessione della capacità ai fornitori di contenuti sono attualmente individuati dall'autorità indipendente, coerentemente con la normativa comunitaria, sarebbe più corretto che, anche nel provvedimento in esame, si ponesse in capo all'AGCOM, sentito il Ministero delle comunicazioni, la competenza sulla definizione delle condizioni di offerta della capacità eccedente il 20 per cento.
Occorre anche cogliere l'occasione di questo provvedimento per rispondere finalmente alle richieste della Commissione europea sull'allineamento dei titoli abilitativi. Il disegno di legge, infatti, vi provvede attraverso l'abrogazione delle norme della legge n. 112 del 2004, ma non chiarisce quale sia il titolo giuridico applicabile nel periodo transitorio, dove per effetto della vigente normativa persistono tuttora titoli concessori, autorizzazioni e licenze individuali.
Infine, sempre sulla base delle pertinenti osservazioni della Commissione europea, andrà chiarito che la disposizione prevista nel comma 10 dell'articolo 3 si applica agli operatori notificati come detentori di significativo potere nel mercato dell'accesso a banda larga all'ingrosso, utilizzando quindi, come suggerito dalla Commissione, la stessa formulazione che figura nella raccomandazione sui mercati rilevanti, e sottolineando che l'imposizione di obblighi è subordinata alla procedura di cui agli articoli 15 e 16 della direttiva 2002/21/CE.
Con riferimento al Piano nazionale di transizione al digitale, all'uso delle frequenze liberate e alle disposizioni per l'utilizzo efficiente dello spettro elettromagnetico, i lavori delle Commissioni hanno fatto registrare pareri diversi sulla proposta del governo, ma si sono manifestate anche convergenze su alcuni aspetti da parte di soggetti diversi, operatori televisivi e soggetti istituzionali. L'obiettivo di cui ci si deve fare carico è che il passaggio alla televisione digitale rappresenti un cambiamento industriale e tecnologico utile ad aumentare la concorrenza nel sistema delle comunicazioni del nostro Paese e che sia in grado di consentire l'ingresso di nuovi soggetti editoriali. Un punto è stato autorevolmente sintetizzato, nel suo contributo, dal Presidente Catricalà che ha indicato, tra le misure per velocizzare il passaggio al digitale, che «le frequenze lasciate libere dagli operatori detentori di più di due emittenti irradiate su frequenze terrestri analogiche, dovrebbero essere ridestinate alla tecnica digitale».


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Ritiene poi che tra i punti sui quali appare possibile che il provvedimento presentato dal Governo possa essere migliorato con un ampio concorso delle Commissioni VII e IX il più importante sia probabilmente quello relativo al percorso verso il definitivo passaggio dall'analogico al digitale. Numerosi soggetti auditi e alcuni commissari hanno sottolineato come questo percorso potrebbe essere più realistico e più praticabile se fosse realizzato per aree territoriali e con un calendario nazionale definito. Esigenza questa sottolineata tra gli altri dagli interventi del presidente della Rai e dai rappresentanti dell'associazione che raduna tutti i broadcaster per la promozione del digitale. In proposito, il Comitato nazionale Italia digitale, istituito dal Ministro delle comunicazioni, è impegnato nella individuazione delle aree tecniche nazionali, sostanzialmente coincidenti con le regioni, che consentiranno di pianificare un calendario di spegnimento sul territorio italiano. Nei mesi scorsi due esperimenti in questa direzione sono stati realizzati nella provincia di Cagliari e nella città di Aosta, con la collaborazione del Governo, di tutte le imprese interessate e degli enti territoriali. Il risultato di questi esperimenti è molto positivo. Dopo il passaggio in solo digitale di tre canali prima trasmessi anche in analogico, il numero di famiglie che si sono dotate di un ricevitore digitale ha infatti raggiunto la ragguardevole percentuale del 94 per cento e i telespettatori preferiscono vedere in digitale anche i canali che continuano ad essere trasmessi in analogico. Nelle due aree pilota l'utilizzo del digitale è cinque volte superiore a quello del resto d'Italia, ed è possibile che si decida di passare tutte le reti in solo digitale anche prima delle date stabilite dai relativi protocolli, che fissano rispettivamente marzo 2008 per la Sardegna e ottobre 2008 per la Val d'Aosta. Ritiene in proposito che la legge possa dare maggiore forza e certezza a questo percorso anche nelle altre regioni, impegnando e delegando il Governo a fissare un piano per aree territoriali che faccia tesoro della positiva esperienza delle prime due regioni. Il passaggio al digitale che coinvolge tutte le famiglie è una impresa complessa, come lo è per tutti i paesi europei. Per questo motivo occorre attrezzarsi per tempo, dando certezze a tutti gli operatori impegnati nella transizione.
Rileva inoltre come il piano delle frequenze rappresenti il principale strumento per garantire un'equa suddivisione e razionalizzazione delle risorse frequenziali. La nuova legge, pertanto, coerentemente con l'obiettivo di guidare la fase di transizione verso le piattaforme televisive digitali, dovrebbe prevedere che l'aggiornamento del piano da un lato avvenga tenendo presenti i risultati della conferenza di Ginevra, in cui sono state assegnate all'Italia le frequenze utilizzabili senza creare interferenze agli altri Stati e, dall'altro, possa contenere elementi di flessibilità, quali l'elaborazione per aree geografiche, che ne consentano una più semplice attuazione. L'esperienza dello switch off anticipato in Sardegna, infatti, sta dimostrando come l'introduzione progressiva sul territorio del digitale terrestre sia non solo possibile, ma anzi consenta di affrontare e risolvere in modo più gestibile i problemi della conversione al digitale. Prevedendo, già a livelli di piano, uno sviluppo per aree della pianificazione delle reti, risulterà più agevole anche la fase di adeguamento al piano guidata dall'AGCOM e mai realizzata per le rete televisive italiane. La pianificazione per aree territoriali, di norma coincidenti con le regioni, infine, semplificherebbe la stipula degli accordi bilaterali da parte del Ministero. Per uniformare la disciplina delle radiofrequenze, e consentire alle istituzionali pubbliche una verifica degli effetti dei trasferimenti tra privati delle risorse pubbliche radiofrequenziali, sarebbe inoltre necessario applicare anche alle frequenze radiotelevisive il procedimento di autorizzazione vigente per le frequenze utilizzate per gli altri servizi di comunicazione elettronica, di diretta derivazione comunitaria. In tale modo, non solo si armonizzerebbero le procedure, ma si consentirebbe al Ministero delle comunicazioni ed all'AGCOM di verificare che il


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trasferimento avvenga nel rispetto delle norme e dei principi in materia di pluralismo e concorrenza.
Il disegno di legge, all'articolo 3 comma 6, modifica l'articolo 23, comma 3, della legge n. 112 del 2004 - oggetto della procedura di infrazione avviata della Commissione europea nel luglio 2006 - che limitava la possibilità di fare trading delle frequenze agli operatori analogici già presenti sul mercato, ponendo lo stesso diritto speciale in capo ai nuovi entranti. Si consente infatti l'effettuazione dei trasferimenti di cui al predetto articolo 23, comma 3 in favore di qualunque altro soggetto diverso dai titolari di più di 2 emittenti televisive analogiche e in possesso dell'autorizzazione generale per l'esercizio di operatore di rete. La Commissione europea, nella sua lettera del 12 aprile 2007, faceva già tuttavia notare che un diritto speciale è incompatibile con la normativa comunitaria di per sé. Tuttavia, la Commissione, riconoscendo che la ratio di tale disposizione è volta a riequilibrare una situazione di mercato eccessivamente sbilanciata, invita a giustificare adeguatamente tale disposizione, specificando l'obiettivo di carattere generale che con essa si vuole raggiungere.
Fa presente quindi che la transizione alla televisione digitale è oggi un punto comune nell'agenda politica di tutti i paesi membri dell'Unione europea, impegnati anch'essi a modernizzare il sistema televisivo e ad accelerare la transizione al digitale. Per molti aspetti, poi, le difficoltà e le soluzioni alla transizione digitale sono comuni a gran parte dei paesi europei; anzi, alcune questioni di natura prettamente industriale hanno una chiara dimensione europea. Per accelerare la transizione al digitale, un fondamentale sostegno può essere fornito dal rinnovo dei televisori presenti nelle famiglie italiane con apparecchi televisivi che integrano un ricevitore digitale. La recentissima legge francese, approvata in via definitiva il 5 marzo 2007, ha preso in considerazione questo elemento prevedendo dall'anno prossimo la messa in commercio solo di televisori con ricevitore digitale integrato. Si tratta di una norma di grande efficacia, considerando che il tasso di ricambio dei televisori in Italia è di circa cinque milioni di pezzi l'anno. Va altresì considerato che la norma francese è attualmente oggetto di consultazioni con la Commissione europea, che pone alcune questioni relative alla neutralità tecnologica. Questioni alle quali l'Italia deve essere particolarmente sensibile, anche in ragione della sanzione che le imprese del nostro paese hanno già subito, a seguito della infelice esperienza delle sovvenzioni ai decoder per la sola televisione digitale terrestre e via cavo. Ritiene che proprio questa esperienza possa consentire di immaginare una norma rispettosa del diritto del telespettatore di scegliere la piattaforma digitale preferita senza distorsioni normative. Inoltre, occorre evitare il rischio, paventato anche dal presidente Calabrò nella sua audizione, che le aziende produttrici dirottino sul mercato italiano gli apparecchi televisivi privi di ricevitore digitale integrato.
Un altro punto oggetto di discussione è stata la norma contenuta all'articolo 2, comma 6, che considera programmi anche quelli ad accesso condizionato e a pagamento, al fine del rispetto del limite del 20 per cento, già fissato dalla legge 112 del 2004. È possibile che si possa meglio precisare questa disposizione, senza contraddirne la finalità di evitare una concentrazione delle frequenze nelle mani di un singolo soggetto, ma al tempo stesso senza rendere impossibile una complementare attività di televisione a pagamento anche su digitale terrestre, che ha dimostrato di essere gradita ai telespettatori e utile alla concorrenza.
L'introduzione dei servizi pay per view sulla piattaforma digitale terrestre, in Italia con decoder aperti, ha rappresentato una innovazione rispetto ai modelli satellitari e via cavo, dimostrando, come ha sottolineato nel suo intervento il deputato Moffa, che la piattaforma della televisione digitale terrestre è oggi tra le piattaforme televisive quella più esposta ad un incremento della concorrenza.
Il testo proposto dal Governo affronta poi, all'articolo 4, il tema del rilevamento


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degli indici di ascolto, introducendo un meccanismo nuovo, che offre maggiori garanzie rispetto a quello oggi in essere. Questa legge servirà, quindi, anche a dare maggiore certezza e stabilità all'indagine sugli ascolti. Purtuttavia, restano non ancora del tutto risolti aspetti e problematiche in relazione ai canali della piattaforma satellitare ed anche ai canali digitali terrestri. Un importante aspetto nella riforma dell'Auditel è rappresentato dal suo aggiornamento per poter considerare la distribuzione dei telespettatori tra le diverse piattaforme che la tecnologia digitale rende disponibili (terrestre, satellite, internet TV). Il dato delle reti generaliste, e di tutte quelle in simulcast su satellite o digitale terrestre, è ad oggi la somma degli ascolti prodotti da quella emittente, qualunque sia la piattaforma che li trasporta. Poter disporre invece di dati disaggregati consentirebbe di conoscere le dinamiche di evoluzione delle nuove piattaforme.
Ulteriori miglioramenti al testo potranno inoltre venire sul fronte delle emittenti locali e per le nuove realtà editoriali. Ad oggi, la ricezione televisiva in ambito locale continua ad avvenire soprattutto in tecnica analogica, in quanto quasi tutte le imprese televisive locali sono prive di frequenze da utilizzare per le trasmissioni digitali, continuando a trasmettere anche in tecnica analogica. Nei limiti del possibile sarà quindi opportuno garantire alle imprese locali che una quota delle frequenze liberate e rassegnate sia a loro riservata. Numerose segnalazioni da parte di soggetti interessati portano a ritenere che i requisiti di autorizzazione vigenti - fissati dalla delibera 435/01/CONS dell'AGCOM - ed in particolare quelli di ordine economico, quali il capitale sociale minimo, siano tanto elevate da scoraggiare l'ingresso nel mercato di nuove realtà editoriali, che potrebbero giovare al pluralismo. Ferma restando la competenza dell'AGCOM nell'individuazione dei requisiti di autorizzazione, si potrebbe prevedere nel disegno di legge una norma che ne disponga il riesame in modo da renderli maggiormente sostenibili, eliminando le barriere all'accesso per i nuovi fornitori di contenuti.
La nuova legge dovrebbe altresì occuparsi in modo più efficace anche dell'avvio delle trasmissioni radiofoniche digitali. Allo stato la legge n. 66 del 2001 prevede che per la radiofonia digitale sia adoperato lo standard tecnico «DAB» (Digital Audio Broadcasting). Il progresso tecnologico ha però reso disponibili nella medesima porzione di spettro di frequenze anche nuovi standard, ritenuti da alcuni più efficienti ed economici. Coerentemente con gli orientamenti della Commissione europea e con il principio generale della disciplina delle comunicazioni elettroniche di neutralità tecnologica, fermo restando che il servizio da erogare resta individuato dal Ministero delle comunicazioni nel piano di ripartizione delle frequenze, la scelta dello standard tecnico da impiegare dovrebbe essere lasciata agli operatori del settore sulla base di considerazioni di mercato. Sarebbe necessario infine prevedere che il Ministero stesso effettuasse, in tempi brevi, ad esempio entro tre mesi, le procedure di gara per l'assegnazione dei diritti d'uso delle frequenze per i servizi radiofonici, per le quali l'AGCOM ha già provveduto il relativo regolamento.
Conclusivamente, intende sottolineare come il lavoro delle due Commissioni sia stato ampio e proficuo. Ringrazia in particolare i deputati De Zulueta e Beltrandi per le proposte di legge di cui sono firmatari e tutti i contributi, per il tono e la serietà delle argomentazioni, dei deputati Sanza, Merlo, Bono, Gasparri, Lusetti, Falomi, Barbieri, Tassone e Campa. Rileva comunque che il contesto politico generale non è stato certo favorevole a una discussione serena, atteso che, come è spesso avvenuto negli ultimi decenni, la materia televisiva si è dimostrata una palestra privilegiata per la polemica tra gli schieramenti, per gli allarmi e le dichiarazioni sopra le righe, giunti, occorre dirlo, più dall'esterno che dalle aule parlamentari. Ritiene in proposito che anche l'impropria sovrapposizione tra il nodo del conflitto di interessi e l'esigenza di una più moderna


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legge televisiva abbia contribuito ad aggiungere confusione. Ritiene comunque che si possa convenire circa l'importante approfondimento svolto, attraver l'ascolto di tutte le parti in causa e l'ampia discussione nelle Commissioni, senza che si sia proceduto a strozzature dei tempi e a manovre dilatorie. È pertanto dell'avviso che sia ormai giunto il momento di entrare nell'esame di merito e licenziare un testo, se possibile migliorativo rispetto a quello presentato dal Governo, anche riprendendo l'osservazione del deputato Giulietti che ha opportunamente ricordato il ruolo decisivo della tempistica per le aziende minori e per quelle che operano in settori contigui, più che per le maggiori aziende del settore televisivo.
A tale proposito fa presente che tutte le imprese interessate hanno espresso posizioni diverse, come diversi sono gli interessi che esse rappresentano, ma è evidente che nessuna impresa può permettersi di non avere una nuova legge di sistema. Questo anche perché la legislazione attuale, oltre che criticabile, è, sotto diversi profili, addirittura inapplicabile. Fa riferimento a tale proposito all'attuale previsione in forza della quale si dispone che lo spegnimento di tutte le trasmissioni analogiche abbia luogo entro il 2008, un traguardo che tutti giudicano irraggiungibile. Immaginare che nei prossimi mesi ci possa essere un semplice rinvio della scadenza, non inquadrato in nuova legge di sistema, sarebbe un comportamento irresponsabile. Un puro rinvio, senza specificare un realistico percorso di transizione, sarebbe infatti il peggior segnale che potrebbe essere dato alle imprese e ai cittadini che devono prepararsi per un passaggio decisivo nella storia dell'industria televisiva.
È infine convinto che, anche nella fase dell'esame degli emendamenti, le Commissioni sapranno assumersi la loro responsabilità e riusciranno, pur in presenza di convinzioni politiche anche contrapposte, a consegnare all'Assemblea un testo di riforma utile allo sviluppo di un'industria così cruciale per la democrazia, il costume e la cultura del paese.

Pietro FOLENA, presidente e relatore per la VII Commissione, intervenendo in replica, sottolinea innanzitutto che è stato svolto un lungo ed approfondito dibattito sul disegno di legge in esame, un dibattito al quale hanno potuto contribuire i maggiori protagonisti del settore radiotelevisivo e dei media grazie alla decisione, più che opportuna, di abbinare alla discussione del disegno di legge Gentiloni una indagine conoscitiva. Ringrazia d'altra parte i colleghi De Zulueta e Beltrandi che hanno saputo contribuire ad approfondire il dibattito con la presentazione di due proposte di legge.
Sottolinea che l'indagine ha permesso di ascoltare non solo le opinioni dei componenti delle Commissioni, divergenti, ma sicuramente tutte legittime, consentendo anche all'opinione pubblica - in particolare i giornalisti che hanno seguito con attenzione l'iter del provvedimento in questa fase - di uscire, o almeno di provare ad uscire, dai luoghi comuni. Il primo di questi è sicuramente l'idea, sbagliata, ma che è qui stata avanzata da alcune parti, politiche ed imprenditoriali, che il provvedimento in esame sia un provvedimento contro Mediaset e il padrone di Mediaset. Ritiene che il fatto che si tratti di un luogo comune, lo rendono evidenti due fatti: il primo è che alcuni dei maggiori danneggiati dalla situazione di duopolio - televisioni locali e Europa 7 in particolare - hanno sottolineato semmai l'insufficienza del provvedimento di fronte al concreto assetto del settore in Italia. Ricorda che lo stesso ministro Gentiloni, del resto, ha parlato di un disegno di legge troppo moderato; considerazione sulla quale peraltro concorda.
Ritiene che il disegno di legge Gentiloni rappresenti infatti un passo in avanti sul terreno della concorrenza, ma meno su quello del pluralismo informativo, culturale e editoriale; al contempo presenta, nel testo del governo, misure insufficienti ad assicurare l'immediata liberazione di spazi e risorse. È pur vero, a parziale giustificazione di ciò, che già dal titolo il provvedimento si propone di essere una legge che regola solo una transizione, tuttavia,


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dall'esito di tale transizione, dipenderà l'assetto futuro della televisione in Italia sul digitale terrestre. Aggiunge d'altra parte che proprio sulle transizioni sono franate le precedenti proposte di legge, come per esempio la tanto citata legge Maccanico. Evidenzia d'altra parte che l'atteggiamento dei governi di centrosinistra verso Mediaset è stato tutt'altro che ostile, visto che, come hanno ampiamente evidenziato non solo il presidente di Mediaset, Fedele Confalonieri, ma forse anche più analiticamente lo stesso collega Campa nel suo intervento, l'azienda nel periodo che va dal 1996 al 2001 ha potuto realizzare profitti superiori al passato e ha segnato quindi un tasso di crescita che di per sé rende pretestuosa la polemica di chi dice che il centrosinistra vuole distruggere il patrimonio del capo dell'opposizione per colpirlo politicamente. I fatti degli ultimi giorni - l'affaire Endemol e l'atteggiamento neutrale tenuto dal Governo - sono d'altra parte la dimostrazione che si è gridato propagandisticamente «al lupo, al lupo», salvo poi rendersi conto che il lupo, semmai, nell'occasione è stato proprio Mediaset, mentre il Pierino penalizzato, la Rai. Ricorda per esempio che con un governo di centrosinistra Mediaset ha realizzato una delle più importanti operazioni di acquisizione strategica della sua storia, assicurandosi il controllo del maggiore content provider internazionale, Endemol, che produce show televisivi del calibro del Grande Fratello, un format mondiale. Se questo è potuto accadere durante questo Esecutivo di centrosinistra, e se è vero che sarebbe potuto accadere anche a legge Gentiloni in vigore, allora davvero non comprende come il disegno di legge in esame possa in qualche modo danneggiare Mediaset; semmai il provvedimento costituisce una sfida al mercato radiotelevisivo, al protezionismo di cui hanno goduto Mediaset e Rai in particolare, affinché si rinnovino.
Ricorda che il deputato Carra aveva chiesto al presidente Confalonieri perché Mediaset non accettasse la sfida, ponendosi in un'ottica meno condizionata dai recinti nazionali e dalla protezione della politica. Fa piacere che, a distanza di poco tempo, Mediaset abbia dato al collega Carra una risposta così esauriente con i fatti. Aggiunge che, in ogni caso, quella messa in campo anche nel corso dell'esame del provvedimento sia stata una polemica vecchia e, repetita iuvant, pretestuosa. Ribadisce che l'acquisto di Endemol pone grandi problemi in termini di pluralismo, prima ancora che di mercato. Si realizza, in una maniera del tutto inaccettabile e impropria, quello che continua a pensare debba essere un obiettivo da perseguire, cioè la separazione delle reti dai fornitori di contenuti. In questo caso, però, tale separazione vale solo per uno dei concorrenti in campo, cioè la Rai. Ricorda a questo proposito che il presidente della Rai Petruccioli, forse per minimizzare l'impatto dell'operazione, ha voluto sottolineare che i contratti con Endemol valgono «solo» 47 milioni, a fronte di 1,6 miliardi di costi per le produzioni esterne sostenuti dalla Rai. Ritiene invece che il presidente Petruccioli avrebbe dovuto parlare con preoccupazione di questo dato, visto che 1,6 miliardi di euro sono un po' di più dell'introito del canone per il servizio pubblico radiotelevisivo. Si è in sostanza ammesso così che gli italiani non pagano il canone alla Rai, ma ad Endemol e alle altre «produzioni esterne», che poi tanto esterne non sono, visto che utilizzano largamente le strutture della Rai, Endemol in testa. Ribadisce insomma che quella che è una tassa governativa per il «servizio pubblico radiotelevisivo», serve a finanziare aziende private.
Evidenzia d'altra parte che attualmente, come è noto, la Rai non è governata con effetti che sono sotto gli occhi di tutti. Auspica in questo senso che il presidente della Rai voglia ascoltare le indicazioni del direttore di Rai Educational, Gianni Minoli, avviando da subito una internalizzazione della produzione dei contenuti. Ritiene infatti non è accettabile che il servizio pubblico dia in appalto all'esterno quote tanto rilevanti delle produzioni, visto che la Rai ha le strutture e le competenze per fare televisione. Ribadisce infatti la necessità che la Rai rescinda


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i contratti con Endemol e non solo con essa, mettendo insieme i suoi migliori talenti, tra autori, registi, creativi, dando vita così ad un vero servizio pubblico. Ritiene non vi siano altre strade se la Rai vuole continuare a mantenere il proprio ruolo di servizio pubblico.
Sottolinea che un altro aspetto riguarda la tutela della concorrenza, come evidenziato dal collega Barbi, considerata un prerequisito per il pluralismo, anche se il mercato, di per sé, non è sufficiente a garantirlo. È paradossale infatti che la Rai acquisti contenuti dal suo diretto concorrente, arrivando ad assomigliare nei contenuti a Mediaset; come due ristoranti cinesi si somigliano tanto perché hanno lo stesso cuoco, fuor di metafora lo stesso fornitore. Ritiene infatti che un po' come la Gea, anche Endemol stabilisce la «composizione» delle squadre in campo, cede e tratta per i giocatori - in questo caso conduttori, autori e registi - e come la stessa Gea è sotto il controllo di una delle concorrenti sul mercato. Ribadisce che si tratta di una situazione intollerabile la cui soluzione passa per la Rai per l'esclusione di ogni acquisto di contenuti dal suo diretto concorrente, pena la credibilità dell'azienda.
Ritiene quindi che la vicenda debba portare al più presto ad una vera e propria rifondazione della Rai, del servizio pubblico radiotelevisivo, come annunciato con la presentazione nei prossimi giorni del disegno di legge di riforma del Governo. Si tratta di una urgenza non più procrastinabile; anche il disegno di legge Gentiloni dovrà essere corretto nel medesimo senso, per non trattare allo stesso modo il servizio pubblico - nell'ipotesi in cui effettivamente svolga tale funzione - e gli operatori privati. Aggiunge, infine, che non sono da trascurare due altri aspetti della vicenda: l'annosa mortificazione delle competenze presenti in Rai e la lievitazione dei costi. Evidenzia infatti che è sufficiente seguire i titoli di coda delle trasmissioni in coproduzione per rendersi conto della duplicazione delle responsabilità e delle funzioni. Immagina in questo senso che Mediaset razionalizzerà i costi, accorpando le figure duplicate, mentre la Rai non potrà farlo; ad incidere sui costi sarà soprattutto il fatto che queste produzioni «appaltate» sono appaltate solo sopra la linea della creatività, mentre gli studi televisivi, i tecnici, i programmisti sono Rai. È da valutare quindi se sia possibile permettere al concorrente Mediaset di «entrare in casa» della RAI, produrre con mezzi del servizio pubblico, chiedendo poi un profumato pagamento. Rileva, inoltre , che la vicenda Endemol ha anche un aspetto piuttosto inquietante che si intreccia al caso Telecom. È noto infatti che Mediaset era interessata, o almeno aveva manifestato interesse, all'acquisto di Telecom Italia. Sottolinea, senza alcun altro commento che Mediaset ha acquistato Endemol da Telefonica, cioè proprio dal nuovo padrone di Telecom Italia.
Ritiene che occorra, quindi, perseguire l'obiettivo di separare la rete dai contenuti, sia pure in modo del tutto differente da come sta accadendo. La vicenda Endemol conferma anche delle dinamiche con cui si produce l'appiattimento e l'omologazione dei contenuti. Il disegno di legge Gentiloni non affronta invece in modo deciso il tema della separazione fra rete e contenuti che dovrà essere oggetto di un intervento emendativo. D'altra parte il provvedimento in esame ha molti aspetti positivi, alcuni dei quali decisivi. In primo luogo, stabilisce una data certa e credibile per la transizione al digitale. Ricorda che la stessa legge Gasparri, come sapevano molto bene i suoi stessi estensori, era inapplicabile ed è servita in sostanza a dotare gli italiani, con i soldi dello Stato, di decoder con i quali Mediaset ora può vendere i contenuti a pagamento. Ritiene peraltro che sulla transizione la carenza fosse non del tutto incolpevole. Rileva infatti che l'apparente posticipo è stato criticato nel corso dell'esame da quasi tutti i componenti dell'opposizione, tra cui da ultimo il collega Barbieri, pur se in realtà non vi siano reali alternative. Del resto è molto meglio stabilire una data, allineata con quella di altri paesi, in cui sia realmente


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possibile effettuare lo switch off piuttosto che limitarsi ad enunciare intenti impraticabili.
Considera semmai ipotizzabile, verificando una possibile convergenza sul punto anche con l'opposizione, prevedere che - ferma la data del 2012 - si possa anticipare il passaggio al digitale terrestre regione per regione, come già avvenuto in Sardegna e Val d'Aosta, piuttosto che in un'unica soluzione all'ultimo minuto. Non condivide l'idea però, che pure è stata avanzata nel corso delle audizioni, di uno switch off parziale. Ricorda d'altra parte che l'aspetto più criticato nel corso dell'esame è stato il «tetto» del 45 per cento fissato per la raccolta delle risorse pubblicitarie, considerato troppo basso. Ribadisce invece, come già evidenziato nella relazione introduttiva, che ritiene invece tale limite semmai troppo elevato; assegnare il 45 per cento a Publitalia e il 45 a Sipra determinerebbe infatti una quota libera del solo 10 per cento, troppo poco se si vuole vogliamo far nascere un credibile terzo polo radiotelevisivo. Aggiunge d'altro canto che è noto come le sanzioni previste rischiano di diventare, nei fatti, solo virtuali, visto che non si applicano nell'eventualità che una rete sia trasferita sul digitale e che il meccanismo di verifica e poi l'attuazione della penale - anche se efficace - appaiono eccessivamente lunghi. Rileva d'altra parte che l'Europa indica nel 40 per cento il limite in cui il sospetto di oligopolio supera il livello di guardia.
Ritiene quindi che le proteste, l'accanimento contro il provvedimento in esame, nonché la propaganda sul presunto «esproprio proletario» non abbiano alcuna ragione d'essere. Al contrario, considera che sarà necessario rafforzare i contenuti antimonopolistici del provvedimento, quali la necessità di stabilire tetti non solo per la fase transitoria ma anche per quella successiva. Pensa alla separazione tra gestione delle reti e contenuti, intesi non come unità minima - la singola trasmissione - ma come interi palinsesti, cioè i «canali». Risponde così anche ad un argomento che è ritornato nelle parole del presidente Confalonieri, e poi, a sorpresa, del presidente Petruccioli: la vicenda Sky. Si è più volte detto infatti che il provvedimento in esame favorirebbe Sky e che questo operatore è «protetto» politicamente dal centrosinistra pur essendo un monopolista. Rileva d'altra parte che quando la Commissione cultura comincerà a discutere della riforma del cinema si potrà vedere chiaramente chi è contro e chi a favore di Sky. Si è detto, comunque, che è inutile parlare di una legge che tutela il pluralismo perché un concorrente ai due maggiori attori esiste già ed è appunto Sky. Ritiene innanzitutto che la situazione di monopolio di Sky vada affrontata e risolta, visto che non è certo ammissibile infatti che in un paese moderno un solo operatore agisca sul mercato del satellite. Rilevare peraltro che i maggiori operatori privati di telecomunicazioni del paese, Mediaset e Telecom, hanno precise responsabilità nella situazione che si è determinata, visto che hanno consapevolmente contribuito a determinare la situazione che si è creata. Aggiunge poi che si confondono due vicende molto differenti: Sky è un monopolista della rete, non dei contenuti, con una situazione più simile a quella di Telecom che non a quella di Rai o Mediaset. Rileva che Sky possiede infatti la tecnologia trasmissiva, ma su tale piattaforma è al contempo obbligata a veicolare tutti i canali che lo richiedono, Rai e Mediaset incluse, nonché piccole emittenti che nell'analogico non hanno materialmente spazio. Viceversa nell'analogico la situazione è quella di un monopolio privato dei contenuti, che influisce con Endemol anche sull'operatore pubblico. Non si tratta di giustificare una situazione, quella di Sky, che va al più presto corretta, ma per distinguere i problemi distanti tra loro. Aggiunge che, peraltro, gli obblighi e i vincoli cui è sottoposta Sky sono emanati dalla Commissione europea e, in cinque anni di governo di centrodestra, nessuno è intervenuto per sanare la situazione, con una evidente ipocrisia di fondo.
Rileva quindi che un altro aspetto fondamentale del disegno di legge in esame è la ridistribuzione delle frequenze, forse la


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previsione più importante del provvedimento. Ricorda infatti che l'obiettivo del disegno di legge Gentiloni è quello di contribuire alla nascita di nuove televisioni, «più tv per tutti», più pluralismo televisivo e non meno. Precisa in questo senso che l'intento non è quello di chiudere Mediaset o Rete 4, ma di trasferire questa rete sul digitale, una volta approvato il disegno di legge in esame, contribuendo così alla nascita di una nuova emittente al suo posto, con contenuti culturali i più diversi. Ritiene che si tratti di una necessità non tanto per favorire la nascita di una concorrenza nel mercato, quanto, e forse di più, per favorire un pluralismo informativo e culturale, soprattutto per i giovani e i bambini, che sia senza omologazioni ma svolga quelle essenziali funzioni pedagogiche e culturali che uno strumento così potente come la televisione, e il servizio pubblico in particolare, deve realizzare. Occorre infatti una riforma che liberi la televisione nelle idee, senza ledere quei principi di tutela e valorizzazione che sono propri della Convenzione dell'UNESCO sul patrimonio immateriale e sulla diversità culturale. Ritiene peraltro che si tratti di una previsione inutile se non associata anche ad un rafforzamento dell'antitrust pubblicitario; in caso contrario ci si troverebbe di fronte ad una sudditanza delle nuove due emittenti analogiche nei confronti delle concessionarie pubblicitarie altrui. Si tratta di dinamiche diverse, che non devono determinare il rischio del verificarsi di un nuovo «caso La 7». Considera anzi che a regime occorra una netta separazione tra pubblicità ed emittenti, in considerazione del fatto che anche su questo aspetto il disegno di legge in esame sia insufficiente. È necessario arrivare invece ad un mercato della pubblicità che non abbia diretta influenza sulle dimensioni degli assegnatari delle frequenze.
Evidenzia quindi che la ridistribuzione delle frequenze sia un aspetto chiave del provvedimento che si pone nell'ottica della transizione al digitale terrestre, seppure bisogno ricordare che non è l'unica transizione in atto. L'IP Tv, cioè la televisione su Internet, in abbinamento alla banda larga, nonché quella sui telefonini con le nuove tecnologie di terza generazione che permettono larghezze di banda prima impensate; ancora il WiMax, le reti peer-to-peer, sono tutti sintomi di una rivoluzione digitale che non accenna a placarsi e che non può trovare la politica impreparata. Ritiene per questo che si debbano trovare le forme per realizzare una transizione più complessiva di quella prevista dalla legge. Alcune indicazioni sono arrivate durante le audizioni e il problema deve trovare spazio anche nel disegno di legge Gentiloni, almeno con la previsione di alcune misure iniziali che poi andranno approfondite e rafforzate.
Affronta infine il tema delle tv locali, già ampiamente evidenziato nel corso delle audizioni dai colleghi della Lega. La sfida del digitale è stata raccolta infatti con forza dalle emittenti locali, con la dimostrazione di una vitalità che resiste anche alla cappa del monopolio privato, tanto che le televisioni in Italia si stanno moltiplicando grazie al digitale satellitare, ad Internet e auspicabilmente anche al digitale terrestre. Si tratta di una occasione che non va sprecata, visto che con il sistema Utube si è di fronte ad una vera e propria rivoluzione generazionale. Non deve accadere infatti che le emittenti locali siano penalizzate per non toccare il sancta sanctorum della tv generalista a diffusione nazionale. Le televisioni locali sono state, pur con tutti i limiti noti, un significativo, anche se non decisivo, contrappeso allo strapotere dei network nazionali, che ha assicurato alcuni sprazzi di pluralismo altrimenti davvero quasi inesistente. La transizione al digitale deve avere attenzione alle emittenti indicate e sarà utile individuare le misure che assicurino il pluralismo dei territori, di per sé parte del pluralismo dei contenuti. Ritiene quindi ipotizzabile l'istituzione di una «quota» minima di frequenze nella fase di transizione al digitale, come anche una riserva su alcune forme pubblicitarie.
Sottolinea quindi, in conclusione, una propensione personale ad intervenire sul provvedimento in esame, senza appiattirsi


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sul testo del Governo. L'invito che rivolge alle opposizioni è quello di deporre le armi della propaganda, visto che gli argomenti prospettati non appaiono del tutto consistenti, nonché di discutere davvero sul contenuto del disegno di legge. Comprende che Mediaset può essere portata a difendere i propri interessi immediati, rilevando peraltro che è opportuno non solo difendere gli interessi dell'oggi ma anche quelli del domani. Riterrebbe un vantaggio per tutti, soprattutto per il Paese, se una grande azienda come Mediaset accettasse la sfida del cambiamento senza combatterla. Invita quindi le opposizioni tutte a non appiattirsi sugli interessi di un gruppo, presentandosi al Paese come la parte politica di una azienda. Non ritiene infatti che convenga dire agli italiani che si è a favore di un certo provvedimento per mantenere lo status quo, visto che si tratta di uno status quo che piace sempre meno.
Osserva che, in questo senso, si tratta di una situazione diversa rispetto a quella del referendum del 1995, non perché la sinistra sia o appaia attualmente più forte di allora, ma perché sta ancora cambiando molto nel rapporto tra televisione generalista e spettatori. Pensa soprattutto alle giovani generazioni e al continuo calo di ascolti di tutte le emittenti generaliste a favore delle altre tecnologie, prima fra tutte internet. Ritiene forse più utile quindi accettare la sfida e porsi l'obiettivo di una riforma utile all'Italia, più che ad una sola azienda, per quanto importante nel Paese, senza limitarsi a difendere posizioni precostituite.

Il sottosegretario di Stato Luigi VIMERCATI, intervenendo in replica, precisa che il suo intervento fa seguito ad una specifica richiesta di chiarimenti formulata nella seduta di ieri dal deputato Tassone, con riguardo alla situazione europea in materia di transizione alla tecnologia televisiva digitale terrestre.
A livello comunitario, la Commissione si è espressa con una Comunicazione del maggio 2005 in materia di migrazione dalla radiodiffusione televisiva in tecnica analogica a quella digitale. In questo documento, che resta ancora il termine principale di riferimento nel panorama comunitario, la Commissione stima che, per l'inizio del 2010, il processo di migrazione dovrebbe essere a buon punto nell'insieme dell'UE e propone di fissare l'inizio del 2012 come termine ultimo per l'abbandono dell'analogico in tutti gli Stati membri dell'UE. Il 2010 viene solo come tappa intermedia per misurare il livello di migrazione tra i diversi Stati membri, mentre la data finale del processo è individuata, come confermato anche dalle Conclusioni del Consiglio del 1o dicembre 2005, alla fine del 2012. La tecnica seguita da molti Stati membri è quella di procedure cosiddette «a macchia di leopardo», sicché le date indicate sono quelle di spegnimento totale sull'intero territorio. Rispetto a tali date l'Italia si colloca perfettamente in linea con quanto accade altrove.
Quanto alla situazione di transizione al digitale nei diversi Stati membri, fa presente che lo switch off è già avvenuto in Lussemburgo e Paesi Bassi; nel 2010 avverrà in Austria, Belgio (Fiandre), Danimarca, Finlandia, Germania, Malta, Spagna, Svezia; entro il 2012 a Cipro, nella Repubblica Ceca, in Estonia, Francia, Grecia, Italia, Lettonia, Regno Unito, Romania, Repubblica Slovacca, Slovenia, Ungheria; entro il 2015 in Lituania, Polonia, Bulgaria; per l'Irlanda e il Portogallo non è invece ancora stata fissata una data. Ritiene infine che esistano fondate possibilità che, già nel 2010, l'Italia si troverà a buon punto nel processo di transizione al digitale.

Pietro FOLENA, presidente e relatore per la VII Commissione, dichiara concluso l'esame preliminare. Propone quindi, anche a nome del relatore per la IX Commissione Meta, di adottare il disegno di legge C. 1825 quale testo base per il prosieguo dell'esame.

Le Commissioni concordano.

Emerenzio BARBIERI (UDC), intervenendo sull'ordine dei lavori, riterrebbe


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opportuno che le Commissioni assumessero elementi di conoscenza sulle recenti notizie relative all'acquisizione di Endemol da parte di Mediaset. Aggiunge, anche alla luce delle repliche dei relatori, che sarebbe opportuno in questo senso fissare il termine per la presentazione degli emendamenti a non prima di lunedì 4 giugno 2007, tenendo conto anche degli impegni di molti parlamentari per le celebrazioni della festa della Repubblica del 2 giugno.

Giuseppe GIULIETTI (Ulivo) ritiene che gli aspetti evidenziati dal collega Barbieri possano essere oggetto di una prossima riunione degli uffici di presidenza, integrati dai rappresentanti dei gruppi, delle Commissioni trasporti e cultura. Aggiunge, d'altra parte, che sui nuovi elementi evidenziati dai relatori potrebbero essere acquisiti elementi utili da parte di rappresentanti dell'Autorità antitrust e soprattutto dell'Associazione di produttori indipendenti italiani che troppo raramente è coinvolta in queste materie.

Pietro FOLENA, presidente, ritiene che gli aspetti evidenziati dai colleghi Barbieri e Giulietti possano essere rimessi alla decisione degli uffici di presidenza, integrati dai rappresentanti dei gruppi, delle Commissioni riunite trasporti e cultura.

Mario BARBI (Ulivo), espresso il suo orientamento sostanzialmente favorevole sulla richiesta di un breve differimento del termine per la presentazione degli emendamenti, ritiene che le audizioni sulla vicenda Endemol, ove previste, dovrebbero comunque rimanere distinte dall'iter di esame dei provvedimenti in titolo.

Nicola BONO (AN) rileva che l'iniziale proposta di fissare il termine per la presentazione degli emendamenti al 30 maggio 2007 era stata assunta per consentire ai parlamentari di predisporre le proposte emendative, dopo lo svolgimento delle elezioni amministrative. Non ritiene peraltro che il rinvio del suddetto termine di qualche giorno, secondo quanto proposto dal collega Barbieri, possa in un certo modo penalizzare i lavori della Commissione. Aggiunge che le recenti notizie sul disegno di legge del Governo di riforma della Rai e sulla vicenda Endemol, inducono ad acquisire ulteriori elementi di conoscenza, utili anche ai fini dell'esame del provvedimento in discussione.

Pietro FOLENA, presidente, ritiene che possa senz'altro ipotizzarsi la possibilità per la Commissione cultura di procedere all'acquisizione di elementi sulla vicenda Endemol, nelle forme che l'ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, della Commissione riterrà più opportune. Precisa che gli uffici di presidenza, integrati dai rappresentanti dei gruppi, delle Commissioni trasporti e cultura, nella riunione del 9 maggio 2007, hanno già deliberato all'unanimità di fissare il termine per la presentazione degli emendamenti alle ore 12 di mercoledì 30 maggio 2007. Un'eventuale modifica di tale termine potrà essere considerata in una prossima riunione degli uffici di presidenza, integrati dai rappresentanti dei gruppi, delle Commissioni riunite.

Davide CAPARINI (LNP) ritiene che la vicenda dell'acquisizione di Endemol da parte di Mediaset abbia ricadute tali da ricomprendere anche le competenze della IX Commissione.

Pietro FOLENA, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

La seduta termina alle 16.40.