III Commissione - Giovedì 28 giugno 2007


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ALLEGATO 1

Disposizioni urgenti in materia di pubblica istruzione (C. 2272-ter Governo).

PARERE APPROVATO DALLA COMMISSIONE

La III Commissione (Affari esteri e comunitari),
esaminato, per le parti di propria competenza, il nuovo testo del disegno di legge C. 2272-ter «Disposizioni urgenti in materia di pubblica istruzione»;
valutate le norme contenute all'articolo 8 del disegno di legge, relative ai principi e criteri da seguire per l'emanazione del regolamento che disciplina il riconoscimento di titoli di studio stranieri;
segnalato che la materia del provvedimento è oggetto di disciplina da parte di numerosi accordi bilaterali, sottoscritti dall'Italia con Paesi non appartenenti all'Unione europeo, nonché di accordi multilaterali;
esprime

PARERE FAVOREVOLE

con la seguente osservazione:
1) al comma 1 dell'articolo 8 del disegno di legge in esame, valuti la Commissione di merito l'opportunità di sostituire la lettera h) con la seguente:
«h) fatte salve le norme contenute in accordi bilaterali e multilaterali siglati dall'Italia, le norme vigenti, eventualmente in contrasto con le norme del regolamento di cui al presente articolo, sono abrogate con effetto dall'entrata in vigore del regolamento stesso.».


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ALLEGATO 2

Interrogazione n. 5-01195 Mattarella: Rapporti tra Unione Europea e Bielorussia sul regime dei visti.

TESTO DELLA RISPOSTA

È noto che, in considerazione della situazione in Bielorussia, e in particolare della insufficiente tutela dei diritti e delle libertà fondamentali, la UE (Consiglio Affari Generali) fin dal settembre 1997 ha limitato i contatti bilaterali a livello governativo, riservandoli alla Presidenza e alla Troika e sospeso la ratifica degli accordi di partenariato e commercio sottoscritti con Minsk, «congelando» i programmi di assistenza tecnica a carattere non umanitario. Dopo le elezioni presidenziali del marzo 2006 il suddetto regime sanzionatorio è stato confermato ed inoltre è stato imposto un visa-ban (aprile 2006).
A marzo di quest'anno la Bielorussia ha chiesto alla Commissione UE di aprire un negoziato per la conclusione di un accordo per la semplificazione delle procedure relative al rilascio dei visti e di un accordo di riammissione.
La Commissione ha però respinto, a nome dell'Unione, la richiesta di Minsk in quanto non sussistono, allo stato attuale, le condizioni per avviare un negoziato in materia di visti tra l'UE e la Biolorussia.
Il Programma dell'Aja del 4-5 novembre 2004 ed il documento della Commissione sull'«Approccio comune alla concessione facilitata di visti» stabiliscono infatti in maniera chiara i requisiti che devono essere soddisfatti per l'avvio di negoziati in materia di visti. Requisiti che riguardano l'esistenza di un accordo di riammissione, tutta una serie di valutazioni di politica estera, lo stato di applicazione di eventuali accordi bilaterali esistenti e progressi raggiunti nei settori della giustizia, libertà civili e sicurezza, un apprezzamento dei flussi migratori nonché valutazioni dell'impatto dell'accordo di facilitazione.
Questi requisiti non sono, al momento, soddisfatti nel caso della Bielorussia.
Inoltre, il 21 giugno scorso è entrata in vigore la decisione del Consiglio di sospendere Minsk dal beneficio dei Sistema di Preferenze Generalizzate (SPG), a causa delle ripetute violazioni delle libertà sindacali e di associazione.
Negli ultimi tempi, la Commissione ha fatto stato di un approccio maggiormente collaborativo da parte bielorussa, senza tuttavia poter registrare miglioramenti sostanziali.
Il citato documento della Commissione «What the EU eould bring to Belarus» indica, con esempi concreti, i vantaggi che deriverebbero per le autorità bielorusse qualora si producessero miglioramenti sostanziali in materia di rispetto dei diritti umani. Ad esempio, vengono citati le agevolazioni commerciali, il sostegno alle fasce deboli della popolazione e la cooperazione transfrontaliera; mancano tuttavia riferimenti alla possibilità di un accordo sui visti.
L'avvio di negoziati in materia di visti con Minsk rappresenterebbe, d'altra parte, come per tutti i partners con i quali sono stati intrapresi negoziati di questo genere, la tappa di un percorso di graduale approfondimento delle relazioni fra la UE e la Bielorussia.
Un percorso che prevede, come condizione essenziale, la previa definizione di una cornice giuridica nelle relazioni con l'UE. Questa cornice giuridica attualmente


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non esiste, dato che non vi sono Trattati che regolino la cooperazione fra la UE e la Bielorussia.
L'Italia sostiene la posizione dell'UE, a condizione che le autorità bielorusse mostrino dei reali progressi nel rispetto dei diritti dell'uomo. La politica UE, infatti, non è di chiusura, bensì è basata su un doppio binario: mantenimento delle misure restrittive in vigore, ma al tempo stesso apertura al dialogo qualora da parte di Minsk si dovessero verificare gli sviluppi attesi.
L'Italia è infatti consapevole che la situazione complessiva delle libertà democratiche e della tutela dei diritti umani in Bielorussia è comunque ancora molto preoccupante: condanniamo, da ultimo, gli arresti e fermi di militanti dell'opposizione in occasione della manifestazione del 25 marzo scorso. Irrisolto è inoltre il caso dell'esponente dell'opposizione (e candidato alle elezioni presidenziali del marzo 2006) Kozulin, ancora in carcere nonostante le pressioni della comunità internazionale.
La volontà italiana è, pertanto, di continuare a svolgere un ruolo positivo e costruttivo (di cui Minsk è consapevole), con l'obiettivo di sviluppare il dialogo UE-Bielorussia. L'Italia si farà parte attiva affinché la Commissione proceda a regolari valutazioni dell'adempimento da parte bielorussa dei suoi obblighi, al fine di poter registrare tempestivamente eventuali sviluppi che potrebbero condurre ad un riesame della situazione, al di là di generiche dichiarazioni di disponibilità.


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ALLEGATO 3

Interrogazione n. 5-01196 Mantovani: Caso di cittadini italiani arrestati a Nuova Delhi per detenzione di stupefacenti.

Interrogazione n. 5-01197 Foti: Caso di cittadini italiani arrestati a Nuova Delhi per detenzione di stupefacenti.

TESTO DELLA RISPOSTA

Il caso dei connazionali Angelo Falconi e Simone Nobile, tratti in arresto dalle Autorità di Polizia indiane il 10 marzo 2007 a Mandi (Stato dell'Himachal Pradesh) con l'accusa di detenzione di sostanze stupefacenti finalizzata allo spaccio, è stato seguito fin dal suo sorgere con la massima attenzione sia dal Ministero degli affari esteri sia dall'Ambasciata d'Italia a New Delhi.
Non appena venuta a conoscenza del succitato arresto, la Rappresentanza, in contatto con le famiglie dei connazionali, ha provveduto a fornire agli stessi ogni possibile assistenza, indicando, in particolare, nominativi di avvocati favorevolmente noti che potessero assicurare agli interessati adeguata difesa.
L'Ambasciata ha altresì già effettuato una visita consolare in carcere si è adoperata affinché i nostri connazionali fossero messi nella condizione di comunicare con i loro legali e con i congiunti in Italia.
Un passaggio fondamentale della vicenda giudiziaria dei signori Falconi e Nobile, sarà ora la conclusione della fase istruttoria che, conformemente alla normativa vigente in India, dovrebbe concludersi al più tardi nel prossimo mese di settembre.
Entro tale termine, sarà, pertanto, disposto o meno il rinvio a giudizio degli interessati.
Al riguardo, l'Ambasciata ha di recente svolto un ulteriore intervento presso le competenti Autorità locali al fine di sollecitare una conclusione delle indagini quanto più rapida possibile.
Il Ministero degli affari esteri continuerà naturalmente a monitorare i seguiti del procedimento giudiziario e a fornire ogni utile assistenza ai nostri connazionali.


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ALLEGATO 4

Interrogazione n. 5-01198 De Zulueta: Sull'uccisione di civili in Afghanistan.

TESTO DELLA RISPOSTA

Il Governo italiano ha già riferito, il 21 giugno 2007, sui seguiti che sono stati dati all'ordine del giorno menzionato dall'onorevole interrogante. Mi limito quindi, per quanto riguarda questo specifico aspetto, a rinviare al contenuto di questa relazione, che allego alla mia risposta.
Vorrei invece aggiungere alcune parole per quanto riguarda il Fondo della NATO menzionato nella interrogazione.
Il Fondo umanitario post-operazioni di ISAF (POHRF) istituito dall'Alleanza nello scorso anno è gestito dal Comandante di ISAF per finanziare progetti di assistenza umanitaria nelle zone in cui si siano appena svolte operazioni militari di ampia portata che abbiano arrecato danni ai civili. Esso non viene utilizzato per risarcimenti diretti alle vittime dei «danni collaterali» ma bensì per finanziare operazioni di assistenza (acquisto di medicine, derrate alimentari, attrezzature per l'edilizia eccetera) ovvero per effettuare riparazioni di infrastrutture danneggiate nel corso dei combattimenti.
Il fondo, alimentato da contributi volontari degli stati membri (Paesi Bassi e repubblica Ceca ne sono i principali donatori), ammonta a circa 550.000 euro, la metà dei quali è stata già utilizzata per finanziare iniziative umanitarie in aree rurali delle province di Kandahar e Helmand, a margine delle operazioni Baaz Tsuka ed Achille, nonché a seguito dei combattimenti attorno al villaggio di Musa Kala.
Nelle valutazioni della NATO il fondo ha prodotto effetti complessivamente in linea con le aspettative, soprattutto nei distretti di Panjwayi e Zharey. I fondi impiegati hanno infatti contribuito al rientro degli abitanti nei rispettivi villaggi al termine dell'operazione Baaz Tsuka, rendendo nel contempo disponibili cure mediche di base a favore della popolazione.
L'opportunità politica di una contribuzione italiana al fondo e le eventuali modalità amministrative sono attualmente oggetto di valutazione presso il Ministero degli affari esteri.
Mentre appaiono indubbiamente rilevanti i potenziali benefici di questo strumento, altamente operativo, sul piano del consenso delle popolazioni locali nei confronti dell'Alleanza, resta da valutare il rischio di una lettura del Fondo come ammissione di inevitabilità, che noi non condividiamo, di danni alle popolazioni civili derivanti dalle operazioni militari alleate.
Per quanto concerne il secondo aspetto, essendo escluso per ragioni normative il ricorso ai fondi della cooperazione della legge 49, sembrerebbe opportuno che gli eventuali stanziamenti a favore del Fondo fossero inclusi nel nuovo decreto di finanziamento delle missioni italiane all'estero o disposti da un decreto ad hoc.


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ALLEGATO 5

Interrogazione n. 5-01199 Mellano: Sulla sorte degli esiliati laotiani in Thailandia.

TESTO DELLA RISPOSTA

L'Italia segue con grande attenzione l'evolversi della situazione dei diritti umani in Laos. Va peraltro rilevato che la nostra attività in Laos, in assenza di un'Ambasciata italiana a Vientiane, si esplica attraverso l'Ambasciata in Bangkok, ciò che rende più rilevante per noi la collaborazione con la rappresentanza della Commissione europea e con le altre Missioni europee.
Di concerto con i partner europei, il Governo italiano ha avviato un dialogo critico con le Autorità di Vientiane che prevede, da un lato, un sostegno allo sviluppo economico e sociale del Paese attraverso il finanziamento di progetti di cooperazione, e dall'altro, l'assunzione di impegni delle Autorità locali su temi sensibili, quale quello dei diritti umani.
A seguito di queste pressioni, secondo quanto riferito dai Capi missione UE nel loro più aggiornato rapporto sulla situazione politica ed economica del Paese (marzo 2007), il Laos starebbe lentamente abbandonando la precedente politica di chiusura nei confronti dei diritti umani (stigmatizzati nel passato quale strumento adoperato dall'Occidente per destabilizzare i Paesi comunisti), mostrando una graduale disponibilità ad affrontare e discutere tali tematiche nell'ambito dei canali di dialogo con l'UE.
Il Paese attraversa infatti una fase di transizione, caratterizzata dal confronto, all'interno del Governo laotiano, tra la linea conservatrice del Politburo (che continua a detenere la sostanza del potere politico) e quella orientata al riformismo del gruppo di politici di «nuova generazione» recentemente approdato al Governo (che vede confinata la propria azione all'attuazione delle direttive del Politburo).
Nel quadro del monitoraggio della situazione dei diritti umani nel Laos, l'Italia e gli altri Stati membri dell'Unione Europea seguono con particolare attenzione il trattamento riservato alla minoranza Hmong.
La questione ha le sue radici nella cosiddetta «guerra d'Indocina» (1945-1975), nel cui contesto la minoranza Hmong si divise tra coloro che si schierarono a favore della monarchia laotiana e coloro che appoggiarono il movimento del Pathet Lao.
Con la vittoria di quest'ultimo, gli sconfitti Hmong furono oggetto di persecuzioni e costretti alla fuga, chi verso le zone più remote del Paese (da dove alcuni di essi portano avanti, ancora oggi, una forma di guerriglia a bassa intensità contro il Governo), chi all'estero, in particolare verso la vicina Tailandia. A seguito di tale flusso, la provincia tailandese di Petchabun ospita oggi un campo di rifugiati Hmong, che, seppur non riconosciuto dalle Autorità di Bangkok, è cresciuto nel tempo sino a contenere circa 8.000 persone.
I Capi missione europei a Vientiane hanno registrato, a partire da metà 2006, un atteggiamento più cooperativo e costruttivo da parte del Laos, che ha riconosciuto la questione dei rifugiati Hmong come problema comune da affrontare di concerto con Bangkok e con l'assistenza dell'UE.
In questa nuova prospettiva, sono stati compiuti progressi sulla questione: negli ultimi sei mesi il Governo ha annunciato


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ufficialmente il rimpatrio di due gruppi di rifugiati (presentati ai media, per la prima volta, come «emigrati economici») ed ha organizzato, lo scorso 7 marzo, presso l'Ufficio Stampa del Ministero degli affari esteri laotiano, due incontri tra rimpatriati, diplomatici e giornalisti; è stato inoltre garantito l'accesso ai villaggi Hmong ad una ONG francese; infine, riguardo al caso - segnalato dall'onorevole interrogante - dei 27 bambini (tra cui 21 ragazze) trasferiti illegalmente in Laos dalla polizia di frontiera tailandese e dei quali si erano perse le tracce, le Autorità laotiane hanno ufficialmente identificato gli «scomparsi» e promesso di adoperarsi affinché essi siano riuniti ai loro genitori.
Nonostante tali segnali positivi, il contemporaneo fallito tentativo di rimpatrio di 153 Hmong (tra cui 85 bambini), detenuti in un centro di immigrazione nel nord-est dei Tailandia ed ai quali era stato riconosciuto lo status di rifugiati dall'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), sembra avere momentaneamente interrotto la «fase cooperativa».
Simili difficoltà sono state riscontrate in recenti colloqui tra i Capi missione UE e funzionari laotiani di alto livello, risultati nei fatti poco concludenti. A sua volta, l'UNHCR ha lanciato un'iniziativa volta a trovare una soluzione duratura al problema degli 8000 Hmong profughi in Tailandia, proponendo di selezionare gli Hmong al fine di destinarne alcuni in Paesi terzi ed altri - secondo gli osservatori dell'UNHCR, la maggioranza - in Laos. Ciononostante, nell'analisi dei Capi Missione UE emerge come le Autorità laotiane accolgano con forte scetticismo l'ipotesi di un ruolo dell'UNHCR in questa vicenda.
A testimonianza dell'attenzione riservata alla situazione dei Hmong, la Presidenza tedesca dell'UE ha effettuato un passo presso le Autorità laotiane, lo scorso 19 giugno 2007, per richiedere di fare chiarezza sui recenti episodi di rimpatrio forzato di Hmong dalla Tailandia al Laos evocati dall'onorevole interrogante, anche in considerazione delle ripetute assicurazioni fornite da Vientiane sull'impegno a trattare gli Hmong di ritorno dall'estero con umanità ed a favorirne il re-inserimento nella società laotiana.
Più in generale, è stata rappresentata alle Autorità laotiane l'opportunità di una maggiore trasparenza sulla questione, che consenta soprattutto l'accesso ai luoghi dove sono stanziati gli Hmong.
Da parte sua, il Governo laotiano ha fornito le consuete assicurazioni sul non utilizzo della forza nelle operazioni di rimpatrio degli Hmong e sulla disponibilità a concedere l'accesso alla stampa ed alla comunità diplomatica, ribadendo tuttavia la politica di chiusura riguardo ad un coinvolgimento dell'UNHCR.
Occorre infine sottolineare come l'alternarsi di aperture e chiusure da parte di Vientiane vada ricondotta alla delicatezza ed alla complessità della questione Hmong sulla quale esistono diverse e talora contrapposte, sensibilità all'interno del Governo laotiano.
Alla luce di questi elementi, gli Ambasciatori europei ritengono opportuno che l'UE prosegua nella sua politica di continua pressione sulle Autorità del Laos, mantenendo regolari canali di dialogo, incoraggiando i segnali di apertura e offrendo la propria assistenza tramite programmi di cooperazione.