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CAMERA DEI DEPUTATI
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N. 4 |
1. Un ricorso crescente alla guerra.
A partire dalla fine degli anni ottanta del secolo scorso, dopo la conclusione della «guerra fredda», abbiamo assistito a un ricorso crescente alla forza militare, quasi esclusivamente da parte delle potenze occidentali: l'occupazione di Panama per il controllo del canale, la guerra del Golfo, l'invasione di Haiti, gli interventi militari in Somalia e in Ruanda, le due guerre balcaniche della Bosnia e del Kosovo, l'Afghanistan. Da ultimo, il progetto degli Stati Uniti di un attacco militare contro l'Iraq: un attacco che potrà avere conseguenze incalcolabili in termini di perdite di vite umane, di distruzioni di strutture civili, di devastazioni ambientali.
Nel corso di questi conflitti, anche a causa dell'uso di armi di distruzione di massa sempre più potenti e sofisticate, centinaia di migliaia di persone innocenti hanno perso la vita, sono state mutilate o ferite, hanno visto distrutti i loro affetti e i loro beni. Altre centinaia di migliaia di civili sono morte per fame o per malattie a causa degli embarghi, primo fra tutti quello contro l'Iraq. A questo flagello vanno aggiunte le persecuzione del popolo palestinese, le continue violenze contro i ceceni, i curdi, i tibetani e molti altri popoli emarginati ed oppressi, e, infine, le atrocità del terrorismo internazionale. All'escalation di odio, di dolore, di distruzione e di morte ha corrisposto l'inerzia e l'impotenza delle istituzioni internazionali che dovrebbero operare per la pace, anzitutto delle Nazioni Unite.
2. Contro la normalizzazione costituzionale della guerra.
La nostra Costituzione, all'articolo 11, stabilisce che «L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali». Questa norma non solo è stata ripetutamente violata nel corso dell'ultimo decennio, ma si è affermata una tendenza a considerarla normativamente inesistente, come se fosse ormai del tutto desueta. È in corso, in altre parole, un'operazione politica e giuridica di normalizzazione costituzionale della guerra che intende privare l'articolo 11 della Costituzione di ogni valore vincolante. Esso conserva al più - si sostiene - un significato programmatico: è un nobile auspicio per tempi migliori. È ormai un coro unanime in questo senso: il Presidente del Consiglio dei ministri Berlusconi ha apertamente sostenuto questa tesi, ispirandosi ad un documento del Pentagono, nel suo discorso alla Camera dei deputati del 25 settembre scorso. Massimo D'Alema, sin dalla partecipazione dell'Italia alla guerra per il Kosovo, ha dichiarato che la sinistra deve liberarsi di ogni arcaico «tabù pacifista». Più recentemente, una delle massime autorità dello Stato - il presidente della Camera dei deputati, Pier Ferdinando Casini - ha sostenuto che il ripudio costituzionale
3. Una iniziativa di legge popolare contro la guerra.
Il progetto di legge d'iniziativa popolare che viene qui presentato - recante «Norme per l'attuazione del principio del ripudio della guerra sancito dall'articolo 11 della Costituzione e dallo Statuto dell'ONU» - chiede al Parlamento l'approvazione di una serie di garanzie che rendano operante l'articolo 11 della Costituzione, ne consentano una effettiva applicazione e prevedano rigorose sanzioni delle sue violazioni. Il progetto di legge si compone di cinque articoli.
L'articolo 1 (Ripudio della guerra) si richiama direttamente alla prescrizione dell'articolo 11 della Costituzione che bandisce l'uso della guerra in ogni sua forma (comma 1) e propone una definizione di «guerra» (comma 2) coerente con il dettato costituzionale e con lo Statuto dell'ONU. Al comma 3, richiamando congiuntamente l'articolo 52 della Costituzione e l'articolo 51 dello Statuto dell'ONU, viene affermato un principio di grande valore. L'uso della forza militare, consentito dall'articolo 52, per la difesa della patria da aggressioni esterne, è la sola eccezione ammessa sia all'articolo 11 della nostra Costituzione, sia alla generale normativa dello Statuto dell'ONU, che riserva al Consiglio di sicurezza il potere di usare la forza internazionale. L'eccezione prevista dall'articolo 51 dello Statuto dell'ONU riguarda il diritto di difesa di uno Stato attaccato militarmente da un altro Stato. In questo caso lo Stato aggredito può usare la forza per difendersi dall'attacco in atto, in attesa che intervenga direttamente il Consiglio di sicurezza e prenda, a sua discrezione, le misure necessarie per il ristabilimento della pace. È chiaro, fra l'altro, che un atto terroristico, per grave che sia, non rientra tra i presupposti della guerra di legittima difesa, previsti dalla Costituzione italiana e dallo Statuto dell'ONU. È infatti un atto criminale, che richiede l'identificazione, la cattura e la punizione dei colpevoli, e non certo la risposta illegittima della guerra, idonea a provocare migliaia di vittime innocenti e non, come l'esperienza dimostra, a sconfiggere le organizzazioni terroristiche.
L'articolo 2 (Prevenzione dei conflitti), al comma 1, conferma l'impegno dell'Italia alla cooperazione internazionale per il mantenimento della pace, incluse le missioni di peacekeeping, e cioè di interposizione
1. La realizzazione di un ordinamento internazionale che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni, di cui all'articolo 11 della Costituzione, non può essere perseguita facendo ricorso allo strumento della guerra.
2. Per «guerra» si intende qualunque intervento armato di uno o più Stati che, a causa del ricorso massiccio alla violenza, sia idoneo a provocare la morte, la mutilazione o il ferimento di persone innocenti o a produrre distruzioni indiscriminate o a causare gravi alterazioni dell'ambiente naturale.
3. La difesa della patria, di cui all'articolo 52 della Costituzione, si esercita nell'ambito delle disposizioni dell'articolo 51 dello Statuto dell'Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU).
1. L'Italia coopera alla soluzione pacifica delle controversie internazionali, a norma del capo VI dello Statuto dell'ONU.
2. Fino a quando non avranno attuazione gli articoli 43, 45 e 47 dello Statuto dell'ONU, l'Italia potrà fornire soltanto formazioni non armate, nonché contingenti militari per il mantenimento della pace («caschi blu») con il consenso delle parti interessate. I relativi accordi dovranno essere autorizzati dalle Camere in conformità all'articolo 80 della Costituzione.
1. Le Forze armate italiane non possono compiere interventi militari all'estero in contrasto con le disposizioni di cui agli articoli 1 e 2.
2. I fatti commessi nel corso di operazioni militari all'estero, eseguite in violazione delle disposizioni di cui sopra, sono regolati dal diritto penale comune.
3. I fatti illeciti e le conseguenze dannose connesse ad operazioni militari non possono essere sottratti al sindacato giurisdizionale.
1. In attuazione del Trattato di non proliferazione delle armi nucleari, ratificato ai sensi della legge 24 aprile 1975, n. 131, della Convenzione che vieta la fabbricazione e l'immagazzinamento di armi batteriologiche e tossiche, ratificata ai sensi della legge 8 ottobre 1974, n. 618, della Convenzione che mette al bando la produzione, lo sviluppo e l'immagazzinamento delle armi chimiche, ratificata ai sensi della legge 18 novembre 1995, n. 496, sono vietati la produzione, l'introduzione e il transito nel territorio nazionale delle armi biologiche, chimiche e nucleari, nonché la loro fornitura ai Paesi esteri.
2. Il divieto di cui al comma 1 si estende alle mine anti-uomo, alle bombe a grappolo, ai proiettili e alle munizioni all'uranio impoverito e a ogni altro sistema d'arma il cui uso sia vietato dalle convenzioni internazionali.
3. Salvo che il fatto costituisca piu grave reato, le violazioni del presente articolo sono punite ai sensi dell'articolo 435 del codice penale.
1. L'Italia fornisce piena collaborazione all'attività della Corte penale internazionale, istituita a Roma il 17 luglio 1998, ai sensi degli articoli 88 e seguenti dello statuto istitutivo della medesima Corte, ratificato ai sensi della legge 12 luglio 1999, n. 232.
2. È fatto divieto di stipulare accordi internazionali volti a sottrarre i cittadini di Paesi terzi alla giurisdizione della Corte penale internazionale.
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