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PDL 4

XV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 4



 

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PROPOSTA DI LEGGE
D'INIZIATIVA POPOLARE

Norme per l'attuazione del principio del ripudio della guerra sancito dall'articolo 11 della Costituzione e dallo Statuto dell'ONU

Presentata alla Camera dei deputati nella XIV legislatura il 17 giugno 2003 e mantenuta all'ordine del giorno ai sensi dell'articolo 107, comma 4, del Regolamento


      

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Onorevoli Deputati!

1. Un ricorso crescente alla guerra.

      A partire dalla fine degli anni ottanta del secolo scorso, dopo la conclusione della «guerra fredda», abbiamo assistito a un ricorso crescente alla forza militare, quasi esclusivamente da parte delle potenze occidentali: l'occupazione di Panama per il controllo del canale, la guerra del Golfo, l'invasione di Haiti, gli interventi militari in Somalia e in Ruanda, le due guerre balcaniche della Bosnia e del Kosovo, l'Afghanistan. Da ultimo, il progetto degli Stati Uniti di un attacco militare contro l'Iraq: un attacco che potrà avere conseguenze incalcolabili in termini di perdite di vite umane, di distruzioni di strutture civili, di devastazioni ambientali.
      Nel corso di questi conflitti, anche a causa dell'uso di armi di distruzione di massa sempre più potenti e sofisticate, centinaia di migliaia di persone innocenti hanno perso la vita, sono state mutilate o ferite, hanno visto distrutti i loro affetti e i loro beni. Altre centinaia di migliaia di civili sono morte per fame o per malattie a causa degli embarghi, primo fra tutti quello contro l'Iraq. A questo flagello vanno aggiunte le persecuzione del popolo palestinese, le continue violenze contro i ceceni, i curdi, i tibetani e molti altri popoli emarginati ed oppressi, e, infine, le atrocità del terrorismo internazionale. All'escalation di odio, di dolore, di distruzione e di morte ha corrisposto l'inerzia e l'impotenza delle istituzioni internazionali che dovrebbero operare per la pace, anzitutto delle Nazioni Unite.

 

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      Le Nazioni Unite sono ormai sottoposte a un permanente ricatto da parte delle massime potenze mondiali, che se ne servono come di uno strumento di legittimazione delle proprie strategie egemoniche. Ma lo Statuto dell'ONU non può essere usato, se non sulla base di una conclamata violazione dello spirito e della lettera delle sue norme, per giustificare la guerra, e tanto meno una «guerra preventiva» come quella che Stati Uniti e Gran Bretagna hanno scatenato contro l'Iraq. Lo Statuto fu un patto solenne con il quale fu messo al bando, come è scritto nel suo preambolo, il ripetersi del «flagello della guerra», che per due volte nel corso di una stessa generazione aveva causato indicibili sofferenze all'umanità. In esso fu definito, contro le minacce alla pace, un complesso di misure, tra le quali l'uso controllato della forza nelle forme e alle condizioni stabilite dal capitolo VII. Fu insomma progettato, al fine di «conseguire con mezzi pacifici la soluzione delle controversie internazionali», il monopolio della forza in capo al Consiglio di sicurezza, attraverso l'istituzione - che però non è stata mai attuata - di organismi militari permanenti alle sue dipendenze, chiamati a svolgere, di fatto, funzioni di polizia internazionale. Oggi quel patto è stato dimenticato.
      In tutti i casi citati le potenze occidentali hanno infatti usato la forza militare ignorando il diritto internazionale e violando i diritti più elementari delle persone. Il bombardamento della televisione di Belgrado, la strage di Mazar-i-Sharif, il lager di Guantanamo sono esempi di un uso criminale della forza internazionale che, molto probabilmente, nessuna Corte penale internazionale avrà mai il potere di sanzionare. E dopo l'attentato terroristico subìto l'11 settembre 2001, gli Stati Uniti hanno elaborato una teoria militare e inaugurato una pratica bellica che presentano aspetti eversivi non solo dello Statuto dell'ONU, ma anche del diritto internazionale generale: basta pensare al carattere preventivo, unilaterale, spazialmente indefinito e temporalmente indeterminato della «nuova guerra» dichiarata dal Presidente Bush contro l'«asse del male».
      Il nostro Paese, per volontà sia di governi di centro-sinistra sia di governi di centro-destra, è stato corresponsabile di una larga parte di questi gravissimi illeciti internazionali, partecipando sistematicamente, con le proprie strutture militari, le proprie armi e le proprie basi, alle aggressioni decise dalle potenze occidentali contro Stati sovrani e contro i loro popoli, per lo più deboli e poveri. Nel farlo i nostri governi e i nostri rappresentanti parlamentari - spesso votando in complicità bipartisan - hanno apertamente violato la Costituzione repubblicana.

2. Contro la normalizzazione costituzionale della guerra.

      La nostra Costituzione, all'articolo 11, stabilisce che «L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali». Questa norma non solo è stata ripetutamente violata nel corso dell'ultimo decennio, ma si è affermata una tendenza a considerarla normativamente inesistente, come se fosse ormai del tutto desueta. È in corso, in altre parole, un'operazione politica e giuridica di normalizzazione costituzionale della guerra che intende privare l'articolo 11 della Costituzione di ogni valore vincolante. Esso conserva al più - si sostiene - un significato programmatico: è un nobile auspicio per tempi migliori. È ormai un coro unanime in questo senso: il Presidente del Consiglio dei ministri Berlusconi ha apertamente sostenuto questa tesi, ispirandosi ad un documento del Pentagono, nel suo discorso alla Camera dei deputati del 25 settembre scorso. Massimo D'Alema, sin dalla partecipazione dell'Italia alla guerra per il Kosovo, ha dichiarato che la sinistra deve liberarsi di ogni arcaico «tabù pacifista». Più recentemente, una delle massime autorità dello Stato - il presidente della Camera dei deputati, Pier Ferdinando Casini - ha sostenuto che il ripudio costituzionale

 

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della guerra non ha più il suo significato originario, che i tempi sono cambiati, che i princìpi costituzionali vanno interpretati in modo flessibile. Per sconfiggere il terrorismo internazionale anche l'Italia deve impegnarsi ad usare lo strumento della guerra.
      Si tratta di una tendenza molto grave e tanto più pericolosa perché è largamente sostenuta dai grandi mezzi di comunicazione di massa, controllati dal duplice monopolio multimediale, pubblico e privato, di cui è titolare il Presidente del Consiglio dei ministri italiano. Contro gli apologeti della guerra, la pace deve essere considerata un bene fondamentale del popolo italiano: un bene che né il Parlamento, né il Governo dovrebbero mai mettere in discussione. Parlamento e Governo dovrebbero, al contrario, impegnarsi a realizzarlo collaborando alla costruzione delle condizioni politiche ed economiche generali che rendano meno spietati e violenti - meno «terroristici» - i rapporti fra le nazioni.
      Il ripudio della guerra appartiene in dote al popolo italiano. E al popolo italiano spetta oggi la responsabilità di ripristinarlo, delegittimando le scelte in senso contrario del Governo e del Parlamento. Per questo, oggi più che mai, è importante che una larga mobilitazione politica impugni la bandiera dell'articolo 11 della Costituzione, una bandiera che i bipartisan di casa nostra hanno irresponsabilmente ammainato.
      Uno strumento che può promuovere una vasta iniziativa popolare contro la guerra è quello apprestato dall'articolo 71 della Costituzione: una proposta di legge d'iniziativa popolare, redatta in articoli, e firmata da almeno cinquantamila elettori.

3. Una iniziativa di legge popolare contro la guerra.

      Il progetto di legge d'iniziativa popolare che viene qui presentato - recante «Norme per l'attuazione del principio del ripudio della guerra sancito dall'articolo 11 della Costituzione e dallo Statuto dell'ONU» - chiede al Parlamento l'approvazione di una serie di garanzie che rendano operante l'articolo 11 della Costituzione, ne consentano una effettiva applicazione e prevedano rigorose sanzioni delle sue violazioni. Il progetto di legge si compone di cinque articoli.
      L'articolo 1 (Ripudio della guerra) si richiama direttamente alla prescrizione dell'articolo 11 della Costituzione che bandisce l'uso della guerra in ogni sua forma (comma 1) e propone una definizione di «guerra» (comma 2) coerente con il dettato costituzionale e con lo Statuto dell'ONU. Al comma 3, richiamando congiuntamente l'articolo 52 della Costituzione e l'articolo 51 dello Statuto dell'ONU, viene affermato un principio di grande valore. L'uso della forza militare, consentito dall'articolo 52, per la difesa della patria da aggressioni esterne, è la sola eccezione ammessa sia all'articolo 11 della nostra Costituzione, sia alla generale normativa dello Statuto dell'ONU, che riserva al Consiglio di sicurezza il potere di usare la forza internazionale. L'eccezione prevista dall'articolo 51 dello Statuto dell'ONU riguarda il diritto di difesa di uno Stato attaccato militarmente da un altro Stato. In questo caso lo Stato aggredito può usare la forza per difendersi dall'attacco in atto, in attesa che intervenga direttamente il Consiglio di sicurezza e prenda, a sua discrezione, le misure necessarie per il ristabilimento della pace. È chiaro, fra l'altro, che un atto terroristico, per grave che sia, non rientra tra i presupposti della guerra di legittima difesa, previsti dalla Costituzione italiana e dallo Statuto dell'ONU. È infatti un atto criminale, che richiede l'identificazione, la cattura e la punizione dei colpevoli, e non certo la risposta illegittima della guerra, idonea a provocare migliaia di vittime innocenti e non, come l'esperienza dimostra, a sconfiggere le organizzazioni terroristiche.
      L'articolo 2 (Prevenzione dei conflitti), al comma 1, conferma l'impegno dell'Italia alla cooperazione internazionale per il mantenimento della pace, incluse le missioni di peacekeeping, e cioè di interposizione

 

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armata con il consenso delle parti interessate. Ma afferma anche, al comma 2, un principio di grande importanza. Afferma che qualsiasi «missione» che comporti l'uso della forza e non risponda alle rigorose previsioni degli articoli 43, 45 e 47 dello Statuto dell'ONU deve essere considerata illegale. Questi articoli prevedono che l'uso della forza, eventualmente deliberato dal Consiglio di sicurezza, deve essere affidato a contingenti militari posti sotto la sua diretta responsabilità e sorveglianza, con l'assistenza di un Comitato di stato maggiore permanente. Queste previsioni, come è noto, non sono mai divenute effettive ed è invalsa la prassi di «appaltare» l'uso della forza alle grandi potenze interessate ad esercitarla. La conseguenza è stata che il Consiglio di sicurezza si è spesso limitato a legittimare ex ante o, più spesso, ex post guerre di aggressione che le potenze interessate avrebbero comunque condotto - o avevano già condotto - in ossequio alle proprie convenienze strategiche.
      L'articolo 3 (Inammissibilità di ulteriori interventi armati), al comma 1, vieta qualsiasi intervento militare all'estero da parte delle Forze armate italiane in violazione delle norme contenute nei due articoli precedenti e, ai commi 2 e 3, prevede specifiche sanzioni per tali violazioni.
      L'articolo 4 (Armi vietate dalle convenzioni internazionali), ai commi 1 e 2, in applicazione di vari trattati internazionali ratificati dal nostro Paese, vieta non solo l'uso ma anche la produzione, il transito nel nostro Paese e l'esportazione di armi biologiche, chimiche e nucleari ed estende questo divieto alle «bombe a grappolo», ai proiettili all'uranio impoverito e alla mine anti-uomo. Bombe a grappolo e proiettili all'uranio impoverito sono stati largamente usati dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna sia nella guerra del Golfo del 1991, sia nelle due guerre balcaniche, dal 1992 al 1999, sia, infine, in Afghanistan, con effetti che, secondo molti osservatori, sono stati gravissimi - e lo sono ancora - per le vite umane e per l'ambiente naturale. Le mine anti-uomo sono state recentemente bandite da un trattato multilaterale al quale solo gli Stati Uniti, fra i Paesi occidentali, si sono rifiutati di aderire. Le industrie belliche italiane ne hanno prodotto per decenni grandissime quantità e le mine italiane, fra le più pericolose, sono ancora sparse, in centinaia di migliaia, nel territorio dell'Afghanistan.
      L'articolo 5 (Cooperazione con la Corte penale internazionale), al comma 1, conferma la collaborazione del nostro Paese con la Corte penale internazionale recentemente entrata in funzione (luglio 2002), nonostante l'opposizione degli Stati Uniti. La Corte ha il compito di perseguire gravi illeciti internazionali come i crimini contro l'umanità, i crimini di guerra, il genocidio, i crimini contro la pace. Nello stesso tempo, vietando, al comma 2, che l'Italia possa stipulare accordi per sottrarre cittadini di Paesi terzi alla giurisdizione della Corte, questo articolo intende reagire sia al sabotaggio della Corte che gli Stati Uniti hanno orchestrato sfruttando l'articolo 98 del suo Statuto, sia alla complicità del Governo italiano con il sabotaggio statunitense.
 

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PROPOSTA DI LEGGE
D'INIZIATIVA POPOLARE

Art. 1.
(Ripudio della guerra).

      1. La realizzazione di un ordinamento internazionale che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni, di cui all'articolo 11 della Costituzione, non può essere perseguita facendo ricorso allo strumento della guerra.
      2. Per «guerra» si intende qualunque intervento armato di uno o più Stati che, a causa del ricorso massiccio alla violenza, sia idoneo a provocare la morte, la mutilazione o il ferimento di persone innocenti o a produrre distruzioni indiscriminate o a causare gravi alterazioni dell'ambiente naturale.
      3. La difesa della patria, di cui all'articolo 52 della Costituzione, si esercita nell'ambito delle disposizioni dell'articolo 51 dello Statuto dell'Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU).

Art. 2.
(Prevenzione dei conflitti).

      1. L'Italia coopera alla soluzione pacifica delle controversie internazionali, a norma del capo VI dello Statuto dell'ONU.
      2. Fino a quando non avranno attuazione gli articoli 43, 45 e 47 dello Statuto dell'ONU, l'Italia potrà fornire soltanto formazioni non armate, nonché contingenti militari per il mantenimento della pace («caschi blu») con il consenso delle parti interessate. I relativi accordi dovranno essere autorizzati dalle Camere in conformità all'articolo 80 della Costituzione.

 

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Art. 3.
(Inammissibilità di ulteriori
interventi armati).

      1. Le Forze armate italiane non possono compiere interventi militari all'estero in contrasto con le disposizioni di cui agli articoli 1 e 2.
      2. I fatti commessi nel corso di operazioni militari all'estero, eseguite in violazione delle disposizioni di cui sopra, sono regolati dal diritto penale comune.
      3. I fatti illeciti e le conseguenze dannose connesse ad operazioni militari non possono essere sottratti al sindacato giurisdizionale.

Art. 4.
(Armi vietate dalle convenzioni
internazionali).

      1. In attuazione del Trattato di non proliferazione delle armi nucleari, ratificato ai sensi della legge 24 aprile 1975, n. 131, della Convenzione che vieta la fabbricazione e l'immagazzinamento di armi batteriologiche e tossiche, ratificata ai sensi della legge 8 ottobre 1974, n. 618, della Convenzione che mette al bando la produzione, lo sviluppo e l'immagazzinamento delle armi chimiche, ratificata ai sensi della legge 18 novembre 1995, n. 496, sono vietati la produzione, l'introduzione e il transito nel territorio nazionale delle armi biologiche, chimiche e nucleari, nonché la loro fornitura ai Paesi esteri.
      2. Il divieto di cui al comma 1 si estende alle mine anti-uomo, alle bombe a grappolo, ai proiettili e alle munizioni all'uranio impoverito e a ogni altro sistema d'arma il cui uso sia vietato dalle convenzioni internazionali.
      3. Salvo che il fatto costituisca piu grave reato, le violazioni del presente articolo sono punite ai sensi dell'articolo 435 del codice penale.

 

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Art. 5.
(Cooperazione con la
Corte penale internazionale).

      1. L'Italia fornisce piena collaborazione all'attività della Corte penale internazionale, istituita a Roma il 17 luglio 1998, ai sensi degli articoli 88 e seguenti dello statuto istitutivo della medesima Corte, ratificato ai sensi della legge 12 luglio 1999, n. 232.
      2. È fatto divieto di stipulare accordi internazionali volti a sottrarre i cittadini di Paesi terzi alla giurisdizione della Corte penale internazionale.


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