PDL 9
XV LEGISLATURA
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PROPOSTA DI LEGGE
D'INIZIATIVA POPOLARE
Diritto delle bambine e dei bambini all'educazione
e all'istruzione dalla nascita fino a sei anni
Presentata alla Camera dei deputati nella XIV legislatura il 1o giugno 2005 e mantenuta all'ordine del giorno ai sensi dell'articolo 107, comma 4, del Regolamento
Onorevoli Deputati! - La presente proposta di legge ha come proprie premesse i mutamenti intervenuti in questi decenni nella vita dei bambini e delle loro famiglie, nonché il rapporto tra le politiche pubbliche e il modo di concepire i diritti e i bisogni dell'infanzia e dei genitori.
C'è un nesso forte tra politiche pubbliche e nuovi diritti. Occorrono più politiche pubbliche e nuove politiche pubbliche.
Il cambiamento del mercato del lavoro, introdotto dall'ingresso delle donne, e il cambiamento dell'economia con l'avvento della società della conoscenza, fanno dei servizi educativi all'infanzia una leva decisiva del
welfare.
L'intervento sul capitale umano dei bambini costituisce sia una moderna lotta alle disuguaglianze che un moderno sostegno alle donne e ai genitori.
La scelta dell'ottica «zerosei», che ridisegna il sistema dei servizi integrati dell'infanzia e la scelta del nido quale servizio educativo e non più a domanda individuale, rappresentano sia l'assunzione piena da parte delle politiche pubbliche di quei diritti, che le risposte a quei mutamenti.
Il testo di legge è il risultato di una riflessione su ciò che sta avvenendo nei Paesi europei, a partire dall'obiettivo posto dalla Comunità europea di raggiungimento del 33 per cento di posti nido entro il 2010; sulle leggi precedenti, a partire dalla legge n. 1044 del 1971; sulle proposte presentate in questi anni; sulle ultime sentenze della Corte costituzionale in materia di asili nido, che hanno finalmente riconosciuto la natura educativa del nido come servizio di interesse pubblico; sulla riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione; sull'eccellenza maturata nei nidi e nelle scuole dell'infanzia in Italia; sulle concrete esperienze di coordinamento
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delle autonomie locali, nonché su quelle maturate nelle gestioni pubbliche e private.
Il modo di guardare all'infanzia e all'adolescenza condiziona il modo di essere delle culture politiche, delle scelte delle politiche pubbliche e il rapporto tra vita privata e vita pubblica. Così come questo punto di vista influisce non poco su come le generazioni hanno coscienza di sé, della loro autonomia, dei loro reciproci legami e responsabilità, dell'insieme delle politiche di
welfare e dei rapporti familiari. A loro volta l'insieme delle idee che riguardano l'infanzia e l'adolescenza non possono essere colte isolandole dal contesto sociale, ma vanno collegate ai fenomeni economici, demografici e politici.
La politicità delle questioni che riguardano la vita e le esperienze dei bambini e degli adolescenti consiste in questo intreccio e costituisce la chiave di lettura del rapporto tra le famiglie, le comunità e lo Stato.
Fra i passaggi ritenuti più importanti nella storia della concezione sia dell'infanzia che della vita concreta dei bambini, sono da includere la diffusione dell'idea che tutti i bambini debbano vivere con agio la loro età e la promozione di misure adeguate quale quella contro la mortalità infantile, il controllo e la restrizione del lavoro minorile, nonché l'introduzione dell'obbligo scolastico.
L'innovazione più significativa avviene nel XX secolo. Il secolo trascorso è stato chiamato il «secolo del bambino». La Carta dei diritti del fanciullo del 1989, ratificata da un numero di Paesi mai raggiunto da nessuna convenzione internazionale, ne è stata la sintesi più avanzata. Il bambino e l'adolescente sono considerati persone titolari dell'universalità dei diritti propri ad ogni essere umano e con particolari bisogni e interessi, che implicano una specifica tutela. Il modo in cui si è coniugato e si coniuga il rapporto tra pienezza della titolarità dei diritti umani e tutela è proprio sia della sfera della politica, e quindi delle politiche pubbliche, che del rapporto adulti-bambini, a partire dal rapporto genitori-figli.
I bambini e gli adolescenti sono figli, ma il loro essere non si esaurisce in questo rapporto con i genitori. I loro rapporti fondamentali, da quelli affettivi, relazionali, a quelli cognitivi, interni alle famiglie, rappresentano una dimensione necessaria, ma non sufficiente, ad esprimere compiutamente la vita dei bambini e dei ragazzi. Conseguentemente i diritti dell'infanzia, dentro e fuori la famiglia, devono essere intesi quali doveri della sfera pubblica, concepita come l'insieme dei luoghi in cui si sviluppa il senso della comunità, il cui primo nucleo è quello della famiglia.
Tra le famiglie, la società e lo Stato, quindi, non vi deve essere un muro incomunicabile: «l'intimità della vita privata» non può essere scissa dalla dimensione sociale della comunità. Un mondo familiare interamente privatizzato non è adeguato né a rispondere ai diritti e ai bisogni dei bambini, né alle ansie e responsabilità inerenti le loro cure, e confina i genitori in un ambito contrassegnato dalla solitudine e dall'ansia di tutela dei loro figli.
In Italia non si investe sulle politiche pubbliche; l'Italia condivide con gli USA e l'Inghilterra il tasso di povertà minorile più alto nel mondo industrializzato, il suo tasso di istruzione e formazione è tra i più bassi, in particolare per quanto riguarda i laureati. È il Paese che spende di meno per i bambini e le famiglie: solo il 3,6 per cento rispetto ad una media europea dell'8,3 per cento.
La nostra proposta di legge parte da alcune caratteristiche della realtà italiana e dai mutamenti generali che l'Italia condivide con gli altri Paesi industrializzati.
Le caratteristiche italiane sono: un tasso di natalità tra i più bassi del mondo, il più basso tasso di occupazione femminile d'Europa, uno scarso interesse per le politiche di conciliazione tra i tempi della vita e i tempi del lavoro. Ed, infine, un numero insufficiente di servizi per la prima infanzia.
Tra i mutamenti generali vanno segnalati: il passaggio da una famiglia di tipo plurinucleare ed estesa ad una di tipo mononucleare e ristretta e, spesso, la conseguente solitudine dei bambini e dei genitori.
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Per quanto riguarda il primo punto della nostra analisi, i dati ci dicono che l'Italia è il Paese con il più basso quoziente di natalità d'Europa, il 9,4 per cento contro Paesi come l'Irlanda, che raggiunge il 15,1 per cento e la Francia con il 13,1 per cento. Il numero medio di figli per donna in Italia è 1,24, in Irlanda 1,98, in Francia 1,90. Il recente positivo innalzamento del tasso demografico, in Italia, è quasi esclusivamente riconducibile all'iscrizione all'anagrafe di bambini extracomunitari. Le donne italiane non rifiutano la maternità, tutt'altro. C'è un divario molto elevato tra maternità desiderata ed effettivamente realizzata. Secondo i dati ISTAT del 2002, il 63 per cento delle donne vorrebbe avere due figli, il 28 per cento ne vorrebbe tre, solo il 9 per cento uno.
L'età media al parto è in costante aumento tra le donne dell'Unione europea, sostanzialmente si attesta attorno ai 30 anni. Questo comporta, oltre all'esplicito rinvio dell'esperienza della maternità, una forte compressione del periodo fecondo in un arco temporale di pochi anni, nel quale mettere al mondo più di un figlio è diventata l'eccezione piuttosto che la regola.
È il Paese che condivide, con pochissimi altri Paesi europei, il più basso tasso di occupazione femminile. Nella ricerca CNEL-ISTAT 2003 il tasso di occupazione femminile in Italia risulta essere del 42,7 per cento - con un divario che vede il nord al 51,9 per cento e il sud al 27,1 per cento - che si confronta con dati europei ben più alti che vanno dalla Svezia con il 71,5 per cento, alla Danimarca con il 70,5 per cento. L'Europa ci chiede di raggiungere entro il 2010 il 60 per cento di occupazione femminile.
È un Paese caratterizzato da uno scarso interesse per le politiche di conciliazione tra i tempi della vita e i tempi del lavoro.
In molti Paesi europei è evidente l'interesse per politiche di conciliazione tra famiglia e lavoro: servizi di cura sia per l'infanzia che per gli anziani, politiche per il tempo di cura, come i congedi e i permessi, politiche di flessibilità dell'orario di lavoro, come
part-time, job-sharing, flexitime e i tempi della città, gli orari di servizi, esercizi, eccetera.
Attualmente, ad esempio, mentre i
part-timers in Italia rappresentano l'8,6 per cento di tutta la popolazione attiva, in Paesi come Francia e Germania rappresentano rispettivamente il 16,7 per cento e il 21,7 per cento.
Il tema della conciliazione deve essere visto soprattutto in riferimento alla qualità della vita. Sempre secondo i dati ISTAT 2002, il 50,4 per cento delle donne con bambini piccoli lavora 60 o più ore alla settimana, tra lavoro esterno remunerato e lavoro in famiglia non remunerato.
È indicativo che in Italia il 20 per cento delle madri con un lavoro all'inizio della gravidanza, ad esempio, dopo circa 18-21 mesi non ha più lavoro, mentre il 36 per cento di quelle che hanno continuato a lavorare dichiara di avere problemi molto seri nel conciliare l'attività lavorativa e gli impegni familiari, in particolare la cura del bambino.
Per affrontare il «normale disagio quotidiano», dovuto al mancato equilibrio tra i tempi di lavoro e di cura, sarebbe necessaria una riorganizzazione del mercato del lavoro che consenta percorsi lavorativi più flessibili e una distribuzione degli orari di lavoro nell'arco della giornata e della vita, assieme ad una valida e capillare offerta di servizi per sollevare le famiglie, ed in particolar modo le donne, dai carichi di cura, rispetto agli anziani ed in particolar modo ai bambini.
La legge quadro sulle responsabilità familiari presentata dai Democratici di sinistra interviene proprio su questi aspetti.
L'Italia persiste in un
welfare di tipo sud-europeo e quindi continua a trasferire risorse monetarie e non servizi: le prime in maniera sempre più decrescente, i secondi con maggiore frammentarietà.
In questo quadro l'Italia è connotata da una scarsissima presenza di servizi per la prima infanzia. La media italiana è del 7,4 per cento di posti nido disponibili su 100 bambini di 0-2 anni. Si registra, inoltre, un
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sostanziale squilibrio territoriale dell'offerta: ad una generale copertura garantita nel centro-nord, corrisponde un'assenza significativa di servizi al sud.
Per cui, a fronte di una percentuale del 18,3 per cento di posti nido in alcune regioni del centro-nord, quale ad esempio l'Emilia Romagna, si raggiunge il livello minimo di 1,9 per cento in regioni del sud, come la Calabria.
Passi avanti sono stati fatti negli ultimi anni da alcune regioni, come ad esempio la Toscana, che ha accresciuto il proprio potenziale passando da una percentuale di copertura di posti nido del 10,15 per cento del 1999 a quella del 15,5 per cento nel 2003, con un incremento superiore al 50 per cento, con punte d'eccellenza in città come Firenze con una percentuale di copertura del 23,7 per cento e la zona pisana con il 19,4 per cento.
L'Europa pone, ad ogni Paese, l'obiettivo di raggiungere il 33 per cento di posti nido entro il 2010. Molti Paesi europei hanno raggiunto o superato di molto questo obiettivo: ad esempio in Paesi come Francia, Irlanda e Danimarca le percentuali di bambini che beneficiano di questi servizi sono rispettivamente il 29 per cento, 38 per cento e 64 per cento.
Per quanto riguarda il secondo punto della nostra analisi, ossia i mutamenti generali che l'Italia condivide con gli altri Paesi industrializzati, abbiamo assistito negli ultimi anni al passaggio da una famiglia di tipo plurinucleare ed estesa ad una di tipo mononucleare e ristretta: non a caso si parla sempre più spesso di «famiglia minima».
La struttura, il ruolo e il significato della famiglia nella nostra società si sono modificati nel corso degli ultimi decenni, in correlazione con il variare di elementi culturali, economici, demografici.
Le ultime indagini ISTAT hanno dovuto rivedere la definizione di famiglia, giungendo alla scelta di prendere in considerazione le famiglie di fatto oltre a quelle anagrafiche, adottando il criterio di «coabitazione abituale», di per sé troppo generico per definire una famiglia, ed il concetto di «nucleo» per identificare, dentro la famiglia, i soggetti legati dal vincolo di coppia o genitoriale, poiché, all'interno di una famiglia, possono esservi uno o più nuclei o non esservene alcuno.
Il volto della famiglia muta con grande rapidità rispetto all'immagine che ancora domina la nostra cultura, la nostra formazione: nell'arco di una generazione si sono moltiplicate le famiglie monogenitoriali, i nuovi figli delle seconde unioni, i figli unici, i figli adottati, i figli in affido, le coppie senza figli, i divorziati, le convivenze di fatto, i figli naturali.
Nella famiglia si trasformano anche i cicli della vita, i ruoli maschile e femminile, i compiti genitoriali ed educativi, i modi di vivere l'età adulta, i rapporti con la famiglia di origine, la presenza degli anziani e le relazioni tra più generazioni, le famiglie ricostruite e i nuovi rapporti, tutti fenomeni che si collocano nel difficile equilibrio tra il «privato» ed il «sociale».
La notevole diminuzione dei matrimoni e l'elevato aumento dei divorzi e delle separazioni, la precarizzazione delle carriere lavorative, la tendenza a non procreare e la conseguente denatalità, sono certamente segnali di una vulnerabilità sociale e di un diffuso disagio familiare, nelle relazioni dentro la famiglia e nelle relazioni tra la famiglia e la società.
Il nodo delle politiche sociali dirette alla famiglia è proprio nel significato che si attribuisce al termine famiglia, al suo essere soggetto sociale. In tale caso sono da privilegiare politiche promozionali e non assistenziali.
Le politiche dirette alla famiglia fanno sì che i «problemi» non restino problemi privati, circoscritti alla famiglia, ma entrino nella dimensione pubblica, con la ricchezza di cultura, di esperienza, di solidarietà e di significato con cui alimentare l'elaborazione collettiva della società in cui viviamo.
Occorre quindi coniugare la dimensione personale con quella familiare e questa con la dimensione sociale e pubblica, poiché da questo collegamento dipende la possibilità di benessere della vita quotidiana dei singoli cittadini, a partire
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dai bambini, ed il benessere sociale, ovvero la qualità della vita sociale pubblica.
La famiglia ha svolto, e continua a svolgere, il ruolo di istituzione primaria di servizio di cura alle persone, con le donne, madri, mogli, figlie e nuore, come esclusive o principali prestatrici di cura, anche quando sono occupate.
È il
welfare familistico, come viene comunemente indicato dagli studiosi.
Il recente rapporto IRPPS-CNR 20032004 su «
Lo stato sociale in Italia» afferma che tuttora vi è «un carico eccessivo imposto alle famiglie per le funzioni di cura in assenza di adeguate politiche sociali». Il nostro
welfare è familistico. In continuità con gran parte della storia italiana, le politiche pubbliche a favore della famiglia sono deboli, cosicché le famiglie continuano a sostenere le principali responsabilità del benessere dei loro componenti.
In un simile contesto di mutamenti, il modello di
welfare State italiano, o meglio di tipo sud-europeo, che ha privilegiato i trasferimenti monetari ai servizi, entra in crisi a causa proprio della partecipazione delle donne nel mercato del lavoro, a cui non ha fatto seguito una più equa redistribuzione del lavoro di cura tra uomini e donne. Il nostro
welfare mette in evidenza che in realtà sono state le donne il nostro
welfare.
L'inadeguatezza del
welfare State e i mutamenti intervenuti nella vita delle famiglie contribuiscono alla solitudine dei bambini e dei genitori.
I bambini sono soli perché vivono all'interno delle case, sempre più piccole, in famiglie poco prolifiche e dai tempi di vita molto serrati, in contatto solo con gli adulti per la maggior parte del tempo, privati di esperienze sociali e condizionati dai tempi di vita degli adulti.
I nidi e i servizi per l'infanzia, oltre a rappresentare per i bambini la possibilità di superare le disuguaglianze di opportunità che esistono alla nascita, rappresentano anche reali luoghi di socializzazione che consentono di accrescere le proprie potenzialità di relazione, di autonomia e di apprendimento.
I genitori sono spesso soli perché, non supportati nella loro funzione genitoriale, sono sconfortati dall'assenza quasi totale di misure di sostegno e costretti a farsi carico pressoché totalmente delle responsabilità di cura e di educazione dei figli.
I servizi per la prima infanzia, oltre ad essere un sostegno per i genitori, per conciliare la propria attività lavorativa e la funzione di cura, rappresentano anche il luogo di confronto con gli altri genitori, con gli educatori e con i professionisti, per poter crescere come genitori.
È quindi necessario che le politiche pubbliche rispondano al più presto a questi mutamenti.
Questa proposta di legge vuole fornire una risposta alle questioni evidenziate in precedenza e vuole creare le condizioni reali perché si possa esercitare liberamente il diritto alla maternità e alla paternità, e perché si possano dare a tutti i bambini, sin dalla nascita, pari opportunità, contrastando la povertà e l'esclusione sociale.
I servizi per la prima infanzia sono determinanti per contrastare la denatalità, per favorire l'aumento del tasso di attività ed occupazione femminile, per ridurre le disuguaglianze e la povertà.
Il presente testo, in definitiva, vuole investire sul capitale umano del nostro Paese per dare nuova competitività all'Italia.
L'estensione dei servizi in tutto il Paese, su tutto il territorio nazionale è l'unico modo per rispondere ai bisogni di tutti i cittadini sia che vivano al nord, al centro e al sud, sia che lavorino o no, sia che lavorino in grandi aziende o meno.
La nascita delle prime scuole d'infanzia risale a metà dell'Ottocento. La prima «sala di custodia» è del 1826 a Parigi, a cui segue, nel 1828, la «scuola infantile» di Cremona e nel 1837 il «
kindergarten» di Berlino. Intorno al 1840 il Regno britannico conta, ufficialmente, più di 1.000 istituti, tra pubblici e privati, la Francia 1.500, e l'Italia un centinaio, come scrive Jean-Nöel Luc nel suo saggio: «
I primi asili infantili e l'invenzione del bambino», contenuto nel volume «
Storia dell'infanzia dal Settecento ad oggi».
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Il testo è significativo, non solo per la ricostruzione puntuale della storia dei servizi all'infanzia, ma anche per due tesi di fondo presenti anche in altra letteratura sull'argomento. La prima pone in relazione l'istituzione delle prime scuole d'infanzia con la scoperta stessa dell'infanzia come età della vita umana, con tratti ben definiti e non più quindi riconducibili all'attesa dell'età adulta. La seconda è che, già dalla loro nascita, i nidi e le scuole dell'infanzia rispondono ad una complessità di fattori.
In Europa, fin dall'inizio, è evidente la sintonia relativa alla complessità dei fattori che determinano queste prime offerte di prescolarizzazione. Da un lato c'è il sostegno alle donne lavoratrici, dall'altro un progetto educativo, dall'altro ancora un intento di custodia, inteso, nelle sale di custodia per gli immigrati e per i figli di operai, come addestramento al loro destino futuro.
Nel 1846, in una circolare, il Ministero dell'istruzione francese indica nella prima scuola dell'infanzia il tramite attraverso cui si vuole pervenire a «generazioni più religiose, più disciplinate, più istruite, meglio preparate sotto ogni aspetto alla dura condizione che le aspetta».
Ma il tentativo di confinare i bambini all'interno del proprio ambito sociale si scontra con altre tendenze pedagogiche che attraversano queste prime esperienze e continuano, fino ad oggi, costituendo l'asse portante delle scuole dell'infanzia. Prendiamo ad esempio uno scritto di un medico, tipico di altre considerazioni sull'argomento di metà Ottocento: «La curiosità del bambino è inarrestabile; dai 18 mesi, fino ai 6 anni, apprende molto di più di quanto non apprenderà in tutti gli anni dell'infanzia e dell'età matura».
Il nido d'infanzia occupa una posizione particolarmente delicata all'interno di un moderno sistema di servizi volti a favorire il benessere dei cittadini.
Esso svolge un ruolo chiave tra il diritto alla migliore formazione dei bambini e il diritto al lavoro e alla realizzazione sociale dei genitori, in particolare delle madri.
Sebbene quindi la tradizione delle scuole dell'infanzia sia relativamente breve, esse hanno avuto un'evoluzione sostanziale, attraverso apposite leggi, passando da una funzione prevalentemente assistenziale rivolta ai maggiori casi di disagio, a una di sostegno alle madri per la tutela del lavoro, fino ad essere riconosciute come opportunità di crescita e di formazione dei bambini in un contesto esterno e complementare a quello familiare. Così è avvenuto in molti Paesi e così è avvenuto, anche se in modo parziale e contraddittorio, in Italia.
La legge n. 2277 del 1925, con l'istituzione dell'Opera nazionale maternità e infanzia, istituisce il nido come servizio rivolto alle famiglie più bisognose nel quadro della politica demografica di regime.
Venticinque anni più tardi, nel 1950, in un contesto sociale e politico profondamente diverso, la legge n. 860 promuove il nido principalmente come istituto a tutela del lavoro femminile, favorendo la realizzazione di servizi aziendali e interaziendali.
Dopo altri vent'anni, nel 1971, la legge n. 1044 riconosce l'asilo nido come «servizio sociale di interesse pubblico», finalizzato a «facilitare l'accesso della donna al lavoro», ma a garantire nello stesso tempo «l'armonico sviluppo del bambino». La stessa legge assegna alle regioni fondi speciali per la costruzione e la gestione in un quinquennio di almeno 3.800 asili nido comunali. Questo obiettivo dopo più di trent'anni non è ancora stato raggiunto. È una legge significativa sia per il suo contenuto, che per essere stata il risultato di un forte movimento delle donne, del sindacato e dei partiti della sinistra.
L'ultimo provvedimento legislativo nazionale è la legge n. 285 del 1997, recante «Disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l'infanzia e l'adolescenza», che con la predisposizione dei Piani per l'infanzia e l'adolescenza, sostiene l'evoluzione dei servizi educativi per la prima infanzia verso la flessibilità e l'apertura a una domanda più vasta e differenziata, finanziando progetti di servizi integrativi, innovativi e sperimentali.
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Il finanziamento complessivo nei sei anni compresi fra il 1997 e il 2002 - nel 2003 il finanziamento finalizzato ha riguardato le sole «città riservatarie» - è stato, in media, di circa 120.000.000 di euro per anno.
Occorre ricordare, però, che la legge era orientata al finanziamento di interventi nella complessiva area dell'infanzia e dell'adolescenza; che la legge - per espressa previsione dell'articolo 5 - esclude la possibilità di finalizzare i propri finanziamenti allo sviluppo di nuovi nidi, limitando il suo campo di interesse ai soli servizi integrativi, come spazi gioco e centri dei bambini e dei genitori. I servizi integrativi e innovativi sono stati una grande risorsa per i diritti dei bambini e dei genitori. Hanno consentito di rispondere a molti bisogni e hanno esteso la sperimentazione. Purtroppo la soppressione del Fondo dedicato e la diminuzione del trasferimento monetario agli enti locali hanno indebolito la legge n. 285 del 1997, rendendo il suo percorso accidentato.
La legge finanziaria 2002 (legge 28 dicembre 2001, n. 448) all'articolo 70 prevede l'istituzione di un Fondo nazionale «per la costruzione e la gestione degli asili nido nonché di micro-nidi nei luoghi di lavoro», quantificato nella misura di 50 milioni di euro per l'anno 2002, 100 milioni di euro per l'anno 2003 e 150 milioni di euro per l'anno 2004.
La legge finanziaria 2003 (legge 27 dicembre 2002, n. 289) all'articolo 91 istituisce «il fondo di rotazione per il finanziamento dei datori di lavoro che realizzano, nei luoghi di lavoro, servizi di asilo nido e micro-nidi, di cui all'articolo 70 della legge 28 dicembre 2001, n. 448», determinandone un primo finanziamento annuale per l'importo di 10 milioni di euro e individuando meccanismi di relazione diretta fra richiedenti e amministrazione centrale erogante.
Dal primo bando nazionale sono risultati finanziati 97 degli oltre 200 progetti presentati e ammessi; allo stato attuale, secondo un'indagine dell'Osservatorio nazionale sulla famiglia, risultano attivi solo 15 nidi aziendali.
In questa situazione è intervenuta la sentenza della Corte costituzionale n. 320, depositata il 5 novembre 2004, che, accogliendo i ricorsi delle regioni Toscana ed Emilia Romagna, e dichiarando l'illegittimità costituzionale dell'articolo 91 della legge finanziaria 2003, ha dichiarato illegittima l'iniziativa del Governo in tema di asili aziendali.
Le novità introdotte nel quadro costituzionale dello Stato dalla riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione (legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, recante «Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione») propongono in termini di assoluta attualità una nuova forma di riflessione sulle possibilità di sviluppo di una normazione nazionale non in conflitto con la più estesa potestà legislativa che la Costituzione attribuisce alle regioni.
La sentenza della Corte costituzionale n. 370, del 17 dicembre 2003, ripropone gli aspetti del problema che abbiamo appena ricordato, ponendo in campo anche ulteriori elementi di riflessione derivanti dalla chiara sottolineatura del carattere educativo dei nidi e degli altri servizi per la prima infanzia.
Occorre, infatti, definire una forma di convergenza e compatibilità fra il nuovo quadro costituzionale, che circoscrive le competenze dello Stato alla sola «determinazione dei livelli essenziali», e le necessarie forme di garanzia nell'individuazione delle risorse necessarie al raggiungimento e al mantenimento dei predetti livelli.
Si tratta di definire un quadro della politica nazionale e, al contempo, si tratta di determinare quadri normativi regionali che possano costituire espressione di scelte anche diverse e specifiche, seppure reciprocamente coerenti nei princìpi ispiratori generali.
Un intreccio di motivazioni è alla base della proposta di legge, ma il filo conduttore è costituito dai diritti dei bambini all'educazione ed alla socializzazione e quello dei genitori ad essere sostenuti nella propria funzione genitoriale, nonché nella conciliazione tra attività lavorative e di cura. Il ruolo dello Stato, in tutte le sue articolazioni,
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è centrale nell'affermare questi diritti e contribuire a fare uscire dalla solitudine i bambini e le loro famiglie.
I punti essenziali della proposta di legge sono i seguenti: la scelta dell'ottica «zeroseianni»; eredità sociale, disuguaglianze, competitività del Paese; princìpi educativi e mutamenti demografici, sociali, delle famiglie e delle città; cittadini bambini; sistema integrato di servizi e generalizzazione delle scuole dell'infanzia; titoli di studio; ruolo delle regioni, degli enti locali e dello Stato; Piano d'azione nazionale per la promozione del sistema integrato per l'infanzia e fondo per i diritti della prima infanzia.
Scelta dell'ottica «zeroseianni» come risposta più avanzata all'impianto del Governo di centro-destra relativamente ai nidi e alle scuole dell'infanzia, come superamento in avanti della legge n. 1044 del 1971 - partendo dagli aspetti positivi di essa - per porsi in sintonia con l'obiettivo della Comunità europea di copertura del 33 per cento entro il 2010. E soprattutto per valorizzare l'eccellenza maturata negli anni nelle scuole dell'infanzia. Una simile visuale non implica soluzioni univoche. Anzi, l'articolazione 0/6 anni può essere, in alcuni casi, di diversa natura. Ad esempio, le specificità 0/3-3/6, il rapporto tra autonomia e continuità, possono trovare diverse soluzioni. È una questione che richiede, per essere sciolta positivamente, un bilancio della sperimentazione di questi anni e soprattutto l'opinione degli operatori, degli educatori, delle diverse competenze e professionalità, del sindacato, degli amministratori, delle associazioni e del mondo della politica.
Eredità sociale, diseguaglianze, competitività del Paese: il superamento del nido quale servizio a domanda individuale è da porre in rapporto da un lato alle cause del ripiegamento demografico del nostro Paese - tale da fare diventare l'Italia un caso internazionale - dall'altro ad una strategia per restringere la forbice delle «non pari opportunità» dei bambini sin dalla nascita. I più recenti studi dimostrano la stretta correlazione tra investimento nei servizi educativi per la prima infanzia e alleggerimento dell'eredità sociale nel destino degli individui. Il numero dei nidi e delle scuole dell'infanzia, la loro qualità, devono essere orientati proprio a partire da queste premesse.
Princìpi educativi e mutamenti demografici, sociali, delle famiglie e delle città: che valore diamo, pur con diversa articolazione, a questo primo percorso della vita, alla «bambinità», al rapporto dei bambini tra di loro, al gioco, al gioco di gruppo? Ciò che prima era naturale - il gioco, specialmente quello di gruppo, la frequentazione dei coetanei, il contatto con l'esterno, la natura, la realtà, eccetera - non è più assolutamente tale perché mancano fratelli, cugini, la vita sociale e di relazione si è fatta estremamente più complessa e differenziata, molto lontana dalla semplicità dei bambini.
Cittadini bambini: inserire il nido nel primo livello educativo significa ridefinirlo rispetto alla legge n. 1044 del 1971. Lo spostamento dall'accezione di servizio sociale a quella di struttura educativa non fa perdere il suo essere di sostegno ai genitori, ma ne specifica la sua funzione preminentemente educativa.
Sistema integrato di servizi e generalizzazione delle scuole dell'infanzia: le sperimentazioni di questi anni, cui ha contribuito la stessa legge n. 285 del 1997, possono ormai fornire delle indicazioni per la definizione del sistema stesso. Che può essere definito come un sistema integrato di servizi flessibili e diversificati per opportunità offerte, per orari, sedi e modelli pedagogici, organizzativi e gestionali. Tale sistema comprende i nidi, le scuole per l'infanzia, i servizi integrativi e quelli innovativi e sperimentali. Per generalizzazione della scuola dell'infanzia vanno intesi gli aspetti sia qualitativi che quantitativi. Tra essi di particolare rilievo sono l'eliminazione delle liste d'attesa e definizione di
standard di funzionamento che devono essere garantiti ovunque e dai diversi gestori: Stato, comune, privato, paritari. La definizione dei livelli essenziali e gli
standard di qualità costituiscono una priorità.
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Titoli di studio: l'eccellenza maturata nelle scuole dell'infanzia costituisce un aspetto essenziale dell'intero sistema educativo pubblico. Il riconoscimento delle professionalità è la leva indispensabile perché questo primo livello educativo costruisca su solide basi il diritto alla formazione e all'educazione delle bambine e dei bambini, l'intera offerta educativa dello Stato e la competitività del Paese.
Ruolo delle regioni, degli enti locali e dello Stato: i diversi ruoli sono definiti sulla base da un lato della riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione, dall'altro della concreta esperienza di coordinamento propria dei comuni e infine della presenza delle diverse forme di privato che sono intervenute nell'ambito dei servizi per la prima infanzia.
Piano d'azione nazionale per la promozione delle strutture educative e del sistema integrato per l'infanzia e fondo per i diritti della prima infanzia: le risorse e una programmazione con scadenze definite sono decisive sia per il superamento del nido quale servizio a domanda individuale, sia per una generalizzazione delle scuole dell'infanzia. Questi due strumenti possono diventare la leva per riequilibrare i servizi tra nord, centro e sud e per coinvolgere le risorse dello Stato, delle regioni, dei comuni, dei privati e delle famiglie.
Il testo presentato il 1
o giugno 2005 alla Camera dei deputati è composto da 14 articoli ed è suddiviso in tre parti principali: capo I «Disposizioni generali», capo II «Livelli essenziali, norme generali, princìpi fondamentali e funzioni del sistema integrato per l'infanzia», capo III «Piano d'azione nazionale per la promozione del sistema integrato per l'infanzia».
La legge si ispira nelle sue linee portanti alla Convenzione di New York del 20 novembre 1989, resa esecutiva in Italia ai sensi della legge 27 maggio 1991, n. 176, ed è in coerenza con le strategie dell'Unione europea.
Il capo I «Disposizioni generali», all'articolo 1, detta i princìpi generali, le finalità della legge e le modalità attraverso cui la legge intende realizzare tali princìpi e diritti.
I princìpi generali sono: i princìpi di libertà e dignità personale, di autonomia individuale, solidarietà, eguaglianza delle opportunità, valorizzazione della differenza di genere, integrazione delle diverse culture e delle diverse abilità.
Le finalità sono: garantire il diritto di tutte le bambine e i bambini a poter sviluppare pienamente le loro potenzialità di relazione, di autonomia, di creatività, di apprendimento in un adeguato contesto cognitivo, ludico e affettivo; il diritto ad avere pari opportunità di educazione e di istruzione, di cura, di relazione e gioco, superando disuguaglianze e barriere territoriali, economiche, etniche e culturali.
Le modalità attraverso cui la legge intende realizzare tali princìpi e diritti sono: la costruzione di un sistema integrato dei servizi educativi e di istruzione per le bambine e i bambini in età compresa tra tre mesi e sei anni, che risponda alla complessità dei bisogni dei bambini e delle loro famiglie, attraverso risposte flessibili ed articolate per opportunità offerte, orari, sedi e modelli organizzativi e gestionali.
L'articolo 2 detta le caratteristiche del «sistema integrato per l'infanzia», con cui la presente proposta di legge intende l'insieme dei servizi educativi e di istruzione dell'infanzia: nidi d'infanzia, servizi integrativi, scuole dell'infanzia e servizi innovativi e sperimentali, modulati in coerenza con i diritti e i bisogni dei bambini e delle famiglie.
Viene specificato il ruolo di tali servizi quale sede primaria dei processi di educazione e di istruzione, quali azioni di sostegno alla genitorialità, atti ad agevolare la funzione educativa delle famiglie e a favorire la conciliazione fra i tempi e le tipologie di lavoro dei genitori e le loro funzioni di cura e di educazione, prevedendo una valorizzazione da parte degli enti e dei soggetti gestori del ruolo attivo delle famiglie nelle scelte educative.
Gli articoli 3, 4 e 5, partendo anche dalle sperimentazioni rese possibili in questi anni dalla legge n. 285 del 1997, definiscono il sistema integrato di servizi, fissano le caratteristiche dei vari servizi,
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delle scuole dell'infanzia e il ruolo di Stato, regioni ed enti locali nell'assicurare l'incremento dei nidi e la generalizzazione qualitativa e quantitativa delle scuole dell'infanzia su tutto il territorio nazionale, in particolar modo nelle regioni del Mezzogiorno.
Il capo II stabilisce i livelli essenziali, le norme generali, i princìpi fondamentali e le funzioni del sistema integrato per l'infanzia, fissando anche le funzioni e i compiti di Stato, regioni ed enti locali su questo argomento.
L'articolo 6 fissa i livelli essenziali delle prestazioni del sistema integrato per l'infanzia, con una attenzione particolare alla formazione di insegnanti ed educatori; al rapporto tra territorio, numero dei servizi e popolazione infantile; agli
standard minimi strutturali e di funzionamento dei servizi; agli
standard minimi di qualità degli spazi; al tempo delle diverse attività comprese quelle motorie; alla presenza di apposite strutture di coordinamento pedagogico; all'adeguato rapporto quantitativo tra docenti e bambini; alla partecipazione dei genitori al progetto educativo; all'accoglienza e al sostegno delle diversità linguistiche, etniche, religiose e correlate alla disabilità.
L'articolo 7 fissa le funzioni e i compiti dello Stato che sono di programmazione, indirizzo e coordinamento, di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni educative e dei criteri di valutazione dell'offerta educativa; prevede l'istituzione di un sistema di promozione e di garanzia della qualità e della quantità degli interventi, la determinazione e l'assegnazione delle risorse a carico del bilancio dello Stato.
Gli articoli 8 e 9 fissano i compiti e le funzioni di regioni ed enti locali.
Nello specifico le regioni hanno i compiti e le funzioni concernenti l'indirizzo, la programmazione e lo sviluppo del sistema integrato per l'infanzia, come indicato dal Piano d'azione e nel rispetto dei livelli essenziali di cui sopra; la determinazione degli
standard relativi all'organizzazione e al funzionamento e la definizione degli
standard di qualità dei servizi e delle prestazioni del servizio integrato per l'infanzia; la ripartizione delle risorse pubbliche agli enti locali, come indicato dal Piano d'azione; la definizione dei requisiti qualitativi per l'accreditamento; l'indicazione degli indirizzi per la formazione permanente delle figure professionali del sistema integrato per l'infanzia, il sistema di valutazione dell'offerta educativa del sistema integrato; lo sviluppo del sistema informativo regionale sui temi della legge.
Gli enti locali esercitano i compiti e le funzioni concernenti la programmazione e l'attuazione del sistema integrato per l'infanzia nel territorio di loro competenza; l'accreditamento, l'autorizzazione e il controllo dei soggetti privati relativamente all'istituzione e alla gestione dei servizi del sistema integrato per l'infanzia; la promozione e il coordinamento di azioni di formazione e di aggiornamento, la definizione delle modalità organizzative di tutti i servizi del sistema integrato per l'infanzia e la promozione di azioni in continuità con le istituzioni scolastiche del primo ciclo.
Il capo III «Piano d'azione nazionale per la promozione del sistema integrato per l'infanzia», all'articolo 10 prevede la formulazione del Piano d'azione nazionale pluriennale degli interventi per la promozione del sistema integrato per l'infanzia.
Tale Piano dovrà essere formulato dal Governo entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge e verrà adottato previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, sentiti i Ministri interessati.
Il Piano d'azione, per quanto riguarda i nidi d'infanzia, deve prevedere un incremento della disponibilità di accoglienza pari ad almeno il 15 per cento, su base annua, dell'utenza attuale; per quanto riguarda la scuola dell'infanzia deve prevedere il completamento della generalizzazione; dovrà, inoltre, modulare la destinazione alle regioni e agli enti locali delle risorse finanziarie destinate allo scopo, programmare il piano di investimenti; per le spese annuali di gestione dovrà prevedere
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il cofinanziamento da parte dello Stato del 50 per cento dei costi di gestione che restano a carico degli enti locali al netto delle entrate da compartecipazione delle famiglie utenti del servizio.
Per quanto riguarda la partecipazione economica delle famiglie per i nidi d'infanzia, i servizi integrativi e i servizi innovativi e sperimentali, l'articolo 11 afferma che non potrà essere superiore al 30 per cento del rispettivo costo medio rilevato a livello regionale, escluse le spese per i costi di ammortamento dei mutui per la realizzazione delle strutture.
Vengono, inoltre, garantite forme di agevolazione tariffaria subordinate all'accertamento del reddito e vengono altresì garantite forme di esenzione completa dal pagamento nei casi di particolare disagio economico e sociale rilevati dai servizi territoriali.
Con l'articolo 12 viene, inoltre, valutata la copertura finanziaria necessaria per i primi sei anni, che si prevede dovrà rientrare nella fiscalità generale.
Con l'articolo 13 viene abrogata la normativa vigente.
Infine, l'articolo 14 prevede l'elaborazione di una relazione biennale sullo stato di attuazione della legge a cura del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, che si avvarrà del Centro nazionale di documentazione e analisi per l'infanzia e l'adolescenza e che terrà conto dei rapporti presentati dalle regioni e dalle province autonome di Trento e di Bolzano.
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PROPOSTA DI LEGGE
D'INIZIATIVA POPOLARE
Capo I
DISPOSIZIONI GENERALI
Art. 1.
(Oggetto).
1. Tutte le bambine e i bambini, dalla nascita ai sei anni, senza alcuna distinzione, devono poter sviluppare pienamente le loro potenzialità di relazione, autonomia, creatività, apprendimento, in un adeguato contesto cognitivo, ludico e affettivo. A tale fine è garantito loro il diritto ad avere pari opportunità di educazione e di istruzione, di cura, di relazione e gioco, superando disuguaglianze e barriere territoriali, economiche, etniche e culturali.
2. La complessità dei bisogni dei bambini e delle loro famiglie richiede risposte flessibili e articolate per opportunità offerte, orari, sedi e modelli organizzativi e gestionali, al fine di garantire la qualità educativa, la relazione dei bambini tra di loro e con gli adulti, con la natura, con il territorio e con l'insieme delle opportunità e servizi offerti dalla comunità locale.
3. La presente legge garantisce la realizzazione dei diritti indicati al comma 1, attraverso la costruzione di un sistema integrato dei servizi educativi e di istruzione per le bambine e i bambini in età compresa tra tre mesi e sei anni, coerente con le indicazioni di cui al comma 2. A tale scopo detta i livelli essenziali delle prestazioni, le norme generali e stabilisce princìpi fondamentali ai sensi, rispettivamente, dell'articolo 117 della Costituzione, secondo comma, lettere m) e n), e terzo comma. La presente legge si ispira alla Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989, resa esecutiva ai sensi della legge 27 maggio
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1991, n. 176, ed è in coerenza con le strategie dell'Unione europea.
4. Lo Stato, le regioni e gli enti locali garantiscono la progressiva costruzione di tale sistema integrato per mezzo di adeguati interventi.
5. Gli interventi di cui al comma 4 sono realizzati sulla base dei princìpi di libertà e dignità personale, autonomia individuale, solidarietà, eguaglianza delle opportunità, valorizzazione della differenza di genere, integrazione delle diverse culture e delle diverse abilità.
6. Ai sensi della presente legge per «sistema integrato per l'infanzia» si intende l'insieme dei servizi educativi e di istruzione dell'infanzia per le bambine e i bambini in età compresa tra tre mesi e sei anni costituito da: nidi d'infanzia, servizi integrativi, scuole dell'infanzia e servizi innovativi e sperimentali, modulati in coerenza con i diritti e i bisogni dei bambini e delle famiglie.
Art. 2.
(Caratteristiche del sistema integrato
per l'infanzia).
1. I nidi d'infanzia, i servizi integrativi, le scuole dell'infanzia e i servizi innovativi e sperimentali costituiscono, nella loro autonomia e specificità, la sede primaria dei processi di educazione e di istruzione per l'attuazione dei diritti previsti all'articolo 1 della presente legge.
2. I nidi d'infanzia, i servizi integrativi e i servizi innovativi e sperimentali di cui agli articoli 3 e 5 della presente legge non rientrano tra i servizi pubblici a domanda individuale, di cui al decreto-legge 28 febbraio 1983, n. 55, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 1983, n. 131.
3. Il sistema integrato per l'infanzia comprende azioni di sostegno alla genitorialità, per agevolare la funzione educativa delle famiglie.
4. Il sistema integrato per l'infanzia favorisce la conciliazione fra i tempi e le tipologie di lavoro dei genitori e le loro funzioni di cura e di educazione.
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5. Gli enti e i soggetti gestori dei servizi del sistema integrato per l'infanzia valorizzano il ruolo attivo delle famiglie. Prevedono la loro partecipazione alle scelte educative e alla verifica della loro attuazione, l'istituzione di specifici organismi rappresentativi e assicurano modalità flessibili di incontro, collaborazione e apertura al territorio.
Art. 3.
(Nido d'infanzia e servizi integrativi).
1. Il nido d'infanzia costituisce il primo livello educativo, opera in autonomia e continuità con la scuola dell'infanzia ed è aperto senza alcuna discriminazione a tutte le bambine e i bambini di età compresa tra tre mesi e tre anni, concorre con le famiglie alla cura, all'educazione e alla socializzazione dei bambini, ne rispetta la personalità, i ritmi di vita e di crescita e ne promuove il benessere e l'armonico sviluppo dell'identità, dell'autonomia e delle competenze.
2. I servizi integrativi, come definiti dall'articolo 5 della legge 28 agosto 1997, n. 285, ampliano l'offerta educativa del nido d'infanzia attraverso ulteriori risposte ai diritti e alle esigenze dei bambini e delle famiglie.
3. Lo Stato, le regioni e gli enti locali assicurano l'incremento dei nidi d'infanzia e la loro diffusione in tutto il territorio nazionale, con particolare riguardo al Mezzogiorno.
Art. 4.
(Scuola dell'infanzia).
1. La scuola dell'infanzia costituisce il livello d'istruzione cui hanno diritto tutte le bambine e i bambini di età compresa tra i tre e i sei anni.
2. La scuola dell'infanzia, nella sua autonomia, unitarietà e specificità pedagogica e didattica, concorre all'educazione e all'istruzione, allo sviluppo dell'identità, dell'autonomia e delle competenze delle
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bambine e dei bambini, nel rispetto della loro personalità, ed assicura una effettiva eguaglianza delle opportunità educative, tenendo conto dell'orientamento educativo dei genitori.
3. La scuola dell'infanzia opera in continuità con gli altri servizi del sistema integrato e con la scuola primaria.
4. Lo Stato, le regioni e gli enti locali assicurano la generalizzazione qualitativa e quantitativa dell'offerta formativa e garantiscono a tutte le bambine e a tutti i bambini, in età compresa tra i tre e i sei anni, la possibilità di frequentare la scuola dell'infanzia nelle scuole statali, comunali o private paritarie.
Art. 5.
(Servizi innovativi e sperimentali).
1. Le regioni, al fine di perseguire le finalità di cui all'articolo 1, possono promuovere, orientare e sostenere progetti finalizzati a realizzare servizi innovativi e sperimentali, comunque denominati, che accolgono bambini di età compresa tra i tre mesi e i sei anni. Ne definiscono gli obiettivi e le condizioni di attuazione nonché i criteri, le modalità e i tempi di verifica per la valutazione degli esiti.
Capo II
LIVELLI ESSENZIALI, NORME GENERALI, PRINCÌPI FONDAMENTALI E FUNZIONI DEL SISTEMA INTEGRATO PER L'INFANZIA
Art. 6.
(Livelli essenziali delle prestazioni
del sistema integrato per l'infanzia).
1. In attuazione dell'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione e con riferimento alla citata Convenzione sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, resa esecutiva ai sensi della legge 27 maggio 1991, n. 176, sono
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determinati i livelli essenziali delle prestazioni del sistema integrato per l'infanzia. I livelli essenziali attengono:
a) all'omogeneità dei titoli di studio e di formazione richiesti agli insegnanti e agli educatori del sistema integrato per l'infanzia;
b) al rapporto territoriale ottimale tra il numero dei servizi educativi e di istruzione del sistema integrato per l'infanzia e la popolazione infantile, anche con riferimento al tasso di natalità, al tasso di occupazione delle donne con figli minori, alla presenza di situazioni di disagio e di emarginazione sociale e alla presenza o al rischio di fenomeni di povertà o di devianza minorile;
c) agli standard minimi strutturali e di funzionamento dei servizi, anche con riferimento alla ricettività, al dimensionamento e ai requisiti igienico-sanitari; agli standard minimi di qualità degli spazi ambientali interni ed esterni, delle mense, dei servizi e dei tempi delle diverse attività, ivi comprese quelle motorie;
d) alla presenza di apposite strutture di coordinamento pedagogico per la promozione della qualità educativa dei servizi e per lo sviluppo del sistema integrato per l'infanzia;
e) all'adeguato rapporto quantitativo tra insegnanti o educatori e bambini;
f) alla partecipazione attiva e informata dei genitori al progetto educativo e all'attività del sistema integrato per l'infanzia e al coinvolgimento dei bambini, nelle forme possibili;
g) all'accoglienza e al sostegno delle diversità linguistiche, etniche, religiose e a quelle correlate alla disabilità.
Art. 7.
(Funzioni e compiti dello Stato).
1. Al fine di attuare la presente legge, lo Stato ha i compiti e le funzioni concernenti:
a) la programmazione, l'indirizzo e il coordinamento della progressiva ed equilibrata
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estensione del sistema integrato per l'infanzia su tutto il territorio nazionale, in coerenza con le linee contenute nel Piano d'azione nazionale per la promozione del sistema integrato per l'infanzia, di cui all'articolo 10;
b) la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni educative di cui all'articolo 6;
c) la determinazione dei criteri di valutazione dell'offerta educativa e delle prestazioni del sistema integrato per l'infanzia;
d) l'istituzione di un sistema di promozione e di garanzia della qualità e della quantità degli interventi;
e) la determinazione e l'assegnazione delle risorse a carico del bilancio dello Stato;
f) l'indirizzo e il coordinamento per acquisire ed elaborare dati e informazioni sul sistema integrato per l'infanzia, in coordinamento con le regioni e avvalendosi della struttura del Centro nazionale di documentazione e analisi per l'infanzia e l'adolescenza di cui all'articolo 3 della legge 23 dicembre 1997, n. 451.
Art. 8.
(Funzioni e compiti delle regioni).
1. Al fine di attuare la presente legge, le regioni hanno i compiti e le funzioni concernenti:
a) l'indirizzo, la programmazione e lo sviluppo del sistema integrato per l'infanzia, sulla base delle indicazioni del Piano d'azione nazionale per la promozione del sistema integrato per l'infanzia, secondo specifiche esigenze di carattere unitario regionale e nel rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni di cui all'articolo 6;
b) la determinazione degli standard relativi alle modalità organizzative di funzionamento dei nidi, dei servizi integrativi e dei servizi innovativi sperimentali;
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c) la definizione, per quanto di competenza, degli standard di qualità dei servizi e delle prestazioni del sistema integrato per l'infanzia;
d) la ripartizione agli enti locali delle risorse pubbliche in coerenza con quanto previsto dal Piano d'azione di cui all'articolo 10;
e) la definizione dei requisiti qualitativi per l'accreditamento dei nidi, dei servizi integrativi e dei servizi innovativi sperimentali e per l'autorizzazione al loro funzionamento;
f) l'indicazione degli indirizzi per l'attuazione di iniziative di formazione permanente delle diverse figure professionali del sistema integrato per l'infanzia, per quanto di competenza;
g) il sistema di valutazione dell'offerta educativa e delle prestazioni del sistema integrato per l'infanzia, in coerenza con i criteri definiti ai sensi dell'articolo 7, comma 1, lettera c);
h) lo sviluppo del sistema informativo regionale concernente la materia disciplinata dalla presente legge.
Art. 9.
(Funzioni e compiti degli enti locali).
1. Al fine di attuare la presente legge, salvo diversa determinazione delle leggi regionali, i comuni, singoli o associati, esercitano i compiti e le funzioni concernenti:
a) la programmazione e l'attuazione dello sviluppo, nel territorio di loro competenza, del sistema integrato per l'infanzia, anche mediante la piena valorizzazione delle diverse risorse presenti nel territorio, in coerenza con le funzioni previste negli articoli 7 e 8;
b) l'accreditamento, l'autorizzazione e il controllo dei soggetti privati relativamente all'istituzione e alla gestione dei servizi del sistema integrato per l'infanzia, per quanto di competenza;
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c) la promozione e il coordinamento di iniziative di aggiornamento e di formazione, nonché di raccordo e di scambio nell'ambito del sistema integrato per l'infanzia;
d) la definizione delle modalità organizzative, del coordinamento e del funzionamento dei nidi, dei servizi integrativi, dei servizi innovativi e sperimentali, nonché delle scuole dell'infanzia comunali e la promozione di iniziative di esperienze di continuità del sistema integrato per l'infanzia con le istituzioni scolastiche del primo ciclo.
Capo III
PIANO D'AZIONE NAZIONALE PER LA PROMOZIONE DEL SISTEMA INTEGRATO PER L'INFANZIA
Art. 10.
(Piano d'azione nazionale per la promozione del sistema integrato per l'infanzia).
1. Entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge il Governo, nel quadro della attuazione dell'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, formula il Piano d'azione nazionale pluriennale degli interventi per la promozione del sistema integrato per l'infanzia.
2. Il Piano d'azione è adottato previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, sentiti i Ministri interessati. Sullo schema di piano è acquisita l'intesa con la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281.
3. Sulle parti del programma sulle quali nella Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, non si è realizzata l'intesa, il Parlamento decide con la maggioranza assoluta degli aventi diritto al voto.
4. Il Piano d'azione, per quanto riguarda i nidi d'infanzia, deve prevedere un
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incremento della disponibilità di accoglienza pari ad almeno il 15 per cento, su base annua, dell'utenza attuale; per quanto riguarda la scuola dell'infanzia deve prevedere il completamento della generalizzazione.
5. Il Piano d'azione, sulla base di indicatori di evoluzione demografica e di riequilibrio territoriale, modula la destinazione alle regioni e agli enti locali delle risorse finanziarie destinate allo scopo.
6. Il Piano d'azione programma il piano di investimenti, comprendendo anche la ristrutturazione di immobili di proprietà del demanio, delle regioni e degli enti locali e la loro destinazione al sistema integrato per l'infanzia.
7. Per le spese annuali di gestione, il Piano prevede il cofinanziamento da parte dello Stato del 50 per cento dei costi di gestione che restano a carico degli enti locali al netto delle entrate da compartecipazione delle famiglie utenti del servizio.
Art. 11.
(Partecipazione economica delle famiglie).
1. Nei nidi d'infanzia, nei servizi integrativi e nei servizi innovativi e sperimentali, di cui agli articoli 3 e 5, pubblici o privati accreditati, la partecipazione economica delle famiglie utenti alle spese di funzionamento dei servizi non può essere superiore al 30 per cento del rispettivo costo medio rilevato a livello regionale, escluse le spese per i costi di ammortamento dei mutui per la realizzazione delle strutture.
2. Sono garantite forme di agevolazioni tariffaria subordinate all'accertamento del reddito effettuato secondo l'indicatore della situazione economica equivalente di cui al decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 109.
3. Sono altresì garantite forme di esenzione completa dal pagamento nei casi di particolare disagio economico e sociale rilevati dai servizi territoriali.
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Art. 12.
(Copertura finanziaria).
1. L'onere derivante dalle disposizioni contenute nell'articolo 10 è valutato in 400 milioni di euro per il primo anno, in 450 milioni di euro per il secondo anno, in 500 per il terzo, in 550 per il quarto, in 600 per il quinto e in 650 per il sesto anno a decorrere dall'esercizio 2005.
2. A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge è ripristinata l'imposta sulle successioni e donazioni, nelle misure e con le modalità previste dalle disposizioni vigenti prima della data di entrata in vigore della legge 18 ottobre 2001, n. 383.
3. All'onere di cui al comma 1 si provvede per 650 milioni di euro con le entrate derivanti dal ripristino dell'imposta sulle successioni e donazioni stabilito dal comma 2 del presente articolo.
Art. 13.
(Abrogazioni).
1. Sono abrogate le seguenti disposizioni:
a) legge 6 dicembre 1971, n. 1044;
b) articolo 70 della legge 28 dicembre 2001, n. 448;
c) articolo 91 della legge 27 dicembre 2002, n. 289;
d) articolo 2, comma 1, lettera e), della legge 28 marzo 2003, n. 53;
e) articoli 1, 2, 3 e 12 del decreto legislativo 19 febbraio 2004, n. 59;
f) articolo 13 e articolo 14, comma 1, della legge 18 ottobre 2001, n. 383.
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Art. 14.
(Relazione periodica sullo stato
di attuazione della legge).
1. Il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, avvalendosi della struttura del Centro nazionale di documentazione e analisi per l'infanzia e l'adolescenza di cui all'articolo 3 della legge 23 dicembre 1997, n. 451, presenta al Parlamento una relazione biennale sullo stato di attuazione della presente legge, tenuto conto dei rapporti presentati dalle regioni e dalle province autonome di Trento e di Bolzano.