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PDL 523

XV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 523



 

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PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE

d'iniziativa dei deputati

D'ELIA, VILLETTI, TURCI, BONINO, BOSELLI, ANTINUCCI, BELTRANDI, BUEMI, BUGLIO, CAPEZZONE, CREMA, DI GIOIA, MANCINI, ANGELO PIAZZA, PORETTI, SCHIETROMA, TURCO, SATTA, D'ANTONA, LEOLUCA ORLANDO, PEDRINI, SQUEGLIA, PINOTTI, GRASSI, TOLOTTI, SAMPERI, LONGHI, BENVENUTO, COLUCCI, CHIAROMONTE, ATTILI, MUSI, GIACHETTI, GRILLINI, FORLANI, CORDONI, FASCIANI, BANDOLI, PIRO, BUCCHINO, DE BRASI, DATO, CRISCI, DUILIO, RUGGERI, BURTONE, CIALENTE, VENIER, FRANCI, MELLANO, BARATELLA, CANCRINI, LARATTA, SASSO, SERVODIO

Modifica all'articolo 27 della Costituzione concernente
l'abolizione della pena di morte

Presentata l'8 maggio 2006


      

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Onorevoli Colleghi! - Questa proposta di legge di modifica costituzionale è volta a cancellare l'ultimo retaggio della pena di morte ancora presente nella legislazione italiana e, con esso, la possibilità, sia pure teorica, di una sua reintroduzione.
      Il testo vigente dell'articolo 27 della Costituzione recita, infatti, al quarto comma: «Non è ammessa la pena di morte, se non nei casi previsti dalle leggi militari di guerra». Di questo comma si propone la modifica, che va nel senso della eliminazione del riferimento alle ipotesi di pena capitale previste dalle leggi militari di guerra.
      È una riforma che attende di essere compiuta fin dal 1994, quando con l'approvazione della legge 13 ottobre 1994, n. 589, sono state abolite le ipotesi di pena di morte previste nel codice penale militare di guerra.
      Con l'abolizione dai codici militari, l'Italia non ha solo compiuto il passo decisivo dell'abolizione completa e definitiva della pena di morte al proprio interno, ha anche iniziato un percorso che l'ha portata a essere il Paese che più spesso ha preso posizione a livello internazionale contro la pena di morte e che più spesso è intervenuto nei confronti di Paesi che ancora la prevedono per fermare le esecuzioni capitali.
      Il nostro Paese, su impulso dell'associazione «Nessuno tocchi Caino» e del Partito radicale transnazionale e con una convergenza straordinaria, su questo tema,
 

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di Governo e opposizione, ha avuto il merito di muovere le acque a livello internazionale, incontrando nella sua lotta contro la pena di morte e a favore di una moratoria universale delle esecuzioni capitali il crescente sostegno di Paesi di tutti i continenti.
      Nel 1994, una risoluzione per la moratoria fu presentata per la prima volta all'Assemblea generale dell'ONU dal primo Governo Berlusconi. Tale risoluzione fu battuta per soli otto voti. Ma nel 1997, su iniziativa del Governo Prodi, la Commissione dell'ONU per i diritti umani ha approvato a maggioranza assoluta una risoluzione che chiede «una moratoria delle esecuzioni capitali, in vista della completa abolizione della pena di morte». Per la prima volta un organismo delle Nazioni Unite ha ritenuto la pena di morte una questione attinente ai diritti umani e ha considerato la sua abolizione «un rafforzamento della dignità umana e un progresso dei diritti umani fondamentali».
      Da allora, ogni anno, la risoluzione viene regolarmente approvata dalla Commissione di Ginevra, ed è grazie a questo se la situazione della pena di morte nel mondo è oggi radicalmente cambiata. Nel 1994 i Paesi membri dell'ONU in cui era prevista la pena di morte erano 97, oggi sono 55, 42 in meno. C'è un nesso diretto tra le iniziative italiane del 1994 e del 1997 e le abolizioni, moratorie legali e di fatto che sono intervenute da allora ad oggi. Non è stato l'esito naturale di un'evoluzione storica, ma l'effetto diretto di una campagna politica, promossa in particolare dall'associazione «Nessuno tocchi Caino», per cercare di tradurre in tempi politici i tempi storici dell'abolizione, subito fatta propria dal Parlamento e dal Governo italiano e sostenuta poi da molti Paesi in diversi continenti. Abolizioni e moratorie ovunque nel mondo hanno potuto salvare dal patibolo migliaia di persone.
      In questi anni, l'Italia ha proiettato la sua posizione abolizionista sulla pena di morte anche nei confronti dei singoli Paesi che la mantengono. Con una storica sentenza, il 25 giugno 1996, la Corte costituzionale ha negato l'estradizione negli Stati Uniti di Pietro Venezia, cittadino italiano reo confesso di un omicidio compiuto in Florida. Nel rifiutare la richiesta degli Stati Uniti, l'Italia ha posto anche una rigida riserva a estradare in ogni caso verso Paesi mantenitori, anche in presenza di garanzie di non applicazione o esecuzione, della pena di morte, chiunque risieda o viva sul territorio italiano. Un Paese che ha abolito totalmente la pena di morte non può cooperare - ha stabilito la Corte - alla sua applicazione ovunque nel mondo, consegnando persone, cittadini italiani o stranieri che siano, nelle mani di chi la pratica. Da allora, sono stati riscritti tutti i trattati bilaterali di cooperazione giudiziaria del nostro Paese e lo stesso codice di procedura penale; persone a rischio di pena capitale non sono state consegnate ai Paesi di origine, tra cui la Cina; altri Stati europei hanno seguito l'esempio dell'Italia, un Paese ormai riconosciuto a livello internazionale come quello che vuole abolire la pena di morte nel mondo.
      In questo caso, l'Italia ha mostrato al mondo forza e autorevolezza. Ma perché essa guadagni maggiore coerenza interna e rispetto internazionale mancano ancora due passaggi: l'abolizione della pena di morte dalla Costituzione e la presentazione e approvazione all'Assemblea generale delle Nazioni Unite di una risoluzione per una moratoria universale delle esecuzioni capitali.
      Il compimento del primo passaggio è atteso ormai da molto tempo. Progetti di legge volti ad eliminare dalla nostra Costituzione le ultime vestigia di un passato che non ha alcun futuro nella coscienza civile e politica del nostro Paese, la previsione della pena di morte nei casi previsti dalle leggi militari di guerra, sono stati riproposti nelle ultime tre legislature da vari gruppi politici. Il Parlamento non ha mai trovato il tempo di approvarli. Nella scorsa legislatura, addirittura, dopo l'approvazione da parte della Camera dei deputati nel 2002, la legge di modifica costituzionale è stata ferma al Senato
 

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della Repubblica per i restanti tre anni di lavori parlamentari.
      È giunto il tempo di cancellare questa macchia anacronistica ancora presente nella nostra legge fondamentale.
      È maturo anche il tempo per portare a compimento il secondo passaggio della iniziativa italiana contro la pena di morte: la moratoria universale delle esecuzioni capitali.
      L'iniziativa dell'associazione «Nessuno tocchi Caino» volta a presentare la risoluzione per la moratoria delle esecuzioni capitali all'Assemblea generale delle Nazioni Unite del 2003, affidata alla Presidenza italiana dell'Unione europea, non ha avuto alcun esito. L'Italia che, nel 1994, è stata la prima a portare all'attenzione dell'Assemblea generale la proposta di moratoria per poi, nel 1999, consegnare il testimone all'Unione europea, nella speranza di dare così maggior forza alla battaglia per la moratoria, ha tutti i titoli per riassumerla a fronte dei dubbi, delle divisioni e delle contrarietà che attualmente si registrano in Europa.
      Una decisione a favore della moratoria da parte dell'organismo maggiormente rappresentativo della comunità internazionale, seppure presa a maggioranza, avrebbe l'indiscutibile effetto di consolidare l'opinione mondiale circa la necessità di mettere al bando le esecuzioni capitali, contribuendo così allo sviluppo dell'intero sistema dei diritti umani.
      Grazie alla moratoria ONU - e in attesa dell'abolizione mondiale e totale - migliaia di condannati a morte potrebbero essere risparmiati: non solo quelli di cui tutti sanno e si preoccupano, i detenuti nei «bracci della morte» americani, ma anche gli innominati e i dimenticati della pena di morte, i detenuti nei bracci della morte cinesi, iraniani, sauditi, vietnamiti e di tutti gli altri regimi autoritari, che muoiono ammazzati nel silenzio e nell'indifferenza generali.
 

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PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE

Art. 1.

      1. Al quarto comma dell'articolo 27 della Costituzione, le parole: «, se non nei casi previsti dalle leggi militari di guerra» sono soppresse.


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