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PDL 525

XV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 525



 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati

BUEMI, D'ELIA, VILLETTI, TURCI, BONINO, BOSELLI, CAPEZZONE, ANTINUCCI, BELTRANDI, CREMA, DI GIOIA, MANCINI, ANGELO PIAZZA, PORETTI, SCHIETROMA, TURCO

Concessione di amnistia e di indulto

Presentata l'8 maggio 2006


      

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Onorevoli Colleghi! - La disastrosa situazione delle carceri e, più in generale, la non-amministrazione della giustizia costituiscono ormai la prima e principale questione sociale del nostro Paese, questione per cui lo Stato italiano è condannato dalla giustizia europea, ogni anno e per centinaia di volte negli ultimi vent'anni, per violazione di diritti umani fondamentali.
      Il 30 novembre scorso il Consiglio d'Europa ha infatti denunciato che «i ritardi della giustizia in Italia sono causa di numerose violazioni della Convenzione europea dei diritti dell'uomo sin dal 1980» e che tali ritardi «costituiscono un pericolo effettivo per il rispetto dello Stato di diritto in Italia».
      Secondo i dati sull'amministrazione della giustizia, ad oggi, risultano pendenti quasi dieci milioni di processi, di cui circa quattro milioni civili e sei milioni penali. Commentando questi dati, il Procuratore generale Francesco Favara ha svolto queste considerazioni: «Se si pensa che per ogni causa civile vi sono almeno due parti interessate (ma spesso ve ne sono tante altre), e che ogni processo penale coinvolge un numero di persone, come imputati o come parti lese, certamente superiore a quella grande cifra che ho sopra indicato, si ha subito la sensazione concreta della entità dell'interesse - e del malcontento - che per la giustizia hanno i cittadini. Non senza poi considerare le spese e i costi materiali e le ansie che i processi comportano per ciascuno di essi».
      È comunque fuori da ogni ragionevole dubbio, in vario modo e in varia misura, che almeno dieci milioni di famiglie - stiamo parlando di oltre un terzo della
 

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popolazione italiana! - nel loro vissuto e nella loro vita attuale, hanno sofferto, spesso in modo atroce, per il loro coinvolgimento nella giustizia e nell'ordinamento penitenziario.
      Non si tratta solo della condizione delle carceri, nelle quali 60.000 detenuti, un record nella storia repubblicana, sono ammassati in celle che potrebbero ospitarne a malapena 42.000; si tratta anche e soprattutto della vita e della dignità di milioni di cittadini italiani, in attesa da molti anni di una decisione giudiziaria. Tra la data del delitto e quella della sentenza la durata media è di 35 mesi per il primo grado del processo e di 65 mesi per l'appello. I tempi di attesa sono ancora più lunghi nel campo della giustizia civile.
      Con la «Marcia di Natale» del 2005, promossa da Marco Pannella, per la prima volta in Italia è stata denunciata con forza questa realtà, e si è manifestato per dare voce alle persone che ne sono vittima, che sono sia le vittime di reati che restano impuniti, sia le vittime di processi che non si celebrano in tempi ragionevoli e che sono destinati a risolversi per prescrizione, come è accaduto a un milione di processi penali negli ultimi cinque anni.
      Ma se molti sono i reati che vengono prescritti, assai di più sono quelli che non vengono neppure perseguiti: nel 2005 i delitti denunciati sono stati 2.855.372, tra cui circa un milione e mezzo di furti, la quasi totalità dei quali resta impunita per essere rimasti ignoti gli autori. Da questi dati emerge che il sistema attuale di contrasto alla criminalità nel nostro Paese, bene che vada, riguarda oggi solo il 10 o il 20 per cento del problema.
      Coloro i quali hanno veramente a cuore il problema della sicurezza sociale sanno che la soluzione non sta quindi nella politica propagandistica sulla «certezza della pena», intesa banalmente come lo «sbattere in cella e buttare via la chiave», ma in quella volta ad aumentare la probabilità che chi ha commesso un delitto sia individuato e ne risponda in un'aula di giustizia. È il processo, non l'entità o la durata della pena, il vero deterrente contro la criminalità.
      Chi si oppone all'amnistia e all'indulto dimentica che in molti casi è il carcere stesso a portare alla commissione di nuovi reati. I dati dicono che mentre la percentuale della recidiva è del 75 per cento nei casi di detenuti che scontano per intero la condanna in carcere, questa si abbassa drasticamente al 27 per cento nel caso di tossicodipendenti condannati che scontano la condanna o una parte di essa in affidamento ai servizi sociali e al 12 per cento nel caso di non tossicodipendenti affidati ai servizi sociali.
      L'amnistia e l'indulto, dunque, non sono contraddittori con l'attenzione ai problemi della sicurezza. Investire sul recupero e sulla prevenzione è la vera politica per la sicurezza, una politica meno costosa socialmente, umanamente ed economicamente. Tenere una persona in carcere, peraltro nelle attuali condizioni miserevoli e spesso illegali (basti pensare che il nuovo regolamento penitenziario, predisposto nel 2000 e che doveva entrare in vigore entro il 2005, è rimasto lettera morta), costa 63.875 euro l'anno, in gran parte per la struttura, mentre per il vitto di ogni recluso si spendono mediamente solo 1,58 euro al giorno. Tenere un tossicodipendente in carcere (e sono almeno 18.000) costa il quadruplo che assisterlo in una comunità o affidarlo a un servizio pubblico.
      Attualmente sono 60.000 i detenuti nel nostro Paese. Altre 50.000 persone sono sottoposte a misure alternative alla detenzione, mentre 70-80.000 persone sono in attesa della decisione del giudice circa la possibilità di scontare la condanna in misura alternativa. II totale ammonta a 180-190.000 persone, il che porterebbe, nel volgere di 15 anni, a una crescita esponenziale della popolazione carceraria fino a sei volte quella attuale. Come se non bastasse, si calcola che con le disposizioni sulla recidiva contenute nella cosiddetta «legge ex Cirielli», approvata dal Parlamento alla fine della scorsa legislatura, entreranno in carcere altri 20.000 detenuti. Lo stesso ex Ministro della giustizia Castelli si era dichiarato allarmato di questa prospettiva e aveva chiesto al Governo
 

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interventi straordinari che non potevano (e non possono) consistere nella costruzione di nuove carceri, dato che le nuove carceri appena aperte o in via di apertura (una decina in tutto) sono in grado, tutt'al più, di risolvere il problema di due o tremila detenuti tuttora ristretti in «loculi» sovraffollati e invivibili, mentre quelle da mettere eventualmente in cantiere saranno «pronte» fra quindici anni.
      Ogni giorno vi sono casi clamorosi di veri e propri omicidi colposi o preterintenzionali di detenuti per lo più malati, lasciati per violazione delle leggi alla violenza di agonia e di morte. Lo Stato è l'origine, la causa consapevole di questa realtà, senza alcun dubbio criminale e criminogena.
      Nelle carceri italiane il 7,5 per cento dei detenuti è sieropositivo, il 38 per cento positivo al test per l'epatite C e il 50 per cento a quello per l'epatite B, il 7 per cento presenta l'infezione in atto e il 18 per cento risulta positivo al test della TBC. Nel corso del 2004 vi sono stati almeno 52 suicidi, 713 tentati suicidi, 5.939 episodi di autolesionismo, 10.268 gli scioperi della fame e manifestazioni di protesta. La percentuale di suicidi in carcere è superiore di 19 volte a quella registrata fuori! Nel 2005 i suicidi sono stati almeno 57, senza tenere conto di altri 22 casi di detenuti morti per «cause non ancora accertate», cioè per i quali sono in corso inchieste della magistratura volte ad accertare i reali motivi del decesso. Nei primi tre mesi del 2006 si sono tolti la vita almeno 14 detenuti, mentre altri 6 sono morti per malattia o, sarebbe meglio dire, a causa di una assistenza sanitaria disastrata e di una situazione di emergenza determinata dal taglio dei fondi della sanità penitenziaria, che sono diminuiti del 20 per cento negli ultimi anni, a fronte dell'aumento dei detenuti.
      Grave ed intollerabile è anche la situazione degli altri soggetti che «risiedono» nelle strutture carcerarie, gli operatori pubblici dell'amministrazione, per primi gli agenti della polizia penitenziaria.
      L'immensa gravità della realtà sociale che questi dati sull'amministrazione della giustizia e del carcere svelano è tale anche perché la cultura dominante della classe dirigente, politica e no, da decenni (e in questi anni in un crescendo letteralmente spaventoso), la risolve in pratica negandola, comunque condannandola alla clandestinità e al silenzio.
      Non è più morale, e legale, subire inerti questa tragedia.
      In questo contesto, la concessione dell'amnistia e dell'indulto non è un atto di clemenza, è innanzitutto un atto volto al ripristino della legalità e al buon governo dell'amministrazione della giustizia e del carcere, per rispondere a una situazione di emergenza che rischia di divenire irreversibile e di tramutarsi in catastrofe vera e propria.
      Occorre varare la più straordinaria, forte, ampia, decisa e rapida delle amnistie che la Repubblica italiana abbia conosciuto dalla sua nascita, per ridurre immediatamente di almeno un terzo il carico processuale dell'amministrazione della giustizia, affinché essa, liberata dai processi meno gravi, possa proficuamente impegnarsi a concludere quelli più gravi.
      È necessario un indulto, di almeno due anni, che possa sgravare di un terzo il carico umano che soffre - in tutte le sue componenti: i detenuti, il personale amministrativo e di custodia - la condizione disastrosa delle carceri.
      Dopo sei anni dal Giubileo e tre anni e mezzo da quando il Parlamento applaudì ripetutamente Giovanni Paolo II mentre invocava un atto di clemenza, atto che in Italia non viene promulgato da ormai 15 anni, è ora di cominciare a dare risposta, con un provvedimento straordinario di buon governo, alla straordinarietà di questa crisi sociale e istituzionale del nostro Paese, accertata dalle decine e decine di condanne che vengono da Strasburgo e che pongono l'Italia al di fuori dei trattati costituitivi dell'Unione europea e dalla Carta dei diritti dell'uomo.
      Con questo provvedimento di buon governo i tribunali verrebbero sostanzialmente decongestionati dalla paralisi in cui sono precipitati e le carceri tornerebbero ad essere luoghi passabilmente vivibili per
 

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i detenuti e per tutti coloro che vivono e lavorano in quella realtà.
      Senza vita del diritto evapora qualsiasi diritto alla vita. L'amnistia e l'indulto sono gli unici strumenti tecnici a disposizione delle istituzioni per interrompere e rendere possibile l'uscita dalla situazione di flagrante criminalità nella quale si trova lo Stato italiano.
      L'amnistia e l'indulto non sono solo strumenti adeguati a ripristinare la legalità violata nei tribunali e nelle carceri, sono anche strumenti volti a conquistare il tempo necessario a mettere in moto le numerose altre proposte che giacciono nei cassetti per la riforma della giustizia e la riforma del carcere nel nostro Paese.
      C'è l'obbligo di tutti e di ciascuno, secondo le proprie funzioni e responsabilità - dal Capo dello Stato al Capo del Governo, dai parlamentari eletti ai cittadini elettori - di affrontare e risolvere quella che senza alcun dubbio è la massima urgenza sociale della storia della Repubblica italiana.
      Con l'approvazione di questa proposta di legge per la concessione di amnistia e di indulto, per la difesa dello Stato di diritto e per la riforma della giustizia, la Camera dei deputati potrà dire di aver fatto la sua parte.
 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Amnistia).

      1. È concessa amnistia per tutti i reati commessi entro il 31 dicembre 2005 per i quali è stabilita una pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ovvero una pena pecuniaria, sola o congiunta a detta pena. Non si applicano le esclusioni di cui all'ultimo comma dell'articolo 151 del codice penale.
      2. L'amnistia non si applica ai reati di ciui all'articolo 4-bis, comma 1, della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni.
      3. L'amnistia non si applica qualora l'interessato faccia esplicita dichiarazione di non volerne usufruire.

Art. 2.
(Indulto).

      1. È concesso indulto per tutti i reati commessi entro il 31 dicembre 2005 nella misura non superiore a due anni per le pene detentive e per quelle pecuniarie sole o congiunte a pene detentive. Non si applicano le esclusioni di cui all'ultimo comma dell'articolo 151 del codice penale.
      2. II beneficio dell'indulto è revocato di diritto se chi ne ha usufruito commette, entro cinque anni dalla data di entrata in vigore della presente legge, un delitto non colposo per il quale riporti condanna a pena detentiva non inferiore a due anni.

 

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Art. 3.
(Entrata in vigore).

      1. La presente legge entra in vigore il trentesimo giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.


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