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PDL 885

XV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 885



 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa del deputato FORLANI

Modifiche alla legge 26 luglio 1975, n. 354, e al testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, in materia di affettività dei detenuti e di misure alternative alla reclusione

Presentata il 24 maggio 2006


      

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Onorevoli Colleghi! - La parte principale della presente proposta di legge (articoli 2, 3 e 4) intende affrontare direttamente il drammatico problema del sovraffollamento delle carceri. Come è noto, negli ultimi anni si è mediamente registrato un incremento della popolazione detenuta pari a circa 2.000 detenuti all'anno, risultante dalla differenza fra circa 86.000 nuovi ingressi su base annua e 84.000 dimissioni, sempre su base annua. Nel corso dei primi sei mesi del 2005 il trend di crescita della popolazione detenuta è invece improvvisamente - e, allo stato, per ragioni ancora non completamente individuate - aumentato facendo registrare ben 4.000 detenuti in più nel primo semestre. Anche immaginando un'attenuazione di tale incremento, se questo trend risultasse confermato, confrontando la linea di tendenza con le concrete possibilità di incremento della disponibilità di posti all'interno delle strutture carcerarie, la complessiva tenuta del sistema penitenziario rischierebbe di «saltare» intorno alla metà del 2007.
      È quindi indiscutibile la necessità di un intervento al riguardo e, prescindendo per il momento dalla valutazione delle possibili opzioni normative, il Ministero della giustizia deve comunque farsi carico dell'adozione delle misure che rientrano nella sua esclusiva competenza e che si concretizzano nella necessità di aumentare il numero di posti disponibili nelle strutture penitenziarie. Spetta però al Parlamento contribuire con modifiche ordinamentali, che non possono non toccare alcune disfunzioni dell'ordinamento penitenziario e della normativa codicistica vigenti.
      In particolare, una valvola di sfogo importante può essere rappresentata dalla generalizzazione dello strumento del lavoro di pubblica utilità previsto dall'articolo
 

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54 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, recante disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace. Rendere tale istituto misura alternativa alla detenzione, come forma speciale del genus dell'affidamento, significa disporre della possibilità di abbandonare il carcere per quanti stanno espiando una pena detentiva non superiore a tre anni, all'unica condizione di riavviare uno stile di vita diverso da quello che ne ha determinato l'ingresso nell'istituto. Per ottenere tale risultato si prevede, quindi, l'ammissione del condannato che ne faccia richiesta a una forma di collaborazione con le istituzioni pubbliche al fine di rendersi utili per la società. L'articolo 2 della proposta di legge mira pertanto:

          a) a permettere un riavvicinamento al lavoro quale strumento di realizzazione della personalità del singolo nell'ambito della società civile (articoli 1 e 3 della Costituzione);

          b) a consentire l'utilizzazione dei condannati ammessi al beneficio per l'espletamento di attività lavorativa in favore delle pubbliche amministrazioni e degli altri enti aventi anche forma giuridica privata, ma controllati dallo Stato, e dagli altri enti pubblici, e ciò in ausilio al personale dipendente;

          c) a favorire il migliore impiego di tali soggetti nell'espletamento di tutti quei servizi pubblici che esigenze di bilancio o limitazioni proprie dei singoli enti impedirebbero di gestire al meglio;

          d) a determinare una forma alternativa di espiazione della pena che non si limiti all'osservanza di regole di comportamento, ma si qualifichi per una partecipazione attiva del condannato al proprio reinserimento sociale.

      Vanno poi colte - in positivo o in negativo - le suggestioni di alcune importanti evoluzioni giurisprudenziali.
      La Corte di cassazione (sezione prima penale, sentenza 4 luglio 2005, n. 24632) ha ritenuto che l'esito positivo dell'affidamento in prova non estinguesse la pena pecuniaria, ma solo quella detentiva, perché non era ancora decorso il termine di prescrizione né per la multa, né per le spese processuali. Eppure, la stessa Cassazione ha ricondotto tale lettura al dato testuale, costituito dal fatto che, secondo il disposto dell'articolo 47 della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, l'affidamento al servizio sociale deve essere inquadrato tra le misure alternative alla sola detenzione, di guisa che l'esito positivo del periodo di prova non può che comportare l'estinzione della pena detentiva e non anche di quella pecuniaria. Ecco allora che, per procedere all'ineludibile conseguenza del raggiungimento del fine rieducativo della misura alternativa, occorre la modifica testuale proposta dall'articolo 2, comma 2, della presente proposta di legge, precisando che invece ogni effetto penale della condanna viene meno per il proficuo esperimento dell'affidamento in prova, comprese le pene pecunarie.
      Il tribunale di sorveglianza del distretto della corte d'appello di Trieste il 29 ottobre 2002, poi ha emesso ordinanza in cui ha confutato l'orientamento giurisprudenziale che attribuisce al divieto di cui al comma 2 dell'articolo 58-quater della legge n. 354 del 1975, «validità generale ed incondizionata e non circoscritta al singolo procedimento esecutivo nel cui ambito sia intervenuta la revoca della misura alternativa» (si veda, in particolare, la sentenza della Corte di cassazione 7 novembre 2000, n. 6325): per il proponente della presente proposta di legge deve concordarsi con il tribunale, nel senso di ritenere possibile interpretare detta norma escludendo l'estensione del divieto a titoli esecutivi diversi e sopravvenuti rispetto a quello in corso all'atto della revoca. Ciò in quanto agli argomenti utilizzati dalla Suprema Corte per sostenere l'interpretazione più restrittiva possono contrapporsi altri argomenti che hanno quantomeno pari dignità e che si reputa possono prevalere sui primi per l'adozione di provvedimenti più favorevoli ai condannati. Le conseguenti pronunce di merito consentirebbero di valutare, di volta in volta, la

 

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gravità delle violazioni o delle altre circostanze che hanno comportato la revoca di misure alternative; esse eviterebbero l'appiattimento su rigidi automatismi, non conformi alle plurime pronunce della Corte costituzionale circa l'illegittimità costituzionale di altre norme che prevedevano, appunto, diverse forme di esclusione automatica di soggetti condannati da alcuni benefìci penitenziari. A codificazione di tale orientamento giurisprudenziale tende la novella del comma 2 del citato articolo 58-quater prevista dall'articolo 3, comma 1, della proposta di legge. Lo stesso articolo 3 affronta, al comma 2, anche il problema dello snellimento delle procedure per l'ammissione alle misure alternative dopo la sospensione dell'ordine di esecuzione della condanna sotto i tre anni, secondo le direttrici individuate dai pratici (si veda l'intervento del sostituto procuratore generale della Repubblica di Reggio Calabria, Fulvio Rizzo, dal titolo «Il difficile equilibrio tra domanda di sicurezza, prevenzione comunitaria e solidarietà sociale» nell'ambito del convegno «Realtà e prospettive dell'esecuzione penale esterna», svoltosi a Reggio Calabria il 24 maggio 2003).
      Invece, proprio tale fattispecie di misure alternative pare indebitamente estesa dal recentissimo intervento della Corte di cassazione, sezione prima penale, con sentenza 10 giugno 2005, n. 22161: sostenere che «nell'ordinamento vigente non esiste un divieto di applicazione delle misure alternative al carcere nei confronti degli stranieri espulsi con decreto prefettizio» appare decisamente in conflitto con le esigenze di dare celere corso alla principale delle misure alternative esistente per questa fattispecie, cioè l'espulsione: pertanto, oltre ad inserire un'esplicita esclusione nella disciplina codicistica (articolo 656, comma 8-bis, del codice di procedura penale, introdotto dalla lettera b) del comma 2 dall'articolo 3 della presente proposta di legge), si novella integralmente, all'articolo 4, la disciplina di tale misura sostitutiva e alternativa prevista per il clandestino dall'articolo 16 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286.
      L'altro tema affrontato dalla proposta di legge è quello della affettività carceraria. Al proposito, con l'articolo 1 si recepiscono i suggerimenti avanzati nella giornata di studi «Carcere: salviamo gli affetti», svoltasi presso la casa di reclusione di Padova il 10 maggio 2002: il gruppo di lavoro che ha elaborato questa bozza è stato guidato dal dottor Alessandro Margara, ex direttore del Dipartimento della amministrazione penitenziaria e uno degli artefici della legge 10 ottobre 1986, n. 663, detta «legge Gozzini», che ha rivoluzionato per molti aspetti le condizioni di detenzione a decorrere dal 1986. Hanno fatto parte del gruppo operatori penitenziari, avvocati, detenuti ed operatori sociali.
      All'articolo 28 della legge n. 354 del 1975, che riguarda i rapporti con la famiglia e che attualmente prevede un unico comma («Particolare cura è dedicata a mantenere, migliorare o stabilire le relazioni dei detenuti e degli internati con le famiglie»), si ritiene debba essere considerata anche l'affettività in senso più ampio, per cui alla rubrica dell'articolo («Rapporti con la famiglia») si è proposto di aggiungere «e diritto all'affettività». Si lascia poi un ampio spazio alla definizione della natura di quelli che possono essere i «rapporti affettivi»: con un familiare, un convivente, o anche di amicizia. Le visite disciplinate dal novellato articolo 28 possono avvenire con qualsiasi persona che già effettua i colloqui ordinari; l'assenza dei controlli visivi e auditivi serve a garantire l'assoluta riservatezza dell'incontro.
      Altre due modifiche, anch'esse volte a garantire il diritto all'affettività, intervengono sulla parte che riguarda la concessione dei permessi. All'articolo 30 della citata legge n. 354 del 1975, che prevede i cosiddetti «permessi di necessità», attualmente concessi solo in caso di morte o di malattie gravissime dei familiari, si interviene ampliando la fattispecie agli «eventi familiari di particolare rilevanza». Si intende in tale modo riconoscere che anche
 

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gli eventi non traumatici hanno una «particolare rilevanza» nella vita di una famiglia e quindi rappresentano un fondato motivo perché la persona detenuta vi sia partecipe. Gli «interessi affettivi» sono da considerare in senso ampio; quindi, il permesso non deve necessariamente essere trascorso con i familiari, con un coniuge o un convivente, ma può essere trascorso con qualsiasi persona con la quale vi sia un legame affettivo.
      Per quanto riguarda i detenuti che non possono avere colloqui regolari, ad esempio perché i loro familiari e amici abitano lontano dal luogo di detenzione, si propone che vi sia la possibilità di sostituire i colloqui non effettuati con telefonate della durata massima di quindici minuti. Le telefonate non dovrebbero essere limitate ai soli familiari, ma riguardare tutte le persone con le quali vi sia un rapporto affettivo anche fuori della previsione dei «casi particolari».
      Con le modifiche introdotte dall'articolo 1 della proposta di legge si intende garantire il diritto a un'affettività intesa in senso molto ampio: dalla sessualità, all'amicizia, al rapporto familiare. Un diritto all'affettività che sia, in primo luogo, diritto ad avere incontri, in condizioni di intimità, con le persone con le quali si intrattiene un rapporto di affetto.
 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Diritto dei detenuti e degli internati all'affettività).

      1. Il quinto comma dell'articolo 18 della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, è sostituito dal seguente:

      «Per ciascun colloquio ordinario non effettuato è concesso ai detenuti e agli internati un colloquio telefonico della durata massima di quindici minuti con le persone con le quali hanno un legame affettivo. Il colloquio telefonico può essere fatto a carico del destinatario».

      2. All'articolo 28 della legge 26 luglio 1975, n. 354, sono apportate le seguenti modificazioni:

          a) è aggiunto, in fine, il seguente comma:

      «Particolare cura è altresì dedicata a coltivare i rapporti affettivi. A tale fine i detenuti e gli internati hanno diritto a una visita al mese della durata minima di sei ore e massima di ventiquattro ore con le persone autorizzate ai colloqui. Le visite si svolgono in locali adibiti o realizzati a tale scopo senza controlli visivi e auditivi»;

          b) alla rubrica sono aggiunte le seguenti parole: «e diritto all'affettività».

      3. Il secondo comma dell'articolo 30 della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, è sostituito dal seguente:

      «Analoghi permessi possono essere concessi per eventi familiari di particolare rilevanza».

      4. All'articolo 30-ter della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, è aggiunto, in fine, il seguente comma:

      «8-bis. Ai condannati che hanno tenuto regolare condotta ai sensi del comma 8, il

 

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magistrato di sorveglianza può concedere, oltre ai permessi di cui al comma 1, un ulteriore permesso della durata di dieci giorni per ogni semestre di carcerazione allo scopo di coltivare specificatamente interessi affettivi».

Art. 2.
(Affidamento in prova presso un datore di lavoro pubblico o privato).

      1. Dopo l'articolo 47 della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, è inserito il seguente:

      «Art. 47.1. - (Affidamento in prova per lavoro di pubblica utilità). - 1. Se la pena detentiva inflitta non supera tre anni, il condannato può essere affidato al servizio sociale per lo svolgimento di lavori di pubblica utilità fuori dell'istituto per un periodo uguale a quello della pena da scontare. Il lavoro di pubblica utilità consiste nella prestazione di attività non retribuita in favore della collettività da svolgere presso lo Stato, le regioni, le province, i comuni o presso enti od organizzazioni di assistenza sociale e di volontariato. Gli enti di cui al periodo precedente, nell'ambito delle disponibilità offerte, assegnano di preferenza gli ammessi al lavoro di pubblica utilità alle seguenti mansioni:

          a) attività di ausilio nella prestazione di servizi pubblici erogati dallo Stato, dalle regioni, dalle province, dai comuni e dagli altri enti pubblici o strumentali, quali servizi in materia di manutenzione e di conservazione delle strade e dei cimiteri, servizi mortuari, servizi di nettezza urbana, servizi ecologici e di salvaguardia del verde pubblico, di pulizia e di bonifica di canali e di zone umide, di prevenzione antincendio, di protezione civile, di manutenzione programmata del territorio, di soccorso pubblico o privato, di tutela della flora e della fauna;

          b) attività di ausilio dell'ANAS Spa, delle Ferrovie dello Stato Spa e delle imprese operanti per conto del genio civile e delle autorità di bacino;

 

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          c) altre mansioni d'ordine indicate dal responsabile dell'amministrazione a cui è affidato il condannato, purché utili alla collettività.

      2. Il provvedimento di cui al comma 1 è adottato sulla base dei risultati dell'osservazione della personalità del condannato, condotta collegialmente per almeno un mese in istituto, nei casi in cui si può ritenere che il provvedimento stesso, anche attraverso le prescrizioni di cui al comma 4, contribuisca alla rieducazione dello stesso reo e assicuri la prevenzione del pericolo che egli commetta altri reati. L'affidamento in prova per lavoro di pubblica utilità può essere disposto senza procedere all'osservazione in istituto quando il condannato, dopo la commissione del reato, ha serbato comportamento tale da consentire il giudizio di cui al presente comma.
      3. Se l'istanza di affidamento in prova per lavoro di pubblica utilità è proposta dopo che ha avuto inizio l'esecuzione della pena, il magistrato di sorveglianza competente in relazione al luogo dell'esecuzione, cui l'istanza deve essere rivolta, può sospendere l'esecuzione della pena e ordinare la liberazione del condannato, quando sono offerte concrete indicazioni in ordine alla sussistenza dei presupposti per l'ammissione all'affidamento in prova e al grave pregiudizio derivante dalla protrazione dello stato di detenzione e non vi sia pericolo di fuga. La sospensione dell'esecuzione della pena opera sino alla decisione del tribunale di sorveglianza, cui il magistrato di sorveglianza trasmette immediatamente gli atti, e che decide entro quarantacinque giorni. Se l'istanza non è accolta, riprende l'esecuzione della pena e non può essere accordata altra sospensione, quale che sia l'istanza successivamente proposta.
      4. Su indicazione del richiedente il decreto di affidamento in prova individua il responsabile dell'ente al quale il condannato è affidato. Tale soggetto è tenuto alla vigilanza sull'attività lavorativa svolta dal condannato, sulla partecipazione e sulla solerzia da questi dimostrate e assume

 

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l'obbligo di relazione trimestrale al magistrato di sorveglianza. In nessun caso tale soggetto può essere ritenuto responsabile per le assenze e le manchevolezze dimostrate dal condannato, salva la responsabilità penale per fatto proprio. Il responsabile dell'affidamento assume nei confronti del condannato i poteri del privato datore di lavoro. L'ente richiedente individua la persona fisica appartenente all'amministrazione stessa cui il condannato è affidato, che diviene altresì responsabile del procedimento amministrativo, osservate le disposizioni di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni.
      5. All'atto dell'affidamento in prova è redatto verbale in cui sono dettate le prescrizioni che il soggetto dovrà seguire in ordine ai suoi rapporti con il datore di lavoro e con il servizio sociale, alla dimora, alla libertà di locomozione, al divieto di frequentare determinati locali e al lavoro. Con lo stesso provvedimento può essere disposto che durante tutto o parte del periodo di affidamento in prova il condannato non soggiorni in uno o più comuni o soggiorni in un comune determinato; in particolare sono stabilite prescrizioni che impediscano ai soggetto di svolgere attività o di avere rapporti personali che possano portare al compimento di altri reati. Nel verbale deve anche essere stabilito che l'affidato si adoperi per quanto possibile in favore della vittima del suo reato e adempia puntualmente agli obblighi di assistenza familiare. Nel corso dell'affidamento in prova le prescrizioni possono essere modificate dal magistrato di sorveglianza.
      6. Il decreto di affidamento in prova è notificato al condannato e al soggetto o all'ente richiedente cui è affidato, e comunicato al pubblico ministero. Sull'osservanza delle prescrizioni lavorative imposte dal magistrato di sorveglianza vigilano il responsabile dell'affidamento e, ai fini del reinserimento sociale, i servizi sociali dell'amministrazione penitenziaria in concorso con quelli territoriali; il servizio sociale aiuta il soggetto a superare le difficoltà di adattamento alla vita sociale,
 

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anche mettendosi in relazione con la sua famiglia e con gli altri suoi ambienti di vita. L'ufficio di pubblica sicurezza e dell'Arma dei carabinieri territorialmente competente vigila sull'osservanza delle ulteriori prescrizioni di cui al comma 5. Qualora il condannato sia assegnato in ausilio al Corpo forestale dello Stato, la vigilanza sulle prescrizioni di cui al citato comma 5 spetta a tale Corpo. Sono sempre ammessi visite e controlli da parte dei servizi sociali e delle Forze dell'ordine di cui al presente comma.
      7. L'attività di lavoro di pubblica utilità viene svolta nell'ambito della provincia in cui risiede il condannato e comporta la prestazione di non più di sei ore di lavoro settimanale da svolgere con modalità e con tempi che non pregiudichino le esigenze di lavoro, di studio, di famiglia e di salute del condannato. Tuttavia, se il condannato lo richiede, il giudice può ammetterlo a svolgere il lavoro di pubblica utilità per un tempo superiore alle sei ore settimanali. La durata giornaliera della prestazione non può comunque oltrepassare le otto ore.
      8. Ai fini del computo della pena, un giorno di lavoro di pubblica utilità consiste nella prestazione, anche non continuativa, di due ore di lavoro.
      9. Il lavoro di pubblica utilità non è ammesso in riferimento alle funzioni di difesa dello Stato, di amministrazione della giustizia o dei servizi ad essa inerenti, di ordine e sicurezza pubblica, di polizia amministrativa anche locale e di polizia giudiziaria. Gli ammessi al lavoro di pubblica utilità non possono espletare mansioni presso le prefetture-uffici territoriali del Governo, presso le sedi centrali dei Ministeri e degli organi di Governo nazionale, nonché presso le sedi degli organi costituzionali centrali. Gli ammessi al lavoro di pubblica utilità possono espletare esclusivamente mansioni d'ordine e di prestazione di opera meramente materiale e non possono in alcun caso ricoprire le funzioni di pubblico ufficiale, di incaricato di pubblico servizio o di esercente un servizio di pubblica utilità.
 

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      10. Fermo restando quanto previsto dal presente articolo, le modalità di svolgimento dell'affidamento in prova per lavoro di pubblica utilità sono determinate con decreto del Ministro della giustizia, di intesa con la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281.
      11. L'affidamento in prova è revocato qualora il comportamento del soggetto, contrario alla legge o alle prescrizioni dettate ai sensi del presente articolo, appaia incompatibile con la prosecuzione della prova.
      12. L'esito positivo del periodo di affidamento in prova estingue la pena e ogni altro effetto penale della condanna, comprese le pene pecuniarie e quelle accessorie.
      13. All'affidato in prova che ha dato prova nel periodo di affidamento di un suo concreto recupero sociale, desumibile da comportamenti rivelatori del positivo evolversi della sua personalità, può essere concessa la detrazione di pena di cui all'articolo 54. Si applicano gli articoli 54, comma 3, 69, comma 8, e 69-bis».

      2. Il comma 12 dell'articolo 47 della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, è sostituito dal seguente:

      «12. L'esito positivo del periodo di prova estingue la pena e ogni altro effetto penale della condanna, comprese le pene pecuniarie e quelle accessorie».

Art. 3.
(Pene residue).

      1. Il comma 2 dell'articolo 58-quater della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, è sostituito dal seguente:

      «2. In conformità all'articolo 656, comma 7, del codice di procedura penale, la disposizione del comma 1 del presente articolo si applica anche al condannato nei cui confronti è stata disposta la revoca di una misura alternativa ai sensi

 

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dell'articolo 47, comma 11, dell'articolo 47-ter, comma 6, o dell'articolo 51, primo comma. La disposizione di cui al primo periodo non si applica per i titoli detentivi posti in esecuzione, cumulati o meno, in epoca successiva alla predetta revoca; non si applica, altresì, ai condannati minori di età».

      2. All'articolo 656 del codice di procedura penale, sono apportate le seguenti modificazioni:

          a) al comma 5, primo periodo, le parole «, anche se costituente residuo di maggiore pena,» sono soppresse;

          b) dopo il comma 8-bis sono inseriti i seguenti:

      «8-ter. Il primo periodo del comma 5 si applica anche in caso di pena detentiva costituente residuo di maggiore pena, purché a carico di condannato non ricadente nelle esclusioni di cui al comma 9. In tale caso l'ordine di esecuzione e il decreto di sospensione sono inviati d'ufficio al tribunale di sorveglianza di cui al comma 6, unitamente alla documentazione in possesso del pubblico ministero; il tribunale, convocate le parti ed assunte le informazioni necessarie, entro quarantacinque giorni dal ricevimento degli atti decide se confermare l'esecuzione della pena ovvero se disporre la concessione di una delle misure alternative alla detenzione previste dagli articoli da 47 a 47-ter e 50, comma 1, della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, e dall'articolo 94 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni, ovvero la sospensione dell'esecuzione della pena di cui all'articolo 90 del medesimo testo unico.
      8-quater. Il comma 5 e il comma 8-bis non si applicano allo straniero, identificato, che si trova in taluna delle situazioni indicate nell'articolo 13, comma 2, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286,

 

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quando il giudice ha disposto l'espulsione a titolo di sanzione sostitutiva o alternativa alla detenzione».

Art. 4.
(Misure sostitutive e alternative per lo straniero extracomunitario colto in condizioni di clandestinità).

       1. L'articolo 16 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, è sostituito dal seguente:

      «Art. 16. - (Espulsione a titolo di sanzione sostitutiva o alternativa alla detenzione). - 1. Il giudice, nel pronunciare sentenza di condanna per un reato non colposo o nell'applicare la pena su richiesta ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale nei confronti dello straniero che si trovi in taluna delle situazioni indicate nell'articolo 13, comma 2, quando ritiene di dover irrogare la pena detentiva entro il limite di tre anni, può sostituire la medesima pena con la misura dell'espulsione per un periodo non inferiore a sette anni, purché non ricorrano le seguenti condizioni:

          a) le cause ostative indicate nell'articolo 14, comma 1;

          b) la condanna riguardi uno o più delitti previsti dall'articolo 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale;

          c) la condanna riguardi uno o più delitti previsti dal presente testo unico, puniti con pena edittale superiore nel massimo a tre anni.

      2. L'espulsione di cui al comma 1 è eseguita dal questore anche se la sentenza non è irrevocabile, con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica. Per i successivi gradi di giudizio è fatto salvo il rientro ai sensi dell'articolo 17 per l'esercizio del diritto di difesa.

 

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      3. La pena e ogni altro effetto penale della condanna sono estinti alla scadenza del termine di quindici anni dall'esecuzione dell'espulsione di cui al comma 1, sempre che lo straniero non sia rientrato illegalmente nel territorio dello Stato. Se lo straniero espulso ai sensi del comma 1 rientra illegalmente nel territorio dello Stato prima di tale termine, la sanzione sostitutiva è revocata dal giudice competente, è data esecuzione alla condanna e alla relativa pena detentiva e lo straniero è altresì punito con la reclusione da uno a quattro anni con rito direttissimo. È fatta salva l'applicazione del comma 5 quando la pena detentiva residua risultante dal cumulo tra quella originaria e quella inflitta ai sensi del periodo precedente, raggiunge i tre anni.
      4. Nei confronti dello straniero, identificato e detenuto, che si trova in taluna delle situazioni indicate nell'articolo 13, comma 2, che deve scontare una pena detentiva, anche residua, non superiore a tre anni, è disposta l'espulsione. L'espulsione non può essere disposta nei casi in cui la condanna riguarda uno o più delitti previsti dall'articolo 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale, ovvero uno o più delitti previsti dal presente testo unico puniti con pena edittale superiore nel massimo a tre anni.
      5. Competente a disporre l'espulsione di cui al comma 4 è il magistrato di sorveglianza, che decide con decreto motivato, senza formalità, acquisite le informazioni degli organi di polizia sull'identità e sulla nazionalità dello straniero. Il decreto di espulsione è comunicato allo straniero che, entro il termine di dieci giorni, può proporre opposizione dinanzi al tribunale di sorveglianza. Il tribunale decide nel termine di venti giorni.
      6. L'espulsione di cui al comma 4 è eseguita dal questore competente per il luogo di detenzione dello straniero con la modalità dell'accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica, se il decreto è rimasto inopposto ovvero se è stata pronunciata la sua conferma con decisione del tribunale di sorveglianza, anche se questa non è ancora irrevocabile.
 

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Per i successivi gradi di impugnazione della decisione del tribunale di sorveglianza è fatto salvo il rientro ai sensi dell'articolo 17 per l'esercizio del diritto di difesa.
      7. La pena è estinta alla scadenza del termine di quindici anni dall'esecuzione dell'espulsione di cui al comma 4, sempre che lo straniero non sia rientrato illegalmente nel territorio dello Stato. In tale caso, lo stato di detenzione è ripristinato e riprende l'esecuzione della pena; lo straniero è altresì punito con la reclusione da uno a quattro anni con rito direttissimo. È fatta salva l'applicazione del citato comma 4 quando la pena detentiva residua, risultante dal cumulo tra quella originaria e quella inflitta ai sensi del precedente periodo, raggiunge i tre anni».


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