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PDL 1448

XV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 1448



 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati

GIANFRANCO CONTE, LAZZARI

Norme per la riconoscibilità e la tutela dei prodotti italiani

Presentata il 25 luglio 2006


      

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Onorevoli Colleghi! - Nel corso della XIV legislatura, il Governo della Casa delle libertà ha adottato numerosissime disposizioni a tutela dei prodotti del Made in Italy, nell'ambito del cosiddetto «collegato concorrenza» (legge n. 273 del 2002), del decreto-legge n. 35 del 2005, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 80 del 2005, sulla competitività, e in numerose leggi finanziarie. In sostanza è stato rafforzato il sostegno all'export, all'internazionalizzazione delle imprese, alla tutela dei prodotti nei Paesi esteri e sono state adottate norme di polizia giudiziaria e doganali volte a bloccare la produzione, ma anche l'afflusso di prodotti contraffatti nel nostro Paese.
      L'ultimo tassello era costituito dal progetto di legge recante «Norme per la riconoscibilità e la tutela dei prodotti italiani», che istituiva il marchio «100 per cento Italia» e sul quale erano state sollevate perplessità sia in sede comunitaria - per la possibile incompatibilità con il principio di libera circolazione delle merci nel mercato interno - sia da parte del mondo produttivo nazionale - che vi vedeva un possibile ostacolo all'utilizzo di semilavorati e materie prima di origine non nazionale.
      La lunga gestazione sfociava in un testo unificato attentamente meditato, approvato dalla Camera dei deputati il 30 maggio 2005 (atto Camera n. 472 e abb. XIV legislatura). Nonostante l'impegno della Commissione Industria del Senato della Repubblica, che nel gennaio 2006 licenziava, con il numero atto Senato 3463-A, un testo pressoché identico a quello della Camera dei deputati, il progetto
 

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di legge decadeva con il finire della legislatura. Con esso decadevano tutte le proposte di legge abbinate, tra le quali si ricordano l'atto Camera n. 4001 Gianfranco Conte ed altri e l'atto Camera n. 2805 Scaltritti.
      Tuttavia, l'articolo 107 del Regolamento della Camera dei deputati consente un iter abbreviato per i progetti di legge che siano già stati approvati nella precedente legislatura da un ramo del Parlamento. Per tali motivi, si ritiene urgente e doveroso ripresentare il progetto di legge recante «Norme per la riconoscibilità e la tutela dei prodotti italiani» nel testo trasmesso al Senato della Repubblica nella XIV legislatura, ai fini di una sollecita approvazione.
      Va sottolineato che il testo del citato atto Camera n. 4001 conteneva norme ulteriori relative al sostegno del settore della proprietà industriale del design, nonché norme che consentivano alla polizia giudiziaria l'acquisto simulato di merci contraffatte e il ritardo degli atti di cattura, di arresto o di sequestro, a fini di indagine. Le disposizioni dell'articolo 107 del Regolamento della Camera dei deputati impediscono di riproporle, ma nulla vieta di riesaminarle in sede emendativa.
      Si riportano, peraltro, gli stralci salienti della relazione allegata al progetto di legge atto Camera n. 4001 della XIV legislatura, presentato nel maggio 2003:

          «Il giro d'affari mondiale della contraffazione commerciale è valutato in 250 miliardi di dollari annui. Secondo le statistiche pubblicate nel luglio 2002 dalla Commissione europea con l'aiuto delle autorità doganali, il mercato del falso è aumentato in Europa del 900 per cento rispetto al 1998; ha origini sempre più difficili da individuare e potrebbe nascondere legami con le reti terroristiche. Il rischio di destabilizzazione di taluni mercati, quali ad esempio il tessile, è altissimo e sono segnalati materiali sanitari difettosi, detersivi con agenti caustici, sostanze cancerogene negli indumenti, bevande alcoliche e profumi tossici. La contraffazione e la pirateria, un tempo condotte su scala artigianale, sono oggi riconducibili alla criminalità organizzata e rappresentano un rischio per l'ordine pubblico.
      Sono circa 95 milioni gli articoli contraffatti sequestrati nel 2001 alle frontiere dell'Unione, per un valore equivalente a circa due miliardi di euro sul mercato comunitario legale. Rispetto all'anno precedente i cambiamenti sono quantitativi e qualitativi: il fenomeno è aumentato di circa il 39 per cento e si è allargato dalla sfera dei prodotti di lusso a quello dei prodotti di più largo consumo. In appena un anno sono aumentate considerevolmente le contraffazioni di CD di musica e giochi (+349 per cento), i telefonini e altri oggetti elettronici (+252 per cento), i prodotti alimentari e le bevande (+75 per cento).
      Quasi la metà (45 per cento) dei prodotti contraffatti sequestrati nel 2001 è rappresentata da articoli di largo consumo (42 milioni di oggetti), come medicine, dentifrici, profilattici, shampoo, detersivi in polvere. L'altra metà (42 per cento) è rappresentata da CD, DVD e cassette; a seguire vengono i prodotti alimentari (4 per cento) con 4 milioni di prodotti contraffatti. Complessivamente si è stimata una perdita di posti di lavoro pari a 200.000 unità.
      In Italia, Paese purtroppo in prima fila nel commercio illegale, si calcola come questo faccia perdere circa 40 mila posti di lavoro all'anno, oltre al 13 per cento di entrate fiscali ed al 23 per cento di IVA. Secondo la Confesercenti gli operatori abusivi commerciali sono circa 400 mila e danno vita ad un giro d'affari stimato in 13 miliardi di curo, 8 secondo il Ministro delle attività produttive, Antonio Marzano.
      In pochi anni la contraffazione si è globalizzata ed adotta i medesimi canali distributivi del commercio mondiale; a volte anche le medesime fabbriche; oltre a ciò si è estremamente raffinata, tanto da falsificare anche loghi e marchi di fabbrica. In conseguenza di ciò, pur ritenendo necessaria l'istituzione di un marchio "Made in Italy", la si ritiene insufficiente se non inserita in un sistema complessivo di protezione e di controllo, che non è possibile far gravare, come accaduto sinora,

 

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sulle singole aziende e nemmeno sulle loro associazioni, ma di cui devono farsi carico lo Stato e l'Unione europea.
      A fronte di questo quadro e nei limiti delle attività possibili all'interno del nostro Stato, la presente proposta di legge nasce dall'esigenza di tutelare non solo i consumatori, ma anche il sistema produttivo italiano che, per sua natura, è proiettato verso i mercati esteri. Si consideri che dalla metà degli anni '90 i settori dell'alta qualità italiana - moda, scarpe, legno-arredo, casa, alimentazione mediterranea, meccanica e componentistica - hanno assicurato un bilancio positivo annuale di circa 70-75 miliardi di euro, in grado di coprire ampiamente il costo della bolletta energetica. Tali settori, basati prevalentemente su aziende piccole e medie e su circa 200 distretti industriali, rappresentano due terzi della occupazione manifatturiera del nostro Paese e costituiscono un elemento di progresso, di coesione civile e di orgoglio nazionale. E ne abbiamo ben ragione: senza averne praticamente i mezzi l'Italia si colloca tra i primi Paesi esportatori al mondo: dai dati relativi al 2001 siamo ottavi nell'esportazione di merci con 241 miliardi di dollari (primi gli Stati Uniti con 731 miliardi di dollari); ma è buona anche la performance nell'esportazione di servizi: settimi con 52 miliardi di dollari.
      Se la progressiva armonizzazione del diritto di proprietà intellettuale ha facilitato la libera circolazione delle merci, gli autori di contraffazioni hanno approfittato delle lacune nelle legislazioni nazionali e europee, spostando luoghi di produzione e di smercio della merce contraffatta, in Paesi meno attenti. L'armonizzazione comunitaria degli strumenti per assicurare il rispetto delle norme permetterà anche di garantire una circolazione senza distorsioni nel mercato interno. Tuttavia, allo stato, la protezione giuridica degli Stati membri è caratterizzata da notevoli disparità che non consentono di beneficiare di una pari condizione su tutto il territorio dell'Unione.
      Ad esempio, in Grecia, la sanzione non implica colpa e quindi può essere diretta anche alle persone in buona fede. Svezia e Finlandia la pensano in maniera opposta, mentre in Italia, Danimarca e Spagna la sanzione non si applica solo a chi fa un uso privato del bene contraffatto (l'acquirente finale). In materia di prove in Gran Bretagna è ammessa sia l'ispezione che il sequestro di prove nei locali del presunto autore della violazione (senza averlo ascoltato), sia un procedimento nel quale è possibile richiedere documenti o beni. È possibile inoltre bloccare conti o beni del presunto responsabile. In Germania e nel Benelux sussiste il diritto di informazione, che si esercita contro chiunque sia implicato nella violazione, obbligandolo a fornire informazioni sull'origine delle merci, sui circuiti di distribuzione e sull'identità dei partecipanti alle precedenti operazioni.
      Quanto alle pene e alle ammende esse sono assai differenti tra i vari Stati. Le ammende variano da alcune migliaia di euro (Italia e Lussemburgo) a 500.000 euro (Belgio), fino a 750.000 euro (Francia), per le persone giuridiche. In Gran Bretagna non esistono importi massimi ma ci si affida all'apprezzamento del giudice. Altri Paesi valutano l'ammenda secondo i redditi dell'autore della violazione (Paesi nordici, Austria e Germania). Le pene detentive variano da alcuni giorni fino a 10 anni (Grecia e Gran Bretagna).
      Da tempo il "nocciolo duro" del Made in Italy circa una ventina di tipologie di prodotto è sotto il tiro della contraffazione in particolare cinese. È possibile rendersene conto in via indiretta, osservando la crescita dell'export cinese: posto a 100 l'export italiano, per il corrispondente export cinese dal 1996 al 2000 si osservano incrementi vistosi: gli occhiali da 31 a 39; l'oreficeria da 23 a 30; le sedie e i divani da 18 a 41; i mobili e le cucine da 21 a 45; la ferramenta da 57 a 64; la rubinetteria da 11 a 27; addirittura per il pentolame da 159 a 405; nei settori dove eravamo già stati superati (tessuti, abiti, calzature) è proseguito, e forte, il trend negativo.
      Per impostazione culturale copiare in Cina non è considerato moralmente riprovevole. In Cina si copiano anche i Ferrero
 

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Rocher: si tratta di copy cat, cioè non di contraffazione integrale, ma di copia dei principali elementi ornamentali con un nome lievemente storpiato. Una ditta cinese addirittura aveva posto il copyright sulla traslitterazione cinese del nome Rocher; e questo accade per moltissimi altri prodotti. Il consiglio per le aziende che intendono operare in Cina è: registrare subito il marchio seguendo scrupolosamente le norme locali.
      Il diritto d'autore è stato introdotto in Cina solo da pochi anni, se si considera che la prima legge in materia risale al 1990 e che solo nel 1992 ha aderito alla Convenzione di Berna e ha istituito la Copyright Agency of China chiamata a tutelare i diritti degli autori.
      Recentemente però la Cina si è trovata a dovere affrontare la tutela della proprietà intellettuale in modo concreto, spinta a uniformarsi, a seguito del suo ingresso nel WTO avvenuto nel 2001, alle normative internazionali in materia. In quell'anno la Cina ha così modificato la legge sui marchi, la legge sui brevetti e la legge sul copyright, introducendo una nuova normativa anche in materia di concorrenza sleale, tutela del software, licencing, nomi a dominio e tutela dei prodotti farmaceutici. Un'importante novità è costituita dal fatto che contro chi viola la normativa sul copyright si può agire chiedendo un'inibitoria e il risarcimento dei danni quantificato in base alle perdite economiche subite dall'autore a causa del plagio e incluso il rimborso delle spese sostenute per il giudizio fino a un importo massimo stabilito per legge. Inoltre i titolari del diritto d'autore possono adire una Corte per ottenere una preliminary injunction; una sorta di provvedimento d'urgenza con il quale si chiede di bloccare immediatamente un plagio in corso.
      Tra i mercati emergenti la Russia, con i suoi 144 milioni di consumatori, è sempre stata uno dei paradisi per le merci contraffatte, con danni evidenti per il Made in Italy soprattutto per beni di consumo come scarpe, vestiti e occhiali. In realtà, le contraffazioni si estendono a una vasta gamma di prodotti, dagli articoli sportivi agli alimentari, ai farmaceutici, fino ai microprocessori per personal computer. Certamente, non esistono cifre precise, ma il mercato di merci contraffatte in Russia nel 2002 si stima in oltre 2 miliardi di dollari, mentre quest'anno la cifra potrebbe salire a 3-4 miliardi.
      Il capo dipartimento del Ministero degli Interni per la lotta contro la criminalità economica ha precisato che i medicinali contraffatti sono stimati al 10 per cento del mercato farmaceutico, fruttando circa 250-300 milioni di dollari all'anno. Il livello dei prodotti contraffatti supera in Russia gli indici medi dei mercati mondiali di 3 volte per i ricambi auto, di 6 volte per i capi di abbigliamento e di ben 12 volte per gli articoli di profumeria e cosmetica.
      Il grado di tolleranza sociale varia molto in rapporto alle categorie di prodotti: l'80 per cento dei russi ritiene inaccettabile la contraffazione di medicine, alimentari e alcolici. Tra l'altro, nel Paese si sono avuti numerosi decessi, l'anno scorso, di persone intossicate da alcolici contraffatti. Nei settori cinema e musica l'opposizione ai falsi scende già al 47 per cento, mentre il 30 per cento della gente li ritiene "accettabili". Ancor più tolleranza incontrano i vestiti e gli articoli sportivi contraffatti, ritenuti inaccettabili da appena il 34 per cento dei potenziali consumatori. E qui il fascino o il prestigio del Made in Italy è tale che varie donne russe comprano al mercato scarpe con l'etichetta italiana, a prezzo conveniente, pur sapendo che quasi certamente sono contraffatte e potrebbero rompersi presto.
      Le autorità russe, soprattutto in vista dell'ingresso del Paese nel WTO, stanno cercando di prendere sul serio il fenomeno anche perché, per i tre quarti, il mercato dei falsi è controllato da organizzazioni criminali. Ma c'è molto da fare a cominciare dalla modifica di leggi che, per ora, nemmeno prevedono il concetto di "prodotto contraffatto", soprattutto in campo cosmetico e farmaceutico.

Moda.

      A dicembre 2002 il Governo italiano ha segnalato a quello di Pechino circa 1.000

 

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violazioni nel settore della moda. Il giro d'affari illegale è di 4 miliardi di euro l'anno, oltre a 1,5 miliardi nel settore calzature e pelletterie. Se si valuta che il settore tessile-abbigliamento italiano ha una produttività media di 165 mila euro ad addetto ne consegue una perdita di posti di lavoro pari a 25 mila unità. Nell'ultima indagine campione effettuata dal "Sistema moda Italia" due capi su dieci erano falsi. Il settore richiede un aumento abnorme delle pene pecuniarie. Il tema della reciprocità di accesso ai mercati e della tracciatura dei beni importati sono le storiche battaglie della moda italiana, svantaggiata anche da barriere all'ingresso degli altri mercati.

Scarpe.

      L'Agenzia delle dogane ha firmato (gennaio 2003) un memorandum d'intesa con i rappresentanti dei calzaturieri. Ormai una scarpa su tre è prodotta in Cina, ma anche a Taiwan, Polonia e Russia. Si tratta di 50,2 milioni di scarpe nel 2002. Inoltre ci si scontra con barriere tariffarie e non, pari a circa il 65 per cento del prezzo per l'ingresso in India ed in Cina, mentre il Giappone si rifiuta da anni di rinegoziare i contingenti di importazione oltre a gravare con pesanti dazi la merce in ingresso. Va ricordato che il sistema esporta 1'83 per cento della produzione, ma nel 2002 ha subìto un calo dell'export di circa il 10 per cento.

Meccanica e componentistica.

      Nel settore della rubinetteria (nel 2002, 15 mila addetti, con un fatturato di 4,5 miliardi di euro di cui 1, 3,3 esportati) la nostra industria tenta di difendersi con il marchio collettivo di qualità "Q Avr". Ma rubinetti e valvole vengono imitati alla perfezione compresi i marchi delle aziende italiane; un caso è stato denunziato recentemente ai presentatori della proposta di legge dalla Cimberio, che ha visto imitato anche il proprio trademark, ed i certificati degli enti certificatori internazionali. L'azienda citata ha osservato che spesso le valvole imitate hanno una presenza di piombo fuori dalla norma; si consideri che sono destinate ad acqua potabile per uso umano, che sono al di fuori di qualsiasi normativa internazionale e che sono pericolose per i consumatori. In taluni casi i consumatori truffati hanno citato l'azienda colpita dalla contraffazione e la dimostrazione che non si tratta di prodotti italiani comporta ulteriori spese legali. Così oltre al danno c'è anche la beffa.
      La FICEP, azienda varesina specializzata negli impianti per la lavorazione dei metalli, si è vista copiare qualcosa come 60 installazioni in Cina, ed ha avuto anche la spiacevole sorpresa di scoprire, alla EMO di Hannover, un clone delle proprie macchine presentato da una ditta spagnola.
      Un piccolo ritocco al nome, da FASEP a PASEF, la copiatura di sana pianta del logo dell'azienda, e per l'impresa fiorentina che produce attrezzature per la manutenzione delle automobili la vicenda si è tradotta in 1,5 milioni di euro di perdita di fatturato. Con una prospettiva ancora più pesante: l'impossibilità di restare sul mercato cinese e il rischio di perdere altri sbocchi nell'area orientale. Non è stata intentata nemmeno una causa perché servono soldi e gente in loco per seguirla.
      La ditta Maselli combatte invece da quattro anni con gli avvocati. L'azienda produce attrezzature per montaggio e smontaggio di ruote ed equilibratori, ed è in Cina dai primi anni '90. Ha scoperto la contraffazione per una serie di telefonate di clienti insoddisfatti: i produttori cinesi, inizialmente suoi distributori, avevano fotocopiato addirittura il libretto delle istruzioni, compreso il numero di telefono dell'azienda. Il prodotto cinese funziona male, ma si vende a prezzi stracciati. In Cina ormai la Maselli non riesce più a vendere.
      La Corghi, 150 milioni di euro di fatturato, leader nel campo delle autoattrezzature, ha intentato due cause, una nel 1995, l'altra nel 1998, che due anni fa si

 

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sono concluse con la condanna dei contraffattori. La Corghi è in Cina da 40 anni, da 10 ha una filiale e anche uno stabilimento produttivo. Ha mezzi e forze per poter affrontare il problema: ad ogni fiera si controlla la documentazione commerciale degli altri stand e se si vede qualcosa che non convince, viene mandata una lettera di diffida.
      I produttori segnalano inoltre che taluni fabbricanti italiani importano direttamente prodotti fabbricati in Cina su loro progetto, marchiandoli "Made in Italy". Si segnala inoltre che recentemente la società cinese Su Rie Bin-China ha depositato in Perù il marchio WALITALY per diversi prodotti di rubinetteria e purtroppo il marchio è stato registrato. I produttori italiani hanno fatto ricorso, poiché secondo la legge peruviana non è possibile registrare marchi con denominazioni di Paesi; tuttavia i risultati sono limitati e le spese legali assai elevate.
      Il Sottosegretario per l'economia e le finanze, Vegas, al salone internazionale dei componenti (22o Automotor), tenutosi nel marzo al Lingotto di Torino, ha proposto un marchio DOC per la componentistica auto italiana, settore che ha fatturato 22.200 milioni di euro nel 2002. Il direttore generale dell'Istituto per il commercio estero, Ugo Calzoni, ha annunziato un progetto speciale di comunicazione dell'Istituto per la penetrazione dei mercati internazionali da parte delle aziende di settore».
 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Istituzione del marchio «100 per cento Italia» e definizioni).

      1. Al fine di assicurare un livello elevato di protezione dei consumatori, in conformità con il disposto di cui all'articolo 153 del Trattato che istituisce la Comunità europea, e successive modificazioni, promuovendo il loro diritto a una corretta informazione in ordine ai prodotti il cui processo produttivo è realizzato interamente in Italia, è istituito il marchio «100 per cento Italia», di proprietà dello Stato italiano.
      2. Si intendono realizzati interamente in Italia i prodotti finiti per i quali l'ideazione, il disegno, la progettazione, la lavorazione e il confezionamento sono compiuti interamente sul territorio italiano, utilizzando materie prime anche di importazione, nonché semilavorati grezzi, come definiti alla lettera g) del comma 3, realizzati interamente in Italia.
      3. Ai fini della presente legge si intende per:

          a) ideazione: l'attività intellettuale e creativa finalizzata alla definizione di un prodotto e dei suoi requisiti specifici;

          b) progettazione: l'attività dell'ingegno finalizzata a individuare le caratteristiche costruttive, prestazionali ed estetiche di un prodotto;

          c) disegno: la rappresentazione grafica dell'attività di ideazione e di progettazione;

          d) lavorazione: ogni attività del processo produttivo che porta alla realizzazione del prodotto finale;

          e) confezionamento: le attività successive alla lavorazione e dirette all'imballaggio

 

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del prodotto finito per la sua conservazione o immissione sul mercato;

          f) materie prime: ogni materiale o sostanza utilizzati nel processo produttivo e che diventano parte integrante del prodotto finito;

          g) semilavorati grezzi: i prodotti che non hanno terminato tutte le fasi della lavorazione, anche se hanno assunto una determinata forma dalla quale emerge la sagoma del prodotto finito, nonché i manufatti di processi tecnologici di qualsiasi natura, meccanici e non, che, pur presentando una struttura finita o semifinita, non risultano diretti a uno specifico uso o funzione, ma sono destinati ad essere trasformati, inseriti, incorporati, aggiunti o collegati in qualunque forma o con qualsiasi processo tecnologico in altri oggetti, garantiti nel loro complesso dal fabbricante del prodotto finito.

Art. 2.
(Individuazione e riconoscibilità dei prodotti).

      1. Il marchio di cui all'articolo 1 è concesso al produttore a valere sui prodotti che l'impresa realizza nel rispetto delle condizioni previste dall'articolo 1, comma 2, e dall'articolo 3.
      2. Il marchio di cui all'articolo 1 deve essere apposto sul prodotto finale, in forma indelebile e insostituibile, in maniera tale da non ingenerare possibilità di confusione da parte del consumatore affinché risulti chiaro che tale marchio è relativo all'intero prodotto, e non ad una sola parte o componente di esso.

Art. 3.
(Modalità e requisiti per la concessione del marchio).

      1. Il richiedente l'autorizzazione all'uso del marchio di cui all'articolo 1, unitamente alla domanda, deve presentare alla camera di commercio, industria, artigianato

 

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e agricoltura territorialmente competente un'autocertificazione relativa:

          a) al rispetto delle norme vigenti in materia di tutela del lavoro, in campo fiscale e contributivo, nonché in ordine all'esclusione dell'impiego di minori e al pieno rispetto della normativa per la salvaguardia dell'ambiente;

          b) all'attestazione che tutte le fasi di realizzazione del prodotto si sono svolte integralmente sul territorio nazionale;

          c) all'attestazione che sul prodotto sono state effettuate le analisi chimiche e meccaniche necessarie ad accertare la salubrità dei materiali utilizzati e le qualità meccaniche relative alla resistenza e alla durata del prodotto stesso.

      2. Il marchio di cui all'articolo 1 è rilasciato dal Ministero dello sviluppo economico, che si avvale della collaborazione delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, su richiesta delle imprese interessate e previa verifica della sussistenza dei prescritti requisiti.
      3. Il Ministero dello sviluppo economico può autorizzare al rilascio dei marchi consorzi o società consortili, anche in forma cooperativa, costituiti da imprese, anche artigiane, facenti parte di distretti industriali individuati ai sensi dell'articolo 36 della legge 5 ottobre 1991, n. 317, e successive modificazioni, ovvero di specifiche filiere produttive, qualora tutti i prodotti da essi realizzati abbiano i requisiti per ottenere il marchio.
      4. È istituito presso il Ministero dello sviluppo economico, senza nuovi o maggiori oneri per il bilancio dello Stato, l'albo delle imprese abilitate a utilizzare per i propri prodotti il marchio di cui all'articolo 1.

Art. 4.
(Controlli sulle autocertificazioni del marchio «100 per cento Italia»).

      1. Le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura hanno il compito

 

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di esercitare il controllo di veridicità delle autocertificazioni di cui all'articolo 3, definendo opportune forme di collaborazione con il Corpo della guardia di finanza e avvalendosi di istituti di certificazione pubblici o privati autorizzati con decreto del Ministro dello sviluppo economico.

Art. 5.
(Controlli).

      1. Le imprese che hanno ottenuto l'utilizzo del marchio di cui all'articolo 1 attestano ogni due anni, tramite autocertificazione da depositare presso il Ministero dello sviluppo economico, che per gli scopi di cui al presente articolo può avvalersi delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura competenti per territorio, il permanere dei requisiti per l'utilizzo del medesimo marchio. Le imprese sono comunque tenute a comunicare immediatamente al soggetto che ha rilasciato il marchio l'eventuale venire meno dei relativi requisiti ed a cessare contestualmente l'utilizzo del marchio.
      2. Le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e i consorzi di imprese di cui al comma 3 dell'articolo 3, anche tramite gli istituti e i consorzi di certificazione a tale fine autorizzati e da essi individuati, effettuano controlli periodici e a campione sulle imprese che utilizzano il marchio di cui all'articolo 1 ai fini della verifica della sussistenza dei relativi requisiti.
      3. Il Ministero dello sviluppo economico può comunque acquisire notizie atte a verificare la sussistenza dei requisiti per l'utilizzo del marchio di cui all'articolo 1, segnalando eventuali ipotesi di indebito utilizzo, ai fini dei conseguenti accertamenti, alla camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura competente per territorio, ovvero ai consorzi di imprese di cui al comma 3 dell'articolo 3, che hanno rilasciato il marchio.
      4. Ai fini delle attività di controllo e accertamento svolte dalle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura,

 

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di cui ai commi 2 e 3, sono definite opportune forme di collaborazione con il Corpo della guardia di finanza.
      5. Nel caso in cui i controlli di cui al comma 2 o gli accertamenti di cui al comma 3 facciano emergere a carico dell'impresa interessata violazioni nell'utilizzo del marchio di cui all'articolo 1, il Ministero dello sviluppo economico revoca l'autorizzazione all'utilizzo del marchio. Nelle more degli accertamenti di cui al comma 3 l'utilizzo del marchio può essere inibito a titolo cautelare.
      6. Il Ministero dello sviluppo economico provvede a rendere nota al pubblico la revoca del marchio disposta ai sensi del comma 5 tramite appositi comunicati diffusi, a spese dell'impresa interessata, su tre testate giornalistiche, di cui almeno due a diffusione nazionale.

Art. 6.
(Sanzioni).

      1. Le imprese alle quali è stato revocato il diritto all'uso del marchio di cui all'articolo 1 non possono presentare nuove richieste di autorizzazione all'utilizzo del marchio prima che siano decorsi tre anni dal provvedimento di revoca. Qualora la richiesta di autorizzazione riguardi lo stesso prodotto per il quale è intervenuto il provvedimento di revoca, essa non può essere presentata prima che siano decorsi cinque anni.
      2. Qualora ne abbia notizia, il Ministero dello sviluppo economico segnala all'autorità giudiziaria, per le iniziative di sua competenza, i casi di contraffazione e di uso abusivo del marchio di cui all'articolo 1. Si applicano altresì le disposizioni di cui agli articoli 144 e seguenti del codice della proprietà industriale, di cui al decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30.
      3. L'uso illecito del marchio di cui all'articolo 1 è punito ai sensi del libro II, titolo VII, capo II, del codice penale, e del codice della proprietà industriale, di cui al

 

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decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30. Per l'irrogazione delle pene accessorie, si applica l'articolo 518 del codice penale.

Art. 7.
(Etichettatura dei prodotti).

      1. Al fine di consentire un'adeguata informazione agli utilizzatori intermedi e ai consumatori finali sul processo lavorativo dei prodotti commercializzati sul mercato italiano, è istituito, su base volontaria, un sistema di etichettatura dei prodotti realizzati in Paesi non appartenenti all'Unione europea. Tale sistema di etichettatura deve comunque evidenziare il Paese di origine del prodotto finito, nonché dei prodotti intermedi e la loro realizzazione nel rispetto delle regole comunitarie e internazionali in materia di origine commerciale, di igiene e sicurezza dei prodotti.
      2. Nella etichettatura di prodotti finiti e intermedi di cui al comma 1, il produttore o l'importatore forniscono altresì informazioni specifiche sulla conformità alle norme internazionali vigenti in materia di lavoro, sulla certificazione di igiene e sicurezza dei prodotti e sull'esclusione dell'impiego di minori nella produzione, nonché sul rispetto della normativa europea e degli accordi internazionali in materia ambientale.
      3. Con decreto del Ministro dello sviluppo economico, da emanare di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro del commercio internazionale, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono stabilite le procedure per il rilascio e le caratteristiche del sistema di etichettatura di cui ai commi 1 e 2 e le modalità per i relativi controlli. Con il medesimo decreto sono altresì definite misure volte a promuovere presso i consumatori la conoscenza delle caratteristiche del sistema di etichettatura previste dal presente articolo, nonché forme di semplificazione delle procedure doganali per i prodotti dotati di etichettature conformi ai criteri di cui al presente articolo. Dall'attuazione delle disposizioni

 

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del presente comma non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

Art. 8.
(Disposizioni in materia di etichettatura delle calzature).

      1. Fermo restando quanto previsto dall'articolo 7, le calzature destinate alla vendita al consumatore possono riportare un'etichetta recante informazioni sui materiali delle principali parti che le compongono, quali tomaia, rivestimento della tomaia, suola interna, suola esterna. L'etichetta contiene altresì le informazioni relative all'origine dei materiali stessi e alle relative lavorazioni.
      2. Per le calzature prodotte al di fuori dell'Unione europea e qualificate come dispositivi di protezione individuale, ai sensi del decreto legislativo 4 dicembre 1992, n. 475, l'etichetta riporta la denominazione e il codice identificativo dell'organismo italiano autorizzato che ha rilasciato la relativa certificazione.

Art. 9.
(Disposizioni in materia di etichettatura dei prodotti tessili).

      1. All'articolo 8, comma 1, del decreto legislativo 22 maggio 1999, n. 194, sono aggiunti, in fine, i seguenti periodi: «Per i prodotti realizzati al di fuori dell'Unione europea e qualificati come dispositivi di protezione individuale, ai sensi del decreto legislativo 4 dicembre 1992, n. 475, l'etichetta riporta inoltre la denominazione e il codice identificativo dell'organismo italiano autorizzato che ha rilasciato la relativa certificazione. Quando tali prodotti non sono offerti in vendita a un consumatore, come definito dall'articolo 1519-bis, secondo comma, lettera a), del codice civile, le informazioni di cui al presente comma possono essere riportate in documenti commerciali di accompagnamento».

 

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Art. 10.
(Carta d'identità dei prodotti «Made in Italy»).

      1. La definizione «Made in Italy», ferma restando la disciplina recata dal regolamento (CEE) n. 2913/92 del Consiglio, del 12 ottobre 1992, e successive modificazioni, che istituisce un codice doganale comunitario, è accompagnata da una scheda informativa denominata «carta d'identità del prodotto finito» che contiene informazioni utili al consumatore per conoscere la provenienza dei semilavorati di cui il prodotto finale è composto e le lavorazioni eseguite nel processo di fabbricazione cui hanno contribuito imprese di altri Paesi.
      2. I contenuti e le modalità applicative della carta d'identità di cui al comma 1 sono stabiliti con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro del commercio internazionale, d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano e sentite le categorie interessate, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge.
      3. Per informare i consumatori riguardo alla rilevanza delle notizie contenute nella carta d'identità di cui al comma 1, nell'ambito degli ordinari stanziamenti di bilancio il Ministero dello sviluppo economico, di intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sentite le associazioni di categoria delle imprese e le associazioni dei consumatori, può attuare una campagna di informazione capillare utilizzando le emittenti televisive nazionali, la rete radiofonica, la rete INTERNET e stampati da inviare al domicilio dei cittadini.
      4. Gli sportelli unici all'estero, nell'ambito dei compiti ad essi attribuiti dalla legge 31 marzo 2005, n. 56, svolgono, nei Paesi esteri, funzioni di prevenzione di fenomeni di contraffazione della carta d'identità di cui al comma 1.

 

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Art. 11.
(Promozione del marchio e registrazione comunitaria).

      1. Il Ministero dello sviluppo economico può predisporre, nei limiti delle risorse di cui al secondo periodo del presente comma, campagne annuali di promozione del marchio di cui all'articolo 1 nel territorio nazionale nonché sui principali mercati internazionali per il sostegno e la valorizzazione della produzione italiana e per la sensibilizzazione del pubblico ai fini della tutela del consumatore. Al finanziamento delle predette campagne si provvede mediante utilizzo di una quota non inferiore al 50 per cento delle risorse derivanti dall'articolo 148 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, e successive modificazioni.
      2. Il Ministero dello sviluppo economico provvede alla registrazione del marchio di cui all'articolo 1 presso l'apposito Ufficio di armonizzazione comunitaria ai fini della tutela internazionale del marchio in Stati terzi ai sensi del regolamento (CE) n. 40/94 del Consiglio, del 20 dicembre 1993, e successive modificazioni, e del protocollo relativo alla intesa di Madrid concernente la registrazione internazionale dei marchi, fatto a Madrid il 27 giugno 1989, reso esecutivo ai sensi della legge 12 marzo 1996, n. 169.
      3. Le imprese facenti parte di distretti industriali individuati ai sensi dell'articolo 36 della legge 5 ottobre 1991, n. 317, e successive modificazioni, ovvero di quelli riconosciuti dalle regioni sulla base delle leggi emanate nell'ambito delle competenze di cui all'articolo 117 della Costituzione, possono altresì concertare azioni di promozione dei prodotti contrassegnati dal marchio di cui all'articolo 1 con le regioni, i comuni e le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura interessati. Dall'attuazione del presente comma non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

 

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Art. 12.
(Ambito di applicazione).

      1. Le norme di cui alla presente legge si applicano, in quanto compatibili, ai marchi aziendali e collettivi e alle denominazioni, indicazioni ed etichettature, di cui alle leggi nazionali o regionali vigenti, destinate alla informazione del consumatore e alla riconoscibilità dell'origine o della qualità dei prodotti.


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