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PDL 1661

XV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 1661



 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati

PISCITELLO, PIRO

Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91, e altre norme in materia di cittadinanza

Presentata il 19 settembre 2006


      

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Onorevoli Colleghi! - L'affermarsi del carattere multietnico nelle odierne società occidentali pone domande inedite e quanto mai complesse. Il problema dell'immigrazione e dei suoi flussi, non solo in Italia ma a livello europeo, richiede risposte che sappiano coniugare politiche di nuova coesione sociale e culturale con misure di tutela della sicurezza.
      Il diritto alla cittadinanza, quale carattere fondante degli Stati moderni volto a definire un corpo di cittadini solidalmente legati tra loro, è connesso, a tutt'oggi, a un principio di appartenenza nazionale. Dunque, la cittadinanza costituisce il riconoscimento principe dei diritti liberali di un Paese, l'essenza stessa delle politiche di inclusione e di integrazione.       Esistono due sistemi tradizionali di trasmissione della cittadinanza alla nascita (di tipo automatico): lo jus soli, in base al quale si acquista la cittadinanza secondo il criterio del luogo di nascita, e lo jus sanguinis, che assume invece il criterio della semplice appartenenza genealogica. In quest'ultimo caso il figlio di stranieri non ha alcun diritto civile e politico del Paese in cui è nato anche se lì è cresciuto, lì conduce i suoi studi e parla la lingua locale. In una situazione di massiccia immigrazione è evidente come tale sistema non possa ritenersi adeguato.
      L'Italia ha un sistema di jus sanguinis quasi puro. La legge italiana sulla cittadinanza, legge 5 febbraio 1992, n. 91, fortemente sbilanciata nella tutela della discendenza e dello jus sanguinis, è certamente il sistema più restrittivo tra quelli esistenti nelle principali nazioni dell'Unione europea.
      In Italia il fenomeno migratorio è recente, eppure le sue dimensioni mostrano
 

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con palese evidenza l'urgenza di un cambiamento dell'attuale disciplina in materia. Le migliaia di minori stranieri presenti in Italia (circa 300.000, alla data dell'ultimo censimento ISTAT) vivono una condizione di estraneità, di non partecipazione civile, privati di un progetto di vita futura e della pienezza di diritti, nonostante siano nati qui, abbiano frequentato le nostre scuole, parlino la nostra lingua, acquisiscano cultura, gusti e abitudini del nostro Paese. Secondo gli ultimi dati ISTAT, pubblicati nel «Bilancio demografico nazionale per il 2005», la popolazione italiana è cresciuta del 4,5 per cento, invertendo una tendenza registratasi nel decennio 1993-2003, grazie proprio agli immigrati; un nuovo nato su dieci è immigrato. Negli ultimi dieci anni, l'incidenza delle nascite di bambini stranieri sul totale dei nati della popolazione residente in Italia ha fatto registrare un fortissimo incremento, passando da poco più di 9.000 nati nell'anno 1995 a più di 52.000 nell'anno 2005; incremento che, tradotto in termini percentuali, va dall'1,7 per cento al 9,4 per cento. Il numero di minori stranieri cresce di circa il 20 per cento all'anno. Insomma, è oramai figlio di immigrati un bambino su dieci.
      Infine, secondo dati del Ministero della pubblica istruzione, gli studenti stranieri rappresentano il 5 per cento del totale della popolazione scolastica nazionale; un dato destinato a crescere, anche se in modo non uniforme tra nord, centro e sud della penisola; in alcuni luoghi le percentuali di studenti stranieri raggiungono cifre elevatissime: esemplare è il dato di Prato, dove si supera addirittura il 40 per cento.
      Eppure la disciplina vigente in materia di cittadinanza ignora completamente questa presenza significativa.
      Fino alla riforma del 2000 anche la Germania aveva un sistema di jus sanguinis, simile a quello italiano. Dopo decenni di immigrazione in quel Paese vivono più di 7 milioni di stranieri e nascono ogni anno circa 100.000 bambini «stranieri». Dimensioni di un fenomeno sottovalutato per troppo tempo, fino a quando le sue conseguenze e le ferite profonde in seno alla società tedesca non sono state capaci di alimentare situazioni di razzismo anche violento e di giustificare forme di rigetto e di alienazione da parte degli immigrati. Di fronte al fenomeno, il Governo Schroeder ha avuto comunque il coraggio di affrontare il problema, facilitando l'acquisizione della cittadinanza e varando nel 2000 una nuova legge, la cui innovazione più importante è stata la graduazione del tradizionale principio tedesco dello jus sanguinis in favore dell'altro attributivo della cittadinanza, lo jus soli. La riforma riguarda sia l'acquisizione automatica della cittadinanza tedesca per i nati sul territorio da genitori stranieri, sia i meccanismi di concessione che vedono una riduzione del periodo di legittima e regolare permanenza nel territorio nazionale (da 15 a 8 anni), cui fa riscontro la previsione di una serie di condizioni e di obblighi che incombono a chi ne faccia domanda, fra cui rilevano: l'accettare e riconoscere i princìpi democratici sui quali si fonda la Repubblica federale tedesca e dichiarare di non svolgere attività contrarie alle attività costituzionali; soggiornare legittimamente; mantenersi senza l'ausilio di sussidi statali; non essere stato condannato per alcun grave reato; dimostrare sufficienti capacità linguistiche giudicate secondo la capacità del soggetto di interagire con le amministrazioni e di interloquire in tedesco nell'espletamento delle quotidiane incombenze sociali e lavorative.
      In un mondo globalizzato appare sempre più anacronistica la difesa di società chiuse, accanto al corollario della tradizionale concezione della discendenza e del legame di sangue; la domanda di appartenenza ad una comunità rimanda inevitabilmente a nuovi criteri più dinamici cui riferirsi, quali l'effettivo inserimento delle persone straniere nel tessuto sociale, politico ed economico del Paese. La cittadinanza, dunque, non trae origine soltanto dal tempo di permanenza nel territorio di uno Stato, ma da un percorso, che si può agevolare e accompagnare, volto a far assumere, al richiedente straniero, quel complesso di libertà, di diritti e di doveri
 

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fondamentali che stanno alla base della nostra democrazia. I criteri per delineare questo percorso, così come le conseguenti verifiche circa i requisiti e le condizioni per l'acquisto della cittadinanza, sono alla base della presente proposta di legge.
      La proposta di legge, ispirandosi ad alcuni contenuti della riforma tedesca, intende accompagnare e arricchire l'azione dell'attuale Governo, come recentemente delineata dal Ministro dell'interno Amato, che ha presentato un apposito disegno di legge di riforma dei criteri per l'acquisto della cittadinanza - tenendo anche conto del lavoro svolto, purtroppo senza successo, nella passata legislatura.
      Il testo che qui si propone intende conseguire i seguenti obiettivi: favorire i minori nati sul territorio, in particolare le seconde e le terze generazioni di immigrati; facilitare l'acquisizione della cittadinanza per gli stranieri, specie se risiedono da lungo tempo nel Paese; incoraggiare un percorso di acquisizione dei valori e delle regole della democrazia nei confronti di coloro che danno segni di volontà di integrazione; rendere l'acquisizione della cittadinanza vincolata al rispetto di alcune regole che determinano l'appartenenza ad una comunità e al mantenimento di determinati requisiti e condizioni; scoraggiare e limitare, infine, i cosiddetti «matrimoni di comodo».
      Per tali finalità, la proposta di legge prevede all'articolo 1 - che modifica l'articolo 1 della citata legge n. 51 del 1992 - il rafforzamento dello jus soli, ponendo condizioni più favorevoli per i minori nati o cresciuti in Italia, mediante il riconoscimento della cittadinanza italiana al figlio nato in Italia da genitori stranieri, titolari della carta di soggiorno ed entrambi residenti legalmente e continuativamente in Italia da almeno cinque anni. Si riconosce la possibilità di conservare la doppia cittadinanza, salvo che il nato in Italia da genitori stranieri che abbia conseguito la cittadinanza vi rinunzi entro due anni dal compimento della maggiore età e trasferisca la sua residenza all'estero.
      Con l'articolo 2, si intende porre un rimedio alla piaga dei matrimoni di comodo: si pone infatti un obbligo di residenza in Italia più lungo di quello attualmente previsto dall'articolo 5 della legge n. 51 del 1992 (che viene sostituito) e si prevede che il vincolo del matrimonio debba persistere al momento del decreto con cui si acquista la cittadinanza.
      Con l'articolo 3 vengono modificati i criteri previsti dalla normativa vigente per la naturalizzazione (articolo 9 della citata legge n. 91 del 1992), ossia l'accesso alla cittadinanza da parte di un cittadino straniero nato all'estero che ne faccia richiesta. La naturalizzazione si distingue dagli altri tipi di acquisizione perché non costituisce un diritto, non è data automaticamente a chi abbia i requisiti e la richieda, ma è concessa discrezionalmente attraverso procedure lente e complesse. I tempi di residenza legale richiesti per la naturalizzazione si differenziano da Paese a Paese: in Olanda, Belgio, Svezia, Finlandia e Francia si richiedono cinque anni, in Danimarca sette, in Germania otto, in Spagna dieci, in Lussemburgo dieci, dei quali, però, solo gli ultimi cinque continuativi. L'Italia si colloca, dopo l'entrata in vigore della citata legge n. 91 del 1992, nella fascia di severità estrema, che è anche la soglia massima prevista dalla convenzione del Consiglio d'Europa sulla cittadinanza del 1997.
      Le innovazioni introdotte dall'articolo 3 riguardano, pertanto, la riduzione dei tempi di residenza richiesti, pratiche più semplici e più standardizzate su tutto il territorio nonché la riduzione della discrezionalità delle decisioni e delle competenze.
      Il periodo minimo di residenza legale richiesto per poter presentare domanda di cittadinanza passa da dieci a cinque anni.
      A queste forme di agevolazione per lo straniero titolare della carta di soggiorno e che legalmente e continuativamente risiede in Italia da oltre cinque anni fa riscontro l'introduzione di importanti requisiti e condizioni aggiuntivi. Il richiedente deve dimostrare la condivisione dei princìpi fondanti il nostro sistema costituzionale, mediante il rispetto delle seguenti condizioni:

          1) non sussistenza delle cause ostative per condanne penali previste dall'articolo 6,

 

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comma 1, lettere a) e b), della legge n. 91 del 1992;

          2) assenza di condanne penali per reati che prevedono l'arresto in flagranza di reato ai sensi degli articoli 380 e 381 del codice di procedura penale;

          3) accertamento che non ostino motivi inerenti la sicurezza dello Stato;

          4) possesso di un reddito sufficiente per il proprio sostentamento;

          5) dimostrazione, mediante appositi test, di conoscere la lingua italiana;

          6) prestazione del giuramento di fedeltà alla Costituzione e ai suoi princìpi;

          7) dichiarazione di aver compiuto un percorso di adesione e condivisione di valori fondanti della nostra democrazia (con particolare riferimento ai diritti di libertà, di eguaglianza e della parità fra i sessi), attraverso la frequentazione di corsi di educazione civica, appositamente istituiti, volti a favorire l'integrazione sociale e culturale dello straniero richiedente la cittadinanza italiana.

      L'articolo 4 istituisce i corsi di educazione civica in oggetto, la cui frequentazione costituisce ulteriore condizione per la richiesta di cittadinanza, delegando al Governo la loro successiva specifica regolamentazione.
      L'articolo 5 sostituisce l'articolo 8 della legge n. 91 del 1992 aggiungendo, fra le cause ostative (già previste dall'articolo 6 della stessa legge n. 91 del 1992 relative al rigetto dell'istanza di acquisto della cittadinanza) anche la mancanza dei requisiti di cui all'articolo 9 della stessa legge n. 91 del 1992, come modificato dalla presente proposta di legge.
      L'articolo 6 introduce l'articolo 12-bis della legge n. 91 del 1992, che reca una normativa finalizzata ad evitare strumentalizzazioni e abusi di un diritto, ossia il potere del Ministro dell'interno di revocare la cittadinanza già concessa allo straniero naturalizzato o acquisita per il decorso del tempo, in presenza di gravi ipotesi, ovvero qualora la richiesta di cittadinanza sia funzionale a un proposito illecito (quale quello di agevolare la costituzione e la partecipazione ad associazioni eversive o di compiere atti terroristici) o in seguito a condanne passate in giudicato per taluni reati di grave allarme sociale.
      Tale potere di revoca viene comunque limitato, in senso temporale, stabilendo che possa esplicarsi solo entro tre anni dalla data di emanazione del decreto di concessione della cittadinanza.

 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Acquisto della cittadinanza per i nati in Italia da genitori stranieri).

      1. Al comma 1 dell'articolo 1 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, è aggiunta, in fine, la seguente lettera:

      «b-bis) chi è nato nel territorio della Repubblica da genitori stranieri, se entrambi sono residenti legalmente e continuativamente in Italia da almeno cinque anni e titolari della carta di soggiorno, prevista dall'articolo 9, comma 1, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni. Entro due anni dal compimento della maggiore età il soggetto, qualora stabilisca la sua residenza all'estero, può rinunciare, se in possesso di altra cittadinanza, alla cittadinanza italiana».

Art. 2.
(Acquisto della cittadinanza per matrimonio).

      1. L'articolo 5 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, è sostituito dal seguente:

      «Art. 5. - 1. Il coniuge, straniero o apolide, di cittadino italiano acquista la cittadinanza italiana dopo tre anni dalla data del matrimonio se, alla data di adozione del decreto di cui all'articolo 7, comma 1, non è intervenuto scioglimento, annullamento o cessazione degli effetti civili del matrimonio e se non sussiste separazione legale.
      2. L'adozione del decreto di cui all'articolo 7, comma 1, è sospesa fino alla comunicazione della sentenza definitiva se è stata promossa azione penale per uno

 

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dei delitti previsti dall'articolo 6, comma 1, lettera a) e lettera b), prima parte, o per i quali è previsto l'arresto obbligatorio in flagranza, ai sensi degli articoli 380 e 381 del codice di procedura penale, nonché per il tempo in cui è pendente il procedimento di riconoscimento della sentenza straniera di cui all'articolo 6, comma 1, lettera b), seconda parte.
      3. Il decreto di cui all'articolo 7, comma 1, perde efficacia se la persona a cui si riferisce non presta, entro sei mesi dalla data di notifica del decreto medesimo, giuramento di fedeltà alla Costituzione italiana e di non svolgere attività contrarie ai princìpi costituzionali».

Art. 3.
(Acquisto della cittadinanza per lo straniero legalmente e continuativamente residente in Italia).

      1. La lettera f) del comma 1 dell'articolo 9 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, è sostituita dalla seguente:

      «f) allo straniero residente legalmente e continuativamente nel territorio della Repubblica da almeno cinque anni e titolare della carta di soggiorno prevista dall'articolo 9, comma 1, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 e successive modificazioni, a condizione che:

          1) non sussista una o più delle cause ostative all'acquisto della cittadinanza per matrimonio, previste dall'articolo 6;

          2) il richiedente non abbia riportato condanne penali per reati che prevedono l'arresto in flagranza di reato ai sensi degli articoli 380 e 381 del codice di procedura penale;

          3) non ostino motivi inerenti la sicurezza dello Stato;

          4) il richiedente sia in possesso di un reddito sufficiente al proprio sostentamento,

 

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in misura non inferiore all'importo annuo dell'assegno sociale;

          5) il richiedente dimostri, mediante appositi test, le cui modalità di svolgimento sono definite con decreto del Ministero dell'interno, di avere conoscenza sufficiente della lingua italiana;

          6) il richiedente presti giuramento di fedeltà alla Costruzione della Repubblica italiana e di non svolgere attività contrarie ai princìpi costituzionali;

          7) il richiedente dimostri di aver frequentato appositi corsi di educazione civica, volti all'integrazione sociale e culturale degli stranieri».

Art. 4.
(Istituzione di corsi di educazione civica per gli stranieri richiedenti la cittadinanza italiana).

      1. Sono istituiti appositi corsi di educazione civica finalizzati ad assicurare agli stranieri richiedenti la cittadinanza italiana lo svolgimento di un percorso di inclusione culturale e sociale nel territorio della Repubblica italiana. A tale scopo il Governo è delegato ad adottare, nel rispetto delle attribuzioni costituzionali delle regioni, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi recanti una disciplina organica dei suddetti corsi, nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi:

          a) i corsi devono incentrarsi sulla conoscenza dei princìpi fondamentali della Costituzione italiana e delle convenzioni internazionali in materia di diritti dell'uomo, diritti inviolabili della persona, princìpi di libertà e di uguaglianza, con particolare riguardo al rispetto della parità dei sessi e dell'autonomia delle donne;

          b) l'individuazione delle sedi dei corsi è operata, sentita la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, a mezzo di un programma, formulato su proposta dei Ministri competenti, sentiti le regioni e gli

 

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enti locali interessati, ovvero su proposta delle regioni, sentiti i Ministri competenti, con indicazione degli stanziamenti necessari per la loro istituzione e realizzazione;

          c) la modulazione della durata e degli orari dei corsi deve tenere conto anche delle esigenze dei lavoratori; a tale fine devono essere previsti corsi da svolgersi nelle ore serali.

      2. La frequenza dei corsi costituisce condizione ai fini della richiesta di concessione della cittadinanza ai sensi della lettera f) del comma 1 dell'articolo 9 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, come sostituita dall'articolo 3 della presente legge.

Art. 5.
(Rigetto dell'istanza di acquisto della cittadinanza).

      1. L'articolo 8 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, è sostituito dal seguente:

      «Art. 8. - 1. Con decreto motivato, il Ministro dell'interno respinge l'istanza di cui all'articolo 7, comma 1, ove sussistano le cause ostative previste dall'articolo 6 o non ricorrano le condizioni stabilite dall'articolo 9. Qualora si tratti di ragioni inerenti la sicurezza della Repubblica, il decreto è emanato su conforme parere del Consiglio di Stato. L'istanza può essere riproposta dopo cinque anni dalla data di emanazione del decreto di rigetto di cui al presente comma.
      2. L'emanazione del decreto di rigetto è preclusa quando dalla data di presentazione dell'istanza stessa sia decorso il termine di un anno».

Art. 6.
(Revoca della cittadinanza).

      1. Dopo l'articolo 12 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, è inserito il seguente:

      «Art. 12-bis. - 1. Il Ministro dell'interno può, con proprio decreto, revocare

 

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la cittadinanza acquisita ai sensi dell'articolo 5 o concessa ai sensi dell'articolo 9, qualora l'acquisto della medesima agevoli la costituzione o la partecipazione ad associazioni eversive o la commissione di atti terroristici, ovvero la sottrazione all'accertamento dell'autorità, ovvero in seguito a sentenza di condanna passata in giudicato per uno dei delitti previsti nel libro secondo, titolo I, capi I, II e III, e titolo XII, capo III, sezioni I e II, del codice penale, e per uno dei delitti che prevedono l'arresto in flagranza, ai sensi degli articoli 380 e 381 del codice di procedura penale.
      2. Il Ministro dell'interno può esercitare la facoltà di cui al comma 1 entro tre anni dalla data di emanazione del decreto previsto dall'articolo 7, comma 1».


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