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PDL 2386

XV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 2386



 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa del deputato ANGELA NAPOLI

Interpretazione autentica dell'articolo 58 del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, in materia di cause ostative alle candidature per le elezioni degli enti locali

Presentata il 15 marzo 2007


      

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Onorevoli Colleghi! - La ratio dell'articolo 58 del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, concernente le cause ostative alla canditatura per le elezioni degli enti locali, è chiaramente quella di impedire l'accesso alle cariche pubbliche elettive presso gli enti locali a coloro i quali abbiano dimostrato di non esserne degni per effetto di pregressi comportamenti devianti accertati e sanzionati dal giudice penale ovvero da quello della prevenzione. Il riferimento è, in primis, ai reati di associazione mafiosa, a quelli concernenti le sostanze stupefacenti, ai più gravi reati contro la pubblica amministrazione, ai delitti non colposi puniti con una pena superiore ai due anni di reclusione, ad ogni altro reato per il quale sia stata applicata una pena superiore a sei mesi di reclusione e nel contempo, ricorra l'abuso dei poteri o la violazione dei doveri inerenti una pubblica funzione. In quest'ultimo caso la ragione del divieto della candidatura pubblica va ravvisata nella prognosi sfavorevole fatta dal legislatore nei confronti di coloro i quali, avendo già svolto pubbliche funzioni o pubblici servizi, ne abbiano abusato ponendo in essere condotte illecite rilevanti, punite in concreto dal giudice penale con pena superiore ai sei mesi.
      Nel senso della restrizione della causa ostativa al pubblico ufficiale si sono pronunciati, tra l'altro, il tribunale di Perugia con sentenza del 2 agosto 1995 (Rassegna giuridica Umbra, 1995, 810) ed il tribunale di Sant'Angelo dei Lombardi con sentenza del 26 novembre 1992, statuendo che «le cause di ineleggibilità di cui all'articolo 1, lettera e), della legge 18 gennaio 1992, n. 16, hanno esclusivo riguardo ai reati commessi abusando della
 

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qualità di pubblico ufficiale e non al privato cittadino».
      La normativa citata ha, in effetti, natura di norma eccezionale, derogando al principio di ordine generale sancito dall'articolo 51 della Costituzione in materia di godimento dei diritti politici, tra i quali rientra l'elettorato passivo. Si tratta, inoltre, di norme sanzionatorie e punitive, riguardanti la materia dei reati e delle pene. Di guisa che deve ritenersi rigorosamente vietata ed inammissibile ogni interpretazione analogica, come espressamente previsto dalla legge (articoli 25 della Costituzione, 1 del codice penale, 14 delle disposizioni sulla legge in generale).
      L'opposta tesi (quella della applicabilità della causa ostativa anche al candidato privo della qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio), desumibile dalla sentenza n. 9087 della Corte di Cassazione, prima sezione, del 27 agosto 1993, si radica sulla interpretazione estensiva del divieto delle candidature pubbliche, in evidente contrasto con il principio di stretta legalità che regola la materia dei reati e delle pene e che trova rigorosa applicazione nelle ipotesi di limitazione ed esclusione di diritti costituzionali e politici di origine generale.
      Allo scopo di chiarire il senso della norma e di definire tassativamente i destinatari del divieto della candidatura pubblica, è necessario intervenire legislativamente interpretando in via autentica la disposizione di legge.
 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

      1. La disposizione contenuta nella lettera c) del comma 1 dell'articolo 58 del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, deve essere interpretata nel senso che la causa ostativa si applica solamente a coloro che hanno riportato la condanna penale rivestendo, al momento della commissione del reato, la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di un pubblico servizio e non anche agli eventuali candidati privi della medesima qualifica.


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