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PDL 2576

XV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 2576



 

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PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE

d'iniziativa dei deputati

FRANCO RUSSO, MASCIA, FRIAS

Modifiche agli articoli 92 e 94 della Costituzione, in materia di nomina e revoca dei ministri e di disciplina della mozione di sfiducia nei riguardi del Governo

Presentata il 2 maggio 2007


      

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Onorevoli Colleghi! - Come è ben noto negli ultimi venti anni è stata posta al centro dei progetti di «grande riforma» la questione del ruolo del Governo, di cui si voluto rilevare una presunta debolezza. In realtà i poteri degli esecutivi, anche di quello nazionale, lungi dall'indebolirsi, si sono andati via via rafforzando. Si pensi al ruolo che i Governi hanno nella predisposizione della normativa comunitaria, dove essi concorrono direttamente, tramite i Consigli dei ministri e le centinaia di comitati, alla definizione dei regolamenti, delle direttive e delle decisioni comunitari, che determinano direttamente o indirettamente la legislazione nazionale. Si pensi poi all'uso della legislazione delegata, a cui si ricorre sempre data la complessità dei provvedimenti legislativi, e alla decretazione d'urgenza; si pensi alle ripetute riforme dei regolamenti parlamentari, tutte miranti a rafforzare il ruolo della maggioranza in Parlamento. Infine, occorre ricordare i metodi della governance, dove gli apparati tecno-burocratici, diretti dall'esecutivo, hanno un ruolo primario insieme ai gruppi economico-finanziari, sempre più coinvolti nella preparazione dei provvedimenti legislativi e amministrativi. Se di debolezza occorre parlare, questa non può che riferirsi alla rappresentanza parlamentare, resa ancor più fragile nei suoi poteri legislativi e di controllo dai sistemi elettorali maggioritari che consentono ai leader di condizionare la dialettica parlamentare.
      Anche nelle forze politiche di tradizione di sinistra, non solo di ascendenza craxiana, si è affermata la linea della «grande riforma» che ha messo al primo
 

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posto la verticalizzazione e la centralizzazione del potere da legittimare attraverso forme di democrazia immediata, per svuotare così la democrazia rappresentativa e partecipata. Il metodo che per vent'anni si è seguito è stato quello di organi parlamentari speciali per la revisione, disattendendo - meglio, violando con procedure d'eccezione - l'articolo 138 della Costituzione, che può essere assunto come la «norma delle norme», disciplinando esso le procedure della revisione costituzionale. Le maggioranze, bipartisan (come si dice), hanno cambiato le regole per modificare e stravolgere le norme costituzionali. La Commissione bicamerale per le riforme costituzionali del 1992, cosiddetta «Iotti-De Mita», e poi quella del 1997, cosiddetta «D'Alema», vennero istituite con legge costituzionale, le cui disposizioni erano completamente diverse da quelle dell'articolo 138 della Costituzione. S'inaugurò con queste scelte la stagione delle riforme in cui le «maggioranze politiche» si innalzavano a «maggioranze costituenti», attraverso decisioni parlamentari che modificavano la «norma delle norme» per attuare una «riforma complessiva» della Costituzione, che nelle sue disposizioni e esclusa tassativamente sia nel metodo sia nella sostanza. Con le leggi costituzionali sulle Commissioni bicamerali si è creato il precedente secondo cui ogni maggioranza può prima cambiare le regole procedurali di revisione e poi cambiare il testo costituzionale. Il Governo di centro destra di Berlusconi, estremista anche in questo ambito, ha deciso che la maggioranza semplice può cambiare il testo - come ha fatto con il suo disegno di legge di modifica della parte seconda della Costituzione.
      La personalizzazione del potere - costruita in tutti questi anni e che si vorrebbe tradurre in istituti costituzionali per far emergere il Premier come guida esclusiva della nazione - sarebbe una rinnovata risposta alla frammentazione del corpo sociale tipica del mondo «postmoderno» e «postnazionale»: il leaderismo sarebbe l'unico modo di dare unità e senso alle moltitudini moderne. Il ragionamento ripete il vecchio schema del sovrano hobbesiano quale rappresentante del popolo, che altrimenti non avrebbe unità e sarebbe nell'impossibilità di agire: il popolo vive solo tramite il sovrano, che lo rappresenta. Anzi, come si ricorderà, per Hobbes l'autore delle azioni del sovrano è il popolo: il popolo è autore di quanto il sovrano fa. Dunque nel sovrano il popolo s'incarna, si personifica. Una lettura in questa chiave è offerta da Alfonso Di Giovine (Democrazia e diritto, n. 2, 2004, estratto, pagina 33) che vede nell'incarnazione-autorizzazione hobbesiana la radice della democrazia plebiscitaria che ha al centro l'investitura del Premier, oggi tramite le elezioni, in Hobbes tramite il patto di soggezione.
      Nella personalizzazione del potere - che si è espressa nel premierato previsto nel disegno di riforma della parte seconda della Costituzione votata nella XIV legislatura dal centro destra, configurato come assoluto, onnipotente, che «conforma e controlla la sua maggioranza» (Lorenza Carlassarre) - si rovesciano i termini della relazione democratico-costituzionale secondo cui il popolo esercita la sovranità «nelle forme e nei limiti della Costituzione». Essa è l'opposto della democrazia costituzionale, che limita i poteri, pubblici e privati, e rende indisponibili a essi i princìpi e le norme fondamentali.
      La presente proposta di legge costituzionale si ispira a criteri opposti a quelli del premierato, della verticalizzazione e della personalizzazione del potere; infatti non si prevede la rottura della collegialità dell'organo di Governo, che verrebbe messa in crisi anche se la fiducia fosse accordata al solo Presidente del Consiglio. Occorre infatti ricordare che attualmente il Presidente del Consiglio deve ottenere con voto nominale la fiducia (articolo 94 della Costituzione), sulla base di un discorso programmatico autorizzato dal Consiglio dei ministri (articolo 2 della legge n. 400 del 1988).
      Da tutto ciò si evince che il Consiglio dei ministri si configura come organo collegiale, che «determina la politica generale del Governo (...) e l'indirizzo politico», come recita il comma 1 dell'articolo 2
 

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della legge n. 400 del 1988. Gli interventi di modifica che qui si propongono mirano a razionalizzare la forma di governo parlamentare senza squilibrare i rapporti tra Presidente del Consiglio dei ministri, Consiglio dei ministri e Parlamento.
      La presente proposta di legge costituzionale modifica gli articoli 92 e 94 della Costituzione, introducendo nella nostra Carta costituzionale un'espressa previsione in merito alla revoca dei ministri e l'istituto della sfiducia costruttiva. Essa nasce nell'ambito di una più ampia riflessione sullo stato delle istituzioni e sulle possibili linee di riforma che il gruppo di Rifondazione comunista della Camera dei deputati sta conducendo ormai da tempo, in una prospettiva disponibile a valorizzare, nel quadro di uno Stato ormai con un avanzato livello di regionalismo, anche una differenziazione delle due Camere, superando così il bicameralismo perfetto attualmente previsto dalla parte seconda della Carta costituzionale.
      L'articolato che qui si propone è una sorta di stralcio di questa più ampia proposta (relativa al superamento del bicameralismo perfetto), che si limita a mettere a punto solo due aspetti della forma di governo. Richiamiamo l'attenzione sul fatto che un'eventuale, e da noi auspicata, trasformazione del Senato in una Camera delle regioni e delle autonomie locali comporterebbe l'instaurazione del rapporto di fiducia solo tra la Camera dei deputati e il Governo; per questo nella discussione parlamentare di questa e delle altre proposte relative all'articolo 94 della Costituzione occorre avere in mente un più generale disegno di intervento di revisione costituzionale. In questo caso, si dovrebbero modificare non solo il quinto comma, come nella presente proposta di legge costituzionale tesa a introdurre l'istituto della sfiducia costruttiva, ma l'intero articolo 94 della Costituzione, per stabilire che è la sola Camera dei deputati ad accordare e a revocare la fiducia. Le disposizioni della nostra Carta costituzionale relative alla forma di governo non sono mai state modificate nei sessanta anni di vita della Costituzione repubblicana, nonostante siano state più volte al centro del dibattito e dei tavoli aperti sulle riforme, fin dalla fine degli anni settanta. Nel dibattito svolto anche nelle più alte sedi istituzionali, come le Commissioni parlamentari istituite per l'esame delle proposte di revisione costituzionale, si è generalmente prospettato un radicale cambiamento della forma di governo (come abbiamo sopra esaminato criticamente), volto a un rafforzamento dell'esecutivo e a un diverso assetto del circuito Parlamento-Governo, in grado di investire anche il delicato tema del rapporto fiduciario.
      La presente proposta di legge costituzionale ha un contenuto molto più limitato, che semplicemente mette a punto l'attuale forma di governo, apportando due miglioramenti che appaiono comunque significativi.
      In primo luogo, con la modifica dell'articolo 92, si riconosce espressamente al Presidente del Consiglio dei ministri la possibilità di proporre al Presidente della Repubblica non soltanto la nomina ma anche la revoca dei ministri. Del potere di revoca si è parlato in più occasioni, in presenza di dissidi di singoli ministri rispetto alla linea del Governo. Tali divergenze sono state affrontate e risolte, in genere, attraverso la presentazione delle dimissioni - più o meno forzate o indotte - da parte dei ministri in dissenso. La nuova formulazione dell'articolo 92 permetterebbe finalmente al Presidente del Consiglio dei ministri di proporre la revoca dei ministri al Presidente della Repubblica, rafforzandone ruolo e responsabilità non soltanto nell'ambito della compagine governativa ma anche nei rapporti con il Parlamento.
      L'integrale sostituzione del quinto comma dell'articolo 94 è volta a introdurre l'istituto della sfiducia costruttiva, in luogo dell'attuale mozione di sfiducia. Si tratta di una questione da lungo tempo oggetto di dibattito a livello politico e dottrinario, anche sulla scorta delle suggestioni derivanti dalla Costituzione tedesca.
      Con l'istituto della sfiducia costruttiva, in sostanza, si responsabilizzano le minoranze, che si devono far carico di indicare un candidato Premier in sostituzione del
 

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Presidente del Consiglio dei ministri che si chiede di sfiduciare. In tal modo, l'istituto della sfiducia perderebbe il suo carattere meramente di contrasto, di opposizione al Presidente del Consiglio dei ministri e all'esecutivo in carica, per diventare uno strumento di governo, atto a far sì che il Parlamento possa deliberare in maniera cosciente e disciplinata in via costituzionale un avvicendamento nella compagine di Governo, attivando una prerogativa tipica di una democrazia parlamentare come quella italiana. In conclusione, le due modifiche qui proposte, nel loro carattere puntuale, appaiono significative nell'ottica di migliorare l'attuale forma di governo e il circuito Parlamento-Governo, nel senso di una comune responsabilizzazione.
 

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PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE

Art. 1.

      1. Il secondo comma dell'articolo 92 della Costituzione è sostituito dal seguente:

      «Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, nomina e revoca i ministri».

Art. 2.

      1. Il quinto comma dell'articolo 94 della Costituzione è sostituito dal seguente:

      «La mozione di sfiducia deve essere firmata da almeno un decimo dei componenti della Camera e non può essere messa in discussione prima di tre giorni dalla sua presentazione. La mozione indica un candidato Presidente del Consiglio dei ministri alternativo a quello in carica, il quale deve formare il Governo e ottenere la fiducia delle due Camere entro quindici giorni dalla data di approvazione della mozione di sfiducia. Qualora il Presidente del Consiglio dei ministri indicato nella mozione non ottenga la fiducia, il Presidente della Repubblica scioglie le Camere e indice nuove elezioni».


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