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PDL 2636

XV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 2636



 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati

FABBRI, CRAXI, BALDELLI, GIACOMONI, MISTRELLO DESTRO, PELINO, PRESTIGIACOMO

Disciplina organica in materia di salute e sicurezza dei lavoratori sui luoghi di lavoro

Presentata il 10 maggio 2007


      

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Onorevoli Colleghi! - A distanza di quasi tredici anni dall'entrata in vigore del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, appare più che opportuna una modifica e una riorganizzazione dell'intera materia della salute e sicurezza dei lavoratori sui luoghi di lavoro.
      Riguardo alla necessità di una disciplina organica in materia di sicurezza sul lavoro, lo stesso Libro bianco sul mercato del lavoro in Italia, presentato dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali nell'ottobre del 2001, ha messo in rilievo «un eccesso di regolamentazione legislativa» causato dal recepimento, negli ultimi dieci anni, di numerose direttive comunitarie in materia (capitolo II, 3.9. Igiene e sicurezza).
      Infatti, le leggi che hanno attuato le direttive europee si sono sommate a disposizioni normative vecchie di decenni, dando vita a una difficile compresenza. Inoltre, tali leggi si sono rivelate spesso ispirate ad approcci diversi tra loro e, pertanto, incapaci di ridurre, sul piano pratico, il fenomeno infortunistico e delle tecnopatie.
      Sempre nel citato Libro bianco sono state evidenziate altre carenze dell'attuale panorama normativo in materia di sicurezza, quali la mancanza di «buone prassi» e di criteri prevenzionistici specifici per le piccole e medie imprese e per l'agricoltura, e l'inesistenza di normative specifiche e peculiari, poste a tutela di tutte le emergenti forme di lavoro alternative
 

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al tradizionale impiego a tempo pieno, indeterminato e svolto in azienda (cosiddetti «lavori atipici»).
      In tale quadro complessivo di riferimento si è inserito l'articolo 3 della legge 29 luglio 2003, n. 229, in materia di riassetto normativo in materia di sicurezza sul lavoro, che ha conferito al Governo la delega ad adottare, entro un anno dalla data di entrata in vigore della legge, quindi, entro il 9 settembre 2004, poi posticipato al 30 giugno 2005 (delega ancora non attuata) «uno o più decreti legislativi per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di sicurezza e tutela della salute dei lavoratori», nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi:

          a) riordino, coordinamento, armonizzazione e semplificazione delle disposizioni vigenti per l'adeguamento alle normative comunitarie e alle convenzioni internazionali in materia. Pertanto, la delega doveva essere esercitata innanzitutto in profonda aderenza alle direttive comunitarie, affinché il nostro ordinamento non presentasse nessun arretramento rispetto ai livelli di prevenzione e di sicurezza previsti e garantiti in Europa assicurando la piena esecuzione della normativa comunitaria in materia di salute e sicurezza, sia di quella già attuata che di quella in fieri;

          b) determinazione di misure tecniche ed amministrative di prevenzione compatibili con le caratteristiche gestionali ed organizzative delle imprese, in particolare di quelle artigiane e delle piccole imprese, anche agricole, forestali e zootecniche. Al riguardo, giova rilevare che quello dell'agricoltura è un settore peculiare, in quanto l'ambiente lavorativo coincide con l'ambiente di vita e in esso spesso sono rinvenibili rischi correlati non solo all'uso di macchine e di attrezzature, ma anche ad agenti cancerogeni, chimici, fisici e biologici. Inoltre, poiché il decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, meglio si adatta alle aziende di grandi dimensioni, nelle piccole e medie imprese si registra una scarsa attuazione delle norme prevenzionistiche, soprattutto a causa degli elevati costi a cui andrebbero incontro i piccoli imprenditori e gli artigiani qualora volessero adempiere compiutamente a tutte le disposizioni normative previste in materia di sicurezza. Per questo, il fenomeno infortunistico è particolarmente diffuso nelle piccole e medie imprese (basti pensare che, negli anni 1993-1998, mentre l'aumento degli infortuni mortali dei lavoratori dipendenti nell'industria, è stato del 31,5 per cento, nelle piccole aziende tale aumento è stato addirittura pari al 71,5 per cento (Rapporto annuale dell'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL) 2000, Roma, 21 settembre 2001, Relazione del Presidente). A ciò si aggiunga che, nell'arco temporale di poco più di un decennio, fra il 1987 ed il 1998, le grandi imprese sono aumentate solo di poche unità, mentre le piccole si sono moltiplicate, soprattutto nel settore manifatturiero ad alta tecnologia. Più precisamente, su 1.100.000 imprese operanti in Italia, le piccole e medie aziende che occupano sino a 49 addetti costituiscono il 98 per cento e danno lavoro al 53 per cento degli occupati e, tra queste, l'87 per cento occupa meno di 10 dipendenti (ancora con riferimento ai dati del Rapporto annuale INAIL, 2000, citato);

          c) riordino delle norme tecniche di sicurezza delle macchine e degli istituti concernenti l'omologazione, la certificazione e l'autocertificazione. Va, infatti, conferita maggiore chiarezza alla carente regolamentazione in materia di obblighi contravvenzionali delle macchine, di rinvio a norme tecniche e di libera circolazione delle macchine certificate CE;

          d) riformulazione dell'apparato sanzionatorio, con riferimento, in particolare, alle fattispecie contravvenzionali a carico dei preposti, alla previsione di sanzioni amministrative per gli adempimenti formali di carattere documentale; alla revisione del regime di responsabilità tenuto conto della posizione gerarchica all'interno dell'impresa e dei poteri in ordine agli adempimenti in materia di prevenzione sui luoghi di lavoro; al coordinamento

 

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delle funzioni degli organi preposti alla programmazione, alla vigilanza ed al controllo, qualificando prioritariamente i compiti di prevenzione e di informazione rispetto a quelli repressivi e sanzionatori. Si tratta, in particolare, di procedere al riordino dell'apparato sanzionatorio, con precipuo riferimento alla rimodulazione delle sanzioni amministrative accanto a quelle penali e alle fattispecie contravvenzionali a carico dei preposti, erroneamente quasi equiparate a quelle a carico dei datori di lavoro e dei dirigenti. Tale risultato può perseguirsi anche prevedendo la predisposizione di vere e proprie linee guida che si traducano in un reale aiuto alle imprese, anche sotto il profilo organizzativo-gestionale, il tutto per favorire l'attuazione del «management by objectives», al fine di assicurare l'effettivo svolgimento dei compiti assegnati e il conseguimento dell'obiettivo della massima sicurezza possibile, il mantenimento nel tempo dei livelli di sicurezza raggiunti ed una consequenziale implementazione degli stessi (si veda, al riguardo, la definizione fornita dalle norme British Standard 8800: 1996 - Guide To Occupational Health And Safety Management System). Lo scopo di tale intervento deve essere quello di impedire che, come accaduto nella vigenza dell'attuale quadro normativo di riferimento, la prevenzione sia affrontata solo in funzione della mera applicazione del singolo precetto antinfortunistico e, quindi, sia più orientata al soddisfacimento degli aspetti meramente formali che a quelli sostanziali determinando il passaggio da una gestione della sicurezza per regole ad una, appunto, per obiettivi (si tratta, del resto, di una prospettiva in linea con i più recenti interventi legislativi, sia comunitari che nazionali, i quali sono imperniati sul principio che la «salute e sicurezza sul lavoro è un compito gestionale»);

          e) promozione dell'informazione e della formazione preventiva e periodica dei lavoratori sui rischi connessi all'attività dell'impresa in generale e allo svolgimento delle proprie mansioni, con particolare riguardo ai pericoli derivanti dall'esposizione a rumore, ad agenti chimici, fisici, biologici, cancerogeni e ad altre sostanze o preparati pericolosi o nocivi e alle misure di prevenzione da adottare in relazione ai rischi;

          f) assicurazione della tutela della salute e della sicurezza sul lavoro in tutti i settori di attività, pubblici e privati, e a tutti i lavoratori, indipendentemente dal tipo di contratto stipulato con il datore di lavoro o con il committente. Si tratta di una previsione di assoluta rilevanza, che esprime l'intenzione di estendere le tutele in materia di salute e sicurezza sul lavoro a tutte le varie e differenti fasce di lavoratori, in molti casi ancora non rientranti nel campo di applicazione delle leggi di sicurezza e salute, ponendo in tale modo rimedio alla difficile applicabilità dei precetti di cui al decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, alle forme di lavoro non riconducibili al modello tradizionale dell'impiego a tempo indeterminato, svolto in regime di subordinazione. L'indirizzo appena segnalato ha già trovato una sua importante anticipazione nell'estensione, ad opera della legge 14 febbraio 2003, n. 30, e del relativo decreto legislativo di attuazione, il decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, alle nuove tipologie di lavoro introdotte dalla cosiddetta «riforma Biagi» delle tutele antinfortunistiche oggi previste per il lavoro subordinato, il cui modello prevenzionistico resta - come va sottolineato - del tutto immutato (senza alcuna deminutio);

      g) adeguamento del sistema prevenzionistico e del relativo campo di applicazione alle nuove forme di lavoro e tipologie contrattuali, anche in funzione di contrasto rispetto al fenomeno del lavoro sommerso e irregolare. Al riguardo, va sottolineato che l'attuale quadro normativo ha concorso a determinare una scarsa propensione del sistema italiano ad uscire da una condizione di lavoro sommerso, perché gli adempimenti sono tali e tanti che inducono all'elusione e al lavoro in nero. Da ciò è derivato che, a tutt'oggi, l'Italia, insieme alla Grecia, è il Paese

 

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dell'Unione europea con il più alto tasso di lavoro nero;

      h) promozione di codici di condotta e diffusione di buone prassi che orientino la condotta dei datori di lavoro, dei lavoratori e di tutti i soggetti interessati. Infatti, l'adozione di misure promozionali ed incentivanti può essere potenziata e adeguatamente valorizzata mediante l'elaborazione di codici di condotta e di buone pratiche;

          i) riordino e razionalizzazione delle competenze istituzionali al fine di evitare sovrapposizioni e duplicazioni di interventi e competenze, garantendo indirizzi generali uniformi su tutto il territorio nazionale nel rispetto delle competenze previste dall'articolo 117 della Costituzione. Infatti, fermo restando che le potestà legislative di Stato e regioni sono, per espressa disposizione del primo comma del novellato articolo 117 della Costituzione, entrambe obbligate al «rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali», la materia della «tutela e sicurezza del lavoro» è riservata alla legislazione concorrente tra Stato e regioni;

          l) realizzazione delle condizioni per una adeguata informazione e formazione di tutti i soggetti impegnati nell'attività di prevenzione per la circolazione di tutte le informazioni rilevanti per l'elaborazione e l'attuazione delle misure di sicurezza necessarie. Si tratta dell'adozione di un vero e proprio sistema di «benchmarking» cui concorrano innanzitutto regioni, parti sociali, INAIL, Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro (ISPESL) e Ministero del lavoro e della previdenza sociale, quale strumento in grado di individuare parametri per la misurazione e la classificazione degli infortuni sul lavoro certi e accettati da tutti i soggetti interessati all'attività di prevenzione degli infortuni sul lavoro, presupposto per una corretta informazione e formazione di tutti coloro che siano coinvolti nella gestione della sicurezza sul lavoro;

          m) modifica o integrazione delle discipline vigenti per i singoli settori interessati, per evitare disarmonie. Tale criterio è chiaramente in linea con l'intenzione del Governo di eliminare le criticità presenti nel nostro ordinamento;

          n) conferma del principio dell'esclusione di qualsiasi onere finanziario per il lavoratore in relazione all'adozione delle misure relative alla sicurezza, all'igiene e alla tutela della salute dei lavoratori, già presente nel nostro ordinamento giuridico e sancito dall'articolo 3 del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, il cui comma 2 statuisce che: «Le misure relative alla sicurezza, all'igiene ed alla salute durante il lavoro non devono in nessun caso comportare oneri finanziari per i lavoratori».

      In assoluta coerenza con i princìpi e criteri direttivi di delega appena riportati, la riconduzione della normativa vigente in materia in una disciplina organica ha come finalità primaria l'innalzamento della qualità e della sicurezza del lavoro, anche attraverso la definizione di una strategia prevenzionistica incentrata su obiettivi sostanziali e non soltanto su regole formali, valorizzando adeguatamente il dialogo sociale sul territorio e la bilateralità, quale fattore di controllo sociale, e inducendo le imprese, anche con norme premiali e incentivanti, a perseguire condotte socialmente responsabili. Attraverso la bilateralità, incentivata anche mediante l'indirizzo degli organi ispettivi e di controllo verso aree non coperte dal controllo sociale, sarà possibile mantenere elevati standard di tutela alleggerendo tuttavia i vincoli meramente formali e burocratici.

Il rinnovato assetto istituzionale previsto dal titolo V della parte seconda della Costituzione.

      Il nuovo articolo 117 della Costituzione, nel testo sostituito dall'articolo 3 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3,

 

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contiene un elenco delle materie riservate alla competenza legislativa esclusiva dello Stato e un altro elenco di quelle riservate alla potestà legislativa concorrente tra Stato e regioni. Inoltre, con statuizione di fondamentale rilevanza, il quarto comma dell'articolo in parola dispone che spetta alle regioni la competenza legislativa in tutte le materie che non siano espressamente riservate alla competenza legislativa esclusiva dello Stato o a quella concorrente tra Stato e regioni, introducendo - con un deciso mutamento di prospettiva rispetto al passato - nel nostro sistema un tratto di marcato federalismo.
      La materia della «tutela e sicurezza del lavoro» è stata riservata alla legislazione concorrente tra Stato e regioni e, pertanto, in tale quadro generale deve essere collocata l'attività legislativa di riorganizzazione e di riordino della normativa in materia di salute e sicurezza sul lavoro, la quale deve procedere all'individuazione delle fonti primarie idonee a costituire la legislazione di principio in materia.
      In tale direzione opera la presente proposta di legge, che mira a dettare una disciplina fondamentale relativa ai diritti e agli obblighi che si costituiscono nei rapporti di lavoro, anche relativi agli ambienti e alle condizioni di sicurezza e di salute. Inoltre la presente proposta di legge raccoglie, sistematizza e ordina i princìpi fondamentali di derivazione comunitaria che, a partire dagli anni novanta, costituiscono l'orizzonte di riferimento di gran parte della disciplina in materia.
      La presente proposta di legge riguarda, per l'appunto, princìpi e livelli essenziali e non eventuali modulazioni di tutela che dunque appaiono rinviabili anche alla legislazione concorrente delle regioni, sempre che essa si risolva in un sistema di «opting out upwards», cioè di deroghe migliorative o comunque tali da non intaccare complessivamente alcune garanzie di base che assumono un ruolo fondamentale in una materia come quella della salute e sicurezza del lavoro che riguarda beni di natura primaria costituzionalmente tutelati.

La tecnica legislativa seguita per la redazione della presente proposta di legge.

      Nella stesura della presente proposta di legge recante disciplina organica in materia di salute e sicurezza dei lavoratori sui luoghi di lavoro si è utilizzato un metodo di lavoro idoneo a permettere la redazione di un documento non solo di portata compilativa ma anche innovativo e semplificato rispetto al sistema vigente, alla condizione essenziale che rispetti il rinnovato assetto costituzionale delle competenze dello Stato e delle regioni.
      A tale fine si è ritenuto di poter identificare un nucleo intangibile di norme individuato nelle disposizioni delle direttive comunitarie in materia di salute e sicurezza e nei rispettivi allegati.
      Operando in tale senso è possibile riportare il sistema normativo italiano vigente in materia ad una più stretta adesione allo spirito e alla lettera del corpus normativo comunitario, costituito dalla direttiva «madre», 89/391/CEE del Consiglio, del 12 giugno 1989, e dalle numerose direttive particolari da essa discese, ivi compresi tutti i rispettivi allegati.
      Nell'articolato vengono ricompresi esclusivamente gli obblighi fondamentali di natura organizzativa e comportamentale, mentre vengono riservati agli allegati le norme di buona tecnica, le buone prassi e i princìpi generali di sicurezza a cui devono corrispondere gli standard tecnico-costruttivi di macchine, impianti, apparecchi elettrici e di altri settori specifici di interesse per la sicurezza.
      L'obiettivo perseguito è stato quello di armonizzare tutte le leggi vigenti in una logica unitaria, abrogando le normative speciali integrate nella presente proposta di legge e facendo esplicito e specifico riferimento alle normative di settore che, al contrario, rimangono in vigore. Ciò permette di rendere maggiormente esigibili e accessibili le norme prevenzionistiche.

 

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L'ampliamento del campo di applicazione della normativa antinfortunistica.

      Tra le più importanti novità va subito segnalato il sensibile ampliamento del campo di applicazione delle norme in tema di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro rispetto a quello delimitato dal menzionato decreto legislativo n. 626 del 1994, sia perché la presente proposta di legge si applica alle tipologie lavorative regolate dal citato n. 276 del 2003, sia in quanto si è deciso di annoverare tra i destinatari della normativa anche i lavoratori autonomi e i componenti dell'impresa familiare.
      Tuttavia, in ragione dell'oggettiva situazione di diversità tra lavoratori subordinati o ad essi equiparati e lavoratori autonomi, si è scelto di modulare l'applicazione della normativa di salute e sicurezza in modo che a questi ultimi sia imposto unicamente di utilizzare dispositivi di protezione individuale (DPI) rispettosi delle regole stabilite della presente proposta di legge e di sottoporsi a sorveglianza sanitaria. Eguale scelta è stata operata con riferimento ai componenti dell'impresa familiare (articolo 230-bis del codice civile), non solo in ragione della diversità rispetto ai subordinati ma anche tenendo conto dell'esistenza di pronunce della Corte costituzionale che hanno argomentato nel senso della necessità di non applicare all'impresa familiare le disposizioni in materia di salute e sicurezza in quanto incompatibili con il vincolo affettivo che lega tra loro i componenti di tale impresa, che non potrebbe conciliarsi con l'imposizione di obblighi stringenti da parte di un familiare nei confronti di altri.
      L'opzione adottata tiene conto sia della tendenza espansiva della giurisprudenza formatasi dopo il 1994 in materia di salute e sicurezza sul lavoro, orientata a garantire tutela a chiunque si trovi in un ambiente di lavoro, anche ove non sia un lavoratore subordinato o ad esso equiparato, che delle più recenti sollecitazioni comunitarie, pur non ancora trasposte in direttive.
      Pertanto, non vengono considerati come destinatari di norme di sicurezza unicamente i lavoratori domestici di cui alla legge 2 aprile 1958, n. 339, come previsto dalla citata direttiva 89/391/CEE, i lavoratori che svolgono piccoli lavori domestici a carattere straordinario, compresa l'assistenza domiciliare ai bambini, alle persone anziane ammalate o con handicap e l'insegnamento privato supplementare di cui all'articolo 70, lettere a) e b), del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276.
      Sempre con riferimento al campo di applicazione, si è reputato di mantenere i regimi particolari oggi operanti, ai sensi dell'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, nei confronti di alcuni settori (Forze armate e di Polizia, strutture giudiziarie eccetera) in ragione delle loro peculiarità, che tale diversificazione impongono.

Promozione della salute e sicurezza attraverso gli organismi bilaterali.

      Nel testo proposto è riservata una funzione importante agli enti bilaterali, sul presupposto che le aziende, specie quelle piccole e medie, possano beneficiare di una semplificazione degli adempimenti di sicurezza ove collegate alla bilateralità e, pertanto, per tale strada presumibilmente già sottoposte a un controllo di tipo sociale.
      Così, gli organismi in parola mantengono e vedono notevolmente sottolineato il ruolo - già oggi ad essi riservato - di orientamento e promozione di iniziative formative nei confronti dei lavoratori e dei loro rappresentanti, così come la competenza in materia di raffreddamento delle controversie tra aziende e sindacati.       Ad essi è riservata, inoltre, una serie di importanti prerogative, sul presupposto che la logica della bilateralità esprima efficacemente un sistema di relazioni industriali di tipo collaborativo e cooperativo, in grado di assicurare al meglio la promozione della cultura della sicurezza in azienda.

 

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Il ruolo delle norme di buona tecnica e delle buone prassi.

      L'assoluta necessità di procedere alla completa rivisitazione delle previsioni in materia di salute e sicurezza contenute nei decreti del Presidente della Repubblica degli anni cinquanta ancora oggi in vigore (di seguito menzionati) e di tenere conto delle innovazioni tecniche nel frattempo intervenute ha imposto la ridefinizione in un ambito di buona tecnica - alla stregua delle norme emanate dal Comitato europeo di normalizzazione (CENI), dal Comitato europeo per la standardizzazione elettrotecnica (CENELEC), dall'Organizzazione internazionale per la standardizzazione (ISO), dalla Commissione internazionale elettrotecnica (IEC), dall'Ente nazionale di unificazione (UNI), e dal Comitato elettronico italiano (CEI) - di alcune delle disposizioni legislative relative a elementi di natura tecnica o costruttiva contenute nei decreti del Presidente della Repubblica 27 aprile 1955, n. 547, 7 gennaio 1956, n. 164, 19 marzo 1956, n. 302, 19 marzo 1956, n. 303, 20 marzo 1956, n. 320, 20 marzo 1956, n. 321, 20 marzo 1956, n. 322, e 20 marzo 1956, n. 323.
      Analogamente si è ritenuto di dover individuare procedure e metodi organizzativi finalizzati ad ottenere una riduzione dei rischi come «buone prassi».
      In tale modo si è introdotto nell'ordinamento giuridico un meccanismo di aggiornamento automatico degli standard tecnici di sicurezza al progresso scientifico e tecnologico, con un rinvio, da un lato, ai princìpi generali di sicurezza sanciti dall'Unione europea e, dall'altro, alle norme di buona tecnica e alle buone prassi, evitando di delegificare la materia per il tramite del rinvio ad atti regolamentari (rinvio che si manifesterebbe in netto contrasto con il titolo V della parte seconda della Costituzione).
      Quindi, tutte le prescrizioni di carattere tecnico relative ad attrezzature di lavoro, impianti, macchine, apparecchi elettrici e luoghi di lavoro, verranno ricondotte - in ossequio a quanto previsto dalle direttive comunitarie applicabili in materia - in un ambito di buona tecnica o di rispetto dei princìpi generali di sicurezza sanciti dall'Unione europea. Ciò comporterà l'innalzamento degli standard di sicurezza attualmente vigenti, ancorati a una normativa in larga parte obsoleta. Infatti, si è proceduto alla completa ricognizione delle norme contenute nei citati decreti del Presidente della Repubblica degli anni cinquanta, all'esito della quale si sono individuate le previsioni direttamente incidenti sulle condizioni di sicurezza, che sono state incorporate nel testo unico e per le quali il meccanismo del rinvio alle norme di buona tecnica e alle buone prassi non opera, e quelle che ormai risultano ampiamente superate e il cui mancato rispetto non comporta conseguenze immediate e dirette sulle condizioni di sicurezza sui luoghi di lavoro, che vengono considerate norme di buona tecnica o buone prassi - ai sensi e per gli effetti della presente proposta di legge - non più obbligatorie ma la cui osservanza comporta l'adempimento degli obblighi di sicurezza.

Riordino e razionalizzazione delle competenze istituzionali.

      La presente proposta di legge prevede la modifica della composizione (assai meno numerosa che in passato) e delle competenze - finalizzate alla rinnovata filosofia della gestione della sicurezza per obiettivi e non per adempimenti, propria della presente proposta di legge - della Commissione permanente per la prevenzione degli infortuni e l'igiene del lavoro. Inoltre, si contemplano misure positive di finanziamento e sostegno per le piccole e medie imprese (a totale carico dell'INAIL) e l'istituzione di un coordinamento, da parte del Ministero del lavoro e della previdenza sociale, delle attività prevenzionistiche attuate dall'INAIL, dall'ISPESL e dall'Istituto italiano di medicina sociale (IIMS).
      Sempre in linea con la nuova filosofia ispiratrice dell'intervento di riforma, è stata, altresì, prevista un'azione di «benchmarking»

 

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con metodi di misurazione condivisi, attraverso il monitoraggio e la verifica - effettuata tramite la «regia» dell'INAIL - sull'effettiva applicazione della normativa in materia di salute e sicurezza, ad opera delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano, dei Ministeri del lavoro e della previdenza sociale e della salute e delle parti sociali.
      Nessuna modifica è stata, invece, prevista con riferimento alle attività di vigilanza, che vengono riservate agli stessi organi oggi competenti, nella stessa misura e con gli stessi meccanismi oggi utilizzati (salvo quanto si dirà in seguito relativamente al potere di disposizione).

Apparato sanzionatorio e potere di disposizione.

      La rivisitazione dell'apparato sanzionatorio vigente in materia di salute e sicurezza, operazione di assoluta importanza attesa la farraginosità del sistema oggi operante, è stata effettuata attraverso una rimodulazione degli obblighi di datori di lavoro, dirigenti e preposti, realizzata tramite la scelta di mantenere lo stesso regime sanzionatorio oggi vigente continuando, in particolare, a prevedere la sanzione penale (con correlata possibilità di oblazione ai sensi del decreto legislativo n. 758 del 1994) per tutti gli obblighi diretti a incidere sulle condizioni di sicurezza degli ambienti di lavoro. Al riguardo, basti sottolineare che il titolo XIII della presente proposta di legge, relativo alle sanzioni, è stato mutuato - salvo piccole modifiche - direttamente dal decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e come esso presupponga un meccanismo sanzionatorio pressoché conforme all'attuale, incentrato sull'azione penale e sulla correlata sanzione quale conseguenza della verifica dell'inosservanza delle normative in materia di sicurezza direttamente incidenti sulla sicurezza nei luoghi di lavoro.
      Il sistema sanzionatorio attuale viene, in tal modo, potenziato - sempre in un'ottica di prevenzione dell'inadempimento e non di mera repressione del medesimo - dall'implementazione del meccanismo della disposizione, destinato a operare unicamente con riferimento a normative non direttamente incidenti sulla sicurezza nei luoghi di lavoro e, ciò nonostante, attualmente assistite da sanzione penale in caso di loro inadempimento.
      In tali ipotesi, corrispondente all'area delle «norme di buona tecnica» e delle «buone prassi», viene, infatti, consentito all'organo di vigilanza di impartire una disposizione in luogo della sanzione penale oggi prevista, sulla base di una normativa ormai obsoleta, consentendo al soggetto obbligato di adempiere entro un dato termine ai propri obblighi liberandosi di ogni responsabilità e, al contempo, introducendo una sanzione penale assai gravosa in caso di perdurante inosservanza delle istruzioni impartite.
      In altre parole, tutti gli obblighi oggi sanzionati «direttamente» (vale a dire, senza utilizzare lo strumento della disposizione) dal decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, restano tali anche nella presente proposta di legge e tutte le violazioni più gravi (ad esempio, in materia di valutazione del rischio o di utilizzo di agenti chimici) restano sanzionate con l'utilizzo dell'attuale sistema (verifica e comunicazione all'autorità giudiziaria e successiva sanzione) e, quindi, attraverso la possibilità dell'oblazione ai sensi del decreto legislativo n. 758 del 1994.
      Al riguardo, è opportuno specificare che nella presente proposta di legge si è avuta cura di individuare specificamente gli obblighi di maggiore rilevanza in materia prevenzionistica contenuti nei citati decreti del Presidente della Repubblica degli anni cinquanta e ad inserirli nel testo, sanzionandoli penalmente secondo il sistema oggi vigente. All'esito di tali ricognizione e «scorporo», i decreti in parola sono risultati composti da norme il cui contenuto risulta largamente superato dall'evoluzione della tecnica avvenuta nell'arco di ben cinquanta anni e che, tuttavia, sono ancora assistite da una sanzione penale che non ha ragione d'essere ove si consideri che si tratta di adempimenti non

 

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direttamente incidenti sui livelli di sicurezza in azienda.
      Appunto in base a tale considerazione, è stato possibile abrogare la parte «residua» (vale a dire, non compresa nella presente proposta di legge, con conseguente assoggettamento al regime penale in vigore) dei seguenti provvedimenti: decreti del Presidente della Repubblica nn. 547 del 1955, 303 del 1956, 164 del 1956, 320 del 1956, 321 del 1956, il 322 del 1956, 323 del 1956, legge n. 186 del 1968, legge n. 320 del 1990, e decreto legislativo n. 277 del 1991. Pertanto, la gran parte delle disposizioni tecniche o procedurali contenute nelle citate normative sono state qualificate nella presente proposta di legge quali «norme di buona tecnica» o «buone prassi», al pari di quelle emanate da organismi europei, internazionali e nazionali specificamente individuati nella medesima proposta di legge.
      L'istituto della disposizione, pertanto, lungi dall'essere strumento di una diffusa depenalizzazione (che, ove attuata, giustificherebbe la prevedibile accusa di voler abbassare il livello di tutele nei confronti dei lavoratori a favore dei datori di lavoro inadempienti), opera solo con riferimento alle previsioni in ultimo citate, rispetto alle quali appare logico riferirsi alle indicazioni di organismi che, nei singoli settori, sono in grado di indicare quali siano le soluzioni costruttive e organizzative più idonee al momento per assicurare il migliore livello di tutela antinfortunistica.
      Infine, ancora con riferimento al sistema sanzionatorio, va segnalato come nella presente proposta di legge, in attuazione del criterio di delega di cui all'articolo 3, comma 1, lettera d) della legge 29 luglio 2003, n. 229, siano stati individuati analiticamente e separatamente gli obblighi dei preposti, limitandoli a compiti di attuazione e di vigilanza delle disposizioni della legge e di quelle impartite dai datori di lavoro e dai dirigenti. Tale previsione permetterà di ridurre drasticamente, sempre con i meccanismi sin qui descritti, le fattispecie contravvenzionali poste a carico dei preposti.

Descrizione della proposta di legge.

      La presente proposta di legge è composta da tredici titoli e da sedici allegati.
      I titoli sono i seguenti:

          titolo I: disposizioni generali;

          titolo II: luoghi di lavoro;

          titolo III: attrezzature di lavoro;

          titolo IV: impianti e apparecchiature elettrici;

          titolo V: uso dei dispositivi di protezione individuale;

          titolo VI: segnaletica di sicurezza;

          titolo VII: movimentazione manuale dei carichi;

          titolo VIII: uso di attrezzature munite di videoterminali;

          titolo IX: protezione da agenti chimici pericolosi;

          titolo X: agenti biologici;

          titolo XI: agenti fisici;

          titolo XII: cantieri temporanei e mobili;

          titolo XIII: sanzioni, abrogazioni ed entrata in vigore.

      Gli allegati sono i seguenti:

          allegato I: registro degli infortuni;

          allegato II: casi in cui è consentito lo svolgimento diretto da parte del datore di lavoro dei compiti di prevenzione e protezione dai rischi;

          allegato III: prescrizioni minime di sicurezza e di salute per i luoghi di lavoro;

          allegato IV: prescrizioni minime di sicurezza e di salute per i cantieri;

          allegato V: prescrizioni minime di sicurezza per le attrezzature di lavoro;

          allegato VI: disposizioni concernenti l'uso delle attrezzature di lavoro;

          allegato VII: modalità di controllo e verifica per impianti e attrezzature di

 

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lavoro non regolamentati da disposizioni particolari;

          allegato VIII: disposizioni relative all'uso delle attrezzature di lavoro messe a disposizione per l'esecuzione di lavori temporanei in quota;

          allegato IX: schema per l'inventario dei rischi per l'impiego dei dispositivi di protezione individuale;

          allegato X: prescrizioni generali per la segnaletica di sicurezza;

          allegato XI: elementi di riferimento;

          allegato XII: requisiti minimi;

          allegato XIII: agenti chimici;

          allegato XIV: agenti biologici;

          allegato XV: vibrazioni;

          allegato XVI: elenco dei lavori.

      Il titolo I (Disposizioni generali) esprime la logica dell'intervento legislativo contenendo le disposizioni generali da applicare necessariamente a tutte le imprese destinatarie delle disposizioni in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro.
      Innanzitutto, sulla falsariga di quanto è previsto nella citata direttiva-quadro 89/391/CEE e a differenza del decreto legislativo n. 626 del 1994, si è ritenuto opportuno introdurre un articolo di portata generale ed esplicativa diretto a precisare la finalità del provvedimento.
      Pertanto, esso si apre con l'indicazione dello scopo della proposta di legge, individuato nel riordino della normativa vigente in materia di salute e sicurezza in un unico testo, anche attraverso la semplificazione delle disposizioni in parola. Scopo, come rimarcato sempre al comma 1 dell'articolo 1, da realizzare assicurando l'applicazione sull'intero territorio nazionale della disciplina dei diritti e degli obblighi di datori di lavoro e lavoratori nonché dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, nel rispetto dell'assetto delle competenze tra Stato e regioni.
      Il comma 2 dell'articolo 1 può considerarsi la norma manifesto della filosofia della presente proposta di legge, che enfatizza il ruolo della bilateralità, quale fattore di controllo sociale, e la strategia della sicurezza «by objective» e non solo «by regulation». In esse si puntualizza che la finalità primaria dell'intervento legislativo consiste nell'«innalzamento della qualità e della sicurezza del lavoro per tutti i lavoratori, anche valorizzando il dialogo sociale e la bilateralità, e garantendo la semplificazione di adempimenti e di controlli nonché lo sviluppo della responsabilità sociale delle imprese».
      Rispetto al decreto legislativo n. 626 del 1994, nella presente proposta di legge si è preferito distinguere nettamente il campo di applicazione «oggettivo» da quello «soggettivo», invece che racchiudere tutta la disciplina in un unico articolo genericamente dedicato al campo di applicazione.
      Così, nell'articolo dedicato al campo di applicazione «oggettivo» (l'articolo 2) vengono indicate le attività soggette alla normativa della presente proposta di legge, mentre nel campo di applicazione «soggettivo» (individuato all'articolo 3) vengono individuati i lavoratori (subordinati ed equiparati) beneficiari della normativa di tutela e di prevenzione.
      L'articolo 2 statuisce, innanzitutto, il principio indefettibile per il quale la proposta di legge si applica a «tutti i settori di attività pubblici o privati», confermando la previsione di cui al comma 1 dell'articolo 1 del decreto legislativo n. 626 del 1994. Il comma 2 del medesimo articolo 2, sempre conformemente alla corrispondente previsione del decreto legislativo n. 626 del 1994, puntualizza che in alcuni settori le norme della proposta di legge si applicano tenendo conto delle particolari esigenze connesse al servizio che in detti settori si esplica, quali individuate con decreti ministeriali. Si tratta di una scelta dettata dalla necessità di diversificare l'applicazione delle normative di sicurezza con riferimento ad alcuni settori (si pensi, per tutti, alle Forze armate e di polizia e alla protezione civile)

 

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nei quali applicare sic et simpliciter le regole in tema di salute e sicurezza produrrebbe problemi di compatibilità con le attività in parola, se non, addirittura, risultati controproducenti.
      L'articolo 3 definisce, come anticipato, il campo di applicazione soggettivo della proposta di legge, riproponendo, al comma 1, il comma 4-bis dell'articolo 1 del decreto legislativo n. 626 del 1994, attraverso la previsione che sono tenuti all'osservanza della medesima proposta di legge «il datore di lavoro che esercita le attività di cui all'articolo 2 e, nell'ambito delle rispettive attribuzioni e competenze, i dirigenti e i preposti che dirigono o sovraintendono le stesse attività».
      Il comma 2 dell'articolo 3 esprime il principio generale che la proposta di legge si applica a tutti i lavoratori, quali definiti dall'articolo dedicato alle definizioni (articolo 5), «indipendentemente dal tipo di contratto stipulato con il datore di lavoro o con il committente» e fatte salve le specificazioni contenute ai commi da 3 a 6 dell'articolo in commento. La disposizione è pienamente aderente al testo della delega che prevede (lettera f) del comma 1 dell'articolo 3 della citata legge 29 luglio 2003, n. 229) l'assicurazione della tutela della salute e della sicurezza sul lavoro in tutti i settori di attività, pubblici e privati, e a tutti i lavoratori, indipendentemente dal tipo di contratto stipulato con il datore di lavoro o con il committente.
      Il successivo comma 3 specifica che nei confronti dei lavoratori a domicilio di cui alla legge 18 dicembre 1973, n. 877, e dei lavoratori che rientrano nel campo di applicazione del contratto collettivo dei proprietari di fabbricati trovano applicazione gli obblighi di informazione e formazione di cui al testo unico. Al riguardo, si rammenta che ai sensi dell'articolo 2 della legge n. 877 del 1973, non è ammessa l'esecuzione a domicilio di attività che comportino l'impiego di sostanze o materiali nocivi o pericolosi per la salute o l'incolumità del lavoratore o dei suoi familiari. Nei confronti di detti lavoratori si è puntualizzato come, ove lo richiedano le mansioni effettuate, essi debbano essere muniti di dispositivi di protezione individuale e come le attrezzature di lavoro fornite dal datore di lavoro, anche tramite terzi, debbano essere conformi alle disposizioni della proposta di legge.
      Stessa previsione è contemplata, al comma 4 dell'articolo 3, con riferimento ai rapporti svolti a distanza mediante collegamento informatico o telematico, ai quali si applicherà comunque - indipendentemente dal titolo giuridico per il quale la prestazione è resa e dall'ambito (aziendale o non) nel quale essa è svolta - l'insieme di previsioni di cui al titolo VIII (uso di attrezzature munite di videoterminali).
      Il successivo comma 5 prevede che nei confronti dei collaboratori coordinati e continuativi di cui all'articolo 409, numero 3), del codice di procedura civile, anche nella modalità a progetto di cui agli articoli 61 e seguenti del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, le disposizioni della proposta di legge si applichino quando la prestazione lavorativa sia svolta nei locali del committente, sempre che compatibili con le caratteristiche del singolo rapporto di lavoro. Al riguardo, va rimarcato come la puntualizzazione appena riportata sia necessaria per evidenziare la peculiarità del lavoratore coordinato e continuativo, al quale si applicheranno le tutele previste dalla proposta di legge unicamente quando, come accade per ogni altro lavoratore, sia chiamato a lavorare in un ambiente del quale il datore di lavoro ha la disponibilità.
      Per quanto concerne le altre tipologie contrattuali introdotte o disciplinate dal decreto legislativo n. 276 del 2003, si rammenta che esse prevedono una disciplina ad hoc in materia di tutela della salute e sicurezza del lavoro.
      Il comma 6 rinvia all'articolo 9 (sul quale si veda più avanti) per l'individuazione della normativa di sicurezza applicabile ai componenti dell'impresa familiare di cui all'articolo 230-bis del codice civile e ai lavoratori autonomi.
      Il comma 7 dell'articolo 3 della presente proposta di legge specifica che la normativa di sicurezza non riguarda le prestazioni che esulano dal mercato del
 

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lavoro (articolo 74 del decreto legislativo n. 276 del 2003) e i lavoratori che svolgono piccoli lavori domestici a carattere straordinario, compresa l'assistenza domiciliare alla persona, e di insegnamento privato supplementare, ai sensi dell'articolo 70, comma 1, lettere a) e b), del medesimo decreto legislativo.
      Infine, il comma 8 puntualizza come le disposizioni di cui ai commi 3, 4, 5 e 6 del medesimo articolo 3 non pregiudichino l'applicazione di norme di legge e di contratto collettivo o individuale più favorevoli per il lavoratore.
      L'articolo 4 della proposta di legge è dedicato, in assenza di una corrispondente autonoma previsione nel decreto legislativo n. 626 del 1994, alla disciplina del computo dei lavoratori, rilevante a fini di sicurezza con riferimento alla soglia al di sotto della quale è consentito al datore di lavoro lo svolgimento diretto dei compiti di prevenzione e protezione dai rischi, a quella che impone la presenza in azienda del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, e a quella che consente la certificazione ad opera degli organismi bilaterali.
      Al riguardo, la presente proposta di legge - anche in attuazione del criterio di delega di cui alla lettera b) del comma 1 dell'articolo 3 della legge 29 luglio 2003, n. 229, che impone di considerare la peculiarità delle piccole e medie imprese - ha ritenuto di diversificare, rispetto all'impianto del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, parte della previgente disciplina in base ai requisiti dimensionali dell'impresa sul presupposto, non tenuto nel debito conto dalla normativa in vigore, che l'organizzazione del lavoro e le necessità delle aziende meno grandi non possono avere eguali caratteristiche rispetto alle aziende con più ampio organico. In pratica, per la realizzazione dell'obiettivo di diversificazione si è ritenuto opportuno non computare - o computarli in parte qua tenendo conto della loro effettiva presenza sui luoghi di lavoro - i lavoratori non stabilmente inseriti nella organizzazione aziendale.
      In applicazione di tale principio restano esclusi dal computo dei lavoratori, ai fini della determinazione del numero dal quale la proposta di legge fa discendere gli obblighi citati: i lavoratori in prova, i lavoratori sostituti, i lavoratori a domicilio, i volontari, i lavoratori socialmente utili, gli obiettori di coscienza, i telelavoratori, i lavoratori a progetto e i lavori con contratti di collaborazione coordinata e continuativa (co.co.co), gli occasionali e quelli con contratto di lavoro accessorio. I lavoratori con contratto a tempo ripartito e intermittente, i lavoratori a tempo parziale e quelli utilizzati nell'ambito di un contratto di somministrazione di lavoro vengono computati sulla base del numero di ore di lavoro effettivamente prestato nell'arco di un semestre.
      L'articolo 5 la proposta di legge individua una serie di definizioni, a partire da quella di «lavoratore» individuato in colui che: «presta il proprio lavoro fuori dal proprio domicilio alle dipendenze o sotto la direzione altrui, con o senza retribuzione, anche al solo fine di apprendere un mestiere, un'arte o una professione, inclusi tutti i prestatori di lavoro con rapporti di lavoro subordinato speciale o di durata determinata, i prestatori di lavoro nell'ambito di un contratto di somministrazione di lavoro di cui agli articoli 20 e seguenti del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e i prestatori di lavoro con altri rapporti di collaborazione che si concretizza in una prestazione d'opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato, qualora siano stabilmente inseriti nell'ambiente di lavoro organizzato dal committente».
      Va sottolineato che si tratta di una formulazione parzialmente innovativa rispetto a quelle precedenti: posto che il campo di applicazione va oltre i tradizionali ambiti del lavoro subordinato (lavoro alle dipendenze e sotto la direzione dell'imprenditore in base alla formulazione dell'articolo 2094 del codice civile) si è ritenuto preferibile utilizzare la disgiuntiva «o» in luogo della congiuntiva «e». Rientrano, infatti, nel campo di applicazione
 

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della proposta di legge non solo i lavoratori subordinati in senso stretto, ma anche coloro che operano semplicemente sotto le direttive altrui, ancorché formalmente non dipendenti, allorché vengano a trovarsi più o meno stabilmente inseriti in un contesto organizzativo gestito da altri.
      Si tratta di assecondare, in altri termini ed anticipando in parte qua la logica dello «Statuto dei lavori» (legge n. 300 del 1970), una tendenza storica verso l'estensione delle tutele fondamentali del diritto del lavoro al di fuori di rigide definizioni concettuali.
      Il riferimento letterale, contenuto all'articolo 5, comma 1, lettera a), alla prestazione d'opera coordinata e continuativa riprende sostanzialmente il disposto dell'articolo 409, numero 3), del codice di procedura civile. Si è tuttavia preferito non farne espressa menzione nel testo in quanto l'articolo 409, numero 3), citato, non definisce una fattispecie sostanziale (trattasi di norma processuale), identificando semplicemente una serie di rapporti (o anche di contratti) che sociologicamente possono essere definiti atipici e che giuridicamente verrebbero tuttavia ricondotti al lavoro autonomo pur in presenza delle condizioni di debolezza contrattuale tipiche del lavoro dipendente. Lo stesso vale anche quando la collaborazione viene resa nella modalità a progetto di cui al decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, perché il lavoro a progetto non identifica un nuovo tipo contrattuale.
      Ad eguale regime giuridico rispetto a quello riservato al «lavoratore» - ai sensi e per gli effetti della proposta di legge - sono sottoposti, come già previsto all'articolo 2, comma 1, lettera a), del decreto legislativo n. 626 del 1994, i soci lavoratori di cooperative o di società, anche di fatto, che prestino la loro attività per conto delle società e degli enti stessi, i volontari come definiti dalla legge 1o agosto 1991, n. 266, e gli utenti dei servizi di orientamento o di formazione scolastica, universitaria e professionale avviati presso datori di lavoro per agevolare o per perfezionare le loro scelte professionali. Sono altresì equiparati gli allievi degli istituti di istruzione e universitari e partecipanti a corsi di formazione professionale nei quali si faccia uso di laboratori, macchine, apparecchi e attrezzature di lavoro in genere, agenti chimici, fisici e biologici.
      Le lettere b) e c) del comma 1 dell'articolo 5 definiscono il «datore di lavoro» e il «servizio di prevenzione e protezione» conformemente alle lettere b) e c) del citato comma 1 dell'articolo 2 del decreto legislativo n. 626 del 1994, il cui testo non è stato modificato.
      Per quanto concerne il «medico competente», tra i titoli dei quali tale figura deve essere in possesso, in aggiunta a quelli già contemplati alla lettera d) del comma 1 dell'articolo 2 del decreto legislativo n. 626 del 1994, all'articolo 5, comma 1, lettera d), si è provveduto a inserire le modifiche inerenti le specializzazioni in igiene e medicina preventiva, in medicina legale e in medicina dello sport e a specificare che il numero totale degli specialisti in igiene e medicina preventiva ed in medicina legale ammessi ogni anno a livello nazionale alla frequenza di master in medicina occupazionale, non può superare il cinquanta per cento del numero totale delle borse di studio assegnate dal Ministero dell'università e della ricerca alle scuole di specializzazione in medicina del lavoro per l'anno accademico precedente.
      La successiva lettera e) opera un rinvio alla disciplina di cui al decreto legislativo n. 195 del 2003, richiamata all'articolo 15 della proposta di legge, per la individuazione delle capacità del «responsabile del servizio di prevenzione e protezione», mentre le lettere f) e g) riprendono la formulazione letterale già contenuta al decreto legislativo n. 626 del 1994 con riferimento al «rappresentante dei lavoratori per la sicurezza» e alla «prevenzione».
      È stato ritenuto opportuno, alle successive lettere h), i), e l), inserire le definizioni di «pericolo», «rischio» e «sorveglianza sanitaria», non contemplate nel decreto legislativo n. 626 del 1994. Ciò al fine di non dover riproporre di volta in volta nelle singole parti del testo (nelle
 

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quali si troverà, pertanto, il semplice rinvio alla corrispondente lettera del comma 1 dell'articolo 5) la relativa definizione.
      Allo stesso modo si è reputato necessario inserire la definizione di «norma di buona tecnica» (lettera n) del comma 1 dell'articolo 5) e di «buone prassi» (lettera o) del comma 1 dell'articolo 5). A queste definizioni si rinvierà, pertanto, nelle previsioni (trattasi di un numero assai rilevante) che di volta in volta, nell'ambito della proposta di legge, tali concetti andranno a richiamare.
      In particolare, le «norme di buona tecnica» costituiscono un «numero chiuso», identificato unicamente nelle specifiche promananti dagli organismi indicati alla lettera n) dell'articolo 5 (CEN, CENELEC, ISO, IEC, UNI e CEI) e nelle disposizioni legislative relative ad elementi di natura tecnica o costruttiva contenute nei decreti del Presidente della Repubblica 27 aprile 1955, n. 547, 7 gennaio 1956, n. 164, 19 marzo 1956, n. 302, 19 marzo 1956, n. 303, 20 marzo 1956, n. 320, 20 marzo 1956, n. 321, 20 marzo 1956, n. 322, e 20 marzo 1956, n. 323. Si tratta, come anticipato nella parte generale della presente relazione, delle disposizioni non inserite nel testo della proposta di legge - con applicazione dell'attuale regime di obbligatorietà e sanzionatorio - in quanto non direttamente incidenti sulle condizioni di sicurezza e, a seguito dello sviluppo tecnologico e delle procedure di sicurezza, ormai obsolete.
      Eguale ruolo di «parametro di riferimento» per valutare l'adempimento degli obblighi di sicurezza è riservato alle «buone prassi», definite alla lettera o) del comma 1 dell'articolo 5 come «soluzioni organizzative o procedurali coerenti con la normativa vigente e generalizzabili, che permettono di ottenere una riduzione dei rischi, miglioramenti delle condizioni di lavoro e in generale la promozione della salute sui luoghi di lavoro raccolte e validate dalle regioni, dall'ISPESL, dall'INAIL e dagli enti bilaterali».
      La definizione appena riportata evidenzia, tra l'altro, il ruolo di assoluta rilevanza che la proposta di legge riserva agli organismi bilaterali, definiti dalla lettera p) del comma 1 dell'articolo 5 come: «organismi costituiti a iniziativa di una o più associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative, quali sedi privilegiate per la promozione di un'occupazione regolare e di qualità; la programmazione di attività formative e l'elaborazione di buone pratiche a fini prevenzionistici; lo sviluppo di azioni inerenti la salute e la sicurezza sul lavoro; ogni altra attività o funzione assegnata loro dalla legge o dai contratti collettivi di riferimento». Come già esposto nella parte generale della presente relazione, gli organismi bilaterali vedono di molto ampliate nella presente proposta di legge le prerogative loro riservate dall'articolo 20 del decreto legislativo n. 626 del 1994, sul presupposto che essi possano costituire lo strumento privilegiato per la diffusione, specie nelle piccole e medie imprese, di una sicurezza fondata più sulla programmazione degli interventi sugli ambienti di lavoro che sul semplice adempimento formale degli obblighi di sicurezza, da realizzare anche attraverso una semplificazione degli oneri burocratici in materia ove le aziende siano sottoposte alla verifica degli enti de quo.
      Il capo II del titolo I, dedicato ai «princìpi generali di prevenzione», si apre con l'articolo 6, che identifica le «misure generali di tutela» conformemente a quanto fatto dall'articolo 3 del decreto legislativo n. 626 del 1994.
      Nella proposta di legge si è ritenuto di individuare in questa sede unicamente i princìpi di natura più generale e metodologica e non quelli più attinenti ad obblighi specifici. Questi secondi, tuttavia, non sono stati eliminati bensì collocati in altra parte del documento (ad esempio, le misure di emergenza da adottare in caso di pronto soccorso, di cui alla lettera p) del comma 1 dell'articolo 3 del decreto legislativo n. 626 del 1994, sono contemplate nella parte relativa al primo soccorso o, ancora, gli obblighi di informazione e di consultazione sono riportati nelle disposizioni relative all'informazione e alla consultazione dei lavoratori).
 

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      Al fine di rendere più efficace l'obbligo di limitare i rischi collegati all'ambiente di lavoro tenendo conto degli sviluppi della tecnica e, quindi, tenendo nel dovuto conto la diffusa giurisprudenza formatasi in materia di «massima sicurezza tecnologicamente fattibile», si è ritenuto opportuno puntualizzare, alle lettera b) del comma 1 dell'articolo 6 che l'eliminazione o la riduzione dei rischi al minimo deve essere realizzata «mediante misure tecniche, organizzative e procedurali concretamente attuabili nei diversi settori e nelle differenti lavorazioni in quanto generalmente utilizzate», enfatizzando in tale modo il ruolo delle buone pratiche in funzione di un adeguamento effettivo dei requisiti di sicurezza in azienda agli sviluppi della tecnologia e delle procedure di sicurezza.
      La medesima ottica, corrispondente al criterio di delega di cui alla lettera h) del comma 1 dell'articolo 3 della legge 29 luglio 2003, n. 229, ha suggerito di inserire - alla lettera n) del comma 1 dell'articolo 6 - tra le misure generali di tutela la «programmazione delle misure ritenute opportune per garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di sicurezza, attraverso l'adozione di codici di condotta e di buone prassi». Tale previsione pone a carico del datore di lavoro una attività di programmazione della sicurezza in azienda, in modo che sia possibile per lui pianificare gli interventi in materia, interventi da realizzare per mezzo di codici di condotta e buone prassi.
      Inoltre, si segnala che la lettera l) del comma 1 dell'articolo 6 specifica che l'allontanamento del lavoratore dall'esposizione a rischio per motivi sanitari deve essere effettuato, a seguito della relativa comunicazione di inidoneità, attraverso l'individuazione di una mansione compatibile con lo stato di salute del dipendente, ove possibile. Si è, in tale modo, reputato opportuno specificare che il datore di lavoro ha l'obbligo di allontanare il lavoratore solo ove abbia ricevuto la comunicazione del giudizio di inidoneità temporale o parziale del lavoratore, al fine di evitare ipotesi di responsabilità oggettiva del datore ove il medesimo non abbia avuto - né abbia potuto avere - notizia del rischio per la salute del dipendente. Al contempo, è stato puntualizzato che il datore di lavoro che abbia ricevuto tale comunicazione di inidoneità debba adibire il prestatore di lavoro ad altra mansione, ovviamente compatibile con il mutato stato di salute del dipendente; tale obbligo viene meno ove non sia possibile (ad esempio a causa dell'assenza di mansioni nella azienda così come attualmente organizzata) lo spostamento senza modificare la organizzazione aziendale.
      Il comma 2 dell'articolo 6 della proposta di legge conferma il principio già espresso dal comma 2 dell'articolo 3 del decreto legislativo n. 626 del 1994 per il quale «le misure relative alla sicurezza, all'igiene ed alla salute durante il lavoro non devono in nessun caso comportare oneri finanziari per i lavoratori».
      L'articolo 7 del disegno di legge («Obblighi dei datori di lavoro e dei dirigenti»), come già l'articolo 4 del decreto legislativo n. 626 del 1994, conferma l'indelegabilità da parte del datore di lavoro della valutazione del rischio e della nomina del responsabile e degli addetti del servizio di prevenzione e protezione, oltre che l'impianto generale del citato articolo 4 del decreto legislativo n. 626 del 1994.
      Tra le novità introdotte rispetto all'attuale previsione individuativa degli obblighi di datore di lavoro e dirigenti va, tuttavia, segnalata l'introduzione del principio della piena libertà del datore di lavoro di scegliere come redigere il documento di valutazione del rischio. Pertanto, egli può produrre il documento di valutazione che ritiene opportuno, all'unica condizione che sia completo (nel senso che in esso siano stati valutati tutti i rischi presenti in azienda) quanto al suo contenuto. Non a caso, il numero 1) della lettera b) del comma 1 dell'articolo 7 specifica che ciò che conta non è la forma del documento quanto la sua «completezza» e la sua «idoneità quale strumento operativo di pianificazione degli interventi aziendali e di prevenzione».
      Il medesimo numero 1) prevede, nel successivo periodo, che le indicazioni contenute
 

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nel documento di valutazione del rischio non costituiscono, in difetto di un inadempimento degli obblighi di sicurezza da parte del datore di lavoro, di per sé prova ai fini dell'applicazione di sanzioni penali o amministrative, a condizione che la rimozione delle situazioni di mancata o inadeguata ottemperanza di cui vi è traccia nel documento sia programmata nel documento medesimo. La disposizione non intende impedire all'autorità giudiziaria di «trarre notizie di reato» dal documento di valutazione del rischio, ma solo evitare che le indicazioni contenute nello stesso documento vengano assunte, di per sé, quali «fonte o elemento di prova» ai fini sanzionatori. In effetti, il documento di valutazione dei rischi è efficace se e in quanto ne sia riconosciuta la natura di documento di lavoro e, come tale, i suoi contenuti non siano sanzionati indipendentemente da riscontri probatori in ordine a effettive omissioni di adempimenti di sicurezza.
      Altra novità introdotta in ordine agli obblighi del datore di lavoro e del dirigente consiste nella previsione dell'obbligo di fornire al servizio di prevenzione e protezione informazioni su funzioni e compiti assegnati a lavoratori «atipici», quali i lavoratori assunti con contratto a tempo determinato ovvero utilizzati mediante contratto di somministrazione di lavoro di cui agli articoli 20 e seguenti del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, nonché sulla presenza in azienda di lavoratori con rapporti di collaborazione, anche nella modalità a progetto di cui agli articoli 61 e seguenti del medesimo decreto legislativo n. 276 del 2003, che si concretino in una prestazione d'opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato.
      Sempre con riferimento al servizio di prevenzione e protezione, nell'ottica di favorire il funzionamento del servizio stesso e il permanente aggiornamento dei dati a sua disposizione, al comma 2, lettera a), dell'articolo 7 della proposta di legge, si è reputato di inserire una previsione di contenuto del tutto corrispondente al comma 2 dell'articolo 9 del decreto legislativo n. 626 del 1994, prevedendo l'obbligo di informazione del datore di lavoro e del dirigente in ordine a natura dei rischi, organizzazione del lavoro, degli impianti e dei processi produttivi, ai dati del registro infortuni ed, infine, alle prescrizioni degli organi di vigilanza. Ne deriva, ovviamente, che non vi sarà un comma corrispondente nell'articolo relativo ai compiti del servizio di prevenzione e protezione.
      L'articolo 7 della presente proposta di legge conserva, al comma 5, l'obbligo di custodire il documento di valutazione del rischio in azienda specificando, tuttavia - coerentemente con quanto previsto al comma 1, lettera b), dello stesso articolo - che l'organo di vigilanza ne prende visione unicamente a fini conoscitivi.
      In ultimo, si segnala che il comma 6 dell'articolo in commento prevede la possibilità che le aziende fino a cinquanta dipendenti possano usufruire di una modalità semplificata di redazione del documento di valutazione del rischio ove seguano le indicazioni degli organismi bilaterali. Si tratta di una previsione diretta, in attuazione del criterio di delega di cui alla lettera b) del comma 1 dell'articolo 3 della legge 29 luglio 2003, n. 229, a tenere conto delle peculiarità delle piccole e medie imprese, attraverso l'intervento di organismi radicati nei territori di riferimento e nei quali opera una corretta dialettica delle parti sociali.
      La predisposizione di un articolo specificamente dedicato agli obblighi dei preposti si è resa necessaria al fine di dare attuazione al criterio di delega di cui alla lettera d) del citato comma 1 dell'articolo 3 della legge 29 luglio 2003, n. 229, il quale prevede la riformulazione dell'apparato sanzionatorio, con specifico riferimento alle fattispecie contravvenzionali a carico dei preposti. Tali obblighi sono stati individuati con riferimento a quelli indicati all'articolo 4 del decreto legislativo n. 626 del 1994 e operando una loro delimitazione con riferimento alla figura del preposto, tenendo conto della necessità di limitarne il numero, eccessivo rispetto
 

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ai compiti e alle responsabilità del preposto in azienda.
      Con l'articolo 8 («Obblighi dei preposti») sono stati individuati specificamente i compiti dei preposti, tra i quali sono stati, in particolare, ricompresi la vigilanza sull'osservanza delle disposizioni di legge da parte dei lavoratori (con relativa previsione dell'obbligo di comunicazione della perduranza dell'inosservanza ai diretti superiori), l'obbligo di informazione ai lavoratori esposti a un rischio di pericolo grave e immediato e quello di segnalare al datore di lavoro o al dirigente le deficienze dei mezzi, delle attrezzature di lavoro e dei dispositivi di protezione individuale e, più in generale, di ogni situazione di pericolo della quale il preposto sia venuto a conoscenza.
      Il comma 2 del medesimo articolo, relativo agli obblighi dei preposti, puntualizza che in loro assenza i compiti di cui al comma 1 sono svolti dai datori di lavoro o dai dirigenti.
      L'articolo 9 della proposta di legge opera una ridefinizione degli obblighi dei lavoratori, quali descritti dall'articolo 5 del decreto legislativo n. 626 del 1994, ai quali viene chiesta collaborazione fattiva, ovvero di «contribuire, insieme al datore di lavoro, ai dirigenti e ai preposti, all'adempimento degli obblighi previsti a tutela della sicurezza e della salute sui luoghi di lavoro», ai fini del miglioramento delle condizioni di sicurezza dell'ambiente di lavoro.
      Sempre nell'ottica, appena segnalata, dell'implementazione del coinvolgimento del lavoratore nella gestione della sicurezza in azienda, la lettera i) del comma 2 dell'articolo 9 prevede che i lavoratori si debbano sottoporre, oltre che ai controlli sanitari già previsti dal decreto n. 626 del 1994, anche ai controlli che possono essere disposti dal medico competente in funzione di prevenzione dei rischi per la salute del lavoratore.
      Rispetto alla corrispondente previsione del decreto legislativo n. 626 del 1994 (articolo 5), l'articolo che la proposta di legge dedica agli obblighi dei lavoratori - vale a dire l'articolo 9 - comprende il comma 3, diretto a imporre obblighi a soggetti ai quali finora non si è affatto applicata la normativa di sicurezza e che, viceversa, vengono ora considerati come destinatari delle disposizioni legali in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro. Si tratta dei lavoratori autonomi e dei componenti dell'impresa familiare (articolo 230-bis del codice civile) ai quali - in ragione della peculiare natura dei rispettivi rapporti e per le ragioni già anticipate nella parte più generale della presente relazione - vengono imposti due specifici obblighi, relativi ai dispositivi di protezione individuale e alla sottoposizione alla sorveglianza sanitaria, nei casi previsti dalla proposta di legge.
      L'articolo 10 della proposta di legge individua innanzitutto gli obblighi dei datori di lavoro committenti ed appaltatori nei contratti di appalto, riprendendo la previsione di cui all'articolo 7 del decreto legislativo n. 626 del 1994 e riferendola anche al contratto d'opera. Anche nella rinnovata formulazione, è stato confermato il principio fondamentale (ora espresso al comma 3 dell'articolo 10), in forza del quale il datore di lavoro non può rispondere dei rischi propri dell'impresa appaltatrice, principio anzi esteso ai rischi propri del lavoratore autonomo.
      È stato, altresì, introdotto, al comma 4 dell'articolo 10 della proposta di legge, rispetto al testo dell'articolo 7 del decreto legislativo n. 626 del 1994, il riferimento all'obbligo per il datore di lavoro committente di fornire in uso unicamente macchine o attrezzi rispettosi dei presìdi antinfortunistici di cui alla medesima proposta di legge, attualmente contenuto all'articolo 5, terzo comma, del decreto del Presidente della Repubblica n. 547 del 1955.
      Il comma 5 dell'articolo 10 della proposta di legge è diretto a specificare la ripartizione degli obblighi di salute e sicurezza nel distacco, fattispecie ora regolata dall'articolo 30 del decreto legislativo n. 276 del 2003.
      Tenuto conto dell'analogia tra la fattispecie del distacco e quella della somministrazione di cui agli articoli 20 e seguenti
 

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del decreto legislativo n. 276 del 2003 (rilevata dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali nella circolare n. 3 del 15 gennaio 2004), si è ritenuto applicabile lo stesso schema previsto per la somministrazione in ordine all'adempimento degli obblighi di sicurezza posti in capo, rispettivamente, al somministratore e all'utilizzatore. Pertanto, il comma in parola costituisce applicazione, con i necessari adattamenti, di tale schema per la determinazione degli obblighi di sicurezza in capo al datore di lavoro distaccante e al soggetto distaccatario.
      L'articolo 6 del decreto legislativo n. 626 del 1994 disciplina gli obblighi di progettisti, fabbricanti, fornitori e installatori. Per ragioni sistematiche, si è scelto di predisporre tre diversi articoli, destinati, rispettivamente, agli obblighi di progettisti, fabbricanti e fornitori e, infine, installatori (articoli 11, 12 e 13), il cui contenuto - salvi i necessari adattamenti alla diversa «filosofia» e struttura della proposta di legge - ripropone quello delle corrispondenti disposizioni del decreto legislativo n. 626 del 1994.
      Il capo III («Attività di prevenzione e protezione») del titolo I della presente proposta di legge si apre con l'articolo 14, dedicato al servizio di prevenzione e protezione dai rischi.
      Dopo aver puntualizzato, al comma 1, che il servizio può essere interno o esterno all'azienda (nel rispetto delle regole di cui alla proposta di legge), nell'articolo 14 si è preferito subito (al comma 2) specificare che i responsabili e gli addetti al servizio in parola devono avere i requisiti e le capacità professionali di cui all'articolo 15 (come individuati dal decreto legislativo n. 195 del 2003). Nello stesso comma si è ritenuto di inserire i princìpi (che hanno portata «generale») in forza dei quali essi devono essere in numero sufficiente, devono poter disporre di mezzi e tempi adeguati per lo svolgimento dei compiti loro assegnati e, infine, che non possono subire pregiudizio a causa dell'attività svolta nell'espletamento del loro compito.
      L'impianto dell'articolo 14 qui illustrato ripropone sostanzialmente quello dell'articolo 8 del decreto legislativo n. 626 del 1994, con l'introduzione di un comma, il 9, nel quale si prevede che nei casi di aziende con più unità produttive e nei casi di gruppi di imprese, può essere istituito un unico servizio di prevenzione e protezione, anche all'interno di società o di strutture appositamente costituite od organizzate dalla società capogruppo.
      L'articolo 15 («Capacità e requisiti professionali degli addetti e dei responsabili dei servizi di prevenzione e protezione interni o esterni») della proposta di legge corrisponde pressoché integralmente all'articolo 8-bis del decreto legislativo n. 626 del 1994, nel testo introdotto dall'articolo 2 del decreto legislativo 23 giugno 2003, n. 195. Va segnalato, tuttavia, che si è reputato opportuno inserire tra i soggetti organizzatori dei corsi di formazione, di cui al comma 2 dell'articolo 15, l'Associazione nazionale dei consulenti del lavoro, in virtù delle competenze in possesso di tale Ordine.
      L'articolo 16 («Compiti del servizio di prevenzione e protezione») corrisponde sostanzialmente all'articolo 9 del decreto legislativo n. 626 del 1994.
      Tuttavia, nella presente proposta di legge non si prevede più che il servizio di prevenzione e protezione provveda in proprio a svolgere i compiti, essendosi ritenuto più logico stabilire che esso collabori con il datore di lavoro o con i dirigenti nel porre in essere le misure organizzative individuate all'articolo in oggetto. Tali misure sostanzialmente coincidono con quelle previste dal decreto legislativo n. 626 del 1994; si consideri che, ad ogni modo, i compiti di cui alle lettere b) e c) del comma 1 dell'articolo 9 del decreto legislativo n. 626 del 1994, sono state accorpate alla lettera b) del comma 1 dell'articolo 16 in commento, mentre rispetto a quanto previsto dalla lettera e) del citato comma 1 dell'articolo 9 del decreto legislativo n. 626 del 1994, nella lettera d) del comma 1 dell'articolo in commento non vi è più il riferimento alla partecipazione alle consultazioni prevista dalla norma sulla riunione periodica di prevenzione
 

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e protezione dei rischi, in quanto sovrabbondante.
      Come già esposto con riferimento agli obblighi del datore di lavoro, si è ritenuto corretto non riproporre nell'articolo 16 della proposta di legge che si commenta la previsione di cui al comma 2 dell'articolo 9 del decreto legislativo n. 626 del 1994 la quale, trattando di un obbligo del datore di lavoro, non può che essere collocata nel relativo articolo. Inoltre, è stato eliminato il comma 4 del citato articolo 9 (il quale statuiva che «il servizio di prevenzione e protezione è utilizzato dal datore di lavoro») in quanto del tutto pleonastico, mentre il comma 3 del medesimo articolo è stato conservato nella sua formulazione, divenendo comma 2 dell'articolo 16 della proposta di legge che si illustra.
      L'articolo 17 («Svolgimento diretto da parte del datore di lavoro dei compiti di prevenzione e protezione») della proposta di legge conferma che il datore di lavoro ha facoltà di svolgere direttamente i compiti propri del servizio di prevenzione e protezione dai rischi nonché di prevenzione incendi e di evacuazione, dandone preventiva informazione al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza.
      Al riguardo, viene mantenuta la tecnica usata dal decreto legislativo n. 626 del 1994 del rinvio all'allegato I per individuare le aziende nelle quali è possibile per il datore di lavoro svolgere direttamente i compiti del servizio di prevenzione e protezione e di prevenzione incendi e di evacuazione; tuttavia, si è provveduto - nella ridefinizione dell'allegato I - ad innalzare la soglia minima di addetti al di sotto della quale è possibile per il datore svolgere in proprio i compiti in oggetto. Sul punto, si consideri quanto già prima esposto in ordine all'introduzione nella proposta di legge di un articolo ad hoc, l'articolo 4, per l'individuazione dei soggetti che non vengono computati nell'organico dell'impresa e di quelli che vengono computati in proporzione al numero delle ore effettivamente prestate nell'arco di un semestre (lavoratori assunti attraverso somministrazione di lavoro, contratto di lavoro ripartito o intermittente). Entrambe le modifiche sono state pensate nell'ottica della semplificazione degli adempimenti per le piccole e medie imprese, in attuazione del criterio di delega di cui alla lettera b) del comma 1 dell'articolo 3 della legge 29 luglio 2003, n. 229, ferma restando la necessità che le medesime imprese rispettino tutti gli obblighi di cui alla proposta di legge.
      Il comma 2 dell'articolo 17 della proposta di legge puntualizza, così come già fatto al comma 2 dell'articolo 10 del decreto legislativo n. 626 del 1994, che il datore di lavoro che intende svolgere i compiti di cui al comma 1, deve frequentare un apposito corso di formazione, i cui contenuti formativi sono ora individuati specificamente nel decreto dei Ministri del lavoro e della previdenza sociale e della sanità 16 gennaio 1997, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 27 del 3 febbraio 1997, e tenere a disposizione degli organi di vigilanza il relativo attestato.
      Si è ritenuto opportuno, in applicazione della logica della riforma (quella di una gestione della sicurezza che non passi per adempimenti formali e burocratici ma per adempiamenti sostanziali e per obiettivi), non riproporre a carico del datore di lavoro gli adempimenti di trasmissione di cui alle lettere a), b) e c) del comma 2 dell'articolo 10 del decreto legislativo n. 626 del 1994, in quanto sovrabbondanti perché inidonei a determinare un innalzamento dei livelli di tutela e, comunque, superati tenendo conto del rinnovato assetto, in funzione più marcatamente prevenzionistica, di tutti gli adempimenti in materia di sicurezza delineato nella proposta di legge (per un esempio, si veda quanto tra poco si dirà con riferimento alla previsione di cui alla lettera b) del comma 2 dell'articolo 18 della presente proposta di legge; sempre a titolo esemplificativo si consideri, inoltre, che datore di lavoro o dirigenti - come previsto dal numero 3) della lettera a) del comma 2 dell'articolo 7 della presente proposta di legge - devono fornire al servizio di prevenzione e protezione i dati del registro infortuni e malattie professionali). Sul punto, si consideri che si parla di comunicazioni
 

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che erano dirette, nel sistema delineato dall'articolo 10 del decreto legislativo n. 626 del 1994, all'organo di vigilanza, quindi ex se orientate più alla repressione di comportamenti di inadempimento degli obblighi di sicurezza che alla loro prevenzione.
      Il comma 1 dell'articolo 18 («Riunione periodica di prevenzione e protezione») della presente proposta di legge è conforme al comma 1 dell'articolo 11 del decreto legislativo n. 626 del 1994, mentre al comma 2 del medesimo articolo 18 si è inserito, nell'ottica della migliore prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali e ai fini della pianificazione nel tempo delle misure maggiormente idonee a tale scopo, in aggiunta a quanto stabilito dall'articolo 11, comma 2, del decreto legislativo n. 626 del 1994, che il datore di lavoro sottoponga all'esame dei partecipanti della riunione anche «l'andamento degli infortuni e delle malattie professionali» (lettera b), che «sostituisce», rendendolo maggiormente idoneo ad assicurare una effettiva funzione prevenzionistica dell'adempimento, la previsione di cui alla lettera c) del comma 2 dell'articolo 10 del decreto legislativo n. 626 del 1994) e «l'organizzazione della sorveglianza sanitaria» (lettera c).
      Inoltre, sempre nel comma 2, appena citato, si è ritenuto di eliminare la previsione, contenuta nel comma 2, lettera b), dell'articolo 11 del decreto legislativo n. 626 del 1994, che riguarda la sottoposizione all'esame dei partecipanti anche «dell'idoneità dei mezzi di protezione individuale», di incerta portata e di infelice formulazione letterale.
      Il comma 3 dell'articolo 18 della presente proposta di legge è stato inserito al fine di dare una portata meno burocratica e più propositiva alla riunione periodica, cogliendo tale occasione come la più idonea per l'individuazione di buone prassi di prevenzione e di obiettivi di miglioramento della sicurezza sulla base di linee guida da applicare nella specifica realtà aziendale. L'ottica è quella della gestione della sicurezza per obiettivi ed attraverso buone prassi.
      Il successivo comma 4 corrisponde testualmente al comma 3 dell'articolo 11 del decreto legislativo n. 626 del 1994, confermando il principio in forza del quale la riunione va indetta in ogni ipotesi di significative variazioni delle condizioni di esposizione al rischio nell'ambiente di lavoro e ove l'introduzione di nuove tecnologie possa incidere sulle condizioni di sicurezza.
      In ragione della loro peculiarità rispetto alle realtà lavorative più grandi (specie per quanto concerne il contatto quotidiano tra i componenti della compagine aziendale, che rende superfluo indire una specifica riunione su temi di certo già dibattuti in azienda), si è ritenuto - sempre nell'ottica della semplificazione degli adempimenti per le imprese più piccole - di non riproporre nella presente proposta di legge la previsione di cui al comma 4 dell'articolo 11 del decreto legislativo n. 626 del 1994, in forza della quale nelle aziende fino a quindici dipendenti è possibile che il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza chieda un'apposita riunione in caso di modifiche dell'organizzazione aziendale o di introduzione di nuove tecnologie.
      Infine, il comma 5 dell'articolo 18 ha mantenuto, a fini di verifica e per scoraggiare l'utilizzo della riunione come adempimento burocratico privo di effettivi contenuti, la previsione della redazione di un verbale della riunione medesima (comma 5 del decreto legislativo n. 626 del 1994, la cui formulazione è stata modificata per ragioni stilistiche, anche eliminando la previsione - inutile - per cui debba essere necessariamente il datore di lavoro a redigere, eventualmente anche tramite il servizio di prevenzione e protezione, il verbale).
      Il capo III del titolo I («Prevenzione degli incendi, evacuazione dei luoghi di lavoro e primo soccorso»), la cui rubrica comprende - così come si farà in altre parti del testo - l'espressione «primo soccorso», usata in luogo del «pronto soccorso» citato nel decreto legislativo n. 626 del 1994, in quanto meglio rispondente al concetto di first aid di cui alle
 

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direttive comunitarie di riferimento, si apre con l'articolo 19 («Disposizioni generali»), il quale corrisponde, con piccole modifiche di tipo stilistico, all'articolo 12 del decreto legislativo n. 626 del 1994.
      All'articolo 20 («Prevenzione degli incendi») della presente proposta di legge, così come fatto nel decreto legislativo n. 626 del 1994, in materia di prevenzione degli incendi, si è innanzitutto fatto salvo il rinvio alle previsioni del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 29 luglio 1982, n. 577; tuttavia, rispetto all'articolo 13 del decreto legislativo n. 626 del 1994, si è preferito richiamare le previsioni del decreto del Ministro dell'interno 10 marzo 1998, pubblicato come supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 81 del 7 aprile 1998, recante «Criteri generali di sicurezza antincendio e per la gestione dell'emergenza nei luoghi di lavoro» specificando come esse (a seconda della loro tipologia) si considereranno come norme di buona tecnica o buone prassi, ai sensi e per gli effetti della proposta di legge.
      L'articolo 21 («Diritti dei lavoratori in caso di pericolo grave e immediato») della proposta di legge corrisponde testualmente all'articolo 14 del decreto legislativo n. 626 del 1994 e sancisce il principio per il quale in caso di pericolo grave, immediato e che non può essere evitato, il lavoratore può allontanarsi dal posto di lavoro o da una zona pericolosa, senza subire pregiudizio alcuno e, al contempo, che deve prendere le misure idonee per evitare le conseguenze del pericolo, ove non sia possibile contattare il superiore gerarchico.
      I primi due commi dell'articolo 22 («Primo soccorso») della proposta di legge che si commenta corrispondono ai primi due commi dell'articolo 15 del decreto legislativo n. 626 del 1994. Il comma 3 del medesimo articolo 22, a differenza del corrispondente comma 3 dell'articolo 15 del decreto legislativo n. 626 del 1994, che prevedeva in materia l'emanazione di un decreto interministeriale, individua le caratteristiche minime delle attrezzature di primo soccorso con il rinvio al recente regolamento di cui al decreto dei Ministri della salute, del lavoro e delle politiche sociali, per la prevenzioni pubblica e delle attività produttive 15 luglio 2003, n. 388.
      Di conseguenza, il comma 4 dell'articolo 15 del decreto legislativo n. 626 del 1994, che statuiva che restassero in vigore le disposizioni previgenti sino all'emanazione della normativa prevista dal comma 2, è stato eliminato nel presente testo, appunto in quanto il regolamento appena citato costituisce tale normativa.
      Il capo V («Sorveglianza sanitaria») del titolo I della presente proposta di legge si apre con l'articolo 23 («Contenuto della sorveglianza sanitaria»), il quale corrisponde alla formulazione dell'articolo 16 del decreto legislativo n. 626 del 1994. Tuttavia, si è inserita al comma 2 dell'articolo 23 una lettera c) che - in funzione del potenziamento della prevenzione della salute dei lavoratori - include all'interno della sorveglianza sanitaria le «visite mediche richieste dal lavoratore ove il medico competente le ritenga correlate a rischi professionali».
      L'articolo 24 («Medico competente») individua i compiti del medico competente, figura di rilievo centrale per la gestione della sicurezza in azienda, sulla falsariga del modello già delineato all'articolo 17 del decreto legislativo n. 626 del 1994, il cui impianto risulta, salvo modifiche di dettaglio, sostanzialmente confermato.
      Tra le novità introdotte, rispetto alla formulazione di cui all'articolo 17 del decreto legislativo n. 626 del 1994, con l'articolo 24 della proposta di legge, si segnala la previsione (lettera c) del comma 1 dell'articolo in commento) della custodia della cartella sanitaria o di rischio presso lo studio del medico e non più in azienda per le piccole imprese (quali individuate dall'allegato I alla proposta di legge), quella della necessità di rilasciare copia delle documentazione sanitaria al lavoratore alla cessazione del rapporto di lavoro (lettera e) inserita in funzione di una tutela della salute del lavoratore che prescinda dalla sussistenza di un rapporto di lavoro e in qualche misura «sopravviva» alla sua cessazione), e quella (lettera i), in
 

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attuazione delle previsioni comunitarie al riguardo) dell'invio all'ISPESL delle cartelle sanitarie e di rischio e di ogni altra documentazione nei casi previsti dalla proposta di legge, alla cessazione del rapporto di lavoro.
      Inoltre, i commi 3 e 4 dell'articolo 24 della proposta di legge prevedono l'obbligo di comunicazione per iscritto nei confronti del datore di lavoro e del lavoratore del giudizio di inidoneità parziale, temporanea o totale, e la possibilità di ricorrere in via amministrativa avverso tali giudizi.
      Il capo VI («Consultazione e partecipazione dei lavoratori») disciplina innanzitutto, all'articolo 25 («Rappresentante per la sicurezza»), le prerogative del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, le quali sono le medesime già conferite e regolate dai primi quattro commi dell'articolo 18 del decreto legislativo n. 626 del 1994, la cui formulazione è stata trasposta nei primi quattro commi dell'articolo in commento.
      Si è, invece, reputato opportuno eliminare la previsione di cui al comma 5 dell'articolo 18 del decreto legislativo n. 626 del 1994, che prevede l'intervento del Ministero del lavoro e della previdenza sociale in caso di mancato accordo tra le parti, in quanto superato dall'intervento della contrattazione collettiva in materia e, comunque, ove si considerino le previsioni inderogabili in materia di individuazione delle prerogative dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza contenute nella proposta di legge.
      Il comma 6 dell'articolo 25 della presente proposta di legge differisce dal comma 7 dell'articolo 18 del decreto legislativo n. 626 del 1994, in quanto individua i contenuti minimi della formazione del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza attraverso lo specifico rinvio alle previsioni di cui all'articolo 2 del citato decreto interministeriale 16 gennaio 1997.
      L'articolo 26 («Attribuzioni del rappresentante per la sicurezza») della proposta di legge introduce, al comma 1, un rinvio alla contrattazione collettiva, diretto a evidenziare la conferma della scelta, già al riguardo operata dal decreto legislativo n. 626 del 1994, nel senso che la materia delle attribuzioni dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza sia innanzitutto rimessa alla dialettica sindacale, nel rispetto dei requisiti «di base» stabiliti da legge.
      La lettera a) del medesimo comma 1, puntualizza un principio già contenuto in diversi contratti collettivi in forza del quale la facoltà di accesso del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza ai luoghi di lavoro deve essere esercitata «previa informativa al datore di lavoro o al dirigente o al preposto competente» in modo che le prerogative del rappresentante vengano esercitate salvaguardando l'andamento delle attività lavorative. La medesima logica è sottesa alla previsione di cui al comma 3 dell'articolo 26 il quale impone al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza il rispetto del segreto industriale relativamente alle informazioni contenute nel documento di valutazione dei rischi.
      Sempre con riferimento al documento di valutazione dei rischi, la lettera e) del comma 1 dell'articolo 26 conferma l'obbligo datoriale di fornire al rappresentante le informazioni e la documentazione aziendale inerenti alla valutazione dei rischi e alle relative misure di prevenzione, puntualizzando che il rappresentante non riceve il documento di valutazione. Tale ultima specificazione è diretta a chiarire definitivamente che un obbligo di riproduzione del documento e di consegna dello stesso al rappresentante non può essere configurato, anche nel caso in cui ciò fosse tecnicamente praticabile, a motivo della riservatezza industriale (si consideri, al riguardo, quanto previsto dal già citato comma 3 dell'articolo in commento) che spesso caratterizza molte delle informazioni in esso contenute. Al riguardo, si è tenuto conto che le stesse parti sociali, nell'accordo interconfederale Confindustria-CGIL-CISL-UIL del 22 giugno 1995, hanno convenuto che il diritto di accesso del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza al documento di valutazione dei rischi di cui all'articolo 4, comma 2, del decreto legislativo n. 626 del 1994 - a
 

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differenza della documentazione di cui all'articolo 19, comma 1, lettera e), del medesimo decreto legislativo («documentazione aziendale inerente alla valutazione dei rischi», che è cosa diversa dal vero e proprio «documento di valutazione dei rischi») - si esercita esclusivamente mediante consultazione presso la sede aziendale.
      Rispetto alla correlativa previsione (articolo 20) del decreto legislativo n. 626 del 1994, l'articolo 27 («Organismi bilaterali») della presente proposta di legge sostituisce alla precedente dizione di «organismi paritetici» quella di «organismi bilaterali», il cui ruolo nel rinnovato «sistema di sicurezza» delineato dalla proposta di legge è di assoluto rilievo. Appunto in ragione della importanza delle prerogative attribuite a tali organismi, al comma 1 dell'articolo 27, si è introdotto un rinvio ai contratti collettivi nazionali, come sedi idonee a individuare la struttura tecnica della quale gli enti in parola devono essere muniti per svolgere le funzioni loro attribuite.
      Sempre il comma 1 dell'articolo 27 conferma la previsione già contenuta all'articolo 20 del decreto legislativo n. 626 del 1994, attribuendo innanzitutto agli organismi bilaterali funzioni di orientamento e di promozione di iniziative formative nei confronti dei lavoratori e dei loro rappresentanti. Allo stesso modo, il comma 2 dell'articolo 27 ribadisce (eguale previsione si trova al secondo periodo del comma 1 dell'articolo 20 del decreto legislativo n. 626 del 1994) che gli organismi paritetici rappresentano la prima istanza di riferimento in merito a controversie sorte sull'applicazione dei diritti di rappresentanza, informazione e formazione previsti dalle norme vigenti.
      Il comma 3 dell'articolo 27 (che riguarda il pubblico impiego) corrisponde alla formulazione del comma 3 dell'articolo 20 del decreto legislativo n. 626 del 1994, mentre nella presente proposta di legge si è ritenuto di non riproporre il comma 2 del citato articolo 20 in quanto disposizione - relativa agli organismi bilaterali o partecipativi previsti da accordi collettivi alla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 626 del 1994 - allo stato ormai priva di senso.
      Il comma 4 dell'articolo 27 conferisce agli organismi bilaterali l'importante facoltà di effettuare, nelle aziende che occupano fino a 100 dipendenti e a richiesta dei datori di lavoro, sopralluoghi finalizzati a verificare l'applicazione in azienda delle vigenti norme in materia di sicurezza e tutela della salute sui luoghi di lavoro e di rilasciare una certificazione. Di tali attività di controllo e certificazione, sempre nell'ottica della natura volontaria del controllo e non vincolante della certificazione, gli organi di vigilanza in materia di sicurezza e salute tengono conto ai fini della programmazione delle proprie attività ispettive di vigilanza.
      Infine, il comma 5 dell'articolo 27 attribuisce agli organismi bilaterali il compito di formulare proposte alla Commissione consultiva di cui all'articolo 35 per quanto concerne l'aggiornamento dei valori limite di esposizione professionale e dei valori biologici relativi agli agenti chimici, delle norme di buona tecnica e delle buone prassi nonché con riferimento alle specifiche problematiche discusse dai gruppi eventualmente creati ad hoc nell'ambito della stessa Commissione consultiva.
      Il primo articolo del capo VII («Informazione e formazione dei lavoratori») del titolo I della proposta di legge è l'articolo 28, in materia di informazione, il quale riprende la formulazione dell'articolo 21 del decreto legislativo n. 626 del 1994. I due testi differiscono, tuttavia, quanto alla specificazione, contenuta nell'articolo 28, che gli obblighi di informazione gravano sul dirigente, ove non sul datore di lavoro, e nell'eliminazione, sempre nel citato articolo 28, della previsione per cui datore o dirigente devono fornire ai lavoratori informazioni sul responsabile del servizio di prevenzione e protezione e sul medico competente (lettera f) del comma 1 dell'articolo 21 del decreto legislativo n. 626 del 1994) in quanto di infelice formulazione letterale e di nessuna effettiva rilevanza sul miglioramento dei livelli di sicurezza in azienda.
 

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      Infine, al medesimo articolo 28 non si trova una previsione analoga a quella di cui al comma 2 dell'articolo 21 del decreto legislativo n. 626 del 1994, relativa all'informazione ai lavoratori a domicilio e con contratto di portierato, in quanto l'articolo 3, comma 3, della proposta di legge statuisce che nei confronti di tali tipologie di lavoratori trovano applicazione gli obblighi di informazione e formazione di cui alla medesima proposta di legge.
      L'articolo 29 della proposta di legge è dedicato alla formazione dei lavoratori e dei loro rappresentanti, introducendo, al comma 1, il concetto per il quale la formazione dei lavoratori può essere considerata adeguata solo ove commisurata al rischio dell'ambiente di lavoro quale considerato nel documento di valutazione dei rischi, in tale modo consentendo alla norma un margine di adattabilità alle diverse, molteplici, possibili situazioni aziendali.
      Tuttavia, al fine di predisporre un livello «minimo» di formazione per tutte le aziende, si è reputato (lettere a) e b) del comma 1 dell'articolo 29) opportuno puntualizzare che la formazione deve comunque svolgersi con riferimento ai rischi correlati al lavoro, alle misure di prevenzione e protezione e, infine, relativamente ai diritti ed ai doveri del lavoratore in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Per le stesse ragioni indicate al commento dell'articolo 28, nessuna specificazione è stata operata nei confronti dei lavoratori a domicilio o con contratto privato di portierato.
      I commi 2 e 3 del medesimo articolo 29 coincidono con i commi 2 e 3 dell'articolo 22 del decreto legislativo n. 626 del 1994; il comma 4 dell'articolo 29 coincide sostanzialmente (salvo affinamenti linguistici) con il comma 5 del citato articolo 22 e il comma 5 dell'articolo 29 coincide con il comma 4 dello stesso articolo 22.
      Il comma 6 dell'articolo 29 prevede il rinvio alla contrattazione collettiva nazionale di categoria per l'individuazione di modalità e contenuti specifici della formazione del rappresentante per la sicurezza, eliminando in tale modo la previsione del possibile intervento (invero, mai verificatosi) del Ministero del lavoro e della previdenza sociale in una materia che deve essere riservata alle parti sociali, quale contenuta al comma 7 dell'articolo 22 del decreto legislativo n. 626 del 1994.
      Il comma 7 dell'articolo 29, riproponendo la sostanza del comma 6 dell'articolo 22 del decreto legislativo n. 626 del 1994, specifica che la formazione dei lavoratori e quella dei loro rappresentanti deve avvenire, in collaborazione con gli organismi bilaterali di cui all'articolo 27, durante l'orario di lavoro e non può comportare oneri economici a carico dei lavoratori.
      L'articolo 30 («Formazione dei responsabili e degli addetti ai servizi di prevenzione e protezione») opera il rinvio alla disciplina in materia di formazione di responsabile e di addetti del servizio di prevenzione e protezione, così come risultante dall'accordo (attuativo delle disposizioni di cui al decreto legislativo n. 195 del 2003) in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano (provvedimento 26 gennaio 2006, pubblicato in nella Gazzetta Ufficiale n. 37 del 14 febbraio 2006) in materia.
      Il capo VIII («Disposizioni concernenti la pubblica amministrazione») del titolo I della proposta di legge si occupa, innanzitutto, della vigilanza in materia di salute e sicurezza, il cui attuale assetto di competenze risulta del tutto confermato.
      L'articolo 31 della proposta di legge, appunto dedicato alla vigilanza, rispetto all'articolo 23 del decreto legislativo n. 626 del 1994, differisce, innanzitutto, per il riferimento, contenuto al comma 1, alla futura attuazione della delega di cui al decreto legislativo n. 300 del 1999.
      Inoltre, l'articolo 31 non comprende più le previsioni dei commi 2 e 3 dell'articolo 23 del decreto legislativo n. 626 del 1994, relative alla possibile diversificazione delle competenze istituzionali in materia di vigilanza per le attività lavorative comportanti rischi particolarmente elevati per mezzo di decreto, che sono state eliminate.
 

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      Il comma 2 dell'articolo 31 contiene, così come già il comma 1, il riferimento alla futura attuazione della delega di cui al decreto legislativo n. 300 del 1999, corrispondendo, per il resto, al comma 4 del decreto legislativo n. 626 del 1994.
      L'articolo 32 («Potere di disposizione») del disegno di legge che qui si commenta «rivitalizza» lo strumento della disposizione, innanzitutto utilizzabile - ai sensi del comma 1 dell'articolo 32 - nei casi in cui siano applicabili norme di buona tecnica o buone prassi, nei limiti e con i meccanismi delineati nella proposta di legge.
      Il comma 2 del citato articolo 32 dispone che avverso le disposizioni di cui al comma 1 è possibile proporre ricorso - entro un mese e con eventuale richiesta di sospensione - all'autorità gerarchicamente superiore all'organo di vigilanza che ha impartito il provvedimento. Detta tipologia di ricorso è già prevista dall'articolo 21, quinto e sesto comma, della legge 23 dicembre 1978, n. 833, e dall'articolo 10 del decreto del Presidente della Repubblica n. 520 del 1955.
      L'eventuale inosservanza delle citate disposizioni comporterà l'applicazione di una pesante sanzione penale (arresto da tre a sei mesi) o di un'ammenda di notevole ammontare (da 3.000 a 5.000 euro), quali individuate nell'apparato sanzionatorio.
      L'articolo 33 («Informazione, consulenza ed assistenza») della presente proposta di legge coincide con l'articolo 24 del decreto legislativo n. 626 del 1994, che si è reputato di non modificare.
      Il successivo articolo 34 («Verifica sull'applicazione della normativa») esprime una delle linee portanti della struttura della proposta di legge prevedendo, al comma 1, l'effettuazione di un'attività di monitoraggio e di verifica sull'effettiva applicazione della normativa di sicurezza e salute effettuata congiuntamente dalle regioni, dalle province autonome, dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale e dal Ministero della salute e dalle parti sociali mediante accordi e con metodi di misurazione condivisi.
      Il comma 2 dell'articolo 34 specifica che ai fini della citata attività di «benchmarking» deve essere utilizzato il sistema informativo nazionale, delle regioni, dell'ISPESL, dell'INAIL e del Ministero del lavoro e della previdenza sociale.
      L'articolo 35 («Commissione permanente per la prevenzione degli infortuni e l'igiene del lavoro») della proposta di legge provvede a una rivisitazione della Commissione consultiva di cui agli articoli 393 e 394 del decreto del Presidente della Repubblica n. 547 del 1955, e successive modificazioni, sia quanto alla sua composizione, necessariamente ridotta a favore dell'efficacia ed effettività dell'azione dell'organismo, pure conservando la partecipazione delle pubbliche amministrazioni e delle parti sociali, sia quanto alle sue attribuzioni, inquadrate nel rinnovato quadro giuridico delineato dalla proposta di legge.
      Tra le novità contenute nell'articolo si segnalano, in particolare:

          1) l'aumento del numero di anni di carica a cinque (dagli attuali tre), al fine di permettere una migliore pianificazione nel tempo e una superiore efficacia dei compiti della Commissione (comma 3);

          2) la possibilità per la Commissione di richiedere la consulenza di esperti nei diversi settori di interesse per l'attività della Commissione (comma 2);

          3) la previsione dell'istituzione di un gruppo per la determinazione e l'aggiornamento dei valori limite di esposizione professionale e dei valori limite biologici relativi agli agenti chimici (comma 5, lettera a));

          4) la previsione dell'istituzione di un gruppo per l'aggiornamento delle norme di buona tecnica e delle buone prassi di cui ai citati decreti del Presidente della Repubblica degli anni cinquanta (comma 5, lettera b));

          5) la possibilità di costituire gruppi di lavoro temporanei per specifiche problematiche (comma 5, lettera c)).

 

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      Le nuove competenze della Commissione vengono identificate al comma 6 dell'articolo 35 in commento nell'elaborazione dei piani di azione annuali per la promozione della salute e della sicurezza su tutto il territorio nazionale, in quella di linee guida tecniche da parte dell'INAIL, dell'ISPESL e dell'IIMS finalizzate ad assicurare unità e omogeneità di comportamenti in tutto il territorio nazionale nell'applicazione delle disposizioni in materia di sicurezza e salute dei lavoratori anche ai fini del coordinamento dei codici e delle raccolte di buone prassi realizzate da parte delle regioni e, infine, nell'elaborazione dei piani di coordinamento delle attività di sostegno alle imprese da parte di INAIL, ISPESL e IIMS.
      Il comma 7 dell'articolo 35 - in applicazione del criterio per cui occorre evitare ogni onere per la finanza pubblica - puntualizza che ai componenti della Commissione non spetta alcun gettone di presenza e che le eventuali spese di viaggio e di soggiorno sono poste a carico dell'amministrazione, dell'ente o dell'organizzazione di appartenenza.
      Il comma 1 dell'articolo 36 («Azioni positive per le piccole e medie imprese») della presente proposta di legge, prevede un ampliamento delle competenze istituzionali dell'INAIL, tra le quali viene fatto rientrare il miglioramento della sicurezza e salute sui luoghi di lavoro, specie con riferimento alle piccole e medie imprese e ai settori agricolo e artigianale.
      A seguito dell'attribuzione della competenza istituzionale di cui al comma 1, il comma 2 dell'articolo in commento dispone che l'INAIL esercita tale competenza per mezzo di sostegni finanziari (così come ha fatto con i finanziamenti di cui al decreto legislativo n. 38 del 2000) a interventi informativi e formativi in materia di sicurezza e di sostegno per l'adeguamento di strutture, impianti e organizzazione delle imprese alla normativa antinfortunistica nonché di individuazione e diffusione di buone pratiche per lo sviluppo delle azioni di prevenzione.
      Il successivo comma 3 specifica che gli interventi di cui ai commi 1 e 2 sono a carico dell'INAIL e non possono comportare oneri aggiuntivi per la finanza pubblica.
      L'articolo 37 («Attività promozionali») della proposta di legge è diretto a potenziare il ruolo del Ministero del lavoro e della previdenza sociale in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, sia attraverso l'utilizzo di una percentuale dei fondi oggi destinati al finanziamento di progetti di ricerca in tale materia al fine del finanziamento di attività congressuali o promozionali, che per il tramite del coordinamento - a seguito del confronto con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano - dei piani di azione e delle attività di sostegno definite dalla «nuova» Commissione di cui all'articolo 35.
      Il capo IX («Documentazione tecnico-amministrativa e statistiche degli infortuni e delle malattie professionali») del titolo I della proposta di legge introduce il principio generale per il quale tutta la documentazione di cui alla medesima proposta di legge può essere memorizzata per mezzo di sistemi di elaborazione automatica di dati, a condizione che si rispettino le previsioni di cui all'articolo 38 della stessa proposta di legge.
      L'articolo appena citato individua, al comma 2, una procedura «di sicurezza» che deve essere necessariamente seguita da chi decida di utilizzare strumenti automatici per la memorizzazione di documenti rilevanti per la sicurezza.
      Il successivo comma 3 prevede che nelle aziende ad articolazione complessa l'accesso ai dati può avvenire mediante reti di comunicazione elettronica, sempre nel rispetto delle citate regole «generali», di cui al comma 2, in materia di immissione e di validazione dei dati.
      Il comma 4 dell'articolo 38 impone che tutta la documentazione sia custodita nel rispetto delle disposizioni del recente codice in materia di protezione dei dati personali, di cui al decreto legislativo n. 196 del 2003.
      In piena coerenza con quanto previsto dall'articolo appena illustrato, l'articolo 39

 

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(«Comunicazioni e trasmissione di documentazione») della presente proposta di legge formula il principio che ogni trasmissione nei confronti di enti o di amministrazioni pubblici può essere effettuata tramite sistemi informatizzati (posta elettronica eccetera), nel rispetto delle istruzioni che ciascun ente o amministrazione fornirà al riguardo.
      L'articolo 40 («Statistiche degli infortuni e delle malattie professionali»), in materia di creazione e funzionamento di un sistema nazionale per lo scambio di dati relativi agli infortuni e alle malattie professionali, coincide totalmente con l'articolo 29 del decreto legislativo n. 626 del 1994, che si è scelto di non modificare.
      Il titolo II («Luoghi di lavoro») della presente proposta di legge costituisce il primo dei titoli «speciali», come tali intendendosi i titoli dedicati all'attuazione di specifiche direttive comunitarie in materia di salute e sicurezza «figlie» della citata direttiva «madre», 89/391/CEE. Al riguardo, si puntualizza sin d'ora che tali titoli sono stati riformulati tenendo conto innanzitutto delle previsioni delle direttive di volta in volta applicabili e dei rispettivi allegati, le quali hanno costituito il parametro indefettibile di riferimento per individuare quale parte della normativa italiana - sia di attuazione delle previsioni comunitarie che previgente ad esse (si pensi ai citati decreti del Presidente della Repubblica degli anni cinquanta) - mantenere intatta nella sua formulazione, quale modificata o integrata, quale trasformata in norma di buona tecnica, e, infine, quale abrogata.
      Il primo risultato di tale metodologia di redazione della proposta di legge è già visibile negli articoli dedicati ai luoghi di lavoro (articoli 41-44), che sono stati predisposti tenendo conto delle previsioni delle direttive 89/654/CEE del Consiglio, del 30 novembre 1989, e 92/57/CEE del Consiglio, del 24 giugno 1992, e dei rispettivi allegati, trasposti negli allegati III (che raccoglie tutti gli allegati alla direttiva 89/654/CEE) e IV (trattasi dell'allegato che comprende in un unico documento gli allegati alla direttiva 92/57/CEE) della proposta di legge.
      L'articolo 41 della proposta di legge definisce il concetto di «luoghi di lavoro» riprendendo, appunto, la formulazione di cui alla direttiva 89/654/CEE, già sostanzialmente recepita dall'articolo 30 del decreto legislativo n. 626 del 1994. Anche le esclusioni dell'applicazione della normativa in materia di luoghi di lavoro (che non ha effetto relativamente ai mezzi di trasporto, alle industrie estrattive, ai pescherecci, nonché ai campi, boschi e altri terreni facenti parte di una impresa agricola o forestale, ma situati fuori dall'area edificata dell'azienda) sono state individuate, come già fatto dal citato articolo 30 del decreto legislativo n. 626 del 1994, secondo la formulazione della citata direttiva. Tuttavia, nella proposta di legge si è reputato opportuno prevedere che le disposizioni in materia di luoghi di lavoro si applichino anche ai cantieri temporanei e mobili, per i quali è stato predisposto un apposito allegato, il già citato allegato IV, richiamato dall'articolo 42 («Requisiti di sicurezza e di salute») della proposta di legge.
      L'articolo appena richiamato specifica che tutti i luoghi di lavoro devono essere conformi ai requisiti generali di salute e sicurezza di cui all'allegato III o, qualora trattasi di cantieri temporanei o mobili, a quelli di cui all'allegato IV, puntualizzando che i luoghi di lavoro realizzati secondo «norme di buona tecnica», ai sensi della proposta di legge, si considerano rispondenti a tali requisiti generali di salute e sicurezza. Infine, ai commi 3 e 4, il medesimo articolo 42 specifica quali disposizioni, in relazione ai citati decreti del Presidente della Repubblica degli anni cinquanta, si debbano considerare «norme di buona tecnica» o «buone prassi».
      Il successivo articolo 43 conserva, nella stessa formulazione le lettere a), b), c) e d) del comma 1 dell'articolo 32 del decreto legislativo n. 626 del 1994, attuative delle previsioni di direttiva divenute rispettivamente lettere c), d), e) e f) del comma 1 dell'articolo in commento. Inoltre, nell'articolo 43 della proposta di legge vengono
 

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introdotte le lettere a) e b) del comma 1 le quali impongono, rispettivamente, che i luoghi di lavoro devono essere rispondenti ai requisiti generali di cui all'articolo 42, comma 1, e che devono essere adottate, previa consultazione del rappresentante per la sicurezza, le misure alternative - autorizzate dall'organo di vigilanza competente per territorio - che garantiscano un livello di sicurezza equivalente, qualora vincoli urbanistici o architettonici ostino all'attuazione di quanto previsto alla lettera a).
      L'articolo 44 della proposta di legge corrisponde all'articolo 8 del decreto del Presidente della Repubblica 19 marzo 1956, n. 303, che detta la disciplina per i locali sotterranei conservando il generale divieto di adibizione al lavoro di locali sotterranei o semisotterranei, salvo deroghe (alle condizioni di cui alla proposta di legge) e, comunque, in modo che siano assicurate idonee condizioni di aerazione, di illuminazione e microclimatiche. Infine, il comma 3 dell'articolo in commento prevede che l'organo di vigilanza può consentire l'uso dei locali sotterranei e semisotterranei anche per altre lavorazioni per le quali non ricorrono le esigenze tecniche, quando dette lavorazioni non diano luogo ad emissioni di agenti nocivi, sempre che siano rispettate le norme della presente proposta di legge e si sia provveduto ad assicurare le condizioni di cui al comma 2 dello stesso articolo 44.
      Il titolo III («Attrezzature di lavoro») della presente proposta di legge individua innanzitutto, all'articolo 45 («Definizioni») in cosa consistano le attrezzature di lavoro. Le definizioni sono state mutuate tutte dalla direttiva 89/655/CEE, del Consiglio, del 30 novembre 1989, e successive modificazioni, ad eccezione di quella di «lavoro in quota», che si è preferito definire a seguito della constatazione di una serie di difficoltà della giurisprudenza a delineare in maniera uniforme il campo di applicazione della disciplina delle attrezzature di lavoro utilizzate nei lavori in quota e per evitare, in tale modo, interpretazioni difformi.
      Pertanto, la citata direttiva costituisce, così come modificata dalla direttiva 95/63/CE del Consiglio, del 5 dicembre 1995, e della direttiva 2001/45/CE, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 giugno 2001, il provvedimento comunitario considerato - insieme ai relativi allegati I e II (così come risultano dalle modifiche succedutesi) - al fine di individuare le prescrizioni minime di sicurezza in materia.
      Il successivo articolo 46 («Requisiti di sicurezza») enuncia, al comma 1, il principio che le attrezzature di lavoro definite all'articolo 45 devono essere conformi alle relative norme legislative e regolamentari di recepimento delle direttive comunitarie di prodotto, emanate ai sensi dell'articolo 95 del Trattato istitutivo della Comunità europea.
      In tale modo è stato operato il necessario raccordo tra le «direttive di prodotto» e le «direttive di utilizzo» relativamente alle attrezzature; in altri termini, i datori di lavoro che acquistano attrezzature marcate CE, rispondenti, quindi, alle norme comunitarie sulla libera circolazione, possono impiegarle essendo certi del rispetto anche delle norme di utilizzo. Ovviamente, tali attrezzature devono essere installate secondo le indicazioni fornite dal fabbricante, mantenute in efficienza eccetera.
      Il comma 2 dell'articolo 46 specifica che in mancanza di disposizioni legislative regolamentari di recepimento di tali direttive comunitarie di prodotto, tutte le attrezzature di prodotto messe a disposizione dei lavoratori devono essere conformi ai princìpi minimi di sicurezza contenuti negli allegati I e II della direttiva 89/655/CEE, e successive modificazioni, inseriti nella proposta di legge come allegato V. In tale modo i requisiti generali di sicurezza in materia (vale a dire lo standard che deve essere rispettato in materia di macchine) sono stati individuati nelle direttive comunitarie applicabili in materia e nei loro allegati. Il mancato rispetto di tali princìpi generali è sanzionato penalmente.
      Nell'ipotesi di assenza di norme legislative e regolamentari «di prodotto», si è
 

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reso necessario richiamare le norme tecniche europee, internazionali o nazionali - applicabili nei vari settori di riferimento - che devono essere rispettate nella costruzione delle attrezzature. Tale richiamo consente di modificare «automaticamente» il parametro «tecnico» di riferimento della conformità delle attrezzature al livello minimo di sicurezza richiesto dalle direttive comunitarie in relazione ai cambiamenti della tecnica dei vari settori, quali recepiti nelle citate norme tecniche, senza necessità di interventi legislativi o regolamentari.
      Pertanto, sono considerate rispondenti ai princìpi generali di sicurezza, sopra citati, e quindi a norma, le attrezzature conformi a tutte le disposizioni legislative di cui ai titoli III, IV, V e VI del decreto del Presidente della Repubblica n. 547 del 1955, che vengono considerate alla stregua di «norme di buona tecnica».
      L'articolo 47 della proposta di legge, il quale individua gli obblighi del datore di lavoro, è stato formulato verificando l'attuazione delle previsioni delle direttive 89/655/CEE e 2001/45/CE - ai sensi delle previsioni dell'articolo 35 del decreto legislativo n. 626 del 1994 - considerata tenendo conto della successione delle previsioni contenute nelle citate direttive. Si è, in tale modo, operata un'operazione di chiarificazione della normativa di recepimento, resa più aderente alla struttura delle direttive citate, anche per il tramite di modifiche, anche di sostanza, alle previsioni di trasposizione contenute nel citato articolo 35 del decreto legislativo n. 626 del 1994.
      La disposizione della proposta di legge sugli obblighi del datore di lavoro per l'uso di attrezzature nei lavori temporanei in quota (articolo 48, recante «Obblighi del datore di lavoro per l'uso di attrezzature nei lavori temporanei in quota») riproduce una parte dell'allegato II della direttiva 89/655/CEE (quella individuativa di obblighi comportamentali per il datore di lavoro), mentre il successivo articolo 49 della proposta di legge («Informazione e formazione») riproduce l'articolo 6 della medesima direttiva 89/655/CEE.
      Il capo II del titolo III, rubricato «Ponteggi metallici fissi» ripropone gli articoli da 30 a 34 e 37 del decreto del Presidente della Repubblica n. 164 del 1956. Rispetto al testo degli articoli citati, il capo si differenzia unicamente in quanto si è ritenuto (per rendere maggiormente spedito il procedimento di rilascio dell'autorizzazione all'impiego di ciascun tipo di ponteggio metallico) di non riportare le norme contenute nel terzo comma dell'articolo 30 del citato decreto del Presidente della Repubblica e di sottoporre l'autorizzazione all'impiego dei ponteggi in oggetto ad un termine decennale di rinnovo, necessario al fine di verificare l'adeguatezza dei ponteggi alla evoluzione del progresso tecnico.
      Il titolo IV disciplina gli impianti e le apparecchiature elettrici. Nel rispetto degli obiettivi di semplificazione e di razionalizzazione perseguiti dalla riforma, la precedente normativa (contenuta nel titolo VII, articoli 267-350, del decreto del Presidente della Repubblica n. 547 del 1955, e nell'articolo 11 del decreto del Presidente della Repubblica n. 164 del 1956) è stata modificata imponendo innanzitutto il principio generale (sancito dal comma 1 dell'articolo 56 della proposta di legge) che «Tutti i materiali, le apparecchiature e gli impianti elettrici devono essere costruiti, installati e mantenuti in modo da prevenire i rischi che possono derivare dal loro uso, anche in condizioni di funzionamento anomalo».
      Così come già per le attrezzature di lavoro, anche per gli impianti elettrici si è fatto ricorso alle norme di buona tecnica (comma 2 dell'articolo 56) e alle buone prassi (comma 3 dell'articolo 56) per individuare le regole alle quali è necessario conformarsi ai fini del rispetto del principio generale appena citato, mentre l'articolo 57 della proposta di legge impone specificamente al datore di lavoro di mettere a disposizione dei lavoratori materiali, apparecchiature e impianti elettrici nonché di adottare procedure di uso e di manutenzione rispettose dei requisiti di sicurezza, quali individuati nell'articolo 56.
 

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      Si è reputato necessario ribadire esplicitamente che i lavori sotto tensione sono vietati (come già statuito dall'articolo 344 del decreto del Presidente della Repubblica n. 547 del 1955), salvo che non vengano adottate le procedure individuate all'articolo 58 della proposta di legge, e che i lavori in prossimità di linee elettriche nude necessitano dell'adozione delle misure di sicurezza di cui all'articolo 59 della medesima proposta di legge (messa fuori tensione e in sicurezza delle parti attive per tutta la durata dei lavori, rispetto delle distanze, applicazione di ostacoli rigidi che evitino l'avvicinamento alle parti attive).
      Inoltre, sono stati posti a carico del datore di lavoro gli obblighi di protezione di edifici, impianti, strutture e attrezzature (articolo 60 della proposta di legge) dagli effetti dei fulmini e di verifica degli impianti secondo le modalità previste dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 ottobre 2001, n. 462 (articolo 61).
      Il titolo V (articoli 62-65) della proposta di legge, rubricato «Uso dei dispositivi di protezione individuale» recepisce la direttiva 89/686/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1989 (e le modifiche ad essa effettuate con le direttive 93/68/CEE del Consiglio, del 22 luglio 1993, e 93/95/CEE del Consiglio, del 29 ottobre 1993), attraverso la rivisitazione della disciplina sui dispositivi di protezione individuale contenuta nel titolo IV del decreto legislativo n. 626 del 1994, ma anche nei decreti del Presidente della Repubblica n. 164 del 1956, n. 303 del 1956, n. 547 del 1955 e n. 277 del 1991.
      Così i primi due articoli del titolo V in oggetto (articolo 62, recante «Definizioni», e articolo 63, recante «Disposizione generale») corrispondono testualmente agli articoli 40 e 41 del decreto legislativo n. 626 del 1994, mentre si è ritenuto di modificare l'articolo relativo agli obblighi del datore di lavoro (articolo 64 della proposta di legge, già 43 del decreto legislativo n. 626 del 1994), nel quale si rinvengono le disposizioni attualmente contenute all'articolo 42 del decreto legislativo n. 626 del 1994, in quanto anch'esse dirette ad individuare obblighi in capo al datore di lavoro.
      Si è ritenuto di non predisporre un articolo specificamente dedicato agli obblighi dei lavoratori, presente nella vigente normativa (articolo 44 del decreto legislativo n. 626 del 1994), in quanto sarebbe stato ripetitivo degli obblighi - sanzionati penalmente - già imposti ai lavoratori in linea generale dall'articolo 9 della proposta di legge nonché delle previsioni di cui all'articolo 64 (dirette al datore di lavoro) e, comunque, in quanto la direttiva 89/686/CEE nulla prevede al riguardo.
      L'articolo 65 della proposta di legge esprime il principio in forza del quale la scelta e l'uso dei dispositivi di protezione individuale devono essere effettuati tenendo conto dei criteri di cui alla proposta di legge (in questo caso, individuati nell'allegato IX) e delle norme di buona tecnica emanate in materia. In tal modo, anche con riferimento ai dispositivi di protezione individuale, si obbliga il datore di lavoro ad adottare tutte le misure più aggiornate per porre i propri lavoratori nelle condizioni più sicure di lavoro possibili in quel momento storico e, al contempo, lo si libera di responsabilità in caso di infortunio ove abbia ottemperato a tale obbligo.
      Nel titolo VI della proposta di legge sono state trascritte le disposizioni riguardanti la segnaletica di sicurezza contenute nel decreto legislativo n. 493 del 1996, attuativo della direttiva 92/58/CEE, concernente le prescrizioni minime per la segnaletica di sicurezza e/o di salute sul luogo di lavoro (nona direttiva particolare ai sensi dell'articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 89/391/CEE), rispetto alle quali è stata effettuata una operazione di semplificazione tenendo conto delle previsioni della direttiva di riferimento e rinviando al relativo allegato (allegato X) per individuare i requisiti della segnaletica.
      Il titolo VII della proposta di legge (articoli 70, 71 e 72) concerne la movimentazione manuale dei carichi, precedentemente disciplinata dal titolo V, articoli 47, 48 e 49, del decreto legislativo n. 626 del 1994, che riproduce le disposizioni
 

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della direttiva 90/269/CEE del Consiglio, del 29 maggio 1990 (quarta direttiva particolare ai sensi dell'articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 89/391/CEE).
      L'articolo 70 della proposta di legge corrisponde testualmente all'articolo 47 del decreto legislativo n. 626 del 1994, mentre il successivo articolo 71 è stato modificato rispetto al corrispondente articolo 48 del decreto legislativo n. 626 del 1994, sia attraverso l'accorpamento delle previsioni di cui ai commi 3 e 4 del citato articolo 48 al comma 2 dell'articolo 71, sia mediante l'introduzione, necessaria nella innovativa logica della proposta di legge, del rinvio alle norme di buona tecnica (articolo 71, comma 3).
      Il titolo si chiude con l'articolo 72, corrispondente all'articolo 49 del decreto legislativo n. 626 del 1994, dal quale si differenzia per alcune modifiche stilistiche e per il rinvio all'allegato XI.
      Il titolo VIII è dedicato alla disciplina dell'uso di attrezzature munite di videoterminali. Tramite esso viene recepita la direttiva 90/270/CEE del Consiglio, del 29 maggio 1990, relativa alle prescrizioni minime in materia di sicurezza e di salute per le attività lavorative svolte su attrezzature munite di videoterminali (quinta direttiva particolare ai sensi dell'articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 89/391/CEE) già trasposta nel nostro ordinamento dal titolo VI (articoli da 50 a 59) del decreto legislativo n. 626 del 1994.
      Rispetto alla disciplina appena citata, il titolo VIII si differenzia innanzitutto per l'introduzione di un articolo (articolo 75) dedicato ai requisiti di sicurezza e salute, il quale ribadisce anche in materia di videoterminali il principio che i posti di lavoro devono avere i requisiti minimi individuati nell'allegato XII, nonché sulla base delle norme di buona tecnica e delle buone prassi, tra le quali vengono espressamente fatte rientrare le linee guida d'uso dei videoterminali, di cui al decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale 2 ottobre 2000, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 244 del 18 ottobre 2000.
      Inoltre, sempre rispetto al corpus normativo vigente in materia e in osservanza delle disposizioni comunitarie, sono state operate semplificazioni e modifiche anche in materia di organizzazione del lavoro, sorveglianza sanitaria, informazione e formazione, mentre si è ritenuto di non riproporre nella presente proposta di legge una specifica previsione (articolo 57 del decreto legislativo n. 626 del 1994) relativa alla consultazione e partecipazione in ordine alle disposizioni del titolo sui videoterminali, in quanto ripetitiva delle previsioni di cui al titolo I della proposta di legge.
      Nel titolo IX («Protezione da agenti chimici pericolosi») sono state accorpate le disposizioni sulla protezione da agenti chimici (titolo VII-bis del decreto legislativo n. 626 del 1994) e le disposizioni sulla protezione da agenti cancerogeni e mutageni (titolo VII del decreto legislativo n. 626 del 1994), prevedendo, nell'ambito dello stesso titolo IX, disposizioni specifiche per gli agenti cancerogeni e mutageni.
      Pertanto, il capo I («Disposizioni generali per gli agenti chimici») ha accorpato le disposizioni contenute nel titolo VII («Protezione da agenti cancerogeni e mutageni») e nel titolo VII-bis («Protezione da agenti chimici») del decreto legislativo n. 626 del 1994, e successive modificazioni [il titolo VII del decreto legislativo n. 626 del 1994 è stato modificato dal decreto legislativo n. 66 del 2000, attuativo della direttiva 90/394/CEE sulla protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da un'esposizione ad agenti cancerogeni durante il lavoro (sesta direttiva particolare ai sensi dell'articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 89/391/CEE) e successive direttive di modifica (direttive 97/42/CE e 1999/38/CE; questa ultima estendeva la materia anche agli agenti mutageni). Le disposizioni di cui al titolo VII-bis del decreto legislativo n. 626 del 1994 sono state introdotte dal decreto legislativo n. 25 del 2002, attuativo della direttiva 98/24/CE sulla protezione della salute e della sicurezza dei lavoratori contro i rischi derivanti da agenti chimici durante il lavoro (quattordicesima direttiva particolare ai
 

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sensi dell'articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 89/391/CEE). Si consideri, inoltre, che le previsioni contenute nella direttiva 2000/39/CE della Commissione, dell'8 giugno 2000, relativa alla messa a punto di un primo elenco di valori limite indicativi in applicazione della direttiva 98/24/CE sulla protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti dall'esportazione ad agenti chimici sul luogo di lavoro, sono state inserite nella presente proposta di legge facendo parte integrante dell'allegato XIII], considerando anche le disposizioni contenute nel decreto del Presidente della Repubblica n. 303 del 1956, e, in particolare, quelle previste dagli articoli 18, 19, 20 e 41.
      Il capo II raccoglie le disposizioni contenute nel titolo VIII-bis (articoli da 88-bis a 88-undecies) del decreto legislativo n. 626 del 1994, introdotto dal decreto legislativo n. 233 del 2003, attuativo della direttiva 1999/92/CE relativa alle prescrizioni minime per il miglioramento della tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori che possono essere esposti al rischio di atmosfere esplosive (quindicesima direttiva particolare ai sensi dell'articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 89/391/CEE).
      Infine, il capo III del titolo IX detta la disciplina attuativa della cosiddetta «direttiva amianto», direttiva 83/477/CEE, recepita con il decreto legislativo n. 277 del 1991. Tale operazione si è resa opportuna al fine di predisporre una disciplina unitaria di tale delicata materia evitando ogni possibile disomogeneità, frequente in ipotesi di interventi legislativi che si succedono a distanza di anni l'uno dall'altro.
      Il titolo X della proposta di legge riguarda la protezione dei lavoratori dal rischio di esposizione agli agenti biologici durante il lavoro, costituendo attuazione della direttiva 2000/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 dicembre 2000. Quest'ultima aveva abrogato la direttiva 93/88/CEE, a sua volta modificativa della direttiva 90/679/CEE (settima direttiva particolare ai sensi dell'articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 89/391/CEE), la quale è stata attuata dal titolo VIII (articoli da 73 a 88) e dagli allegati IX, X, XI e XII del decreto legislativo n. 626 del 1994.
      Nel titolo XI («Agenti fisici») è stata, al capo II, data attuazione alla direttiva 2003/10/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 febbraio 2003, relativa all'esposizione dei lavoratori ai rischi derivanti da rumore. Sempre nello stesso titolo, al capo III, è stata recepita la direttiva 2002/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 giugno 2002, relativa all'esposizione dei lavoratori ai rischi derivanti dalle vibrazioni.
      Nel titolo XII («Cantieri temporanei e mobili») sono state collocate le norme del decreto legislativo n. 494 del 1996, attuativo della direttiva 92/57/CEE concernente le prescrizioni minime di sicurezza e di salute da attuare nei cantieri temporanei o mobili (ottava direttiva particolare ai sensi dell'articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 89/391/CEE).
      Sempre nel titolo XII sono state riprodotte alcune norme del regolamento sui contenuti minimi dei piani di sicurezza nei cantieri temporanei o mobili, di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 222 del 2003. Per la sua natura regolamentare, tale provvedimento è stato connotato con la clausola di cedevolezza nei confronti dell'intervento regolatorio ad opera delle regioni. Al riguardo, non si è ritenuto di ridurre tale regolamento al rango di «buone prassi», come in altri casi è stato fatto nella proposta di legge, in quanto il provvedimento in parola è costituito da contenuti minimi di natura generale e astratta ritenuti da tutti gli operatori del settore un importante riferimento tecnico e, pertanto, non sostituibile con «buone prassi».
      Il titolo XIII contiene l'apparato sanzionatorio della presente proposta di legge, definito sul modello del titolo IX del decreto legislativo n. 626 del 1994, dal quale si differenzia innanzitutto per la considerazione dei lavoratori e dei componenti dell'impresa familiare tra i destinatari delle sanzioni.
      Inoltre, come imposto dalla riformulazione della normativa operata nella proposta
 

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di legge e per rendere più agevole la lettura delle rispettive disposizioni sanzionatorie, si è ritenuto di individuare specificamente le sanzioni a carico, rispettivamente, dei datori di lavoro committenti, degli appaltatori, dei datori di lavoro distaccanti e di quelli distaccatari, dei responsabili dei lavori e dei coordinatori.
      Infine, a differenza dell'opzione operata nel 1994, si è scelto di dedicare un articolo agli obblighi dei progettisti, uno a quello di fabbricanti e fornitori e uno a quelli degli installatori.
      Il titolo XIII, nella parte dedicata alle disposizioni finali, contiene l'elenco delle abrogazioni e l'indicazione delle disposizioni previgenti considerate norme di buona tecnica o di buone prassi, fermo restando il principio che, alla data di entrata in vigore della legge, risulteranno comunque abrogate le norme incompatibili con le disposizioni in essa contenute. Inoltre, il medesimo titolo individua la data di entrata in vigore della legge nel giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale e contiene un articolo, il 193, il quale esonera gli imprenditori edili - in virtù dell'acclarata pericolosità delle lavorazioni che ivi si svolgono - dall'obbligo di assunzione dei lavoratori diversamente abili di cui all'articolo 4, comma 1, della legge del n. 68 del 1999, limitatamente al personale destinato a operare in cantiere o addetto ai trasporti. Infine, l'articolo 194 evidenzia come dall'attuazione della legge non possono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, in ossequio al principio di invarianza della spesa pubblica.
 

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PROPOSTA DI LEGGE

TITOLO I
DISPOSIZIONI GENERALI

Capo I
FINALITÀ, CAMPO DI APPLICAZIONE, DEFINIZIONI

Art. 1.
(Finalità).

      1. La presente legge ha lo scopo di riordinare, coordinare, armonizzare e semplificare le disposizioni di legge vigenti in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, nel rispetto della normativa comunitaria, della disciplina dei diritti dei lavoratori e degli obblighi previsti per i datori di lavoro e dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, esercitano la propria competenza legislativa in materia, in attuazione dei princìpi fondamentali della presente legge.
      2. L'individuazione dei prìncipi fondamentali e il riordino della normativa vigente previsti dal comma 1 hanno come finalità primaria l'innalzamento della qualità e della sicurezza del lavoro per tutti i lavoratori, anche valorizzando il dialogo sociale e la bilateralità e garantendo la semplificazione degli adempimenti e dei controlli nonché lo sviluppo della responsabilità sociale delle imprese.

Art. 2.
(Campo di applicazione oggettivo).

      1. La presente legge prescrive misure per la tutela della salute e per la sicurezza

 

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dei lavoratori durante il lavoro in tutti i settori di attività privati o pubblici.
      2. Nei riguardi delle Forze armate e di polizia, dei servizi di protezione civile, nonché nell'ambito delle strutture giudiziarie, penitenziarie, di quelle destinate per finalità istituzionali alle attività degli organi con compiti in materia di ordine e sicurezza pubblica, delle università, degli istituti di istruzione universitaria, degli istituti di istruzione ed educazione di ogni ordine e grado, degli archivi, delle biblioteche, dei musei e delle aree archeologiche dello Stato, delle rappresentanze diplomatiche e consolari e dei mezzi di trasporto aerei e marittimi, le norme della presente legge si applicano tenendo conto delle particolari esigenze connesse al servizio espletato, individuate con decreti emanati dai Ministri competenti di concerto con i Ministri del lavoro e della previdenza sociale, della salute e per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione.

Art. 3.
(Campo di applicazione soggettivo).

      1. Il datore di lavoro che esercita le attività di cui all'articolo 2 e, nell'ambito delle rispettive attribuzioni e competenze, i dirigenti e i preposti che dirigono o sovraintendono le stesse attività, sono tenuti alla osservanza delle disposizioni della presente legge.
      2. Rientrano nel campo di applicazione della presente legge tutti i lavoratori di cui all'articolo 5, comma 1, lettera a), indipendentemente dal tipo di contratto stipulato con il datore di lavoro o con il committente, fatte salve le disposizioni contenute nei commi 3, 4, 5 e 6 del presente articolo, nell'articolo 10 e in ogni altra disposizione speciale di legge.
      3. Nei confronti dei lavoratori a domicilio di cui alla legge 18 dicembre 1973, n. 877, e successive modificazioni, e dei lavoratori che rientrano nel campo di applicazione del contratto collettivo dei proprietari di fabbricati trovano applicazione

 

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gli obblighi di informazione e formazione di cui agli articoli 28 e 20 della presente legge. Ai lavoratori di cui al presente comma devono inoltre essere forniti i necessari dispositivi di protezione individuale in relazione alle effettive mansioni assegnate. Nell'ipotesi in cui il datore di lavoro fornisca attrezzature proprie, o per il tramite di terzi, tali attrezzature devono essere conformi alle disposizioni di cui al titolo III.
      4. A tutti i rapporti svolti a distanza mediante collegamento informatico e telematico si applicano le disposizioni di cui al titolo VIII, quale che sia il titolo giuridico della prestazione lavorativa dedotta in contratto e indipendentemente dall'ambito aziendale o extra-aziendale in cui si svolge la prestazione stessa. I lavoratori di cui al presente comma devono in ogni caso essere forniti dei necessari dispositivi di protezione individuale in relazione alle effettive mansioni assegnate. Nell'ipotesi in cui il datore di lavoro fornisca attrezzature proprie, o per il tramite di terzi, tali attrezzature devono essere conformi alle disposizioni di cui al titolo III.
      5. Nei confronti dei collaboratori coordinati e continuativi di cui all'articolo 409, numero 3), del codice di procedura civile, anche nella modalità a progetto di cui agli articoli 61 e seguenti del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, le disposizioni della presente legge si applicano quando la prestazione lavorativa è svolta nei locali del committente e per quanto compatibili con le caratteristiche del singolo rapporto di lavoro.
      6. Nei confronti dei componenti dell'impresa familiare di cui all'articolo 230-bis del codice civile e dei lavoratori autonomi si applicano le disposizioni dell'articolo 9 della presente legge.
      7. Sono escluse dal campo di applicazione della presente legge le prestazioni che esulano dal mercato del lavoro ai sensi dell'articolo 74 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni, i lavoratori che svolgono piccoli lavori domestici a carattere straordinario, compresa l'assistenza domiciliare alle persone, e di insegnamento privato
 

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supplementare ai sensi dell'articolo 70, comma 1, lettere a) e b), del citato decreto legislativo n. 276 del 2003.
      8. Le disposizioni di cui ai commi 3, 4, 5 e 6 non pregiudicano l'applicazione di norme di legge e di contratto collettivo o individuale più favorevoli per il lavoratore.

Art. 4.
(Computo dei lavoratori).

      1. Ai fini della determinazione del numero di lavoratori dal quale la presente legge fa discendere particolari obblighi non devono essere computati:

          a) il coniuge e i parenti del datore di lavoro entro il secondo grado in linea retta e in linea collaterale;

          b) gli allievi degli istituti di istruzione e universitari e i partecipanti ai corsi di formazione professionale nei quali si fa uso di laboratori, macchine, apparecchi e attrezzature di lavoro in genere, agenti chimici, fisici e biologici;

          c) i lavoratori in prova e i lavoratori assunti in sostituzione di altri prestatori di lavoro assenti con diritto alla conservazione del posto di lavoro;

          d) i lavoratori occasionali;

          e) i lavoratori che svolgono prestazioni di lavoro accessorio o prestazioni che esulano dal mercato del lavoro ai sensi, rispettivamente, degli articoli 71 e 74 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276;

          f) i lavoratori assunti con contratti di inserimento;

          g) i lavoratori di cui alla legge 18 dicembre 1973, n. 877, e successive modificazioni, e i lavoratori che svolgono prestazioni a distanza mediante collegamento informatico e telematico;

          h) i volontari, come definiti dalla legge 11 agosto 1991, n. 266, e successive modificazioni, e gli obiettori di coscienza che prestano attività di servizio civile;

 

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          i) i lavoratori occupati in programmi di lavori socialmente utili;

          l) gli stagisti e gli utenti dei servizi di orientamento o di formazione scolastica, universitaria e professionale avviati presso datori di lavoro per agevolare o perfezionare le loro scelte professionali;

          m) i collaboratori coordinati e continuativi di cui all'articolo 409, numero 3), del codice di procedura civile, ancorché nella modalità a progetto di cui agli articoli 61 e seguenti del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276;

          n) i lavoratori stagionali, qualora il loro inserimento non sia indispensabile alla realizzazione del ciclo produttivo e, con particolare riferimento alle aziende agricole, qualora non siano inclusi nell'organico dell'azienda o dell'unità produttiva necessario ad assicurarne la normale attività per l'intera annata agraria o almeno per un rilevante periodo di essa.

      2. I lavoratori con contratto di lavoro ripartito e intermittente, i lavoratori a tempo parziale e i lavoratori utilizzati nell'ambito di un contratto di somministrazione di lavoro ai sensi degli articoli 20 e seguenti del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni, si computano sulla base del numero di ore di lavoro effettivamente prestato nell'arco di un semestre.

Art. 5.
(Definizioni).

      1. Ai fini e agli effetti della presente legge si intende per:

          a) lavoratore: persona che presta il proprio lavoro fuori dal proprio domicilio alle dipendenze o sotto la direzione altrui, con o senza retribuzione, anche al solo fine di apprendere un mestiere, un'arte o una professione, inclusi tutti i prestatori di lavoro con rapporti di lavoro subordinato speciale o di durata determinata, i prestatori di lavoro nell'ambito di un contratto

 

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di somministrazione di lavoro di cui agli articoli 20 e seguenti del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni, e i prestatori di lavoro con altri rapporti di collaborazione che si concretano in una prestazione d'opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato, qualora siano stabilmente inseriti nell'ambiente di lavoro organizzato dal committente. Sono equiparati i soci lavoratori di cooperative o di società, anche di fatto, che prestano la loro attività per conto delle società e degli enti stessi, i volontari come definiti dalla legge 11 agosto 1991, n. 266, e successive modificazioni, e gli utenti dei servizi di orientamento o di formazione scolastica, universitaria e professionale avviati presso datori di lavoro per agevolare o perfezionare le loro scelte professionali. Sono altresì equiparati gli allievi degli istituti di istruzione e universitari e partecipanti a corsi di formazione professionale nei quali si fa uso di laboratori, macchine, apparecchi ed attrezzature di lavoro in genere, agenti chimici, fisici e biologici;

          b) datore di lavoro: il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o, comunque, il soggetto che, secondo il tipo e l'organizzazione dell'impresa, ha la responsabilità dell'impresa stessa o dell'unità produttiva, definita ai sensi della lettera m), in quanto titolare dei poteri decisionali e di spesa. Nelle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, per datore di lavoro si intende il dirigente al quale spettano i poteri di gestione, ovvero il funzionario non avente qualifica dirigenziale, nei soli casi in cui quest'ultimo sia preposto ad un ufficio avente autonomia gestionale;

          c) servizio di prevenzione e protezione: insieme delle persone, sistemi e mezzi esterni o interni all'azienda finalizzati all'attività di prevenzione e protezione dai rischi professionali nell'azienda o nell'unità produttiva;

 

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          d) medico competente: medico in possesso di uno dei seguenti titoli:

              1) specializzazione in medicina del lavoro o in medicina preventiva dei lavoratori e psicotecnica o in tossicologia industriale o in igiene industriale o in fisiologia ed igiene del lavoro o in clinica del lavoro o in igiene e medicina preventiva o in medicina legale e delle assicurazioni ed altre specializzazioni individuate, ove necessario, con decreto del Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell'università e della ricerca;

              2) docenza o libera docenza in medicina del lavoro o in medicina preventiva dei lavoratori e psicotecnica o in tossicologia industriale o in igiene industriale o in fisiologia ed igiene del lavoro;

              3) autorizzazione di cui all'articolo 55 del decreto legislativo 15 agosto 1991, n. 277;

              4) specializzazione in igiene e medicina preventiva e in medicina legale integrata con la frequenza di master di durata biennale in medicina occupazionale attivati, attraverso le sezioni di medicina del lavoro, dalle facoltà di medicina e chirurgia di una o più università consorziate. Il numero totale degli specialisti in igiene e medicina preventiva e in medicina legale ammessi ogni anno a livello nazionale alla frequenza di master in medicina occupazionale non può superare il 50 per cento del numero totale delle borse di studio assegnate dal Ministero dell'università e della ricerca alle scuole di specializzazione in medicina del lavoro per l'anno accademico precedente;

              5) specializzazione in medicina dello sport con esclusivo riferimento alla sorveglianza sanitaria degli sportivi professionisti.

          e) responsabile del servizio di prevenzione e protezione: persona in possesso delle capacità e dei requisiti professionali di cui all'articolo 15, designata dal datore di lavoro, per coordinare il servizio di cui alla lettera c) del presente comma;

 

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          f) rappresentante dei lavoratori per la sicurezza: persona eletta o designata per rappresentare i lavoratori per quanto concerne gli aspetti della salute e della sicurezza durante il lavoro, di seguito denominato «rappresentante per la sicurezza»;

          g) prevenzione: il complesso delle disposizioni o misure necessarie per evitare o diminuire i rischi professionali nel rispetto della salute della popolazione e dell'integrità dell'ambiente esterno;

          h) pericolo: la proprietà intrinseca di un determinato fattore o agente avente il potenziale di causare un danno;

          i) rischio: la probabilità che si raggiunga il potenziale di danno delle condizioni di impiego o di esposizione ad un determinato fattore o agente;

          l) sorveglianza sanitaria: valutazione preventiva e periodica dello stato di salute dei lavoratori in funzione dei fattori di rischio sul luogo di lavoro, nei casi previsti dalla normativa vigente;

          m) unità produttiva: stabilimento o struttura finalizzata alla produzione di beni e di servizi, dotata di autonomia finanziaria e tecnico funzionale;

          n) norma di buona tecnica: specifica tecnica emanata dai seguenti organismi europei, internazionali e nazionali: Comitato europeo di normalizzazione (CEN), Comitato europeo per la standardizzazione elettrotecnica (CENELEC), Organizzazione internazionale per la standardizzazione (ISO), Commissione internazionale elettrotecnica (IEC), Ente nazionale italiano di unificazione (UNI), Comitato elettrotecnico italiano (CEI). Sono considerate altresì norme di buona tecnica le disposizioni legislative relative ad elementi di natura tecnica o costruttiva contenute nel decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1955, n. 547, nel decreto del Presidente della Repubblica 7 gennaio 1956, n. 164, nel decreto del Presidente della Repubblica 19 marzo 1956, n. 302, nel decreto del Presidente della Repubblica 19 marzo 1956, n. 303, nel decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 1956,

 

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n. 320, nel decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 1956, n. 321, nel decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 1956, n. 322, nel decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 1956, n. 323, e successive modificazioni;

          o) buone prassi: soluzioni organizzative o procedurali coerenti con la normativa vigente e generalizzabili, che permettono di ottenere una riduzione dei rischi, miglioramenti delle condizioni di lavoro e in generale la promozione della salute sui luoghi di lavoro raccolte e validate dalle regioni, dall'Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro (ISPESL), dall'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL) e dagli enti bilaterali;

          p) organismi bilaterali: organismi costituiti a iniziativa di una o più associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative, quali sedi privilegiate per: la promozione di una occupazione regolare e di qualità; la programmazione di attività formative e l'elaborazione di buone pratiche a fini prevenzionistici; lo sviluppo di azioni inerenti la salute e la sicurezza sul lavoro; ogni altra attività o funzione assegnata loro dalla legge o dai contratti collettivi di riferimento.

Capo II
PRINCÌPI GENERALI DI PREVENZIONE

Art. 6.
(Misure generali di tutela).

      1. I princìpi generali di prevenzione per la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro sono:

          a) valutazione dei rischi per la salute e sicurezza;

          b) eliminazione dei rischi e, ove ciò non sia possibile, loro riduzione al minimo in relazione alle conoscenze acquisite in base al progresso tecnico mediante misure

 

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tecniche, organizzative e procedurali concretamente attuabili nei diversi settori e nelle differenti lavorazioni in quanto generalmente utilizzate;

          c) riduzione dei rischi alla fonte;

          d) programmazione della prevenzione, mirando a un complesso che integri in modo coerente nella prevenzione le condizioni tecniche produttive e organizzative dell'azienda nonché l'influenza dei fattori dell'ambiente di lavoro;

          e) sostituzione di ciò che è pericoloso con ciò che non è pericoloso o è meno pericoloso;

          f) rispetto dei princìpi ergonomici nella concezione dei posti di lavoro, nella scelta delle attrezzature e nella definizione dei metodi di lavoro e di produzione, in particolare al fine di ridurre gli effetti sulla salute del lavoro monotono e di quello ripetitivo;

          g) priorità delle misure di protezione collettiva rispetto alle misure di protezione individuale;

          h) limitazione al minimo del numero dei lavoratori che sono, o che possono essere, esposti al rischio;

          i) utilizzo limitato degli agenti chimici, fisici e biologici sui luoghi di lavoro;

          l) allontanamento del lavoratore dall'esposizione al rischio per motivi sanitari inerenti la sua persona a seguito della comunicazione di cui al comma 2 dell'articolo 24 e adibizione del medesimo, ove possibile, ad altra mansione;

          m) istruzioni adeguate ai lavoratori;

          n) programmazione delle misure ritenute opportune per garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di sicurezza, attraverso l'adozione di codici di condotta e di buone prassi.

      2. Le misure relative alla sicurezza, all'igiene e alla salute durante il lavoro non devono in nessun caso comportare oneri finanziari per i lavoratori.

 

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Art. 7.
(Obblighi dei datori di lavoro e dei dirigenti).

      1. Il datore di lavoro che esercita le attività di cui all'articolo 2, senza possibilità di delega, deve:

          a) in relazione alla natura dell'attività dell'azienda o dell'unità produttiva, valutare tutti i rischi per la sicurezza e per la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari per condizioni soggettive o per tipologia contrattuale utilizzata, anche nella scelta delle attrezzature di lavoro e delle sostanze o dei preparati chimici impiegati, nonché nella sistemazione dei luoghi di lavoro;

          b) all'esito della valutazione di cui alla lettera a) elaborare un documento contenente:

              1) una relazione sulla valutazione dei rischi per la sicurezza e la salute durante il lavoro, nella quale sono specificati i criteri adottati per la valutazione stessa. La scelta dei criteri di redazione del documento è rimessa al datore di lavoro, che vi provvede con criteri di semplicità, brevità e comprensibilità, in modo da garantirne la completezza e l'idoneità quale strumento operativo di pianificazione degli interventi aziendali e di prevenzione. Le indicazioni del documento eventualmente riferibili a situazioni di mancata o inadeguata ottemperanza a obblighi previsti dalla presente legge non costituiscono elemento di prova ai fini dell'applicazione di sanzioni penali o amministrative, sempre che la rimozione delle predette situazioni sia congruamente programmata nello stesso documento, anche attraverso la contestuale previsione di immediate misure transitorie idonee a preservare i lavoratori da pericoli diretti per la loro sicurezza e salute;

              2) l'individuazione delle misure di prevenzione e di protezione e dei dispositivi di protezione individuali;

 

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          c) designare il responsabile, il cui nominativo è inserito nel documento di cui alla lettera b), e gli addetti del servizio di prevenzione e protezione interno o esterno all'azienda secondo le disposizioni di cui al capo III.

      2. Il datore di lavoro che esercita le attività di cui all'articolo 2, o i dirigenti che organizzano e dirigono le stesse attività, secondo le attribuzioni e competenze ad essi conferite, devono:

          a) fornire ai servizi di prevenzione e protezione informazioni in merito a:

              1) organizzazione del lavoro e natura dei rischi;

              2) descrizione degli impianti e dei processi produttivi;

              3) dati del registro degli infortuni e delle malattie professionali;

              4) funzioni e compiti assegnati a lavoratori assunti con contratto a tempo determinato ovvero utilizzati mediante contratto di somministrazione di lavoro di cui agli articoli 20 e seguenti del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni, nonché della presenza in azienda di lavoratori con rapporti di collaborazione, anche nella modalità a progetto di cui agli articoli 61 e seguenti del citato decreto legislativo n. 276 del 2003, che si concretano in una prestazione d'opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato;

              5) prescrizioni degli organi di vigilanza;

          b) nominare, nei casi in cui è obbligatoria la sorveglianza sanitaria, il medico competente;

          c) adottare, in materia di primo soccorso, di lotta antincendio, di evacuazione dei luoghi di lavoro e di gestione dell'emergenza, le misure necessarie, adeguate alla natura delle attività, alle dimensioni dell'azienda o dell'unità produttiva e

 

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del numero delle persone presenti, conformemente a quanto previsto nel capo IV;

          d) aggiornare le misure di prevenzione in relazione ai mutamenti organizzativi e produttivi che hanno rilevanza ai fini della salute e della sicurezza del lavoro, o in relazione al grado di evoluzione della tecnica della prevenzione e della protezione, secondo le applicazioni tecnologiche generalmente praticate nel settore di attività dell'azienda o dell'unità produttiva;

          e) tenere conto, nell'affidare i compiti ai lavoratori, delle capacità degli stessi in materia di sicurezza e salute;

          f) fornire ai lavoratori i necessari e idonei dispostivi di protezione individuale;

          g) prendere le misure appropriate affinché soltanto i lavoratori che hanno ricevuto adeguate istruzioni accedano alle zone che li espongono a un rischio grave e specifico;

          h) richiedere l'osservanza da parte dei singoli lavoratori delle norme vigenti, nonché delle disposizioni aziendali in materia di sicurezza e igiene del lavoro e di uso dei mezzi di protezione collettivi e dei dispositivi di protezione individuale messi a loro disposizione;

          i) permettere ai lavoratori di verificare, mediante il rappresentante per la sicurezza, l'applicazione delle misure di sicurezza e di protezione della salute e consentire al rappresentante per la sicurezza di accedere alle informazioni e alla documentazione aziendale ai sensi dell'articolo 26, comma 1, lettera e);

          l) consultare i rappresentanti per la sicurezza nei casi previsti dall'articolo 26;

          m) prendere appropriati provvedimenti per evitare che le misure tecniche adottate possano causare rischi per la salute della popolazione o deteriorare l'ambiente esterno;

          n) adottare le misure necessarie ai fini della prevenzione degli incendi e dell'evacuazione dei luoghi di lavoro, nonché

 

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in caso di pericolo grave e immediato. Tali misure devono essere adeguate alla natura dell'attività, alle dimensioni dell'azienda o dell'unità produttiva e al numero delle persone presenti, conformemente a quanto previsto nel capo IV;

          o) tenere un registro nel quale sono annotati cronologicamente gli infortuni sul lavoro che comportano un'assenza dal lavoro di almeno un giorno, secondo le modalità di cui all'allegato I. Il registro deve essere conservato, ove possibile, sul luogo di lavoro o, comunque, presso la sede dell'azienda o dell'unità produttiva;

          p) informare e formare i lavoratori e i loro rappresentanti, secondo le disposizioni di cui al capo VII;

          q) astenersi, salvo eccezioni debitamente motivate, dal richiedere ai lavoratori di riprendere l'attività in una situazione di lavoro in cui persiste un pericolo grave e immediato.

      3. La valutazione di cui al comma 1, lettera a), deve essere effettuata e il documento di cui al comma 1, lettera b), deve essere elaborato in collaborazione con il servizio di prevenzione e protezione e con il medico competente, nei casi in cui è obbligatoria la sorveglianza sanitaria, previa consultazione del rappresentante per la sicurezza.
      4. La valutazione e il relativo documento di cui al comma 1, lettere a) e b), sono aggiornati in occasione di modifiche del processo produttivo significative ai fini della sicurezza e della salute dei lavoratori.
      5. Il documento di cui al comma 1, lettera b), è custodito presso l'azienda o l'unità produttiva ed è esibito a richiesta dell'organo di vigilanza, che ne prende visione a fini conoscitivi e per gli effetti di cui alla medesima lettera b).
      6. Nelle aziende di cui all'allegato II, il documento di valutazione dei rischi, di cui al comma 1, lettera b), del presente articolo, può essere redatto in forma semplificata sulla base di indicazioni fornite dagli organismi bilaterali di cui all'articolo 27.

 

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      7. Gli obblighi relativi agli interventi strutturali e di manutenzione necessari per assicurare, ai sensi della presente legge, la sicurezza dei locali e degli edifici assegnati in uso a pubbliche amministrazioni o a pubblici uffici, ivi comprese le istituzioni scolastiche ed educative, restano a carico dell'amministrazione tenuta, per effetto di norme o convenzioni, alla loro fornitura e manutenzione. In tal caso gli obblighi previsti dalla presente legge, relativamente ai predetti interventi, si intendono assolti, da parte dei dirigenti o funzionari preposti agli uffici interessati, con la richiesta del loro adempimento alla amministrazione competente o al soggetto che ne ha l'obbligo giuridico.

Art. 8.
(Obblighi dei preposti).

      1. I preposti che sovrintendono alle attività indicate all'articolo 2, secondo le loro attribuzioni e competenze, devono:

          a) richiedere l'attuazione e vigilare sulla osservanza da parte dei singoli lavoratori dei loro obblighi di legge, nonché delle disposizioni aziendali in materia di sicurezza e igiene del lavoro e di uso dei mezzi di protezione collettivi e dei dispositivi di protezione individuale messi a loro disposizione. In caso di persistenza dell'inosservanza informano i loro superiori diretti;

          b) prendere le misure appropriate affinché soltanto i lavoratori che hanno ricevuto adeguate istruzioni accedano alle zone che li espongono a un rischio grave e specifico;

          c) richiedere l'osservanza delle misure per il controllo delle situazioni di rischio in caso di emergenza e dare istruzioni affinché i lavoratori, in caso di pericolo grave, immediato e inevitabile, abbandonino il posto di lavoro o la zona pericolosa;

          d) informare il più presto possibile i lavoratori esposti al rischio di un pericolo

 

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grave e immediato circa il rischio stesso e le disposizioni prese o da prendere in materia di protezione;

          e) astenersi, salvo eccezioni debitamente motivate, dal richiedere ai lavoratori di riprendere la loro attività in una situazione di lavoro in cui persiste un pericolo grave e immediato;

          f) segnalare al datore di lavoro o al dirigente le deficienze dei mezzi e delle attrezzature di lavoro e dei dispositivi di protezione individuale, nonché le altre eventuali condizioni di pericolo di cui vengono a conoscenza.

      2. In assenza di preposti i compiti di cui al comma 1 sono svolti dai datori di lavoro o dai dirigenti.

Art. 9.
(Obblighi dei lavoratori, dei lavoratori autonomi e dei componenti dell'impresa familiare).

      1. Ogni lavoratore deve prendersi cura della propria sicurezza e della propria salute e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, su cui possono ricadere gli effetti delle sue azioni od omissioni, conformemente alla sua formazione, alle istruzioni e ai mezzi forniti dal datore di lavoro.
      2. I lavoratori devono in particolare:

          a) contribuire, insieme al datore di lavoro, ai dirigenti e ai preposti, all'adempimento degli obblighi previsti a tutela della sicurezza e della salute sui luoghi di lavoro;

          b) osservare le disposizioni e le istruzioni impartite dal datore di lavoro, dai dirigenti e dai preposti, ai fini della protezione collettiva e individuale;

          c) utilizzare correttamente i macchinari, le apparecchiature, gli utensili, le sostanze e i preparati pericolosi, i mezzi di trasporto e le altre attrezzature di lavoro, nonché i dispositivi di sicurezza;

 

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          d) utilizzare in modo appropriato i dispositivi di protezione messi a loro disposizione;

          e) segnalare immediatamente al datore di lavoro, al dirigente o al preposto le deficienze dei mezzi e dei dispositivi di cui alle lettere c) e d), nonché qualsiasi eventuale condizione di pericolo di cui vengono a conoscenza, adoperandosi direttamente, in caso di urgenza, nell'ambito delle proprie competenze e possibilità e fatto salvo l'obbligo di cui alla lettera f), per eliminare o per ridurre le situazioni di pericolo grave e incombente, dandone notizia al rappresentante per la sicurezza;

          f) non rimuovere o modificare senza autorizzazione i dispositivi di sicurezza di segnalazione o di controllo;

          g) non compiere di propria iniziativa operazioni o manovre che non sono di loro competenza ovvero che possono compromettere la sicurezza propria o di altri lavoratori;

          h) sottoporsi ai programmi di formazione e di addestramento organizzati dal datore di lavoro;

          i) sottoporsi ai controlli sanitari previsti dalla presente legge o comunque disposti dal medico competente.

      3. I lavoratori autonomi e i componenti dell'azienda familiare devono:

          a) munirsi di dispositivi di protezione individuale e utilizzarli conformemente alle disposizioni di cui al titolo V;

          b) sottoporsi alla sorveglianza sanitaria nei casi previsti dalla presente legge.

Art. 10.
(Obblighi dei datori di lavoro committenti e appaltatori nel contratto di appalto, dei lavoratori autonomi nel contratto d'opera, del distaccante e del distaccatario).

      1. Il datore di lavoro committente, in caso di affidamento dei lavori all'interno

 

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dell'azienda o dell'unità produttiva a imprese appaltatrici o a lavoratori autonomi:

          a) verifica, anche attraverso l'iscrizione alla camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura, l'idoneità tecnico-professionale delle imprese appaltatrici o dei lavoratori autonomi in relazione ai lavori da affidare in appalto o in contratto d'opera;

          b) fornisce ai datori di lavoro delle imprese appaltatrici e ai lavoratori autonomi dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell'ambiente in cui sono destinati a operare e sulle misure di prevenzione e di emergenza adottate in relazione alla propria attività.

      2. Nell'ipotesi di cui al comma 1 i datori di lavoro committenti e appaltatori e i lavoratori autonomi:

          a) cooperano all'attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi incidenti sull'attività lavorativa oggetto dell'appalto o del contratto d'opera;

          b) coordinano gli interventi di protezione e prevenzione dai rischi cui sono esposti i lavoratori, informandosi reciprocamente anche al fine di eliminare rischi dovuti alle interferenze tra i lavori delle diverse imprese e dei lavoratori autonomi coinvolti nell'esecuzione dell'opera complessiva.

      3. Il datore di lavoro committente promuove la cooperazione e il coordinamento di cui al comma 2. Tale obbligo non si estende ai rischi specifici propri dell'attività delle imprese appaltatrici o dei singoli lavoratori autonomi.
      4. Nel caso in cui dal datore di lavoro committente siano concessi in uso macchine o attrezzi di sua proprietà per l'esecuzione dei lavori di cui al comma 1, tali macchine o attrezzi devono essere conformi alle norme di sicurezza previste dalla presente legge.
      5. I lavoratori distaccati ai sensi dell'articolo 30 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni, sono formati e addestrati dal datore di lavoro distaccante per l'uso delle

 

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attrezzature di lavoro necessarie allo svolgimento dell'attività lavorativa per la quale viene attuato il distacco in conformità alle disposizioni della presente legge. Tali adempimenti possono essere svolti dal soggetto distaccatario previo accordo scritto con il distaccante. Nel caso in cui le mansioni cui è destinato il lavoratore distaccato richiedano una sorveglianza sanitaria o comportino rischi specifici, il distaccatario ne informa il lavoratore in conformità alle disposizioni della presente legge. Il distaccatario osserva, altresì, nei confronti del medesimo lavoratore distaccato tutti gli obblighi di protezione previsti nei confronti dei propri dipendenti.

Art. 11.
(Obblighi dei progettisti).

      1. I progettisti dei luoghi e dei posti di lavoro e degli impianti rispettano i princìpi generali di prevenzione in materia di sicurezza e di salute ai fini delle scelte progettuali e tecniche e scelgono macchine e dispositivi di protezione rispondenti alle disposizioni legislative e regolamentari vigenti in materia.

Art. 12.
(Obblighi dei fabbricanti e dei fornitori).

      1. Sono vietati la fabbricazione, la vendita, il noleggio e la concessione in uso di macchine, di attrezzature di lavoro e di impianti non rispondenti alle disposizioni legislative e regolamentari vigenti in materia di sicurezza e salute. Chiunque concede in locazione finanziaria beni assoggettati a procedure di attestazione della conformità è tenuto a provvedere affinché gli stessi siano accompagnati dalla relativa documentazione.

Art. 13.
(Obblighi degli installatori).

      1. Gli installatori e i montatori di impianti, macchine o altri mezzi tecnici,

 

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per la parte di loro competenza, devono attenersi alle norme di sicurezza e salute del lavoro, nonché alle istruzioni fornite dai rispettivi fabbricanti.

Capo III
ATTIVITÀ DI PREVENZIONE E PROTEZIONE

Art. 14.
(Servizio di prevenzione e protezione).

      1. Salvo quanto previsto dall'articolo 17, il datore di lavoro o i dirigenti organizzano il servizio di prevenzione e protezione all'interno dell'azienda, o dell'unità produttiva, o incaricano persone o servizi esterni alla azienda, secondo le disposizioni di cui al presente articolo.
      2. Gli addetti e i responsabili dei servizi, interni o esterni, di cui al comma 1, devono possedere le capacità e i requisiti professionali di cui all'articolo 15, devono essere in numero sufficiente e disporre di mezzi e di tempo adeguati per lo svolgimento dei compiti loro assegnati. Essi non possono subire pregiudizio a causa dell'attività svolta nell'espletamento del proprio incarico.
      3. I servizi di prevenzione e protezione, interni o esterni, devono disporre di personale professionalmente preparato in relazione alla natura dei rischi presenti nelle aziende nel cui ambito svolgono la loro attività.
      4. Nell'ipotesi di utilizzo di un servizio interno, il datore di lavoro o i dirigenti possono avvalersi di persone esterne alla azienda in possesso delle conoscenze professionali necessarie, per integrare, ove occorra, l'azione di prevenzione e protezione del servizio.
      5. Il ricorso a persone o a servizi esterni è obbligatorio in assenza di dipendenti che, all'interno dell'azienda ovvero dell'unità produttiva, sono in possesso dei requisiti di cui all'articolo 15.

 

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      6. Il servizio esterno di prevenzione e protezione deve essere adeguato alle caratteristiche dell'azienda o dell'unità produttiva a favore della quale è chiamato a prestare la propria opera, anche con riferimento al numero degli operatori.
      7. Qualora il datore di lavoro o il dirigente ricorrano a persone o a servizi esterni essi non sono per tale motivo liberati della propria responsabilità in materia, salvo quanto previsto dall'articolo 2049 del codice civile.
      8. L'istituzione del servizio di prevenzione e protezione all'interno dell'azienda, ovvero dell'unità produttiva, è comunque obbligatoria nei seguenti casi:

          a) negli stabilimenti di cui all'articolo 2 del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334, e successive modificazioni, soggetti all'obbligo di notifica o di redazione del documento di prevenzione o del rapporto di sicurezza, di cui agli articoli 6, 7 e 8 del medesimo decreto legislativo;

          b) nelle centrali termoelettriche;

          c) negli impianti e nelle installazioni di cui agli articoli 7, 28 e 33 del decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 230, e successive modificazioni;

          d) nelle aziende per la fabbricazione e il deposito separato di esplosivi, polveri e munizioni;

          e) nelle aziende industriali con oltre 200 lavoratori dipendenti;

          f) nelle industrie estrattive con oltre 50 lavoratori dipendenti;

          g) nelle strutture di ricovero e cura pubbliche e private.

      9. Nei casi di aziende con più unità produttive e nei casi di gruppi di imprese, può essere istituito un unico servizio di prevenzione e protezione, anche all'interno di società o di strutture appositamente costituite o organizzate dalla società capogruppo.

 

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Art. 15.
(Capacità e requisiti professionali degli addetti e dei responsabili dei servizi di prevenzione e protezione interni o esterni).

      1. Le capacità e i requisiti professionali dei responsabili e degli addetti ai servizi di prevenzione e protezione interni o esterni devono essere adeguati alla natura dei rischi presenti sul luogo di lavoro e relativi alle attività lavorative.
      2. Per lo svolgimento delle funzioni da parte dei soggetti di cui al comma 1 è necessario essere in possesso di un titolo di studio non inferiore al diploma di istruzione secondaria di secondo grado ed essere inoltre in possesso di un attestato di frequenza, con verifica dell'apprendimento, a specifici corsi di formazione adeguati alla natura dei rischi presenti sul luogo di lavoro e relativi alle attività lavorative. In sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano sono individuati gli indirizzi e i requisiti minimi dei citati corsi.
      3. Possono svolgere le funzioni di responsabile o addetto dei servizi di prevenzione e protezione interni o esterni coloro che pur non in possesso del titolo di studio di cui al comma 2 dimostrano di avere svolto una delle funzioni ivi richiamate, professionalmente o alle dipendenze di un datore di lavoro, almeno da sei mesi alla data del 13 agosto 2003, previo svolgimento dei corsi di cui ai commi 2 e 5.
      4. I corsi di formazione di cui al comma 2 sono organizzati dalle regioni e province autonome, dalle università, dall'ISPESL, dall'INAIL, dall'Istituto italiano di medicina sociale, dal Dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile del Ministero dell'interno, dall'Amministrazione della difesa, dall'Agenzia per la formazione dei dirigenti e dipendenti delle amministrazioni pubbliche - Scuola nazionale della pubblica amministrazione, dalle associazioni sindacali dei datori di lavoro o dei lavoratori, dall'Associazione nazionale dei consulenti del lavoro o dagli organismi

 

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paritetici. Altri soggetti formatori possono essere individuati in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.
      5. Per lo svolgimento della funzione di responsabile del servizio prevenzione e protezione, oltre ai requisiti di cui al comma 2, è necessario possedere un attestato di frequenza, con verifica dell'apprendimento, a specifici corsi di formazione in materia di prevenzione e protezione dei rischi, anche di natura ergonomica e psico-sociale, di organizzazione e gestione delle attività tecnico-amministrative e di tecniche di comunicazione in azienda e di relazioni sindacali.
      6. I responsabili e gli addetti dei servizi di prevenzione e protezione sono tenuti a frequentare corsi di aggiornamento secondo indirizzi definiti in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, con cadenza almeno quinquennale.
      7. Coloro che sono in possesso di laurea di ingegneria della sicurezza e protezione, in scienze della sicurezza e protezione, in tecnica della prevenzione nell'ambiente e nei luoghi di lavoro, in ingegneria per la sicurezza del lavoro e dell'ambiente o in ingegneria della sicurezza industriale e nucleare sono esonerati dalla frequenza ai corsi di formazione di cui al comma 2.
      8. Resta fermo quanto disposto dall'articolo 17.
      9. Gli organismi statali di formazione pubblici, previsti al comma 4, organizzano i corsi di formazione secondo tariffe, determinate sulla base del costo effettivo del servizio, da stabilire, con le relative modalità di versamento, con decreto del Ministro competente per materia, entro un mese dalla data di entrata in vigore della presente legge.
      10. Le amministrazioni pubbliche di cui alla presente legge organizzano i corsi di formazione nei limiti delle risorse finanziarie proprie o con le maggiori entrate derivanti dall'espletamento di tali attività a carico dei partecipanti.
      11. La partecipazione del personale delle amministrazioni pubbliche ai corsi di
 

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formazione di cui al presente articolo è disposta nei limiti delle risorse destinate dalla legislazione vigente alla formazione del personale medesimo.

Art. 16.
(Compiti del servizio di prevenzione e protezione).

      1. Il servizio di prevenzione e protezione collabora con il datore di lavoro o con i dirigenti:

          a) all'individuazione dei fattori di rischio, alla valutazione dei rischi e all'individuazione delle misure per la sicurezza e la salubrità degli ambienti di lavoro, nel rispetto della normativa vigente sulla base della specifica conoscenza dell'organizzazione aziendale;

          b) nell'elaborazione delle misure preventive e protettive, nonché delle procedure di sicurezza per le varie attività aziendali e per i relativi sistemi di controllo;

          c) nella promozione di programmi d'informazione e di formazione dei lavoratori;

          d) alle consultazioni in materia di tutela della salute e di sicurezza di cui all'articolo  18;

          e) a fornire ai lavoratori le informazioni di cui all'articolo 28.

      2. I componenti del servizio di prevenzione e protezione e i rappresentanti per la sicurezza sono tenuti al segreto in ordine ai processi lavorativi di cui vengono a conoscenza nell'esercizio delle funzioni di cui alla presente legge.

Art. 17.
(Svolgimento diretto da parte del datore di lavoro dei compiti di prevenzione e protezione).

      1. Il datore di lavoro può svolgere direttamente i compiti propri del servizio

 

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di prevenzione e protezione nonché di prevenzione degli incendi e di evacuazione, nei casi previsti nell'allegato II, dandone preventiva informazione al rappresentante per la sicurezza e alle condizioni di cui agli articoli 18 e seguenti.
      2. Il datore di lavoro che intende svolgere i compiti di cui al comma 1 deve frequentare il corso di formazione di cui all'articolo 3 del decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale e del Ministro della sanità 16 gennaio 1997, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 27 del 3 febbraio 1997, e tenere a disposizione degli organi di vigilanza il relativo attestato.

Art. 18.
(Riunione periodica di prevenzione e protezione).

      1. Nelle aziende e nelle unità produttive che occupano più di 15 dipendenti, il datore di lavoro o i dirigenti, direttamente o tramite il servizio di prevenzione e protezione, indicono almeno una volta all'anno una riunione cui partecipano:

          a) il datore di lavoro o un suo rappresentante ovvero il dirigente;

          b) il responsabile del servizio di prevenzione e protezione;

          c) il medico competente ove previsto;

          d) il rappresentante per la sicurezza.

      2. Nel corso della riunione il datore di lavoro o i dirigenti sottopongono all'esame dei partecipanti:

          a) il documento di valutazione dei rischi;

          b) l'andamento degli infortuni e delle malattie professionali;

          c) l'organizzazione della sorveglianza sanitaria;

          d) i programmi di informazione e di formazione dei lavoratori ai fini della

 

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sicurezza e della protezione della loro salute.

      3. Nel corso della riunione possono essere individuati:

          a) codici di comportamento e buone prassi per prevenire i rischi di infortuni e di malattie professionali;

          b) obiettivi di miglioramento della sicurezza complessiva sulla base delle linee guida per un sistema di gestione della salute e sicurezza sul lavoro.

      4. La riunione ha altresì luogo in occasione di eventuali significative variazioni delle condizioni di esposizione al rischio, comprese la programmazione e l'introduzione di nuove tecnologie che hanno riflessi sulla sicurezza e sulla salute dei lavoratori.
      5. Della riunione deve essere redatto un verbale che è a disposizione dei partecipanti per la consultazione.

Capo IV
PREVENZIONE DEGLI INCENDI, EMERGENZE, EVACUAZIONE DEI LUOGHI DI LAVORO E PRIMO SOCCORSO

Art. 19.
(Disposizioni generali).

      1. Ai fini degli adempimenti di cui all'articolo 7, comma 2, lettera q), i datori di lavoro o i dirigenti:

          a) organizzano i necessari rapporti con i servizi pubblici competenti in materia di primo soccorso, salvataggio, lotta antincendio e gestione dell'emergenza;

          b) designano preventivamente i lavoratori incaricati di attuare le misure di cui all'articolo 7, comma 2, lettera q);

          c) informano tutti i lavoratori che possono essere esposti a un pericolo grave

 

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e immediato circa le misure predisposte e i comportamenti da adottare;

          d) programmano gli interventi, prendono i provvedimenti e danno istruzioni affinché i lavoratori, in caso di pericolo grave e immediato che non può essere evitato, possano cessare la loro attività o mettersi al sicuro, abbandonando immediatamente il luogo di lavoro;

          e) prendono i provvedimenti necessari affinché qualsiasi lavoratore, in caso di pericolo grave e immediato per la propria sicurezza o per quella di altre persone e nell'impossibilità di contattare il competente superiore gerarchico, possa prendere le misure adeguate per evitare le conseguenze di tale pericolo, tenendo conto delle sue conoscenze e dei mezzi tecnici disponibili.

      2. Ai fini delle designazioni di cui al comma 1, lettera b), il datore di lavoro o il dirigente tengono conto delle dimensioni o dei rischi specifici dell'azienda o dell'unità produttiva.
      3. I lavoratori non possono, se non per giustificato motivo, rifiutare la designazione di cui al comma 1, lettera b). Essi devono essere formati, essere in numero sufficiente e disporre di attrezzature adeguate, tenendo conto delle dimensioni o dei rischi specifici dell'azienda o dell'unità produttiva.
      4. Il datore di lavoro o il dirigente devono, salvo eccezioni debitamente motivate, astenersi dal chiedere ai lavoratori di riprendere la loro attività in una situazione di lavoro in cui persiste un pericolo grave e immediato.

Art. 20.
(Prevenzione degli incendi).

      1. Fermo restando quanto previsto dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 29 luglio 1982, n. 577, le disposizioni del decreto del Ministro dell'interno 10 marzo 1998, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 81 del 7 aprile 1998,

 

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relative ad elementi strutturali si considerano norme di buona tecnica ai sensi dell'articolo 5, comma 1, lettera n), della presente legge. Le disposizioni relative alle norme comportamentali e procedurali di sicurezza contenute nel medesimo decreto si considerano buone prassi.

Art. 21.
(Diritti dei lavoratori in caso di pericolo grave e immediato).

      1. Il lavoratore che, in caso di pericolo grave e immediato che non può essere evitato, si allontana dal posto di lavoro o da una zona pericolosa, non può subire pregiudizio alcuno e deve essere protetto da qualsiasi conseguenza dannosa.
      2. Il lavoratore che, in caso di pericolo grave e immediato e nell'impossibilità di contattare il competente superiore gerarchico, prende misure per evitare le conseguenze di tale pericolo, non può subire pregiudizio per tale azione, a meno che non abbia commesso una grave negligenza.

Art. 22.
(Primo soccorso).

      1. Il datore di lavoro, tenendo conto della natura dell'attività e delle dimensioni dell'azienda o dell'unità produttiva, sentito il medico competente ove previsto, prende i provvedimenti necessari in materia di primo soccorso e di assistenza medica di emergenza, tenendo conto delle altre eventuali persone presenti sui luoghi di lavoro e stabilendo i necessari rapporti con i servizi esterni, anche per il trasporto dei lavoratori infortunati.
      2. Il datore di lavoro, qualora non vi provveda direttamente, designa uno o più lavoratori incaricati dell'attuazione dei provvedimenti di cui al comma 1.
      3. Le disposizioni del regolamento di cui al decreto dei Ministri della salute, del lavoro e delle politiche sociali, per la funzione pubblica e delle attività produttive 15 luglio 2003, n. 388, si considerano buone prassi.

 

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Capo V
SORVEGLIANZA SANITARIA

Art. 23.
(Contenuto della sorveglianza sanitaria).

      1. La sorveglianza sanitaria è effettuata nei casi previsti dalla presente legge.
      2. La sorveglianza di cui al comma 1 è effettuata dal medico competente e comprende:

          a) accertamenti preventivi, anche in fase preassuntiva, intesi a constatare l'assenza di controindicazioni al lavoro cui i lavoratori sono destinati, ai fini della valutazione della loro idoneità alla mansione specifica;

          b) accertamenti periodici per controllare lo stato di salute dei lavoratori;

          c) visite mediche richieste dal lavoratore ove il medico competente le ritenga correlate a rischi professionali.

      3. Gli accertamenti di cui al comma 2 non possono riguardare lo stato di gravidanza, di tossicodipendenza o essere effettuati qualora vietati dalla normativa vigente.
      4. Gli accertamenti di cui al comma 2 comprendono esami clinici e biologici e indagini diagnostiche mirati al rischio ritenuti necessari dal medico competente.

Art. 24.
(Medico competente).

      1. Il medico competente:

          a) collabora, nell'ambito delle proprie competenze, con il datore di lavoro e con il servizio di prevenzione e protezione di cui all'articolo 14, alla predisposizione della attuazione delle misure per la tutela della salute e della integrità psico-fisica dei lavoratori, e all'organizzazione del servizio di primo soccorso;

 

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          b) effettua gli accertamenti sanitari ed esprime i giudizi di idoneità alla mansione specifica al lavoro di cui all'articolo 23;

          c) istituisce e aggiorna, sotto la propria responsabilità, per ogni lavoratore sottoposto a sorveglianza sanitaria, una cartella sanitaria e di rischio da custodire presso il datore di lavoro con salvaguardia del segreto professionale o presso il suo studio, nel caso delle aziende di cui all'allegato II;

          d) fornisce informazioni ai lavoratori sul significato degli accertamenti sanitari cui sono sottoposti e, nel caso di esposizione ad agenti con effetti a lungo termine, sulla necessità di sottoporsi ad accertamenti sanitari anche dopo la cessazione dell'attività che comporta l'esposizione a tali agenti. Fornisce altresì, a richiesta, informazioni analoghe ai rappresentanti per la sicurezza;

          e) informa ogni lavoratore interessato dei risultati degli accertamenti sanitari di cui alla lettera b) e, a richiesta dello stesso, gli rilascia copia della documentazione sanitaria; una copia viene comunque consegnata alla cessazione del rapporto di lavoro;

          f) comunica, in occasione delle riunioni di cui all'articolo 18, ai rappresentanti per la sicurezza, i risultati anonimi collettivi degli accertamenti clinici e strumentali effettuati e fornisce indicazioni sul significato di tali risultati;

          g) congiuntamente al responsabile del servizio di prevenzione e protezione, visita gli ambienti di lavoro almeno due volte all'anno e partecipa alla programmazione del controllo dell'esposizione dei lavoratori i cui risultati gli sono forniti con tempestività ai fini delle valutazioni e dei pareri di competenza;

          h) collabora alle attività di informazione e di formazione di cui al capo VII;

          i) invia all'ISPESL le cartelle sanitarie e di rischio e ogni altra documentazione, nei casi previsti dalla presente legge, alla cessazione del rapporto di lavoro.

      2. Qualora il medico competente, a seguito degli accertamenti di cui al comma

 

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1, lettera b), esprima un giudizio sull'inidoneità parziale, temporanea o totale del lavoratore, ne informa per iscritto il datore di lavoro e il lavoratore.
      3. Avverso i giudizi di cui al comma 1, lettera b), è ammesso ricorso, entro trenta giorni dalla data di comunicazione del giudizio medesimo, all'organo di vigilanza territorialmente competente che dispone, dopo eventuali ulteriori accertamenti, la conferma, la modifica o la revoca del giudizio stesso.
      4. Il medico competente svolge la propria opera in qualità di:

          a) dipendente da una struttura esterna pubblica o privata convenzionata con l'imprenditore per lo svolgimento dei compiti di cui al presente capo;

          b) libero professionista;

          c) dipendente del datore di lavoro.

      5. Il dipendente di una struttura pubblica non può svolgere l'attività di medico competente qualora esplichi attività di vigilanza.
      6. Qualora il medico competente sia dipendente del datore di lavoro, questi gli fornisce i mezzi e gli assicura le condizioni necessari per lo svolgimento dei suoi compiti.
      7. Il medico competente può avvalersi, per motivate ragioni, della collaborazione di medici specialisti scelti dal datore di lavoro che ne sopporta gli oneri.

Capo VI
CONSULTAZIONE E PARTECIPAZIONE DEI DATORI DI LAVORO

Art. 25.
(Rappresentante per la sicurezza).

      1. In tutte le aziende, o unità produttive, è eletto o designato il rappresentante per la sicurezza.
      2. Nelle aziende o unità produttive che occupano sino a 15 dipendenti il rappresentante per la sicurezza è eletto direttamente dai lavoratori al loro interno. Nelle

 

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aziende che occupano fino a 15 dipendenti il rappresentante per la sicurezza può essere individuato per più aziende nell'ambito territoriale o del comparto produttivo. Esso può essere designato o eletto dai lavoratori nell'ambito delle rappresentanze sindacali, come definite dalla contrattazione collettiva di riferimento.
      3. Nelle aziende o unità produttive con più di 15 dipendenti il rappresentante per la sicurezza è eletto o designato dai lavoratori nell'ambito delle rappresentanze sindacali in azienda. In assenza di tali rappresentanze, è eletto dai lavoratori dell'azienda al loro interno.
      4. Il numero, le modalità di designazione o di elezione del rappresentante per la sicurezza, nonché il tempo di lavoro retribuito e gli strumenti per l'espletamento delle funzioni, sono stabiliti in sede di contrattazione collettiva.
      5. In ogni caso il numero minimo dei rappresentanti di cui al comma 1 è il seguente:

          a) un rappresentante nelle aziende o unità produttive sino a 200 dipendenti;

          b) tre rappresentanti nelle aziende o unità produttive da 201 a 1.000 dipendenti;

          c) sei rappresentanti in tutte le altre aziende o unità produttive.

      6. Le modalità e i contenuti specifici della formazione del rappresentante per la sicurezza sono stabiliti in sede di contrattazione collettiva nazionale di categoria, con il rispetto dei contenuti minimi previsti dall'articolo 2 del decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale 16 gennaio 1997, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 27 del 3 febbraio 1997.

Art. 26.
(Attribuzioni del rappresentante per la sicurezza).

      1. Fatto salvo quanto stabilito in sede di contrattazione collettiva, il rappresentante per la sicurezza:

          a) accede, nel rispetto delle esigenze produttive e previa informativa al datore

 

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di lavoro o al dirigente o al preposto competente, ai luoghi di lavoro in cui si svolgono le lavorazioni;

          b) è consultato preventivamente e tempestivamente in ordine alla valutazione dei rischi, all'individuazione, programmazione, realizzazione e verifica della prevenzione nell'azienda o unità produttiva;

          c) è consultato sulla designazione degli addetti al servizio di prevenzione e protezione, all'attività di prevenzione degli incendi, al primo soccorso e all'evacuazione dei luoghi di lavoro;

          d) è consultato in merito all'organizzazione della formazione di cui all'articolo 29;

          e) riceve le informazioni e la documentazione aziendale inerenti alla valutazione dei rischi e alle misure di prevenzione relative, con esclusione del documento di cui all'articolo 7, comma 1, lettera b), nonché quelle inerenti alle sostanze e ai preparati pericolosi, alle macchine, agli impianti, alla organizzazione e agli ambienti di lavoro, agli infortuni e alle malattie professionali;

          f) riceve le informazioni provenienti dai servizi di vigilanza;

          g) promuove l'elaborazione, l'individuazione e l'attuazione delle misure di prevenzione idonee a tutelare la salute e l'integrità fisica dei lavoratori;

          h) formula osservazioni in occasione di visite e di verifiche effettuate dalle autorità competenti;

          i) partecipa alla riunione periodica di cui all'articolo 18;

          l) fa proposte in merito all'attività di prevenzione;

          m) avverte il responsabile dell'azienda dei rischi individuati nel corso della sua attività;

          n) può fare ricorso alle autorità competenti qualora ritenga che le misure di prevenzione e protezione adottate dal datore di lavoro o dai dirigenti e i mezzi

 

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impiegati per attuarle non sono idonei a garantire la sicurezza e la salute durante il lavoro.

      2. Il rappresentante per la sicurezza deve disporre del tempo necessario allo svolgimento dell'incarico senza perdita di retribuzione, nonché dei mezzi necessari per l'esercizio delle funzioni e delle facoltà riconosciutegli. Non può subire pregiudizio alcuno a causa delle svolgimento della propria attività e nei suoi confronti si applicano le stesse tutele previste dalla legge per le rappresentanze sindacali.
      3. Il rappresentante per la sicurezza è tenuto al rispetto del segreto industriale relativamente alle informazioni contenute nel documento di valutazione dei rischi di cui all'articolo 7, comma 1, lettera b).

Art. 27.
(Organismi bilaterali).

      1. Gli organismi bilaterali, purché dotati di struttura tecnica definita dai contratti collettivi nazionali, svolgono funzioni di orientamento e di promozione di iniziative formative nei confronti dei lavoratori e dei loro rappresentanti.
      2. Gli organismi bilaterali costituiscono la prima istanza di riferimento in merito a controversie sorte sull'applicazione dei diritti di rappresentanza, informazione e formazione previsti dalle norme vigenti in materia.
      3. Agli effetti dell'articolo 42 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, gli organismi bilaterali sono parificati alla rappresentanza indicata nel medesimo articolo.
      4. Nelle aziende che occupano fino a 100 dipendenti, gli organismi bilaterali possono, a richiesta dei datori di lavoro, effettuare sopralluoghi finalizzati a verificare l'applicazione in azienda delle norme vigenti in materia di sicurezza e tutela della salute sui luoghi di lavoro e rilasciare relativa certificazione. Gli organi di vigilanza in materia di sicurezza e salute tengono conto di tali certificazioni ai fini

 

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della programmazione delle attività ispettive di vigilanza.
      5. Gli organismi bilaterali possono formulare proposte negli ambiti di competenza della Commissione consultiva di cui all'articolo 35, comma 6.

Capo VII
INFORMAZIONE E FORMAZIONE DEI LAVORATORI

Art. 28.
(Informazione).

      1. Il datore di lavoro o il dirigente provvedono affinché ciascun lavoratore riceva una adeguata informazione:

          a) sui rischi per la sicurezza e la salute connessi all'attività dell'impresa in generale;

          b) sulle misure e le attività di protezione e prevenzione adottate;

          c) sui rischi specifici cui è esposto in relazione all'attività svolta, le normative di sicurezza e le disposizioni aziendali in materia;

          d) sui pericoli connessi all'uso delle sostanze e dei preparati pericolosi sulla base delle schede dei dati di sicurezza previste dalla normativa vigente e dalle norme di buona tecnica;

          e) sulle procedure che riguardano il primo soccorso, la lotta antincendio, l'evacuazione dei luoghi di lavoro;

          f) sui nominativi dei lavoratori incaricati di applicare le misure di cui agli articoli 19 e 22.

Art. 29.
(Formazione dei lavoratori e dei loro rappresentanti).

      1. Il datore di lavoro o i dirigenti assicurano che ciascun lavoratore riceva

 

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una formazione commisurata alle risultanze della valutazione dei rischi e che deve riguardare almeno:

          a) i rischi riferiti al posto di lavoro e alle mansioni nonché ai possibili danni e le conseguenti misure e procedure di prevenzione e protezione;

          b) nozioni relative ai diritti e ai doveri dei lavoratori in materia di sicurezza e salute sul posto di lavoro.

      2. La formazione deve avvenire in occasione:

          a) dell'assunzione;

          b) del trasferimento o del cambiamento di mansioni;

          c) dell'introduzione di nuove attrezzature di lavoro o di nuove tecnologie, di nuove sostanze e preparati pericolosi.

      3. La formazione deve essere periodicamente ripetuta in relazione all'evoluzione dei rischi ovvero all'insorgenza di nuovi rischi.
      4. I lavoratori incaricati dell'attività di prevenzione degli incendi e lotta antincendio, di evacuazione dei luoghi di lavoro in caso di pericolo grave e immediato, di salvataggio, di primo soccorso e, comunque, di gestione dell'emergenza devono essere adeguatamente formati.
      5. Il rappresentante per la sicurezza ha diritto ad una formazione particolare in materia di salute e sicurezza concernente i rischi specifici esistenti nel proprio ambito di rappresentanza, tale da assicurargli adeguate nozioni sulle principali tecniche di controllo e di prevenzione dei rischi stessi.
      6. Le modalità e i contenuti specifici della formazione del rappresentante per la sicurezza sono stabiliti in sede di contrattazione collettiva nazionale di categoria.
      7. La formazione dei lavoratori e quella dei loro rappresentanti deve avvenire, in collaborazione con gli organismi bilaterali di cui all'articolo 27, durante l'orario di lavoro e non può comportare oneri economici a carico dei lavoratori.

 

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Art. 30.
(Formazione dei responsabili e degli addetti ai servizi di prevenzione e protezione).

      1. I responsabili e gli addetti ai servizi di prevenzione e protezione devono essere in possesso dei requisiti di formazione di cui al capo III.

Capo VIII
DISPOSIZIONI CONCERNENTI LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Art. 31.
(Vigilanza).

      1. La vigilanza sull'applicazione della legislazione vigente in materia di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro è svolta dall'azienda sanitaria locale e, per quanto di specifica competenza, dalle direzioni provinciali del lavoro, dal Corpo nazionale dei vigili del fuoco, nonché, per il settore minerario, dal Ministero dello sviluppo economico e, per le industrie estrattive di seconda categoria e le acque minerali e termali, dalle regioni e dalle province autonome di Trento e di Bolzano.
      2. Restano ferme le competenze in materia di sicurezza e salute dei lavoratori attribuite dalle disposizioni vigenti agli uffici di sanità aerea e marittima e alle autorità marittime, portuali e aeroportuali, per quanto riguarda la sicurezza dei lavoratori a bordo di navi e di aeromobili e in ambito portuale ed aeroportuale, nonché ai servizi sanitari e tecnici istituiti per le Forze armate e per le Forze di polizia; i predetti servizi sono competenti altresì per le aree riservate od operative e per quelle che presentano analoghe esigenze da individuare, anche per quel che riguarda le modalità di attuazione, con decreto del Ministro competente di concerto con i Ministri del lavoro e della previdenza sociale e della salute. L'Amministrazione della giustizia può avvalersi dei servizi istituiti per le Forze armate e di polizia, anche mediante convenzione

 

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con i rispettivi Ministeri, nonché dei servizi istituiti con riferimento alle strutture penitenziarie.

Art. 32.
(Potere di disposizione).

      1. Gli ispettori che effettuano attività di vigilanza impartiscono disposizioni esecutive ai fini dell'applicazione delle norme di buona tecnica e delle buone prassi di cui all'articolo 5, comma 1, lettere n) e o), qualora ne riscontrino la mancata adozione.
      2. Avverso le disposizioni di cui al comma 1 è ammesso ricorso, entro trenta giorni, con eventuale richiesta di sospensione delle stesse, all'autorità gerarchicamente superiore nell'ambito dei rispettivi organi di vigilanza.
      3. Le inosservanze delle disposizioni legittimamente impartite dagli ispettori degli organi di vigilanza sono punite con l'arresto da tre a sei mesi o con l'ammenda da 3.000 a 5.000 euro.

Art. 33.
(Informazione, consulenza e assistenza).

      1. Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, il Ministero dell'interno tramite le strutture del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, l'ISPESL, anche mediante i propri dipartimenti periferici, il Ministero del lavoro e della previdenza sociale, per mezzo delle direzioni provinciali del lavoro, il Ministero dello sviluppo economico, per il settore estrattivo, tramite gli uffici della Direzione generale per l'energia e le risorse minerarie, l'Istituto italiano di medicina sociale, l'INAIL e gli enti di patronato, svolgono attività di informazione, consulenza e assistenza in materia di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro, in particolare nei confronti delle imprese artigiane e delle piccole e medie imprese nonché delle rispettive associazioni dei datori di lavoro.
      2. L'attività di consulenza non può essere prestata dai soggetti che svolgono attività di controllo e di vigilanza.

 

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Art. 34.
(Verifica sull'applicazione della normativa).

      1. Il monitoraggio e la verifica sull'effettiva applicazione della normativa di sicurezza e salute sono effettuati congiuntamente dalle regioni, dalle province autonome di Trento e di Bolzano, dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale, dal Ministero della salute e dalle parti sociali mediante accordi e con metodi di misurazione condivisi.
      2. In coerenza con il principio di sussidiarità, ai fini di cui al comma 1 è utilizzato il sistema informativo nazionale, delle regioni, dell'ISPESL, dell'INAIL e del Ministero del lavoro e della previdenza sociale.

Art. 35.
(Commissione consultiva permanente per la prevenzione degli infortuni e l'igiene del lavoro).

      1. Presso il Ministero del lavoro e della previdenza sociale è istituita una Commissione consultiva permanente per la prevenzione degli infortuni e per l'igiene del lavoro. La Commissione è presieduta dal Ministro del lavoro e della previdenza sociale o dal direttore generale della Direzione generale della tutela delle condizioni di lavoro delegato dallo stesso Ministro, ed è composta da:

          a) un rappresentante del Ministero della salute;

          b) un rappresentante del Ministero dello sviluppo economico;

          c) un rappresentante del Ministero dell'interno;

          d) un rappresentante del Ministero delle infrastrutture;

          e) tre funzionari esperti designati dal Ministro del lavoro e della previdenza sociale;

 

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          f) tre rappresentanti delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano nominati dal presidente del coordinamento degli assessori regionali alla salute;

          g) un rappresentante dell'INAIL;

          h) un rappresentante dell'ISPESL;

          i) un rappresentante dell'Istituto italiano di medicina sociale;

          l) quattro esperti nominati dal Ministro del lavoro e della previdenza sociale su designazione delle organizzazioni sindacali dei lavoratori maggiormente rappresentative a livello nazionale;

          m) quattro esperti nominati dal Ministro del lavoro e della previdenza sociale su designazione delle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro, anche dell'artigianato e della piccola e media impresa, maggiormente rappresentative a livello nazionale.

      2. La Commissione può richiedere la consulenza di esperti nei diversi settori di interesse.
      3. I componenti della Commissione e i segretari sono nominati con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, su designazione degli organismi competenti, e durano in carica cinque anni. Per ogni rappresentante effettivo è designato un membro supplente.
      4. Le funzioni inerenti alla segreteria della Commissione sono svolte da personale del Ministero del lavoro e della previdenza sociale.
      5. All'inizio di ogni mandato la Commissione istituisce:

          a) un gruppo per la determinazione e l'aggiornamento dei valori limite di esposizione professionale e dei valori limite biologici relativi agli agenti chimici;

          b) un gruppo per l'aggiornamento delle norme di buona tecnica e delle buone prassi di cui ai titoli II, III, IV, V e VI del decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1955, n. 547, ai capi II, III, IV, V, VI, VII, VIII e IX del decreto del Presidente della Repubblica 7 gennaio

 

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1956, n. 164, ai capi I, II, III, IV, V, VI, VII VIII, IX e XI del decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 1956, n. 320, e successive modificazioni, all'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 1956, n. 323, e al decreto del Ministro per il lavoro e per la previdenza sociale 2 settembre 1968, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 242 del 23 settembre 1968;

          c) gruppi di lavoro temporanei per specifiche problematiche.

      6. La Commissione può essere consultata in ordine a:

          a) l'elaborazione dei piani di azione annuali per la promozione della salute e della sicurezza su tutto il territorio nazionale;

          b) l'elaborazione di linee guida tecniche da parte dell'ISPESL e dell'INAIL e dell'Istituto italiano di medicina sociale finalizzate ad assicurare unità e omogeneità di comportamenti in tutto il territorio nazionale nell'applicazione delle disposizioni in materia di sicurezza e salute dei lavoratori anche ai fini del coordinamento dei codici e delle raccolte di buone prassi realizzate da parte delle regioni;

          c) l'elaborazione dei piani di coordinamento delle attività di sostegno alle imprese da parte dell'INAIL, dell'ISPESL e dell'Istituto italiano di medicina sociale.

      7. Ai componenti della Commissione per le riunioni o le giornate di lavoro non spetta alcun gettone di presenza e le eventuali spese di viaggio e di soggiorno sono a carico dell'amministrazione, dell'ente o dell'organizzazione di appartenenza.

Art. 36.
(Azioni positive per le piccole e medie imprese).

      1. L'INAIL promuove il miglioramento della sicurezza e della salute nei luoghi di lavoro, con particolare riferimento alle piccole e medie imprese e ai settori dell'agricoltura e dell'artigianato.

 

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      2. L'attività di cui al comma 1 si realizza attraverso il sostegno finanziario finalizzato a interventi informativi e formativi, di miglioramento in termini di sicurezza delle strutture, degli impianti, dei processi produttivi, dell'organizzazione delle imprese, di individuazione e diffusione di buone pratiche per lo sviluppo delle azioni di prevenzione.
      3. Gli interventi di sostegno di cui al comma 2 sono a carico dell'INAIL e non comportano alcun onere aggiuntivo per la finanza pubblica.

Art. 37.
(Attività promozionali).

      1. Il Ministero del lavoro e della previdenza sociale:

          a) utilizza il 20 per cento dei fondi derivanti dall'applicazione dell'articolo 176 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124, e successive modificazioni, per il finanziamento di attività promozionali in materia di salute e sicurezza;

          b) coordina i piani di azione e le attività di sostegno dell'INAIL, dell'ISPESL e dell'Istituto italiano di medicna sociale che sono individuati annualmente nell'ambito della Commissione di cui all'articolo 35, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.

Capo IX
DOCUMENTAZIONE TECNICO-AMMINISTRATIVA E STATISTICHE DEGLI INFORTUNI E DELLE MALATTIE PROFESSIONALI

Art. 38.
(Tenuta della documentazione).

      1. È consentito l'impiego di sistemi di elaborazione automatica dei dati per la

 

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memorizzazione di qualunque tipo di documentazione prevista dalla presente legge.
      2. Le modalità di memorizzazione dei dati e di accesso al sistema di gestione della documentazione di cui al comma 1 devono essere tali da assicurare che:

          a) l'accesso alle funzioni del sistema sia consentito solo ai soggetti a ciò espressamente abilitati dal datore di lavoro;

          b) la validazione delle informazioni inserite sia consentita solo alle persone responsabili, in funzione della natura dei dati;

          c) le operazioni di validazione dei dati di cui alla lettera b) siano univocamente riconducibili alle persone responsabili che le hanno effettuate mediante la memorizzazione di un codice identificativo autogenerato dagli stessi;

          d) le eventuali informazioni di modifica, ivi comprese quelle inerenti alle generalità e ai dati occupazionali del lavoratore, siano solo aggiuntive a quelle già memorizzate;

          e) sia possibile riprodurre su supporti a stampa, sulla base dei singoli documenti, ove previsti dalla presente legge, le informazioni contenute nei supporti di memoria;

          f) le informazioni siano conservate almeno su due distinti supporti informatici di memoria e siano implementati programmi di protezione e di controllo del sistema da codici virali;

          g) sia redatta, a cura dell'esercente del sistema, una procedura in cui siano dettagliatamente descritte le operazioni necessarie per la gestione del sistema medesimo. Nella procedura non devono essere riportati i codici di accesso.

      3. Nel caso di aziende articolate su vari sedi geografiche o su distinti settori funzionali, l'accesso ai dati può avvenire mediante reti di comunicazione elettronica, fermo restando quanto previsto al comma 2 relativamente all'immissione e alla validazione dei dati da parte delle persone responsabili.

 

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      4. La documentazione, sia su supporto cartaceo che informatico, deve essere custodita nel rispetto del codice in materia di protezione dei dati personali, di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e successive modificazioni.

Art. 39.
(Comunicazioni e trasmissione di documentazione).

      1. La trasmissione di documentazione e le comunicazioni a enti o ad amministrazioni pubblici, comunque previste dalla presente legge, possono avvenire tramite sistemi informatizzati, nel formato e con le modalità indicati dalle strutture riceventi.

Art. 40.
(Statistiche degli infortuni e delle malattie professionali).

      1. L'INAIL e l'ISPESL si forniscono reciprocamente i dati relativi agli infortuni e alle malattie professionali anche con strumenti telematici.
      2. L'INAIL e l'ISPESL indicono una conferenza permanente di servizio per assicurare il necessario coordinamento in relazione a quanto previsto dall'articolo 7, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni, nonché per verificare l'adeguatezza dei sistemi di prevenzione e assicurativi, e per studiare e proporre soluzioni normative e tecniche atte a ridurre il fenomeno degli infortuni e delle malattie professionali.
      3. I criteri per la raccolta e l'elaborazione delle informazioni relative ai rischi e ai danni derivanti da infortunio durante l'attività lavorativa sono individuati nelle norme UNI, riguardanti i parametri per la classificazione dei casi di infortunio e i criteri per il calcolo degli indici di frequenza e gravità, e loro successivi aggiornamenti.
      4. Con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale e del Ministro della salute, sentita la Commissione di cui

 

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all'articolo 35, possono essere individuati i criteri integrativi di quelli di cui al comma 3 in relazione a particolari rischi.
      5. I criteri per la raccolta e l'elaborazione delle informazioni relative ai rischi e ai danni derivanti dalle malattie professionali, nonché ad altre malattie e forme patologiche eziologicamente collegate al lavoro, sono individuati con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale e del Ministro della salute, sentita la Commissione di cui all'articolo 35, sulla base delle norme di buona tecnica.

TITOLO II
LUOGHI DI LAVORO

Art. 41.
(Definizioni).

      1. Ai fini dell'applicazione delle disposizioni di cui al presente titolo si intendono per luoghi di lavoro i luoghi destinati a contenere posti di lavoro, ubicati all'interno dell'azienda o dell'unità produttiva, nonché ogni altro luogo accessibile da parte dei lavoratori nell'ambito delle proprie attività.
      2. Le disposizioni del presente titolo non si applicano:

          a) ai mezzi di trasporto;

          b) alle industrie estrattive;

          c) ai pescherecci;

          d) ai campi, boschi e altri terreni facenti parte di una impresa agricola o forestale, ma situati fuori dall'area edificata dell'azienda.

Art. 42.
(Requisiti di sicurezza e di salute).

      1. I luoghi di lavoro devono essere conformi ai requisiti generali di salute e sicurezza di cui all'allegato III o, qualora si tratti di cantieri temporanei o mobili, a quelle di cui all'allegato IV.

 

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      2. I luoghi di lavoro realizzati secondo le norme di buona tecnica di cui all'articolo 5, comma 1, lettera n), si considerano rispondenti ai requisiti di cui al comma 1 del presente articolo.
      3. Le disposizioni legislative relative a elementi di natura tecnica di cui ai titoli II e VI del decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1955, n. 547, ai capi II, III, VIII e IX del decreto del Presidente della Repubblica 7 gennaio 1956, n. 164, e ai capi I, II, III, IV, V, VI, VII VIII, IX e XI del decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 1956, n. 320, e successive modificazioni, si considerano norme di buona tecnica.
      4. Le disposizioni legislative relative alle procedure di sicurezza contenute nelle normative richiamate al comma 3 si considerano buone prassi.

Art. 43.
(Obblighi del datore di lavoro).

      1. Fermo restando quanto disposto dal titolo I il datore di lavoro provvede affinché:

          a) i luoghi di lavoro siano rispondenti ai requisiti generali di cui all' articolo 42, comma 1;

          b) siano adottate, previa consultazione del rappresentante per la sicurezza, le misure alternative che garantiscano un livello di sicurezza equivalente, qualora vincoli urbanistici o architettonici ostino all'attuazione di quanto previsto alla lettera a). Le misure, nel caso di cui alla presente lettera, sono autorizzate dall'organo di vigilanza competente per territorio;

          c) le vie di circolazione che conducono a uscite o ad uscite di emergenza e le uscite o le uscite di emergenza medesime siano sgombre allo scopo di consentirne l'utilizzo in ogni momento;

          d) i luoghi di lavoro, gli impianti e i dispositivi siano sottoposti a regolare manutenzione tecnica e vengano eliminati, quanto più rapidamente possibile, i difetti rilevati che possano pregiudicare la sicurezza e la salute dei lavoratori;

 

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          e) i luoghi di lavoro, gli impianti e i dispositivi siano sottoposti a regolare pulitura, al fine di assicurare condizioni igieniche adeguate;

          f) gli impianti e i dispositivi di sicurezza, destinati alla prevenzione o all'eliminazione dei pericoli, siano sottoposti a regolare manutenzione e al controllo del loro funzionamento.

Art. 44.
(Locali sotterranei).

      1. È vietato adibire al lavoro locali chiusi sotterranei o semisotterranei.
      2. In deroga a quanto previsto dal comma 1, possono essere destinati al lavoro locali sotterranei o semisotterranei, quando ricorrono particolari esigenze tecniche. In tali casi il datore di lavoro provvede ad assicurare idonee condizioni di aerazione, di illuminazione e microclimatiche.
      3. L'organo di vigilanza può consentire l'uso dei locali sotterranei e semisotterranei anche per altre lavorazioni per le quali non ricorrono le esigenze tecniche, quando tali lavorazioni non diano luogo ad emissioni di agenti nocivi, sempre che siano rispettate le norme della presente legge e si sia provveduto ad assicurare le condizioni di cui al comma 2.

TITOLO III
ATTREZZATURE DI LAVORO

Capo I
DISPOSIZIONI GENERALI

Art. 45.
(Definizioni).

      1. Agli effetti delle disposizioni di cui al presente titolo si intende per:

          a) attrezzatura di lavoro: qualsiasi macchina, apparecchio, utensile o impianto destinato ad essere usato durante il lavoro;

 

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          b) uso di un'attrezzatura di lavoro: qualsiasi operazione lavorativa connessa ad un'attrezzatura di lavoro, quali la messa in servizio o fuori servizio, l'impiego, il trasporto, la riparazione, la trasformazione, la manutenzione, la pulizia, lo smontaggio;

          c) zona pericolosa: qualsiasi zona all'interno ovvero in prossimità di un'attrezzatura di lavoro nella quale la presenza di un lavoratore costituisce un rischio per la salute o la sicurezza dello stesso;

          d) lavoratore esposto: qualsiasi lavoratore che si trova in una zona pericolosa;

          e) operatore: il lavoratore incaricato dell'uso di un'attrezzatura di lavoro;

          f) lavoro in quota: attività lavorativa che espone il lavoratore al rischio di caduta da una quota posta ad altezza superiore a 2 metri rispetto a un piano stabile.

Art. 46.
(Requisiti di sicurezza).

      1. Le attrezzature di lavoro messe a disposizione dei lavoratori devono essere conformi alle relative norme legislative e regolamentari di recepimento delle direttive comunitarie di prodotto, emanate ai sensi del Trattato istitutivo della Comunità europea.
      2. In assenza delle disposizioni legislative e regolamentari di cui al comma 1, le attrezzature di lavoro devono essere conformi ai requisiti generali di sicurezza di cui all'allegato V.
      3. Tutte le attrezzature di lavoro messe a disposizione dei lavoratori antecedentemente alla data di entrata in vigore delle norme legislative e regolamentari di recepimento delle direttive comunitarie di cui al comma 1 devono essere conformi ai requisiti generali di sicurezza di cui al comma 2.
      4. Le attrezzature di lavoro rispondenti alle norme di buona tecnica di cui all'articolo 5,

 

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comma 1, lettera n), si considerano conformi ai requisiti di cui ai commi 2 e 3 del presente articolo.
      5. Le disposizioni legislative di carattere costruttivo di cui ai titoli II, III, IV, V e VI del decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1955, n. 547, ai capi II, IV, V, VI e VII del decreto del Presidente della Repubblica 7 gennaio 1956, n.164, ai capi II, III e IV del decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 1956, n. 320, e successive modificazioni, all'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 1956, n. 323, e al decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale 2 settembre 1968, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 242 del 23 settembre 1968, si considerano norme di buona tecnica.
      6. Le disposizioni legislative relative a procedure organizzative e comportamentali di sicurezza e salute contenute nella normativa richiamata al comma 5 si considerano buone prassi.

Art. 47.
(Obblighi del datore di lavoro).

      1. Il datore di lavoro mette a disposizione dei lavoratori attrezzature adeguate al lavoro da svolgere o adattate a tali scopi e rispondenti ai requisiti di idoneità ai fini della salute e della sicurezza, di cui all'articolo 46.
      2. All'atto della scelta delle attrezzature di lavoro, il datore di lavoro prende in considerazione:

          a) le condizioni e le caratteristiche specifiche del lavoro da svolgere;

          b) i rischi presenti nell'ambiente di lavoro;

          c) i rischi derivanti dall'impiego delle stesse attrezzature di lavoro.

      3. Qualora non sia possibile assicurare pienamente, in applicazione delle disposizioni di cui al comma 2, la sicurezza e la salute degli operatori e dei lavoratori

 

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esposti durante l'uso delle attrezzature di lavoro, il datore di lavoro adotta le misure tecniche e organizzative adeguate per ridurre al minimo i rischi connessi all'uso delle medesime attrezzature di lavoro.
      4. Il datore di lavoro prende le misure necessarie affinché le attrezzature di lavoro siano:

          a) installate in conformità alle istruzioni del fabbricante;

          b) utilizzate correttamente in conformità a quanto previsto dall'allegato VI e al comma 6 dell'articolo 46;

          c) oggetto di idonea manutenzione al fine di garantire nel tempo la rispondenza ai requisiti generali di sicurezza di cui all'allegato V e corredate, ove necessario, da apposite istruzioni d'uso.

      5. Qualora le attrezzature di lavoro richiedano per il loro impiego conoscenze o responsabilità particolari in relazione ai loro rischi specifici, il datore di lavoro si assicura che:

          a) l'uso dell'attrezzatura di lavoro sia riservato ai lavoratori allo scopo incaricati;

          b) in caso di riparazione, di trasformazione o manutenzione, i lavoratori interessati siano qualificati in maniera specifica per svolgere tali compiti.

      6. Il datore di lavoro, secondo la normativa vigente, provvede affinché le attrezzature di lavoro di cui all'allegato VII siano sottoposte:

          a) a verifica iniziale dopo ogni installazione, al fine di assicurarne il corretto montaggio e il buon funzionamento;

          b) a verifiche periodiche, secondo quanto stabilito nell'allegato VII;

          c) a verifiche straordinarie, al fine di garantire il mantenimento di buone condizioni di sicurezza, ogni volta che intervengano eventi eccezionali che possano avere conseguenze pregiudizievoli per la sicurezza delle attrezzature di lavoro, quali trasformazioni, incidenti, fenomeni naturali o periodi prolungati di inattività.

 

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      7. I risultati delle verifiche di cui al comma 6 devono essere riportati per iscritto e, almeno quelli relativi alle ultime tre verifiche, devono essere conservati e tenuti a disposizione degli organi di vigilanza.
      8. Qualora le attrezzature di lavoro sottoposte alle verifiche di cui al comma 6 siano usate al di fuori dell'impresa devono essere accompagnate da un documento attestante l'esecuzione dell'ultima verifica.

Art. 48.
(Obblighi del datore di lavoro per l'uso di attrezzature nei lavori temporanei in quota).

      1. Il datore di lavoro, nei casi in cui i lavori temporanei in quota non possano essere eseguiti in condizioni di sicurezza e in condizioni ergonomiche adeguate, sceglie le attrezzature di lavoro più idonee a garantire e a mantenere condizioni di lavoro sicure, in conformità ai seguenti criteri:

          a) priorità alle misure di protezione collettiva rispetto alle misure di protezione individuale, in particolare, mediante solidi parapetti sufficientemente alti dotati almeno di un fermapiede, di un corrimano e di un corrente intermedio o di altro mezzo equivalente;

          b) dimensioni delle attrezzature di lavoro confacenti alla natura dei lavori da eseguire, alle sollecitazioni prevedibili e ad una circolazione priva di rischi.

      2. L'utilizzo da parte del datore di lavoro per i lavori temporanei in quota di scale a pioli, di ponteggi e di sistemi di accesso e di posizionamento mediante funi deve essere conforme alle prescrizioni minime di sicurezza di cui all'allegato VIII.

Art. 49.
(Informazione e formazione).

      1. Nell'adempimento degli obblighi di cui agli articoli 28 e 29, il datore di lavoro provvede affinché, per ogni attrezzatura di lavoro messa a disposizione, i lavoratori

 

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incaricati dell'uso dispongano di ogni necessaria informazione e istruzione e ricevano una formazione adeguata in rapporto alla sicurezza relativamente:

          a) alle condizioni di impiego delle attrezzature di lavoro anche sulla base delle conclusioni eventualmente tratte dalle esperienze acquisite nella fase di utilizzazione delle medesime attrezzature;

          b) alle situazioni anormali prevedibili.

      2. Il datore di lavoro provvede altresì a informare i lavoratori sui rischi cui sono esposti durante l'uso delle attrezzature di lavoro, sulle attrezzature di lavoro presenti nell'ambiente immediatamente circostante, anche se da essi non usate direttamente, nonché sui cambiamenti di tali attrezzature.
      3. Le informazioni e le istruzioni d'uso devono risultare comprensibili ai lavoratori interessati.
      4. Il datore di lavoro provvede affinché i lavoratori incaricati dell'uso delle attrezzature che richiedono conoscenze e responsabilità particolari, di cui all'articolo 47, comma 5, ricevano una formazione adeguata e specifica che li metta in grado di usare tali attrezzature in modo idoneo e sicuro anche in relazione ai rischi causati ad altre persone.
      5. In sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano sono individuati i soggetti formatori, la durata, gli indirizzi e i requisiti minimi di validità della formazione di cui ai punti 3.6 e 4.1, lettera f), dell'allegato VIII.

Capo II
PONTEGGI METALLICI FISSI

Art. 50.
(Autorizzazione alla costruzione e all'impiego).

      1. La costruzione e l'impiego dei ponteggi le cui strutture portanti sono costituite

 

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totalmente o parzialmente da elementi metallici sono disciplinati dalle norme del presente capo.
      2. Per ciascun tipo di ponteggio metallico il fabbricante deve chiedere al Ministero del lavoro e della previdenza sociale l'autorizzazione all'impiego, corredando la domanda di una relazione nella quale devono essere specificati gli elementi di cui all'articolo 51.
      3. L'autorizzazione di cui al comma 2 è soggetta a rinnovo ogni dieci anni per verificare l'adeguatezza del ponteggio all'evoluzione del progresso tecnico.
      4. Chiunque intende impiegare ponteggi metallici deve farsi rilasciare dal fabbricante copia conforme dell'autorizzazione di cui al comma 2 del presente articolo, nonché delle istruzioni e degli schemi elencati all'articolo 51, comma 1, lettere d), e), f) e g).

Art. 51.
(Relazione tecnica).

      1. La relazione di cui all'articolo 50, comma 2, deve contenere:

          a) la descrizione degli elementi che costituiscono il ponteggio, le loro dimensioni con le tolleranze ammissibili e lo schema dell'insieme;

          b) le caratteristiche di resistenza dei materiali impiegati e i coefficienti di sicurezza adottati per i singoli materiali;

          c) l'indicazione delle prove di carico, a cui sono stati sottoposti i vari elementi;

          d) il calcolo del ponteggio secondo varie condizioni di impiego;

          e) le istruzioni per le prove di carico del ponteggio;

          f) le istruzioni per il montaggio, l'impiego e lo smontaggio del ponteggio;

          g) gli schemi tipo di ponteggio con l'indicazione dei massimi ammessi di sovraccarico, di altezza dei ponteggi e di larghezza degli impalcati per i quali non

 

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sussiste l'obbligo del calcolo per ogni singola applicazione.

Art. 52.
(Progetto).

      1. I ponteggi metallici di altezza superiore a 24 metri e le altre opere provvisionali, costituite da elementi metallici, o di notevole importanza e complessità in rapporto alle loro dimensioni e ai sovraccarichi, devono essere eretti in base a un progetto comprendente:

          a) il calcolo eseguito secondo le istruzioni approvate nell'autorizzazione ministeriale;

          b) il disegno esecutivo.

      2. Dal progetto di cui al comma 1, che deve essere firmato da un ingegnere o da un architetto abilitato a norma di legge all'esercizio della professione, deve risultare quanto occorre per definire il ponteggio nei riguardi dei carichi, delle sollecitazioni e dell'esecuzione.
      3. Copia dell'autorizzazione ministeriale di cui all'articolo 50 e copia del progetto e dei disegni esecutivi di cui al comma 1 del presente articolo devono essere tenute ed esibite, a richiesta degli organi di vigilanza, nei cantieri in cui vengono usati i ponteggi e le opere provvisionali di cui al citato comma 1.

Art. 53.
(Disegno).

      1. Il datore di lavoro, nei cantieri in cui vengono usati ponteggi metallici, deve curare che sia tenuta ed esibita a richiesta degli organi di vigilanza, copia dell'autorizzazione di cui all'articolo 50 e copia del disegno esecutivo di cui all'articolo 52, dai quali risultino:

          a) l'indicazione del tipo di ponteggio usato;

 

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          b) le generalità e la firma del progettista, salvo che nei casi di cui all'articolo 51, comma 1, lettera g);

          c) i sovraccarichi massimi per metro quadrato di impalcato;

          d) l'indicazione degli appoggi e degli ancoraggi.

      2. Quando non sussiste l'obbligo del calcolo, ai sensi dell'articolo 51, comma 1, lettera g), in luogo delle indicazioni di cui al comma 1, lettera b), del presente articolo sono sufficienti le generalità e la firma del responsabile del cantiere.
      3. Il datore di lavoro provvede affinché le eventuali modifiche al ponteggio, che devono essere subito riportate sul disegno esecutivo, restino nell'ambito dello schema tipo che ha giustificato l'esenzione dall'obbligo del calcolo.

Art. 54.
(Nome del fabbricante).

      1. Gli elementi metallici dei ponteggi devono portare impressi, a rilievo o ad incisione, il nome o il marchio del fabbricante.

Art. 55.
(Manutenzione e revisione).

      1. Il datore di lavoro, prima della messa in servizio del ponteggio e successivamente ad intervalli periodici, nonché dopo qualsiasi modifica, ovvero a seguito di violente perturbazioni atmosferiche o scosse sismiche o nel caso di prolungata interruzione del lavoro e conseguente periodo di inutilizzazione del ponteggio o per qualsiasi altra causa che abbia potuto comprometterne la resistenza o la stabilità, deve assicurarsi della verticalità dei montanti, del giusto serraggio dei giunti, dell'efficienza degli ancoraggi e dei controventi, curando l'eventuale sostituzione o il rinforzo degli elementi inefficienti.

 

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TITOLO IV
IMPIANTI E APPARECCHIATURE ELETTRICI

Art. 56.
(Requisiti di sicurezza).

      1. Tutti i materiali, le apparecchiature e gli impianti elettrici devono essere costruiti, installati e mantenuti in modo da prevenire i rischi che possono derivare dal loro uso, anche in condizioni di funzionamento anomalo.
      2. I materiali, le apparecchiature e gli impianti costruiti e installati nel rispetto delle norme di buona tecnica di cui all'articolo 5, comma 1, lettera n), si considerano conformi ai requisiti di cui al comma 1 del presente articolo.
      3. Le procedure di uso e di manutenzione di apparecchiature e di impianti elettrici e le procedure di intervento rispondenti alle buone prassi di cui all'articolo 5, comma 1, lettera o), si considerano conformi ai requisiti di cui comma 1 del presente articolo.

Art. 57.
(Obblighi del datore di lavoro).

      1. Il datore di lavoro mette a disposizione dei lavoratori materiali, apparecchiature e impianti elettrici e adotta procedure di uso e di manutenzione rispondenti ai requisiti di cui all'articolo 56.

Art. 58.
(Lavori sotto tensione).

      1. È vietato eseguire lavori sotto tensione.
      2. Si può derogare al divieto di cui al comma 1:

          a) per tensioni nominali non superiori a 1.000 V in corrente alternata e 1.500 V in corrente continua, purché:

              1) l'ordine di eseguire i lavori su parti in tensione sia dato dal capo responsabile;

 

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              2) siano adottate le necessarie misure atte a garantire l'incolumità dei lavoratori;

          b) per tensioni nominali superiori a 1.000 V in corrente alternata e 1.500 V in corrente continua, purché:

              1) i lavori su parti in tensione siano effettuati da aziende autorizzate a operare sotto tensione;

              2) i lavori su parti in tensione siano affidati a personale abilitato;

              3) sia osservato uno specifico piano di intervento.

Art. 59.
(Lavori in prossimità di linee elettriche nude).

      1. Quando occorre effettuare lavori in prossimità di linee elettriche o in prossimità di impianti con parti attive non protette si deve rispettare almeno una delle seguenti indicazioni:

          a) effettuare la messa fuori tensione e in sicurezza per tutta la durata dei lavori delle parti attive;

          b) applicare ostacoli rigidi che impediscano l'avvicinamento alle parti attive;

          c) tenere in permanenza persone, macchine operatrici, apparecchi di sollevamento, ponteggi e attrezzature a una distanza che non comporti contatti accidentali o esposizione a rischi di scariche elettriche.

Art. 60.
(Protezione dai fulmini).

      1. Il datore di lavoro provvede affinché gli edifici, gli impianti, le strutture e le attrezzature, quando esistono situazioni di rischio di esplosione, di incendio o di altra natura, siano protetti dagli effetti dei fulmini con sistemi di protezione realizzati secondo norme di buona tecnica.

 

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Art. 61.
(Verifiche).

      1. Il datore di lavoro provvede affinché gli impianti di terra, gli impianti di protezione dai fulmini e le installazioni elettriche nelle zone classificate 0, 1, 20 e 21 ai sensi dell'articolo 97 e dell'allegato XIII, parte F, della presente legge, nonché quelli nelle aree adibite a produzione, manipolazione e deposito di materie esplosive siano sottoposti a verifica secondo le modalità previste dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 ottobre 2001, n. 462.

TITOLO V
USO DEI DISPOSITIVI DI PROTEZIONE INDIVIDUALE

Art. 62.

(Definizioni).

      1. Si intende per dispositivo di protezione individuale (DPI) qualsiasi attrezzatura destinata ad essere indossata e tenuta dal lavoratore allo scopo di proteggerlo contro uno o più rischi suscettibili di minacciarne la sicurezza o la salute durante il lavoro, nonché ogni complemento o accessorio destinato a tale scopo.
      2. Non sono DPI:

          a) gli indumenti di lavoro ordinari e le uniformi non specificamente destinati a proteggere la sicurezza e la salute del lavoratore;

          b) le attrezzature dei servizi di soccorso e di salvataggio;

          c) le attrezzature di protezione individuale delle Forze armate, delle Forze di polizia e del personale incaricato dei servizi per il mantenimento dell'ordine pubblico;

          d) le attrezzature di protezione individuale proprie dei mezzi di trasporto stradali;

          e) i materiali sportivi;

 

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          f) i materiali per l'autodifesa o per la dissuasione;

          g) gli apparecchi portatili per individuare e per segnalare rischi e fattori nocivi.

Art. 63.
(Disposizione generale).

      1. I DPI devono essere impiegati quando i rischi non possono essere evitati o sufficientemente ridotti da misure tecniche di prevenzione, da mezzi di protezione collettiva, nonché da misure, metodi o procedimenti di riorganizzazione del lavoro.

Art. 64.
(Obblighi del datore di lavoro).

      1. Il datore di lavoro, ai fini della scelta dei DPI:

          a) effettua l'analisi e la valutazione dei rischi che non possono essere evitati con altri mezzi;

          b) individua le caratteristiche dei DPI necessarie affinché questi:

              1) siano adeguati ai rischi da prevenire, senza comportare di per sé un rischio maggiore;

              2) siano adeguati alle condizioni esistenti sul luogo di lavoro;

              3) tengano conto delle esigenze ergonomiche o di salute del lavoratore;

              4) possano essere adattati all'utilizzatore secondo le sue necessità;

              5) in caso di rischi multipli che richiedono l'uso simultaneo di più DPI, questi siano tra loro compatibili e tali da mantenere, anche nell'uso simultaneo, la propria efficacia nei confronti del rischio o dei rischi corrispondenti;

          c) valuta, sulla base delle informazioni a corredo dei DPI fornite dal fabbricante

 

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e dei criteri di cui all'articolo 65, le caratteristiche dei DPI disponibili sul mercato e le raffronta con quelle individuate alla lettera b);

          d) aggiorna la scelta ogni qualvolta intervenga una variazione significativa negli elementi di valutazione.

      2. Il datore di lavoro, anche sulla base dei criteri di cui all'articolo 65, individua le condizioni in cui un DPI deve essere usato, specie per quanto riguarda la durata dell'uso, in funzione di:

          a) entità del rischio;

          b) frequenza dell'esposizione al rischio;

          c) caratteristiche del posto di lavoro di ciascun lavoratore;

          d) prestazioni del DPI.

      3. Il datore di lavoro fornisce ai lavoratori i DPI conformi ai requisiti previsti dal decreto legislativo 4 dicembre 1992, n. 475, e successive modificazioni.
      4. Il datore di lavoro:

          a) mantiene in efficienza i DPI e ne assicura le condizioni d'igiene, mediante la manutenzione, le riparazioni e le sostituzioni necessarie;

          b) provvede affinché i DPI siano utilizzati soltanto per gli usi previsti, salvo casi specifici ed eccezionali, conformemente alle informazioni del fabbricante;

          c) fornisce istruzioni comprensibili per i lavoratori;

          d) destina ogni DPI ad un uso personale e, qualora le circostanze richiedano l'uso di uno stesso DPI da parte di più persone, prende misure adeguate affinché tale uso non ponga alcun problema sanitario e igienico ai vari utilizzatori;

          e) informa preliminarmente il lavoratore dei rischi dai quali il DPI lo protegge;

 

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          f) rende disponibile nell'azienda o nell'unità produttiva informazioni adeguate su ogni DPI;

          g) assicura una formazione adeguata e organizza, se necessario, uno specifico addestramento circa l'uso corretto e l'utilizzo pratico dei DPI. In ogni caso l'addestramento è indispensabile:

              1) per ogni DPI che, ai sensi del decreto legislativo 4 dicembre 1992, n. 475, e successive modificazioni, appartiene alla terza categoria;

              2) per i DPI dell'udito.

Art. 65.
(Criteri per la scelta e l'uso).

      1. Ai fini della scelta e dell'uso dei DPI si tiene conto dei criteri indicativi di cui all'allegato IX e delle norme di buona tecnica in materia.

TITOLO VI
SEGNALETICA DI SICUREZZA

Art. 66.
(Campo di applicazione).

      1. Il presente titolo stabilisce le prescrizioni per la segnaletica di sicurezza e di salute sul luogo di lavoro.
      2. Le disposizioni del presente titolo non si applicano alla segnaletica impiegata per regolare il traffico stradale, ferroviario, fluviale, marittimo e aereo.

Art. 67.
(Definizioni).

      1. Ai fini del presente titolo si intende per:

          a) segnaletica di sicurezza e di salute sul luogo di lavoro, di seguito denominata

 

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«segnaletica di sicurezza»: una segnaletica che, riferita ad un oggetto, ad un'attività o ad una situazione determinata, fornisce una indicazione o una prescrizione concernente la sicurezza o la salute sul luogo di lavoro, e che utilizza, a seconda dei casi, un cartello, un colore, un segnale luminoso o acustico, una comunicazione verbale o un segnale gestuale;

          b) segnale di divieto: un segnale che vieta un comportamento che potrebbe far correre o causare un pericolo;

          c) segnale di avvertimento: un segnale che avverte di un rischio o di un pericolo;

          d) segnale di prescrizione: un segnale che prescrive un determinato comportamento;

          e) segnale di salvataggio o di soccorso: un segnale che fornisce indicazioni relative alle uscite di sicurezza o ai mezzi di soccorso o di salvataggio;

          f) segnale di informazione: un segnale che fornisce indicazioni diverse da quelle specificate alle lettere da b) ad e);

          g) cartello: un segnale che, mediante combinazione di una forma geometrica, di colori e di un simbolo o pittogramma, fornisce una indicazione determinata, la cui visibilità è garantita da una illuminazione di intensità sufficiente;

          h) cartello supplementare: un cartello impiegato con un cartello del tipo indicato alla lettera g) e che fornisce indicazioni complementari;

          i) colore di sicurezza: un colore al quale è assegnato un significato determinato;

          l) simbolo o pittogramma: un'immagine che rappresenta una situazione o che prescrive un determinato comportamento, impiegata su un cartello o su una superficie luminosa;

          m) segnale luminoso: un segnale emesso da un dispositivo costituito da materiale trasparente o semitrasparente, che è illuminato dall'interno o dal retro in

 

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modo da apparire esso stesso come una superficie luminosa;

          n) segnale acustico: un segnale sonoro in codice emesso e diffuso da un apposito dispositivo, senza impiego di voce umana o di sintesi vocale;

          o) comunicazione verbale: un messaggio verbale predeterminato, con impiego di voce umana o di sintesi vocale;

          p) segnale gestuale: un movimento o una posizione delle braccia o delle mani in forma convenzionale per guidare persone che effettuano manovre implicanti un rischio o un pericolo attuale per i lavoratori.

Art. 68.
(Obblighi del datore di lavoro).

      1. Quando, a seguito della valutazione effettuata in conformità all'articolo 7, risultano rischi che non possono essere evitati o sufficientemente limitati con misure, metodi o sistemi di organizzazione del lavoro, o con mezzi tecnici di protezione collettiva, il datore di lavoro fa ricorso alla segnaletica di sicurezza, in conformità alle prescrizioni di cui all'allegato X.
      2. Il datore di lavoro, per regolare il traffico all'interno dell'impresa o dell'unità produttiva, fa ricorso, se del caso, alla segnaletica prevista dalla legislazione vigente relativa al traffico stradale, ferroviario, fluviale, marittimo o aereo, fatto salvo quanto previsto nell'allegato X.

Art. 69.
(Informazione e formazione).

      1. Nell'ambito degli obblighi di cui agli articoli 28 e 29, il datore di lavoro provvede affinché:

          a) i rappresentanti per la sicurezza siano informati sulle misure da adottare riguardo alla segnaletica di sicurezza da impiegare sul luogo di lavoro;

 

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          b) i lavoratori ricevano una formazione adeguata, in particolare sotto forma di istruzioni precise concernenti il significato della segnaletica di sicurezza, in particolare quando questa implica l'uso di gesti o di parole, nonché i comportamenti generali e specifici da seguire.

TITOLO VII
MOVIMENTAZIONE MANUALE DEI CARICHI

Art. 70.
(Campo di applicazione).

      1. Le norme del presente titolo si applicano alle attività che comportano la movimentazione manuale dei carichi, da cui possa derivare il rischio di lesioni dorso-lombari o di altri infortuni per i lavoratori durante il lavoro.
      2. Si intende per:

          a) movimentazione manuale dei carichi: le operazioni di trasporto o di sostegno di un carico ad opera di uno o più lavoratori, comprese le azioni del sollevare, deporre, spingere, tirare, portare o spostare un carico che, per le sue caratteristiche o in conseguenza delle condizioni ergonomiche sfavorevoli, comporta, tra l'altro, rischi di lesioni dorso-lombari;

          b) lesioni dorso-lombari: lesioni a carico delle strutture osteomiotendinee e nerveovascolari a livello dorso-lombare.

Art. 71.
(Obblighi dei datori di lavoro).

      1. Il datore di lavoro adotta le misure organizzative necessarie o ricorre a mezzi appropriati, in particolare ad attrezzature meccaniche, per evitare la necessità di una movimentazione manuale dei carichi da parte dei lavoratori.
      2. Qualora non sia possibile evitare la movimentazione manuale dei carichi ad

 

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opera dei lavoratori, il datore di lavoro adotta le misure organizzative necessarie, ricorre ai mezzi appropriati o fornisce ai lavoratori stessi i mezzi adeguati, allo scopo di ridurre il rischio che comporta la movimentazione manuale di tali carichi, tenendo conto di quanto disposto dall'allegato XI, e in particolare:

          a) organizza i posti di lavoro in modo che la movimentazione sia quanto più possibile sicura e sana;

          b) valuta, se possibile preliminarmente, le condizioni di sicurezza e di salute connesse al lavoro e tiene conto in particolare delle caratteristiche del carico, in relazione a quanto disposto dall'allegato XI, punto 1;

          c) evita o riduce i rischi, in particolare di lesioni dorso-lombari, adottando le misure adeguate, considerando in particolare le caratteristiche dell'ambiente di lavoro e le esigenze connesse all'attività, in relazione a quanto disposto dall'allegato XI, punti 3 e 4;

          d) sottopone i lavoratori alla sorveglianza sanitaria di cui all'articolo 23, sulla base della valutazione del rischio e dei fattori individuali di rischio di cui all'allegato XI, punto 5.

      3. Le norme di buona tecnica di cui all'articolo 5, comma 1, lettera n), si considerano conformi ai criteri indicati nell'allegato XI.

Art. 72.
(Informazione e formazione).

      1. Nell'ambito degli obblighi di cui agli articoli 28 e 29, il datore di lavoro fornisce ai lavoratori informazioni e assicura una formazione adeguata, in particolare per quanto riguarda:

          a) il peso di un carico;

          b) il centro di gravità o il lato più pesante nel caso in cui il contenuto di un imballaggio abbia una collocazione eccentrica;

 

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          c) la movimentazione corretta dei carichi e i rischi che i lavoratori corrono se queste attività non vengono eseguite in maniera corretta, tenuto conto degli elementi di cui all'allegato XI.

TITOLO VIII
USO DI ATTREZZATURE MUNITE DI VIDEOTERMINALI

Art. 73.
(Campo di applicazione).

      1. Le norme del presente titolo si applicano alle attività lavorative che comportano l'uso di attrezzature munite di videoterminali.
      2. Le norme del presente titolo non si applicano ai lavoratori addetti:

          a) ai posti di guida di veicoli o di macchine;

          b) ai sistemi informatici montati a bordo di un mezzo di trasporto;

          c) ai sistemi informatici destinati in modo prioritario all'utilizzazione da parte del pubblico;

          d) ai sistemi denominati «portatili» qualora non siano oggetto di utilizzazione prolungata in un posto di lavoro;

          e) alle macchine calcolatrici, ai registratori di cassa e a tutte le attrezzature munite di un piccolo dispositivo di visualizzazione dei dati o delle misure, necessario all'uso diretto della stessa attrezzatura;

          f) alle macchine di videoscrittura senza schermo separato.

Art. 74.
(Definizioni).

      1. Ai fini del presente titolo si intende per:

          a) videoterminale: uno schermo alfanumerico o grafico a prescindere dal

 

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tipo di procedimento di visualizzazione utilizzato;

          b) posto di lavoro: l'insieme che comprende le attrezzature munite di videoterminale, eventualmente con tastiera ovvero con altro sistema di immissione dati, ovvero con software per l'interfaccia uomo-macchina, gli accessori opzionali, le apparecchiature connesse, comprendenti l'unità a dischi, il telefono, il modem, la stampante, il supporto per i documenti, la sedia, il piano di lavoro, nonché l'ambiente di lavoro immediatamente circostante;

          c) lavoratore: il lavoratore che utilizza un'attrezzatura munita di videoterminale in modo sistematico e abituale, per almeno venti ore settimanali, dedotte le interruzioni di cui all'articolo 77.

Art. 75.
(Requisiti di sicurezza e di salute).

      1. I posti di lavoro dei lavoratori di cui all'articolo 74, comma 1, lettera c), devono essere conformi ai requisiti minimi di cui all'allegato XII.
      2. I posti di lavoro conformi alle norme di buona tecnica di cui all'articolo 5, comma 1, lettera n), si considerano rispondenti ai requisiti minimi di cui al comma 1 del presente articolo.
      3. Le linee guida d'uso dei videoterminali di cui al decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale 2 ottobre 2000, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 244 del 18 ottobre 2000, si considerano buone prassi.

Art. 76.
(Obblighi del datore di lavoro).

      1. Il datore di lavoro, all'atto della valutazione del rischio di cui all'articolo 7, analizza i posti di lavoro con particolare riguardo ai rischi per la vista e all'affaticamento fisico o mentale.

 

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      2. Il datore di lavoro adotta le misure appropriate per ovviare ai rischi riscontrati in base alle valutazioni di cui al comma 1, tenendo conto della somma ovvero della combinazione dell'incidenza dei rischi riscontrati.

Art. 77.
(Svolgimento quotidiano del lavoro).

      1. Il lavoratore, qualora svolga la sua attività per almeno quattro ore consecutive, ha diritto ad un'interruzione dell'attività mediante pause ovvero cambiamento di attività.
      2. Le modalità delle interruzioni di cui al comma 1 sono stabilite dalla contrattazione collettiva anche aziendale.
      3. In assenza di una disposizione contrattuale riguardante l'interruzione di cui al comma 1, il lavoratore ha comunque diritto ad una pausa di quindici minuti ogni centoventi minuti di applicazione continuativa al videoterminale.
      4. Le modalità e la durata delle interruzioni possono essere stabilite temporaneamente a livello individuale ove il medico competente ne evidenzi la necessità.
      5. È comunque esclusa la cumulabilità delle interruzioni all'inizio e al termine dell'orario di lavoro.
      6. Nel computo dei tempi di interruzione non sono compresi i tempi di attesa della risposta da parte del sistema elettronico, che sono considerati, a tutti gli effetti, tempo di lavoro, ove il lavoratore non possa abbandonare il posto di lavoro.
      7. La pausa è considerata a tutti gli effetti parte integrante dell'orario di lavoro e, come tale, non è riassorbibile all'interno di accordi che prevedono la riduzione dell'orario complessivo di lavoro.

Art. 78.
(Sorveglianza sanitaria).

      1. Il lavoratore è sottoposto alla sorveglianza sanitaria di cui all'articolo 23:

          a) prima di essere addetto alle attività di cui al presente titolo;

 

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          b) periodicamente, con la periodicità stabilita dal medico competente;

          c) allorché subentrino disturbi visivi attribuibili all'attività su videoterminale.

      2. Qualora il medico competente ne evidenzi la necessità, il lavoratore è sottoposto ad esami specialistici.
      3. Il datore di lavoro fornisce, a sue spese, al lavoratore i dispositivi speciali di correzione, in funzione dell'attività svolta, qualora i risultati degli esami di cui ai commi 1 e 2 ne evidenzino la necessità e non sia possibile utilizzare i dispositivi normali di correzione.

Art. 79.
(Informazione e formazione).

      1. Nell'ambito degli obblighi di cui agli articoli 28 e 29, il datore di lavoro fornisce ai lavoratori informazioni e assicura un'adeguata formazione, in particolare per quanto riguarda:

          a) le misure applicabili al posto di lavoro, in base ai requisiti di cui all'articolo 75;

          b) le modalità di svolgimento dell'attività;

          c) la protezione degli occhi e della vista.

TITOLO IX
PROTEZIONE DA AGENTI CHIMICI PERICOLOSI

Capo I
DISPOSIZIONI GENERALI PER GLI AGENTI CHIMICI

Art. 80.
(Campo di applicazione).

      1. Il presente titolo determina i requisiti minimi per la protezione dei lavoratori

 

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contro i rischi per la salute e la sicurezza che derivano, o possono derivare, dagli effetti di agenti chimici presenti sul luogo di lavoro o come risultato di ogni attività lavorativa che comporta la presenza di agenti chimici.
      2. I requisiti individuati dal presente titolo si applicano a tutti gli agenti chimici pericolosi che sono presenti sul luogo di lavoro, fatte salve le disposizioni relative agli agenti chimici per i quali trovano applicazione provvedimenti di protezione radiologica disciplinati dal decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 230, e successive modificazioni.
      3. Le disposizioni del presente titolo si applicano altresì al trasporto di agenti chimici pericolosi, fatte salve le disposizioni specifiche contenute nei decreti del Ministro dei trasporti e della navigazione 4 settembre 1996, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 282 del 2 dicembre 1996, e successive modificazioni, e 3 maggio 2001, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 129 del 6 giugno 2001, e successive modificazioni, nel decreto legislativo 13 gennaio 1999, n. 41, e successive modificazioni, nonché le disposizioni del codice marittimo internazionale per il trasporto delle merci pericolose (IMDG), del codice internazionale dell'IMO per la costruzione e le dotazioni delle navi addotte al trasporto alla rinfusa di prodotti chimici pericolosi (IBC) e del codice internazionale dell'IMO per la costruzione e le dotazioni delle navi adibite al trasporto alla rinfusa di gas liquefatti (IGC), della direttiva 2002/59/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 giugno 2002, le disposizioni dell'Accordo europeo relativo al trasporto internazionale di merci pericolose per vie navigabili interne (ADN) e del Regolamento per il trasporto delle sostanze pericolose sul Reno (ADNR), come incorporate nella normativa comunitaria, e le istruzioni tecniche per il trasporto sicuro di merci pericolose vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge.
      4. Per le attività comportanti rischio di esposizione ad amianto si applicano le disposizioni particolari di cui al capo III.
 

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Art. 81.
(Definizioni).

      1. Ai fini del presente capo, si intende per:

          a) agenti chimici: tutti gli elementi o composti chimici, sia da soli sia nelle loro miscele, allo stato naturale od ottenuti, utilizzati o smaltiti, compreso lo smaltimento come rifiuti, mediante qualsiasi attività lavorativa, siano essi prodotti intenzionalmente o casualmente e siano essi immessi o non immessi sul mercato;

          b) agenti chimici pericolosi:

              1) gli agenti chimici classificati come sostanze pericolose ai sensi del decreto legislativo 3 febbraio 1997, n. 52, e successive modificazioni, nonché gli agenti che rispondono ai criteri di classificazione come sostanze pericolose di cui al medesimo decreto legislativo, indipendentemente dal fatto che tali sostanze siano classificate nell'ambito dello stesso decreto legislativo. Sono escluse le sostanze pericolose solo per l'ambiente;

              2) agenti chimici classificati come preparati pericolosi ai sensi del decreto legislativo 14 marzo 2003, n. 65, nonché gli agenti che rispondono ai criteri di classificazione come preparati pericolosi di cui al medesimo decreto legislativo, indipendentemente dal fatto che tali preparati siano classificati nell'ambito dello stesso decreto legislativo. Sono esclusi i preparati pericolosi solo per l'ambiente;

              3) agenti chimici che, pur non essendo classificabili come pericolosi ai sensi dei numeri 1) e 2), possono comportare un rischio per la sicurezza e la salute dei lavoratori a causa di loro proprietà chimico-fisiche, chimiche o tossicologiche e del modo in cui sono utilizzati o presenti sul luogo di lavoro, ivi compresi gli agenti chimici cui è stato assegnato un valore limite di esposizione professionale;

          c) agenti cancerogeni:

              1) agenti chimici pericolosi di cui alla lettera b), che rispondono ai criteri

 

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per la classificazione quali categorie cancerogene 1 o 2 stabiliti ai sensi dei decreti legislativi richiamati nella stessa lettera b);

              2) una sostanza, un preparato o un processo di cui all'allegato XIII, parte A, nonché una sostanza o un preparato prodotti durante un processo previsto dal medesimo allegato XIII, parte A;

          d) agenti mutageni: agenti chimici pericolosi di cui alla lettera b), che rispondono ai criteri per la classificazione come categorie mutagene 1 o 2 ai sensi dei decreti legislativi richiamati nella stessa lettera b);

          e) attività che comporta la presenza di agenti chimici: ogni attività lavorativa in cui sono utilizzati agenti chimici, o se ne prevede l'utilizzazione, in ogni tipo di procedimento, compresi la produzione, la manipolazione, l'immagazzinamento, il trasporto o l'eliminazione e il trattamento dei rifiuti, o che risultino da tale attività lavorativa;

          f) valore limite di esposizione professionale: se non diversamente specificato, il limite della concentrazione media ponderata nel tempo di un agente nell'aria all'interno della zona di respirazione di un lavoratore in relazione a un determinato periodo di riferimento; un primo elenco di tali valori limite e il periodo di riferimento sono riportati nell'allegato XIII, parte B;

          g) valore limite biologico: il limite della concentrazione del relativo agente, di un suo metabolita, o di un indicatore di effetto, nell'appropriato mezzo biologico; un primo elenco di tali valori limite è riportato nell'allegato XIII, parte C.

Art. 82.
(Valutazione dei rischi).

      1. Nell'adempiere agli obblighi di cui all'articolo 7, il datore di lavoro determina preliminarmente l'eventuale presenza di agenti chimici pericolosi sul luogo di lavoro e, se presenti, valuta tutti i rischi per

 

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la sicurezza e la salute dei lavoratori derivanti da tali agenti, tenendo conto in particolare dei seguenti elementi:

          a) le loro proprietà pericolose;

          b) le informazioni sulla salute e la sicurezza comunicate dal produttore o dal fornitore tramite la scheda informativa in materia di sicurezza predisposta ai sensi dei decreti legislativi 3 febbraio 1997, n. 52, e successive modificazioni, e 14 marzo 2003, n. 65;

          c) le ulteriori informazioni, necessarie per la completa valutazione del rischio, che il fornitore o il produttore è tenuto a dare, anche ai sensi dell'articolo 2 del decreto del Ministro della salute 7 settembre 2002, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 252 del 26 ottobre 2002, e successive modificazioni;

          d) il livello, il tipo e la durata dell'esposizione, tenendo conto delle possibili vie d'introduzione nell'organismo, compreso l'assorbimento cutaneo, anche in relazione allo stato di aggregazione degli agenti stessi;

          e) le circostanze in cui viene svolto il lavoro in presenza di tali agenti, comprese la quantità e la concentrazione degli stessi;

          f) i valori limite di esposizione professionale o i valori limite biologici;

          g) gli effetti delle misure preventive adottate o da adottare;

          h) le conclusioni tratte dalla sorveglianza sanitaria già in corso, se disponibili.

      2. Nella valutazione dei rischi devono essere incluse le attività, ivi compresa la manutenzione, per le quali è prevedibile la possibilità di esposizione significativa o che, per altri motivi, possono provocare effetti nocivi per la salute e la sicurezza, anche dopo che sono state adottate tutte le misure tecniche.
      3. La valutazione di cui al comma 1 del presente articolo individua le misure di prevenzione e protezione necessarie ai sensi dell'articolo 83 e, ove applicabile,

 

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dell'articolo 84 ed è documentata in conformità all'articolo 7, comma 2.
      4. Nelle attività comportanti rischio di esposizione ad agenti cancerogeni o mutageni, il documento di cui all'articolo 7, comma 1, lettera b), deve comprendere un'indicazione dettagliata dei seguenti elementi:

          a) le attività lavorative che comportano la presenza di sostanze o di preparati cancerogeni o mutageni o di processi di cui all'allegato XIII, parte A, con l'indicazione dei motivi per i quali sono impiegati agenti cancerogeni o mutageni;

          b) le indagini svolte per la possibile sostituzione degli agenti cancerogeni o mutageni e le sostanze e i preparati eventualmente utilizzati come sostituti;

          c) i quantitativi di sostanze o di preparati cancerogeni o mutageni prodotti ovvero utilizzati;

          d) il numero dei lavoratori esposti ad agenti cancerogeni o mutageni;

          e) la natura dell'esposizione di cui alla lettera d) e il grado della stessa, ove noto;

          f) le misure preventive e protettive applicate e il tipo dei DPI utilizzati.

      5. Il datore di lavoro aggiorna la valutazione, in particolare:

          a) in occasione di cambiamenti significativi che potrebbero averla resa superata;

          b) quando i risultati delle misurazioni di cui all'articolo 84 lo rendono necessario;

          c) quando i risultati della sorveglianza medica ne mostrano la necessità.

      6. Nel caso di attività lavorative che comportano l'esposizione a più agenti chimici pericolosi, i rischi sono valutati in base al rischio che comporta la combinazione di tutti i suddetti agenti chimici.
      7. Nel caso di un'attività nuova che comporta la presenza di agenti chimici pericolosi, tale attività può iniziare solo

 

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dopo che si è proceduto alla valutazione dei rischi che essa presenta e all'attuazione di misure di prevenzione.

Art. 83.
(Misure generali per la prevenzione dei rischi).

      1. Fermo restando quanto previsto dall'articolo 6, al fine di garantire la salute e la sicurezza dei lavoratori in ogni attività che comporta la presenza di agenti chimici pericolosi, il datore di lavoro elimina o riduce al minimo i rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori derivanti da tali agenti, adottando le seguenti misure:

          a) progettazione e organizzazione dei sistemi di lavorazione sul luogo di lavoro;

          b) fornitura di attrezzature idonee per il lavoro specifico e relative procedure di manutenzione adeguate;

          c) riduzione al minimo del numero di lavoratori che sono o potrebbero essere esposti, anche isolando le lavorazioni valutate come pericolose; i locali in cui si svolgono lavorazioni comportanti il rischio di esposizione ad agenti cancerogeni o mutageni devono essere provvisti di adeguati segnali di avvertimento e di sicurezza e accessibili solo ai lavoratori che devono recarvisi per motivi connessi con la loro mansione o funzione;

          d) riduzione al minimo della durata e dell'intensità dell'esposizione;

          e) misure igieniche adeguate;

          f) riduzione al minimo della quantità di agenti presenti sul luogo di lavoro in funzione delle necessità della lavorazione;

          g) procedure di lavoro appropriate, comprese disposizioni che garantiscano la sicurezza nella manipolazione, nell'immagazzinamento e nel trasporto sul luogo di lavoro di agenti chimici pericolosi nonché dei rifiuti che contengono tali agenti chimici;

 

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          h) sistematica e regolare pulitura dei locali, delle attrezzature e degli impianti, comunque adeguata al rischio;

          i) divieti di assumere cibi o bevande o di fumare nelle aree di lavoro;

          l) custodia in condizioni di sicurezza delle materie prime non in corso di lavorazione, dei residui e dei rifiuti, in particolare utilizzando contenitori muniti di una chiusura tale che, tenendo conto della volatilità degli agenti e del loro stato di aggregazione, non ne permetta l'emissione.

      2. Fatta eccezione per le attività comportanti la presenza di agenti cancerogeni o mutageni, se i risultati della valutazione del rischio dimostrano che, in relazione alle quantità di un agente chimico pericoloso presente sul luogo di lavoro, vi è solo un rischio lieve per la sicurezza e la salute dei lavoratori e che le misure adottate ai sensi del comma 1 del presente articolo sono sufficienti a ridurre il rischio, non si applicano le disposizioni di cui agli articoli 84, 85 e 87.

Art. 84.
(Misure specifiche di protezione e di prevenzione).

      1. Il datore di lavoro evita l'utilizzazione di agenti chimici pericolosi sul luogo di lavoro, in particolare sostituendoli con altri agenti o processi che, nelle condizioni di uso, non sono o sono meno pericolosi per la salute e la sicurezza dei lavoratori.
      2. Fermo restando quanto previsto al comma 1, il datore di lavoro, nelle attività comportanti rischio di esposizione ad agenti cancerogeni o mutageni, se non è tecnicamente possibile sostituire tali agenti, provvede affinché la produzione o l'utilizzazione dell'agente cancerogeno o mutageno avvenga in un sistema chiuso.
      3. Se il ricorso a quanto previsto nei commi 1 e 2 non è tecnicamente possibile anche in relazione alla natura dell'attività, il datore di lavoro, sulla base della valutazione dei rischi di cui all'articolo 82,

 

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provvede affinché l'esposizione sia ridotta per quanto tecnicamente possibile e, in ogni caso, a un livello non superiore al valore limite, mediante l'adozione delle seguenti misure nell'indicato ordine di priorità:

          a) progettazione di appropriati processi lavorativi e controlli tecnici, nonché uso di attrezzature e materiali adeguati;

          b) appropriate misure organizzative;

          c) misure di protezione collettiva alla fonte del rischio, quali adeguata ventilazione generale dell'ambiente di lavoro e aspirazione localizzata. In particolare, le attrezzature di lavoro che comportano pericoli dovuti ad emissioni di agenti chimici pericolosi sotto qualunque forma, quale gas, vapori, liquidi, aerosol, polveri o fibre, devono essere munite di idonei dispositivi di ritenuta o di captazione situati il più vicino possibile al punto di emissione;

          d) misure igieniche congrue con l'entità del rischio; in particolare, sulla base della valutazione del rischio e comunque nelle attività che comportano rischio di esposizione ad agenti cancerogeni o mutageni, i lavoratori devono essere dotati di idonei indumenti protettivi da riporre in posti separati dagli abiti civili e i DPI devono essere custoditi in luoghi determinati, controllati e puliti dopo ogni utilizzazione, provvedendo altresì a far riparare o sostituire quelli difettosi, prima di ogni nuova utilizzazione;

          e) misure di protezione individuale, compresi i DPI, qualora non si riesca a prevenire con altri mezzi l'esposizione;

          f) sorveglianza sanitaria dei lavoratori ai sensi dell'articolo 88.

      4. Nelle attività di cui al comma 2, il datore di lavoro, oltre alle misure previste al comma 3, limita al massimo la durata dell'esposizione dei lavoratori e permette l'accesso alle aree interessate soltanto alle persone autorizzate.
      5. Salvo che non possa dimostrare con altri mezzi il conseguimento di un adeguato

 

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livello di prevenzione e di protezione, il datore di lavoro provvede periodicamente, e ogni qualvolta sono modificate le condizioni di esposizione, ad effettuare la misurazione degli agenti che possono presentare un rischio per la salute, anche al fine di individuare eventuali esposizioni anomale. La misurazione è effettuata con metodiche standardizzate, di cui un elenco non esaustivo è riportato nell'allegato XIII, parte D, o, in mancanza, con metodiche appropriate, e con particolare riferimento ai valori limite di esposizione professionale e per periodi rappresentativi dell'esposizione stessa.
      6. Se è stato superato un valore limite di esposizione professionale, il datore di lavoro identifica e rimuove le cause dell'evento, adottando immediatamente le misure appropriate.
      7. I risultati delle misurazioni di cui al comma 5 sono allegati al documento di valutazione dei rischi di cui all'articolo 7, comma 1, lettera b), e resi noti ai rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza. Il datore di lavoro tiene conto di tali misurazioni per l'adempimento degli obblighi di cui all'articolo 82 o conseguenti ad esso.
      8. Ai fini della protezione dei lavoratori dai rischi derivanti dalle proprietà chimico-fisiche degli agenti chimici, sulla base della valutazione dei rischi e dei princìpi generali di prevenzione, il datore di lavoro adotta le misure tecniche e organizzative adeguate alla natura delle operazioni, compresi l'immagazzinamento, la manipolazione e l'isolamento di agenti chimici incompatibili fra di loro; in particolare, il datore di lavoro previene sul luogo di lavoro la presenza di concentrazioni pericolose di sostanze infiammabili o di quantità pericolose di sostanze chimicamente instabili.
      9. Quando la natura dell'attività non consente di prevenire sul luogo di lavoro la presenza di concentrazioni pericolose di sostanze infiammabili o di quantità pericolose di sostanze chimicamente instabili, il datore di lavoro deve:

          a) evitare la presenza di fonti di accensione che potrebbero dare luogo a incendi o ad esplosioni, ovvero l'esistenza

 

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di condizioni avverse che potrebbero provocare danni fisici per i lavoratori ad opera di sostanze o miscele di sostanze chimicamente instabili;

          b) limitare, anche attraverso misure procedurali e organizzative, gli effetti pregiudizievoli sulla salute e nella sicurezza dei lavoratori in caso di incendio o di esplosione dovuti all'accensione di sostanze infiammabili, o derivanti da sostanze o miscele di sostanze chimicamente instabili.

      10. Il datore di lavoro mette a disposizione attrezzature di lavoro e adotta sistemi di protezione collettiva ed individuale conformi alle disposizioni legislative e regolamentari vigenti in materia, in particolare per quanto riguarda l'uso dei suddetti mezzi in atmosfere potenzialmente esplosive.
      11. Il datore di lavoro adotta le necessarie misure per assicurare un sufficiente controllo degli impianti, apparecchi e macchinari o mette a disposizione sistemi di soppressione delle esplosioni o dispositivi di sfogo della pressione di esplosione.
      12. In presenza di agenti chimici pericolosi che possono dare luogo alla formazione di atmosfere esplosive si applica il capo II.
      13. Le disposizioni legislative relative ad elementi di natura tecnica di cui al decreto del Presidente della Repubblica 19 marzo 1956, n. 302, e successive modificazioni, si considerano norme di buona tecnica. Le disposizioni legislative relative alle procedure di sicurezza contenute nel medesimo decreto del Presidente della Repubblica n. 302 del 1956 si considerano buone prassi.

Art. 85.
(Disposizioni in caso di incidenti o di emergenze).

      1. Ferme restando le disposizioni di cui agli articoli 19 e 20, il datore di lavoro, per proteggere la salute e la sicurezza dei lavoratori dalle conseguenze di incidenti o di emergenze derivanti dalla presenza di

 

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agenti chimici pericolosi sul luogo di lavoro, predispone procedure di intervento adeguate da attuare al verificarsi di tali eventi. Tali misure comprendono esercitazioni di sicurezza da effettuare a intervalli regolari e la messa a disposizione di appropriati mezzi di primo soccorso.
      2. Nel caso di incidenti o di emergenza, il datore di lavoro adotta immediate misure dirette ad attenuarne gli effetti, in particolare misure di assistenza, di evacuazione e di soccorso, e ne informa i lavoratori. Il datore di lavoro adotta, inoltre, misure adeguate per porre rimedio nel più breve tempo possibile alla situazione.
      3. Ai lavoratori cui è consentito operare nell'area colpita o ai lavoratori indispensabili all'effettuazione delle riparazioni e delle attività necessarie sono forniti indumenti protettivi, DPI e idonee attrezzature di intervento, che devono essere utilizzate sino a quando persiste la situazione anomala.
      4. Il datore di lavoro adotta le misure necessarie per approntare sistemi d'allarme e altri sistemi di comunicazione necessari per segnalare tempestivamente l'incidente o l'emergenza.
      5. Le misure di emergenza devono essere contenute in un piano in cui sono, in particolare, inserite:

          a) informazioni preliminari sulle attività pericolose, sugli agenti chimici pericolosi, sulle misure per l'identificazione dei rischi, sulle precauzioni e sulle procedure, in modo tale che i servizi competenti per le situazioni di emergenza possano mettere a punto le relative procedure e misure precauzionali;

          b) qualunque altra informazione disponibile sui rischi specifici derivanti o che possano derivare dal verificarsi di incidenti o situazioni di emergenza, comprese le informazioni sulle procedure elaborate in base alle disposizioni del presente articolo.

      6. Nel caso di incidenti o di emergenza i soggetti non protetti devono immediatamente abbandonare la zona interessata.

 

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Art. 86.
(Informazione e formazione per i lavoratori).

      1. Fermo restando quanto previsto agli articoli 28 e 29, il datore di lavoro garantisce che i lavoratori o i loro rappresentanti dispongano di:

          a) dati ottenuti attraverso la valutazione del rischio e ulteriori informazioni ogni qualvolta modifiche importanti intervenute sul luogo di lavoro determinino un cambiamento dei medesimi dati;

          b) informazioni sugli agenti chimici pericolosi presenti sul luogo di lavoro, quali la loro identità, i rischi per la sicurezza e la salute, le misure igieniche da osservare, ivi compresi i rischi supplementari dovuti al fumare, i valori limite di esposizione professionale relativi ai citati agenti e altre disposizioni normative ad essi relative;

          c) formazione ed informazioni sulle precauzioni e sulle azioni adeguate da intraprendere per proteggere loro stessi e altri lavoratori sul luogo di lavoro, ivi comprese la necessità di indossare e impiegare gli indumenti di lavoro ed i DPI messi a loro disposizione e il loro corretto impiego, nonché le misure da adottare per prevenire il verificarsi di incidenti e per ridurne al minimo le conseguenze;

          d) accesso a ogni scheda dei dati di sicurezza, di cui all'articolo 82, comma 1, lettere b) e c).

      2. Il datore di lavoro assicura che le informazioni siano:

          a) fornite in modo adeguato al risultato della valutazione dei rischi di cui all'articolo 82. Tali informazioni possono essere costituite da comunicazioni orali o dalla formazione e dall'addestramento individuali con il supporto di informazioni scritte, a seconda della natura e del grado di rischio rivelato dalla valutazione del rischio;

 

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          b) aggiornate per tenere conto del cambiamento delle situazioni.

      3. Qualora i contenitori e le condutture per gli agenti chimici pericolosi presenti sul luogo di lavoro, anche sotto forma di rifiuti, non siano contrassegnati in base a quanto disposto dalla legislazione vigente in materia di etichettatura degli agenti chimici e di segnali di sicurezza nel luogo di lavoro, il datore di lavoro provvede, senza pregiudizio delle deroghe previste nella medesima legislazione, affinché il contenuto dei contenitori e delle condutture, la natura dello stesso e tutti i pericoli ad esso connessi siano chiaramente identificabili.

Art. 87.
(Divieti).

      1. Sono vietati la produzione, la lavorazione e l'impiego sul luogo di lavoro degli agenti chimici pericolosi indicati nell'allegato XIII, parte E.
      2. Il divieto di cui al comma 1 non si applica se un agente chimico pericoloso è presente in un preparato, o quale componente di rifiuti, purché la concentrazione individuale sia inferiore al limite indicato nell'allegato XIII, parte E.
      3. In deroga al divieto di cui al comma 1, possono essere effettuate, previa autorizzazione, le seguenti attività:

          a) attività a fini esclusivi di ricerca e sperimentazione scientifica, ivi comprese le analisi;

          b) attività volte ad eliminare gli agenti chimici pericolosi presenti sotto forma di sottoprodotto o di rifiuti;

          c) produzione degli agenti chimici pericolosi destinati ad essere usati come intermedi.

      4. Ferme restando le disposizioni di cui al presente capo, nei casi di cui al comma 3, lettera c), il datore di lavoro evita l'esposizione dei lavoratori, stabilendo che la produzione e l'uso più rapido possibile

 

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degli agenti chimici pericolosi come prodotti intermedi avvengano in un unico sistema chiuso, dal quale gli stessi possono essere rimossi soltanto nella misura necessaria per il controllo del processo o per la manutenzione del sistema.
      5. Il datore di lavoro che intende effettuare le attività di cui al comma 3 invia una richiesta di autorizzazione al Ministero del lavoro e della previdenza sociale, che la rilascia previa intesa con il Ministero della salute e con la regione interessata. La richiesta di autorizzazione deve essere corredata dalle seguenti informazioni:

          a) i motivi della richiesta di deroga;

          b) i quantitativi dell'agente chimico pericoloso da utilizzare annualmente;

          c) il numero dei lavoratori addetti;

          d) la descrizione delle attività e delle reazioni o dei processi;

          e) le precauzioni previste per la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori nonché le misure tecniche e organizzative adottate per prevenire l'esposizione dei lavoratori ad agenti chimici pericolosi.

Art. 88.
(Accertamenti sanitari e norme preventive e protettive specifiche).

      1. Qualora l'esito della valutazione del rischio ne rilevi la necessità, i lavoratori esposti ad agenti chimici pericolosi, fatta eccezione per gli agenti pericolosi solo per la sicurezza, quali esplosivi, infiammabili e comburenti, sono sottoposti alla sorveglianza sanitaria di cui all'articolo 23, secondo le procedure previste all'allegato XIII, parte C, punto 2.
      2. La sorveglianza sanitaria viene effettuata:

          a) prima di adibire il lavoratore alla mansione che comporta l'esposizione ad agenti chimici pericolosi;

          b) periodicamente, di norma una volta l'anno o con periodicità diversa fissata dal

 

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medico competente con adeguata motivazione riportata nella cartella sanitaria, in funzione della valutazione del rischio e dei risultati della sorveglianza medica;

          c) all'atto della cessazione dell'attività comportante esposizione e, nel caso di agenti chimici pericolosi con effetti a lungo termine, per tutto il tempo ritenuto opportuno dal medico competente;

          d) all'atto della cessazione del rapporto di lavoro, qualora essa coincida con la cessazione dell'esposizione ad agenti chimici pericolosi. In tale occasione il medico competente deve fornire al lavoratore le eventuali indicazioni relative alle prescrizioni mediche da osservare.

      3. Il monitoraggio biologico è obbligatorio per i lavoratori esposti agli agenti per i quali è stato fissato un valore limite biologico nell'allegato XIII, parte C. Dei risultati di tale monitoraggio viene informato il lavoratore interessato.
      4. Gli accertamenti sanitari di cui al presente articolo devono essere a basso rischio per il lavoratore.
      5. Qualora la sorveglianza sanitaria evidenzi, in un lavoratore o in un gruppo di lavoratori esposti in maniera analoga ad uno stesso agente, l'esistenza di anomalie imputabili a tale esposizione o il superamento di un valore limite biologico, il medico competente ne informa il datore di lavoro.
      6. Nel caso di cui al comma 5 il datore di lavoro:

          a) sottopone a revisione la valutazione dei rischi effettuata ai sensi dell'articolo 82;

          b) sottopone a revisione le misure predisposte per eliminare o per ridurre il rischio;

          c) tiene conto del parere del medico competente nell'attuazione delle misure necessarie per eliminare o per ridurre il rischio;

          d) adotta le misure necessarie affinché tutti gli altri lavoratori che hanno subìto un'esposizione simile siano sottoposti ad una visita medica straordinaria.

 

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Art. 89.
(Registro di esposizione e cartelle sanitarie e di rischio).

      1. Il medico competente provvede a istituire e aggiornare una cartella sanitaria e di rischio, secondo quando previsto dall'articolo 24, comma 1, lettera c). Nella cartella sono, tra l'altro, riportati i valori di esposizione individuali comunicati dal datore di lavoro per il tramite del servizio di prevenzione e protezione.
      2. Il datore di lavoro, in caso di esposizione del lavoratore ad agenti cancerogeni o mutageni, oltre a quanto previsto al comma 1, tiene un registro aggiornato dei lavoratori addetti alle attività che, in base alla valutazione di cui all'articolo 82, comportano un rischio per la salute, indicando, per ciascuno dei lavoratori, l'attività svolta, l'agente cancerogeno o mutageno e, ove noto, il valore dell'esposizione a tale agente.
      3. Su richiesta, è fornita agli organi di vigilanza copia dei documenti di cui ai commi 1 e 2.
      4. In caso di cessazione del rapporto di lavoro la cartella sanitaria e di rischio del lavoratore interessato, unitamente alle annotazioni individuali contenute nel registro di cui al comma 2, viene inviata all'ISPESL.
      5. L'ISPESL provvede a conservare i documenti di cui al comma 4 per un periodo di almeno quaranta anni dalla cessazione dell'esposizione ad agenti cancerogeni o mutageni e per un periodo di almeno dieci anni le cartelle sanitarie e di rischio relative ai lavoratori esposti agli altri agenti chimici pericolosi.

Art. 90.
(Registrazione dei tumori).

      1. È istituito presso l'ISPESL il registro nazionale dei casi di neoplasia di sospetta origine professionale.

 

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      2. Il registro di cui al comma 1 contiene, per ciascun lavoratore, almeno le seguenti informazioni:

          a) l'anamnesi lavorativa con l'indicazione del tipo di azienda, della mansione e della durata dell'esposizione all'agente, nonché il tipo di agente con il relativo livello di esposizione, se noto;

          b) la sede e il tipo di neoplasia.

      3. I medici competenti, le strutture sanitarie pubbliche e private, nonché gli istituti previdenziali assicurativi pubblici o privati, che redigono referti di casi di neoplasie da loro ritenute causate da esposizione lavorativa ad agenti cancerogeni o mutageni, trasmettono all'ISPESL, tramite strutture individuate dalle regioni, copia della relativa documentazione clinica o anatomopatologica nonché quella inerente l'anamnesi lavorativa.
      4. Le modalità di tenuta del registro nonché della raccolta e della trasmissione delle informazioni di cui al comma 3 sono determinate dall'ISPESL d'intesa con le regioni.

Capo II
DISPOSIZIONI PARTICOLARI PER LA PROTEZIONE DA ATMOSFERE ESPLOSIVE

Art. 91.
(Campo di applicazione).

      1. Il presente capo prescrive le misure per la tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori che possono essere esposti al rischio di atmosfere esplosive definite ai sensi dell'articolo 92.
      2. Il presente capo si applica anche nei lavori in sotterraneo ove è presente un'area con atmosfere esplosive, oppure è prevedibile, sulla base di indagini geologiche, che tale area si possa formare nell'ambiente.
      3. Le disposizioni di cui al presente capo non si applicano:

          a) alle aree utilizzate per le cure mediche dei pazienti, nel corso della loro effettuazione;

 

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          b) all'uso di apparecchi a gas disciplinati dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 15 novembre 1996, n. 661;

          c) alla produzione, manipolazione, uso, stoccaggio e trasporto di esplosivi o di sostanze chimicamente instabili;

          d) alle industrie estrattive di cui al decreto legislativo 25 novembre 1996, n. 624;

          e) all'impiego di mezzi di trasporto terrestre, marittimo, fluviale e aereo per i quali si applicano le pertinenti disposizioni di accordi internazionali tra i quali il regolamento per il trasporto delle sostanze pericolose sul Reno (ADNR), il regolamento relativo al trasporto internazionale di merci pericolose per vie navigabili interne (ADN), le norme emanate dall'Organizzazione per l'aviazione civile internazionale (ICAO) e dall'Organizzazione marittima internazionale (IMO) nonché la relativa normativa comunitaria di attuazione.

      4. Il presente capo si applica ai veicoli destinati a essere utilizzati in atmosfera potenzialmente esplosiva.

Art. 92.
(Definizione).

      1. Ai fini del presente capo, per «atmosfera esplosiva» si intende una miscela con l'aria, a condizioni atmosferiche, di sostanze infiammabili allo stato di gas, vapori, nebbie o polveri in cui, dopo accensione, la combustione si propaga all'insieme della miscela incombusta.

Art. 93.
(Prevenzione e protezione contro le esplosioni).

      1. Ai fini della prevenzione e della protezione contro le esplosioni, sulla base della valutazione dei rischi e dei princìpi generali di tutela di cui all'articolo 6, il

 

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datore di lavoro adotta le misure di cui all'articolo 84, commi 8 e 9.
      2. Se necessario, le misure di cui al comma 1 sono combinate e integrate con altre misure contro la propagazione delle esplosioni e sono riesaminate periodicamente e, in ogni caso, ogniqualvolta si verifichino cambiamenti rilevanti.

Art. 94.
(Valutazione dei rischi di esplosione).

      1. Nell'assolvere gli obblighi di cui all'articolo 7, il datore di lavoro valuta i rischi specifici derivanti da atmosfere esplosive, tenendo conto almeno dei seguenti elementi:

          a) probabilità e durata della presenza di atmosfere esplosive;

          b) probabilità che le fonti di accensione, comprese le scariche elettrostatiche, siano presenti e divengano attive ed efficaci;

          c) caratteristiche dell'impianto, sostanze utilizzate, processi e loro possibili interazioni;

          d) entità degli effetti prevedibili.

      2. I rischi di esplosione sono valutati complessivamente.
      3. Nella valutazione dei rischi di esplosione sono presi in considerazione i luoghi che sono o possono essere in collegamento, tramite aperture, con quelli in cui possono formarsi atmosfere esplosive.

Art. 95.
(Obblighi generali).

      1. Al fine di salvaguardare la sicurezza e la salute dei lavoratori, e secondo i princìpi fondamentali della valutazione dei rischi e quelli di cui all'articolo 93, il datore di lavoro prende i provvedimenti necessari affinché:

          a) gli ambienti di lavoro nei quali possono svilupparsi atmosfere esplosive in

 

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quantità tale da mettere in pericolo la sicurezza e la salute dei lavoratori o di altre persone siano strutturati in modo tale da permettere lo svolgimento del lavoro in condizioni di sicurezza;

          b) negli ambienti di lavoro in cui possono svilupparsi atmosfere esplosive in quantità tale da mettere in pericolo la sicurezza e la salute dei lavoratori, durante la presenza dei lavoratori sia garantito un adeguato controllo in funzione della valutazione del rischio, mediante l'utilizzo di mezzi tecnici adeguati.

Art. 96.
(Coordinamento).

      1. Qualora nello stesso luogo di lavoro operino lavoratori di diverse imprese, ciascun datore di lavoro è responsabile per le questioni soggette al suo controllo.
      2. Fermi restando la responsabilità individuale di ciascun datore di lavoro e gli obblighi di cui all'articolo 10, il datore di lavoro responsabile del luogo di lavoro coordina l'attuazione di tutte le misure relative alla salute e alla sicurezza dei lavoratori e specifica, nel documento sulla protezione contro le esplosioni di cui all'articolo 98, l'obiettivo, le misure e le modalità di attuazione del predetto coordinamento.

Art. 97.
(Aree in cui possono formarsi atmosfere esplosive).

      1. Il datore di lavoro ripartisce in zone, a norma dell'allegato XIII, parte F, le aree in cui possono formarsi atmosfere esplosive.
      2. Il datore di lavoro assicura che per le aree di cui al comma 1 siano applicate le prescrizioni minime di cui all'allegato XIII, parte G.
      3. Se necessario, le aree in cui possono formarsi atmosfere esplosive in quantità tali da mettere in pericolo la sicurezza e la salute dei lavoratori sono segnalate nei punti di accesso.

 

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Art. 98.
(Documento sulla protezione contro le esplosioni).

      1. Nell'assolvere gli obblighi stabiliti dall'articolo 94 il datore di lavoro provvede a elaborare e a tenere aggiornato un documento sulla protezione contro le esplosioni.
      2. Il documento di cui al comma 1, in particolare, reca:

          a) l'individuzione e la valutazione dei rischi di esplosione;

          b) le misure che si intendono adottare per il raggiungimento degli obiettivi del presente capo;

          c) i luoghi che sono stati classificati nelle zone di cui all'allegato XIII, parte F;

          d) i luoghi in cui si applicano le prescrizioni minime di cui all'allegato XIII, parte G;

          e) la concessione, l'utilizzo e il mantenimento in efficienza dei luoghi e delle attrezzature di lavoro, compresi i dispositivi di allarme, tenendo nel debito conto la sicurezza;

          f) l'indicazione che, ai sensi del titolo III, sono stati adottati gli accorgimenti per l'impiego sicuro di attrezzature di lavoro.

      3. Il documento di cui al comma 1 è compilato prima dell'inizio dell'attività lavorativa ed è aggiornato qualora i luoghi di lavoro, le attrezzature o l'organizzazione del lavoro subiscano modifiche, ampliamenti o trasformazioni rilevanti.
      4. Il documento di cui al comma 1 è parte integrante del documento di valutazione dei rischi di cui all'articolo 7.

Art. 99.
(Termini per l'adeguamento).

      1. I luoghi di lavoro comprendenti aree in cui possono formarsi atmosfere esplosive già utilizzati prima del 30 giugno 2003

 

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devono essere adeguati entro il 30 giugno 2008 alle prescrizioni minime stabilite dal presente capo.
      2. Il datore di lavoro che procede a modifiche, ampliamenti o trasformazioni dei luoghi di lavoro che comprendono aree in cui possono formarsi atmosfere esplosive prende i necessari provvedimenti per assicurarsi che tali modifiche, ampliamenti o trasformazioni rispondano ai requisiti minimi di cui al presente capo.

Art. 100.
(Verifiche).

      1. Il datore di lavoro provvede affinché le installazioni elettriche nelle aree classificate come zone 0, 1, 20 o 21 ai sensi dell'articolo 97 e dell'allegato XIII, parte F, siano sottoposte alle verifiche di cui all'articolo 61.

Capo III
DISPOSIZIONI PARTICOLARI PER LA PROTEZIONE DA AMIANTO

Art. 101.
(Campo di applicazione).

      1. Le disposizioni del presente capo costituiscono recepimento della direttiva 2003/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 marzo 2003, di modifica della direttiva 83/477/CEE del Consiglio sulla protezione dei lavoratori contro i rischi connessi con un'esposizione all'amianto durante il lavoro.
      2. Fermo restando quanto previsto dalla legge 27 marzo 1992, n. 257, e successive modificazioni, le norme del presente capo si applicano alle attività lavorative che possono comportare il rischio di esposizione ad amianto, quali manutenzione, rimozione dell'amianto o dei materiali contenenti amianto, smaltimento e trattamento dei relativi rifiuti nonché bonifica delle aree interessate.

 

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Art. 102.
(Definizioni).

      1. Ai fini del presente capo con il termine «amianto» si intendono i seguenti silicati fibrosi:

          a) actinolite, numero di registro del Chemical Abstracts Service (CAS) 77536-66-4;

          b) grunerite di amianto (amosite) n. CAS 12172-73-5;

          c) antofillite, n. CAS 77536-67-5;

          d) crisotilo, n. CAS 12001-29-5;

          e) crocidolite, n. CAS 12001-28-4;

          f) tremolite, n. CAS 77536-68-6.

Art. 103.
(Individuazione della presenza di amianto).

      1. Prima di intraprendere lavori di demolizione o di manutenzione, il datore di lavoro adotta, anche chiedendo informazioni ai proprietari dei locali, ogni misura necessaria volta a individuare la presenza di materiali a potenziale contenuto di amianto; se vi è il minimo dubbio sulla presenza di amianto in un materiale o in una costruzione, si applicano le disposizioni previste dal presente capo.

Art. 104.
(Valutazione del rischio).

      1. Ai fini della valutazione di cui all'articolo 7, il datore di lavoro considera i rischi dovuti alla polvere proveniente dall'amianto e dai materiali contenenti amianto, al fine di stabilire la natura e il grado dell'esposizione e le misure preventive e protettive da attuare.
      2. Nei casi di esposizioni sporadiche e di debole intensità e a condizione che dalla valutazione dei rischi di cui all'articolo 7 risulti che il valore limite di esposizione

 

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all'amianto non sia comunque superato nell'aria dell'ambiente di lavoro, non si applicano gli articoli 105, 114 e 115, comma 2, nelle seguenti attività:

          a) brevi attività non continuative di manutenzione durante le quali il lavoro è effettuato solo su materiali non friabili;

          b) rimozione senza deterioramento di materiali non degradati nei quali le fibre di amianto sono fermamente legate ad una matrice;

          c) incapsulamento e confinamento di materiali contenenti amianto che si trovano in buono stato;

          d) sorveglianza e controllo dell'aria e prelievo dei campioni ai fini dell'individuazione della presenza di amianto in un determinato materiale.

      3. L'ISPESL, previa consultazione delle parti sociali, elabora linee guida per la determinazione delle esposizioni sporadiche e di debole intensità di cui al comma 2.
      4. Il datore di lavoro effettua una nuova valutazione ogniqualvolta si verifichino modifiche che possano comportare un mutamento significativo dell'esposizione dei lavoratori alla polvere proveniente dall'amianto o dai materiali contenenti amianto

Art. 105.
(Notifica).

      1. Prima dell'inizio delle attività lavorative di cui all'articolo 101, comma 2, il datore di lavoro presenta una notifica all'organo di vigilanza competente per territorio.
      2. La notifica di cui al comma 1 comprende una descrizione sintetica dei seguenti elementi:

          a) ubicazione del cantiere;

          b) tipi e quantitativi di amianto manipolati;

          c) attività e procedimenti applicati;

 

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          d) numero di lavoratori interessati;

          e) data di inizio dei lavori e relativa durata;

          f) misure adottate per limitare l'esposizione dei lavoratori all'amianto.

      3. I lavoratori ovvero i loro rappresentanti hanno accesso alla documentazione oggetto della notifica di cui al comma 1.
      4. Il datore di lavoro, ogniqualvolta una modifica delle condizioni di lavoro possa comportare un aumento significativo dell'esposizione alla polvere prodotta dall'amianto o da materiali contenenti amianto, effettua una nuova notifica.

Art. 106.
(Misure di prevenzione e protezione).

      1. Nelle attività di cui all'articolo 101, comma 2, l'esposizione dei lavoratori alla polvere prodotta dall'amianto o dai materiali contenenti amianto nel luogo di lavoro deve essere ridotta al minimo e, in ogni caso, al di sotto del valore limite di cui all'articolo 109, in particolare adottando le seguenti misure:

          a) il numero dei lavoratori esposti o che possono essere esposti alla polvere prodotta dall'amianto o da materiali contenenti amianto deve essere limitato al numero più basso possibile;

          b) i processi lavorativi devono essere concepiti in modo da evitare di produrre polvere di amianto o, se ciò non sia possibile, da evitare emissione di polvere di amianto nell'aria;

          c) tutti i locali e le attrezzature per il trattamento dell'amianto devono essere sottoposti a regolare pulizia e manutenzione;

          d) l'amianto o i materiali che rilasciano polvere di amianto o che contengono amianto devono essere stoccati e trasportati in appositi imballaggi chiusi;

          e) i rifiuti devono essere raccolti e rimossi dal luogo di lavoro il più presto

 

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possibile in appropriati imballaggi chiusi su cui è apposta un'etichettatura indicante che contengono amianto. Tali rifiuti devono essere successivamente trattati ai sensi della normativa vigente in materia di rifiuti pericolosi.

Art. 107.
(Misure igieniche).

      1. Fermo restando quanto previsto dall'articolo 104, comma 2, per tutte le attività di cui all'articolo 101, comma 2, il datore di lavoro adotta le misure appropriate affinché:

          a) i luoghi in cui si svolgono tali attività siano:

              1) chiaramente delimitati e contrassegnati da appositi cartelli;

              2) accessibili esclusivamente ai lavoratori che vi devono accedere a motivo del loro lavoro o della loro funzione;

              3) oggetto di un divieto di fumare;

          b) siano predisposte aree speciali che consentano ai lavoratori di mangiare e di bere senza rischio di contaminazione da polvere di amianto;

          c) siano messi a disposizione dei lavoratori adeguati indumenti di lavoro o protettivi;

          d) gli indumenti di lavoro o protettivi restino all'interno dell'impresa. I predetti indumenti possono essere trasportati all'esterno solo per il lavaggio in lavanderie attrezzate per tale tipo di operazioni, in contenitori chiusi, qualora l'impresa stessa non vi provveda;

          e) gli indumenti di lavoro o protettivi siano riposti in un luogo separato da quello destinato agli abiti civili;

          f) i lavoratori possano disporre di impianti sanitari adeguati, provvisti di docce, in caso di operazioni in ambienti polverosi;

 

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          g) l'equipaggiamento protettivo sia custodito in locali destinati a tale scopo e controllato e pulito dopo ogni utilizzazione;

          h) l'equipaggiamento difettoso sia riparato o sostituito prima di una nuova utilizzazione.

Art. 108.
(Controllo dell'esposizione).

      1. Al fine di garantire il rispetto del valore limite di cui all'articolo 109 e in funzione dei risultati della valutazione iniziale dei rischi, il datore di lavoro effettua periodicamente la misurazione della concentrazione di fibre di amianto nell'aria del luogo di lavoro. I risultati delle misure sono riportati nel documento di valutazione dei rischi.
      2. Il campionamento deve essere rappresentativo dell'esposizione personale del lavoratore alla polvere prodotta dall'amianto o dai materiali contenenti amianto.
      3. I campionamenti sono effettuati previa consultazione dei lavoratori ovvero dei loro rappresentanti.
      4. Il prelievo dei campioni deve essere effettuato da personale in possesso di idonee qualifiche nell'ambito del servizio di cui all'articolo 14. I campioni prelevati sono successivamente analizzati con le metodologie previste dal comma 6 del presente articolo nei laboratori di cui all'articolo 5 del decreto del Ministro della sanità 14 maggio 1996, pubblicato nel supplemento ordinario n. 178 alla Gazzetta Ufficiale n. 251 del 25 ottobre 1996.
      5. La durata dei campionamenti deve essere tale da consentire di stabilire un'esposizione rappresentativa, per un periodo di riferimento di otto ore tramite misurazioni o calcoli ponderati nel tempo.
      6. Il conteggio delle fibre è effettuato di preferenza tramite microscopia a contrasto di fase, applicando il metodo raccomandato dall'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) o qualsiasi altro metodo che offra risultati equivalenti.

 

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      7. Ai fini della misurazione dell'amianto nell'aria, di cui al comma 1, si prendono in considerazione unicamente le fibre che abbiano una lunghezza superiore a 5 micrometri e una larghezza inferiore a 3 micrometri e il cui rapporto tra lunghezza e larghezza sia superiore a 3 su 1.

Art. 109.
(Valore limite).

      1. Il valore limite di esposizione per l'amianto è fissato a 0,1 fibre per cm3 di aria, misurato come media ponderata nel tempo di riferimento di otto ore.
      2. Qualora il valore limite fissato al comma 1 venga superato, il datore di lavoro individua le cause del superamento e adotta nel più breve tempo possibile le misure appropriate per ovviare alla situazione. Il lavoro può proseguire nella zona interessata solo se sono adottate misure adeguate per la protezione dei lavoratori interessati.
      3. Per verificare l'efficacia delle misure di cui al comma 2, il datore di lavoro procede immediatamente ad una nuova misurazione della concentrazione di amianto nell'aria.
      4. In ogni caso, qualora l'esposizione non possa essere ridotta con altri mezzi e al fine di rispettare il valore limite, il datore di lavoro prevede l'uso di un DPI delle vie respiratorie. L'utilizzo del predetto dispositivo non può essere permanente e la sua durata, per ogni lavoratore, deve essere limitata al minimo strettamente necessario.
      5. Nel caso di cui al comma 4, il datore di lavoro, di concerto con i lavoratori o con i loro rappresentanti, programma i periodi di riposo necessari, in funzione dell'impegno fisico e delle condizioni climatiche.

Art. 110.
(Operazioni lavorative particolari).

      1. Nel caso di operazioni lavorative in cui, nonostante l'adozione di misure tecniche preventive per limitare la concentrazione

 

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di amianto nell'aria, è prevedibile che l'esposizione dei lavoratori superi il valore limite di cui all'articolo 109, il datore di lavoro adotta adeguate misure per la protezione dei lavoratori addetti, e in particolare:

          a) fornisce ai lavoratori un adeguato dispositivo di protezione delle vie respiratorie e altri DPI e ne rende obbligatorio l'uso durante tali lavori;

          b) provvede all'affissione di cartelli per segnalare che si prevede il superamento del valore limite di esposizione;

          c) adotta le misure necessarie per impedire la dispersione della polvere al di fuori dei locali o dei luoghi di lavoro;

          d) consulta i lavoratori o i loro rappresentanti sulle misure da adottare prima di procedere alle operazioni di cui alle lettere a), b) e c).

Art. 111.
(Lavori di demolizione e di rimozione dell'amianto).

      1. I lavori di demolizione o di rimozione dell'amianto possono essere effettuati solo da imprese rispondenti ai requisiti di cui all'articolo 12, comma 4, della legge 27 marzo 1992, n. 257.
      2. Il datore di lavoro, prima dell'inizio di lavori di demolizione o di rimozione dell'amianto o di materiali contenenti amianto da edifici, strutture, apparecchi e impianti, nonché dai mezzi di trasporto, predispone un piano di lavoro.
      3. Il piano di cui al comma 2 prevede le misure necessarie per garantire la sicurezza e la salute dei lavoratori sul luogo di lavoro e la protezione dell'ambiente esterno.
      4. Il piano di cui al comma 2, in particolare, prevede e contiene informazioni su:

          a) rimozione dell'amianto o dei materiali contenenti amianto prima dell'applicazione delle tecniche di demolizione, a meno che tale rimozione non possa costituire

 

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per i lavoratori un rischio maggiore di quello rappresentato dal fatto che l'amianto o i materiali contenenti amianto vengano lasciati sul posto;

          b) fornitura ai lavoratori dei DPI;

          c) verifica dell'assenza di rischi dovuti all'esposizione all'amianto sul luogo di lavoro, al termine dei lavori di demolizione o di rimozione dell'amianto;

          d) adeguate misure per la protezione e per la decontaminazione del personale incaricato dei lavori;

          e) adeguate misure per la protezione dei terzi e per la raccolta e lo smaltimento dei materiali;

          f) adozione, nel caso in cui sia previsto il superamento del valore limite di cui all'articolo 109, delle misure di cui all'articolo 110, adattandole alle particolari esigenze del lavoro specifico;

          g) natura dei lavori e loro durata presumibile;

          h) luogo ove i lavori saranno effettuati;

          i) tecniche lavorative adottate per la rimozione dell'amianto;

          l) caratteristiche delle attrezzature o dei dispositivi che si intendono utilizzare ai fini di cui alle lettere d) ed e).

      5. Una copia del piano di cui al comma 2 è inviata all'organo di vigilanza, almeno un mese prima dell'inizio dell'attività lavorativa.
      6. L'invio della documentazione di cui al comma 4 del presente articolo sostituisce gli adempimenti di cui all'articolo 105.
      7. I lavoratori ovvero i loro rappresentanti hanno accesso al piano di cui al comma 2.

Art. 112.
(Informazione dei lavoratori).

      1. Fermo restando quanto previsto dall'articolo 28, il datore di lavoro fornisce ai lavoratori, prima che essi siano adibiti

 

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ad attività comportanti esposizione ad amianto, nonché ai loro rappresentanti, informazioni su:

          a) i rischi per la salute dovuti all'esposizione alla polvere proveniente dall'amianto o dai materiali contenenti amianto;

          b) le specifiche norme igieniche da osservare, ivi compresa la necessità di non fumare;

          c) le modalità di pulitura e di uso degli indumenti protettivi e dei DPI;

          d) le misure di precauzione particolari da prendere per ridurre al minimo l'esposizione.

          e) l'esistenza del valore limite di cui all'articolo 109 e la necessità del monitoraggio ambientale.

      2. Oltre a quanto previsto al comma 1, qualora dai risultati delle misurazioni della concentrazione di amianto nell'aria emergano valori superiori al valore limite fissato dall'articolo 109, il datore di lavoro informa il più presto possibile i lavoratori interessati e i loro rappresentanti del superamento e delle cause dello stesso e li consulta sulle misure da adottare o, in caso d'urgenza, li informa delle misure adottate.

Art. 113.

(Formazione dei lavoratori).

      1. Fermo restando quanto previsto dall'articolo 29, il datore di lavoro assicura che tutti i lavoratori esposti o potenzialmente esposti a polveri contenenti amianto ricevano regolarmente una formazione sufficiente e adeguata.
      2. Il contenuto della formazione deve essere facilmente comprensibile per i lavoratori e deve consentire loro di acquisire le conoscenze e le competenze necessarie in materia di prevenzione e di sicurezza, in particolare per quanto riguarda:

          a) le proprietà dell'amianto e i suoi effetti sulla salute, incluso l'effetto sinergico del tabagismo;

 

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          b) i tipi di prodotti o di materiali che possono contenere amianto;

          c) le operazioni che possono comportare un'esposizione all'amianto e l'importanza dei controlli preventivi per ridurre al minimo tale esposizione;

          d) le procedure di lavoro sicure, i controlli e le attrezzature di protezione;

          e) la funzione, la scelta, la selezione, i limiti e la corretta utilizzazione dei dispositivi di protezione delle vie respiratorie;

          f) le procedure di emergenza;

          g) le procedure di decontaminazione;

          h) l'eliminazione dei rifiuti;

          i) la necessità della sorveglianza medica.

      3. I lavoratori addetti alla rimozione e allo smaltimento dell'amianto e alla bonifica delle aree interessate devono aver frequentato i corsi di formazione professionale di cui all'articolo 10, comma 2, lettera h), della legge 27 marzo 1992, n. 257.

Art. 114.
(Sorveglianza sanitaria).

      1. Ferme restando le disposizioni di cui all'articolo 104, comma 2, i lavoratori esposti ad amianto sono sottoposti alla sorveglianza sanitaria di cui all'articolo 23.
      2. La sorveglianza sanitaria viene effettuata:

          a) prima di adibire il lavoratore alla mansione che comporta esposizione;

          b) periodicamente, almeno una volta ogni tre anni o con periodicità fissata dal medico competente con adeguata motivazione riportata nella cartella sanitaria, in funzione della valutazione del rischio e dei risultati della sorveglianza medica;

          c) all'atto della cessazione dell'attività comportante esposizione, per tutto il tempo ritenuto opportuno dal medico competente;

 

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          d) all'atto della cessazione del rapporto di lavoro ove coincidente con la cessazione dell'esposizione all'amianto. In tale occasione il medico competente deve fornire al lavoratore le eventuali indicazioni relative alle prescrizioni mediche da osservare.

      3. Gli accertamenti sanitari devono comprendere almeno l'anamnesi individuale, l'esame clinico generale e in particolare del torace nonché esami della funzione respiratoria, quali spirometria e curva flusso-volume.
      4. Il medico competente, sulla base dell'evoluzione delle conoscenze scientifiche e dello stato di salute del lavoratore, valuta l'opportunità di effettuare esami ulteriori rispetto a quelli previsti dal comma 3, quali la citologia dello sputo, l'esame radiografico del torace o la tomodensitometria.

Art. 115.
(Registro di esposizione e cartelle sanitarie e di rischio).

      1. Il medico competente, per ciascuno dei lavoratori di cui all'articolo 114, provvede a istituire e aggiornare una cartella sanitaria e di rischio, ai sensi di quanto previsto dall'articolo 24, comma 1, lettera c). Nella cartella sono riportati, tra l'altro, i valori di esposizione individuali comunicati dal datore di lavoro per il tramite del servizio di prevenzione e protezione di cui all'articolo 14.
      2. Oltre a quanto previsto al comma 1 del presente articolo, il datore di lavoro, iscrive i lavoratori esposti nel registro di cui all'articolo 89, comma 2.
      3. Su richiesta, è fornita agli organi di vigilanza copia dei documenti di cui ai commi 1 e 2.
      4. In caso di cessazione del rapporto di lavoro, la cartella sanitaria e di rischio del lavoratore interessato, unitamente alle annotazioni individuali contenute nel registro di cui al comma 2, è trasmessa all'ISPESL.

 

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      5. L'ISPESL provvede a conservare i documenti di cui al comma 4 per un periodo di quaranta anni dalla data di cessazione dell'esposizione.

Art. 116.
(Mesoteliomi).

      1. Nei casi accertati di mesotelioma asbesto-correlato si applicano le disposizioni di cui all'articolo 90.

TITOLO X
AGENTI BIOLOGICI

Art. 117.
(Campo di applicazione).

      1. Il presente titolo determina i requisiti minimi per la prevenzione e la protezione dei lavoratori contro i rischi per la sicurezza e la salute che derivano o che possono derivare dall'esposizione agli agenti biologici durante il lavoro.
      2. Restano ferme le disposizioni di cui al decreto legislativo 12 aprile 2001, n. 206, e successive modificazioni, sull'impiego confinato di microrganismi geneticamente modificati, e al decreto legislativo 8 luglio 2003, n. 224, sull'emissione deliberata nell'ambiente di organismi geneticamente modificati.

Art. 118.
(Definizioni).

      1. Ai fini del presente titolo, si intende per:

          a) agente biologico: qualsiasi microrganismo, anche se geneticamente modificato, coltura cellulare ed endoparassita umano che può provocare infezioni, allergie o intossicazione;

          b) microrganismo: qualsiasi entità microbiologica, cellulare o meno, in grado

 

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di riprodursi o di trasferire materiale genetico;

          c) coltura cellulare: il risultato della crescita in vitro di cellule derivate da organismi pluricellulari.

Art. 119.
(Classificazione degli agenti biologici).

      1. Gli agenti biologici sono suddivisi in quattro gruppi di rischio, in funzione del livello del rischio di infezione:

          a) agente biologico del gruppo 1: un agente che presenta poche probabilità di causare malattie in soggetti umani;

          b) agente biologico del gruppo 2: un agente che può causare malattie in soggetti umani e costituire un pericolo per i lavoratori, la cui propagazione nella comunità è impossibile e per il quale sono di norma disponibili efficaci misure profilattiche o terapeutiche;

          c) agente biologico del gruppo 3: un agente che può causare malattie gravi in soggetti umani e costituire un serio pericolo per i lavoratori, di cui esiste il rischio di propagazione nella comunità, ma per il quale di norma sono disponibili efficaci misure profilattiche o terapeutiche;

          d) agente biologico del gruppo 4: un agente che provoca malattie gravi in soggetti umani e costituisce un serio pericolo per i lavoratori, per il quale esiste un elevato rischio di propagazione nella comunità e per il quale non sono disponibili, di norma, efficaci misure profilattiche o terapeutiche.

      2. Gli agenti biologici classificati nei gruppi 2, 3 e 4 sono quelli elencati nella parte A dell'allegato XIV.
      3. Il Ministro della salute, con proprio decreto, provvede alla classificazione degli agenti biologici non ancora classificati che presentano o possono presentare un rischio per la salute umana, sulla base dei criteri di cui al comma 1.

 

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Art. 120.
(Valutazione dei rischi).

      1. Nella valutazione di cui all'articolo 7, il datore di lavoro considera la natura, il grado e la durata dell'esposizione dei lavoratori ad agenti biologici, al fine di valutare i rischi per la salute o la sicurezza dei lavoratori e individuare le misure di cui agli articoli 122 e 123.
      2. La valutazione di cui al comma 1 è effettuata sulla base di tutte le informazioni disponibili, considerando in particolare:

          a) la classificazione degli agenti biologici che presentano o possono presentare un pericolo per la salute umana, di cui all'allegato XIV, parte A;

          b) le raccomandazioni emanate dal Ministero della salute che segnalano la necessità di controllare un agente biologico per proteggere la salute dei lavoratori qualora questi siano o possano essere esposti a tale agente a causa della loro attività lavorativa;

          c) le informazioni sulle malattie che possono essere contratte a causa dell'attività lavorativa svolta;

          d) i potenziali effetti allergenici o tossigeni derivanti dall'attività lavorativa svolta;

          e) la conoscenza di una patologia da cui sia affetto un lavoratore e che sia da porre in relazione diretta con la sua attività lavorativa.

      3. Per i lavori che comportano un'esposizione ad agenti biologici appartenenti a gruppi diversi, i rischi sono valutati in base al pericolo presentato da tutti gli agenti biologici pericolosi presenti.
      4. Il datore di lavoro aggiorna periodicamente la valutazione di cui al comma 1 e, comunque, ogniqualvolta si verifichi un cambiamento di condizioni che possa influire sull'esposizione dei lavoratori agli agenti biologici.

 

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      5. Se la valutazione del rischio di cui al comma 1 evidenzia che l'esposizione effettiva o potenziale ad un agente biologico del gruppo 1 avviene senza rischio identificabile per la salute dei lavoratori, si applica esclusivamente il punto 1 dell'allegato XIV, parte B.
      6. Nelle attività non comportanti la deliberata intenzione di lavorare con agenti biologici o di utilizzarli, ma che possono implicare l'esposizione dei lavoratori a detti agenti, quali quelle riportate a titolo esemplificativo nell'allegato XIV, parte C, il datore di lavoro, in base ai risultati della valutazione dei rischi, può dimostrare la non necessità di applicare le disposizioni di cui agli articoli 121, 123, 125, 126, 129 e 130.

Art. 121.
(Sostituzione).

      1. Qualora il tipo di attività lavorativa lo consenta, il datore di lavoro evita l'utilizzazione di agenti biologici nocivi, sostituendoli con agenti biologici che, nelle condizioni in cui sono utilizzati, non siano nocivi o siano meno nocivi per la salute dei lavoratori.

Art. 122.
(Misure di prevenzione e protezione).

      1. Il datore di lavoro, qualora i risultati della valutazione di cui all'articolo 120 rivelino un rischio per la salute o la sicurezza dei lavoratori, evita l'esposizione di questi ultimi e, ove ciò non sia tecnicamente fattibile, la riduce al livello più basso necessario per proteggere adeguatamente la salute e la sicurezza dei lavoratori interessati, in particolare tramite le seguenti misure:

          a) limitazione al minimo indispensabile del numero dei lavoratori esposti o potenzialmente esposti;

          b) progettazione dei processi lavorativi e uso di misure tecniche al fine di evitare o di minimizzare l'emissione di agenti biologici sul luogo di lavoro;

 

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          c) misure collettive di protezione e misure di protezione individuale, qualora non sia possibile evitare altrimenti l'esposizione;

          d) misure igieniche compatibili con l'obiettivo di prevenire o di ridurre il trasferimento o la propagazione accidentale di un agente biologico al di fuori del luogo di lavoro;

          e) uso della segnaletica di sicurezza di cui al titolo VI e di altri segnali di avvertimento appropriati;

          f) elaborazione di procedure di emergenza per affrontare incidenti riguardanti agenti biologici, con particolare riferimento alle azioni da adottare per la protezione dei lavoratori contro l'esposizione ad agenti dei gruppi 3 o 4 in caso di difetto nel contenimento fisico;

          g) verifica, se è necessario e tecnicamente realizzabile, della presenza, al di fuori del contenimento fisico primario, di agenti biologici utilizzati sul lavoro;

          h) mezzi necessari per la raccolta, l'immagazzinamento e lo smaltimento dei rifiuti, da parte dei lavoratori, in condizioni di sicurezza, compreso l'impiego di contenitori sicuri e identificabili, eventualmente dopo trattamento adeguato;

          i) misure per la manipolazione e il trasporto di agenti biologici all'interno del luogo di lavoro in condizioni di sicurezza.

      2. Il datore di lavoro informa immediatamente l'organo di vigilanza di qualsiasi infortunio o incidente che può aver provocato la fuoriuscita di un agente biologico e che può causare infezioni o malattie gravi in soggetti umani.

Art. 123.
(Misure igieniche e di protezione individuale).

      1. Per le attività lavorative con agenti biologici che comportano un rischio per la

 

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salute e la sicurezza dei lavoratori il datore di lavoro adotta misure appropriate atte a garantire:

          a) che i lavoratori non mangino o bevano nelle aree di lavoro in cui esiste un rischio di contaminazione ad opera di agenti biologici;

          b) che i lavoratori siano dotati di adeguati indumenti protettivi o di altri adeguati indumenti speciali;

          c) che siano messi a disposizione dei lavoratori servizi igienici appropriati provvisti di docce con acqua calda e fredda, nonché eventualmente di vaschette per il lavaggio oculare, colliri e antisettici per la pelle;

          d) che i dispositivi di protezione necessari siano:

              1) correttamente riposti in un luogo ben determinato;

              2) controllati e puliti se possibile prima e, comunque, dopo ogni utilizzazione;

              3) riparati o sostituiti prima dell'uso ulteriore, se difettosi;

          e) che vengano definite procedure per prelevare, manipolare e trattare campioni di origine umana o animale;

          f) che i DPI, compresi gli indumenti protettivi di cui alla lettera b), che possono essere contaminati da agenti biologici, siano tolti quando il lavoratore lascia la zona di lavoro, riposti separatamente dagli altri indumenti, disinfettati, puliti e, se necessario, distrutti.

Art. 124.
(Informazione e formazione dei lavoratori).

      1. Nell'ambito degli obblighi di cui agli articoli 28 e 29, il datore di lavoro adotta le misure idonee affinché i lavoratori e i loro rappresentanti ricevano una formazione sufficiente e adeguata, sulla base di tutte le conoscenze disponibili, in particolare

 

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sotto forma di informazioni e di istruzioni relative a:

          a) i rischi potenziali per la salute;

          b) le precauzioni da prendere per evitare l'esposizione;

          c) le prescrizioni in materia di igiene;

          d) la necessità di indossare e di impiegare dispositivi e indumenti di protezione;

          e) le misure che i lavoratori devono adottare in caso di incidenti e per prevenirli.

      2. La formazione deve:

          a) essere fornita all'inizio di un lavoro che comporta un contatto con agenti biologici;

          b) essere adattata all'evoluzione dei rischi e all'insorgenza di nuovi rischi;

          c) essere periodicamente ripetuta, se necessario.

Art. 125.
(Informazione dei lavoratori in casi particolari).

      1. Il datore di lavoro fornisce sul luogo di lavoro istruzioni scritte e, se del caso, cartelli contenenti almeno la procedura da seguire nei seguenti casi:

          a) infortunio o incidente grave, relativo alla manipolazione di un agente biologico;

          b) manipolazione di un agente biologico del gruppo 4.

      2. I lavoratori segnalano immediatamente qualsiasi infortunio o incidente relativo alla manipolazione di agenti biologici al diretto superiore o al responsabile del servizio di prevenzione e protezione.
      3. Il datore di lavoro informa immediatamente i lavoratori e i loro rappresentanti di qualsiasi incidente o infortunio che può aver provocato la fuoriuscita di

 

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un agente biologico e che può provocare gravi infezioni o malattie, delle loro cause e delle misure adottate o da adottare per porre rimedio alla situazione.

Art. 126.
(Notifica).

      1. Il datore di lavoro che intende esercitare attività che comportano l'utilizzo di agenti biologici dei gruppi 2, 3 o 4, notifica all'organo di vigilanza territorialmente competente, almeno un mese prima dell'inizio dei lavori:

          a) il nome e l'indirizzo dell'azienda o dell'unità produttiva e del suo titolare;

          b) il risultato della valutazione di cui all'articolo 120, incluse le misure di protezione e prevenzione ivi previste;

          c) il tipo di agente biologico.

      2. Il datore di lavoro invia un'ulteriore comunicazione preventiva qualora sia utilizzato, per la prima volta, un agente biologico del gruppo 4 non incluso nella comunicazione precedente, nonché nel caso di uso di qualsiasi nuovo agente classificato provvisoriamente nel gruppo 3 dallo stesso datore di lavoro.
      3. I laboratori che intendono fornire un servizio diagnostico per gli agenti biologici del gruppo 4 sono tenuti unicamente alla notifica iniziale della loro intenzione.
      4. Il datore di lavoro invia un'ulteriore comunicazione ogniqualvolta i processi o le procedure subiscano cambiamenti che possano incidere significativamente sulla situazione di sicurezza e salute dei lavoratori, come comunicate nella notifica precedente.
      5. Qualora le attività di cui al presente articolo comportino la presenza di microorganismi geneticamente modificati, la notifica di cui al comma 1 del presente articolo è sostituita dagli adempimenti previsti dall'articolo 7 del decreto legislativo 12 aprile 2001, n. 206.

 

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Art. 127.
(Misure specifiche per le strutture sanitarie e veterinarie diverse dai laboratori diagnostici).

      1. Nelle strutture sanitarie e veterinarie diverse dai laboratori diagnostici il datore di lavoro, in sede di valutazione dei rischi, presta particolare attenzione alla possibile presenza di agenti biologici nell'organismo dei pazienti o degli animali e nei relativi campioni e residui, nonché al rischio che tale presenza comporta in relazione al tipo di attività svolta.
      2. In relazione ai risultati della valutazione di cui al comma 1, il datore di lavoro definisce e provvede affinché siano applicate procedure che consentono di manipolare, decontaminare ed eliminare senza rischi per l'operatore e per la comunità i materiali e i rifiuti contaminati.
      3. Nei servizi di isolamento che ospitano pazienti o animali che sono, o potrebbero essere, contaminati da agenti biologici del gruppo 3 o del gruppo 4, le misure di contenimento da attuare per ridurre al minimo il rischio di infezione sono indicate nell'allegato XIV, parte D, colonna B.

Art. 128.
(Misure specifiche per i processi industriali, i laboratori e gli stabulari).

      1. Nei laboratori, compresi i laboratori diagnostici, e nei locali destinati agli animali da laboratorio deliberatamente infettati da agenti biologici dei gruppi 2, 3 o 4 o che sono o potrebbero essere portatori di tali agenti, il datore di lavoro:

          a) nei laboratori in cui si svolgono lavori che implicano la manipolazione di agenti biologici dei gruppi 2, 3 o 4 a fini di ricerca, di sviluppo, didattici o diagnostici, determina le misure di contenimento in conformità all'allegato XIV, parte D, al fine di rendere minimo il rischio di infezione;

          b) a seguito della valutazione di cui all'articolo 120, determina le misure di contenimento in conformità dell'allegato

 

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XIV, parte D, previa fissazione del livello di contenimento fisico richiesto per gli agenti biologici in funzione del grado di rischio. Le attività che comportano la manipolazione di un agente biologico sono eseguite solo:

              1) in aree di lavoro corrispondenti almeno al secondo livello di contenimento, per gli agenti biologici del gruppo 2;

              2) in aree di lavoro corrispondenti almeno al terzo livello di contenimento, per gli agenti biologici del gruppo 3;

              3) in aree di lavoro corrispondenti almeno al quarto livello di contenimento, per gli agenti biologici del gruppo 4;

          c) nei laboratori in cui si manipolano materie nelle quali è incerta la presenza di agenti biologici che possono causare patologie nell'uomo, ma senza l'obiettivo di lavorare procedendo alla coltivazione o concentrazione di agenti biologici in quanto tali, adotta almeno il secondo livello di contenimento. Il terzo e il quarto livello di contenimento sono adottati, se necessario, qualora sia nota o se ne sospetti la necessità, tranne il caso in cui il Ministero della salute indichi un livello di contenimento meno elevato.

      2. Nei processi industriali in cui si impiegano agenti biologici dei gruppi 2, 3 o 4, il datore di lavoro si attiene ai princìpi in materia di contenimento di cui al comma 1, lettera b), e adotta le misure e gli opportuni procedimenti di cui all'allegato XIV, parte B.
      3. Per le attività di cui ai commi 1 e 2 per le quali non è stato possibile procedere alla valutazione definitiva di un agente biologico, ma per le quali può sorgere un rischio grave per la salute dei lavoratori a causa dell'impiego previsto, il datore di lavoro adotta almeno il terzo livello di contenimento.

Art. 129.
(Sorveglianza sanitaria).

      1. Qualora l'esito della valutazione del rischio ne rilevi la necessità, i lavoratori

 

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esposti ad agenti biologici sono sottoposti alla sorveglianza sanitaria di cui all'articolo 23.
      2. La sorveglianza sanitaria viene effettuata:

          a) prima di adibire il lavoratore alla mansione che comporta esposizione;

          b) periodicamente, con periodicità fissata dal medico competente con adeguata motivazione riportata nella cartella sanitaria, in funzione della valutazione del rischio e dei risultati della sorveglianza sanitaria;

          c) all'atto della cessazione dell'attività comportante esposizione e, qualora si tratti di agenti con effetti a lungo termine, per tutto il tempo ritenuto opportuno dal medico competente;

          d) all'atto della cessazione del rapporto di lavoro ove coincidente con la cessazione dell'esposizione. In tale occasione il medico competente deve fornire al lavoratore le eventuali indicazioni relative alle prescrizioni mediche da osservare.

      3. Il datore di lavoro, su conforme parere del medico competente, individua i lavoratori per i quali sono necessarie, anche per motivi individuali, misure speciali di protezione, fra le quali la messa a disposizione di vaccini efficaci, da somministrare da parte del medico competente, previa informazione sui vantaggi e sugli inconvenienti sia della vaccinazione sia della non vaccinazione.
      4. Nel caso in cui dalla sorveglianza sanitaria si evidenzi in un lavoratore l'esistenza di anomalie imputabili all'esposizione ad agenti biologici, il medico competente valuta l'opportunità di estendere la sorveglianza agli altri lavoratori che sono stati esposti in modo analogo e ne informa il datore di lavoro.
      5. Nel caso di cui al comma 4 il datore di lavoro:

          a) sottopone a revisione la valutazione dei rischi di cui all'articolo 120;

          b) sottopone a revisione le misure predisposte per eliminare o per ridurre i rischi;

 

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          c) tiene conto del parere del medico competente ai fini dell'attuazione delle misure necessarie per eliminare o per ridurre il rischio;

          d) dispone che sia effettuata una visita medica straordinaria per tutti gli altri lavoratori che hanno subìto un'esposizione simile, su indicazione del medico competente.

Art. 130.
(Registro di esposizione e cartelle sanitarie e di rischio).

      1. Il medico competente, per ciascuno dei lavoratori di cui all'articolo 129, provvede a istituire e ad aggiornare una cartella sanitaria e di rischio, ai sensi di quanto previsto dall'articolo 24, comma 1 lettera c). Nella cartella è, tra l'altro, riportata la specie dell'agente biologico a cui il lavoratore è esposto.
      2. Il datore di lavoro tiene un registro aggiornato dei lavoratori esposti ad agenti biologici del gruppo 3 o 4 da cui risulti il tipo di lavoro svolto e, ove possibile, gli agenti biologici a cui sono stati esposti in precedenza, nonché l'annotazione degli eventuali casi di esposizione individuale.
      3. In caso di cessazione del rapporto di lavoro la cartella sanitaria e di rischio del lavoratore interessato, unitamente alle annotazioni individuali contenute nel registro di cui al comma 2, è trasmessa all'ISPESL.
      4. L'ISPESL provvede a conservare i documenti di cui al comma 3 per un periodo di almeno dieci anni dalla cessazione dell'esposizione ad agenti biologici. Il periodo di conservazione è di quaranta anni nel caso di agenti per i quali è noto che:

          a) possono provocare infezioni persistenti o latenti;

          b) non sono diagnosticabili fino a quando non si è sviluppata la malattia;

          c) hanno periodi di incubazione particolarmente lunghi prima dello sviluppo della malattia;

 

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          d) provocano malattie con recrudescenza periodica per lungo tempo;

          e) possono aversi gravi conseguenze a lungo termine.

Art. 131.
(Registrazione dei casi di malattie e di decesso).

      1. È istituito presso l'ISPESL il registro nazionale dei casi di malattia o di decesso dovuti all'esposizione ad agenti biologici.
      2. Il registro di cui al comma 1 contiene, per ciascun lavoratore, almeno le seguenti informazioni:

          a) anamnesi lavorativa con l'indicazione del tipo di azienda, della mansione, della durata dell'esposizione all'agente biologico e il tipo di agente;

          b) patologia sofferta.

      3. I medici competenti, le strutture sanitarie pubbliche e private, nonché gli istituti previdenziali assicurativi pubblici e privati, che refertano i casi di cui al comma 1, trasmettono all'ISPESL, tramite strutture individuate dalle regioni, copia della relativa documentazione clinica o anatomopatologica e quella inerente l'anamnesi lavorativa.
      4. Le modalità di tenuta del registro nonché di raccolta e di trasmissione delle informazioni di cui al comma 3 sono determinate dall'ISPESL d'intesa con le regioni.

TITOLO XI
AGENTI FISICI

Capo I
DISPOSIZIONI GENERALI

Art. 132.
(Campo di applicazione).

      1. Il presente titolo si applica a tutte le attività nelle quali i lavoratori sono esposti o possono essere esposti ad agenti fisici durante il lavoro.

 

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Art. 133.
(Definizione).

      1. Ai fini del presente titolo per agenti fisici si intendono il rumore, le vibrazioni meccaniche e le onde elettromagnetiche che possono comportare rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori.

Art. 134.
(Valutazione del rischio).

      1. Nell'ambito della valutazione di cui all'articolo 7, il datore di lavoro valuta tutti i rischi derivanti da esposizione ad agenti fisici e adotta le opportune misure di prevenzione e protezione.
      2. Per le attività comportanti esposizione a rumore si applica il capo II e per quelle comportanti esposizione a vibrazioni si applica il capo III.
      3. Resta fermo quanto previsto dal decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 230, e successive modificazioni, per l'esposizione a radiazioni ionizzanti.

Capo II
PROTEZIONE DEI LAVORATORI CONTRO I RISCHI DI ESPOSIZIONE AL RUMORE DURANTE IL LAVORO

Art. 135.
(Campo di applicazione).

      1. Le disposizioni del presente capo costituiscono recepimento della direttiva 2003/10/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 febbraio 2003, sulle prescrizioni minime di sicurezza e di salute relative all'esposizione dei lavoratori ai rischi derivanti dagli agenti fisici (rumore).
      2. Il presente capo determina i requisiti minimi per la protezione dei lavoratori contro i rischi per la salute e la sicurezza derivanti dall'esposizione al rumore durante il lavoro e in particolare per l'udito.

 

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Art. 136.
(Definizioni).

      1. Ai sensi del presente capo si intende per:

          a) pressione acustica di picco (ppeak): valore massimo della pressione acustica istantanea ponderata in frequenza «C»;

          b) livello di esposizione giornaliera al rumore (LEX,8h): [dB(A) riferito a 20 μPa]: valore medio, ponderato in funzione del tempo, dei livelli di esposizione al rumore per una giornata lavorativa nominale di otto ore, definito dalla norma internazionale ISO 1999: 1990 punto 3.6. Si riferisce a tutti i rumori sul lavoro, incluso il rumore impulsivo;

          c) livello di esposizione settimanale al rumore (LEX,8h): valore medio, ponderato in funzione del tempo, dei livelli di esposizione giornaliera al rumore per una settimana nominale di cinque giornate lavorative di otto ore, definito dalla norma internazionale ISO 1999:1990 punto 3.6, nota 2.

Art. 137.
(Valori limite di esposizione e valori di azione).

      1. I valori limite di esposizione e i valori di azione, in relazione al livello di esposizione giornaliera al rumore e alla pressione acustica di picco, sono fissati a:

          a) valori limite di esposizione rispettivamente (LEX,8h = 87 dB(A) e ppeak = 200 μPa (140 dB(C) riferito a 20 μPa);

          b) valori superiori di azione: rispettivamente (LEX,8h = 85 dB(A) e ppeak = 140 Pa (137 dB(C) riferito a 20 μPa);

          c) valori inferiori di azione: rispettivamente (LEX,8h = 80 dB(A) e ppeak = 112 Pa (135 dB(C) riferito a 20 μPa).

 

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      2. Laddove a causa delle caratteristiche intrinseche della attività lavorativa l'esposizione giornaliera al rumore varia significativamente, da una giornata di lavoro all'altra, è possibile sostituire, ai fini dell'applicazione dei valori limite di esposizione e dei valori di azione, il livello di esposizione giornaliera al rumore con il livello di esposizione settimanale a condizione che:

          a) il livello di esposizione settimanale al rumore, come dimostrato da un controllo idoneo, non ecceda il valore limite di esposizione di 87 dB(A);

          b) siano adottate le adeguate misure per ridurre al minimo i rischi associati a tali attività.

Art. 138.
(Valutazione del rischio).

      1. Nell'ambito della valutazione dei rischi di cui all'articolo 7, il datore di lavoro valuta il rumore durante il lavoro prendendo in considerazione in particolare:

          a) il livello, il tipo e la durata dell'esposizione, ivi inclusa ogni esposizione a rumore impulsivo;

          b) i valori limite di esposizione e i valori di azione di cui all'articolo 137;

          c) tutti gli effetti sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori particolarmente sensibili al rumore;

          d) per quanto possibile a livello tecnico, tutti gli effetti sulla salute e sicurezza dei lavoratori derivanti da interazioni fra rumore e sostanze ototossiche connesse con l'attività svolta e fra rumore e vibrazioni;

          e) tutti gli effetti indiretti sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori risultanti da interazioni fra rumore e segnali di avvertimento o altri suoni che vanno osservati al fine di ridurre il rischio di infortuni;

 

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          f) le informazioni sull'emissione di rumore fornite dai costruttori dell'attrezzatura di lavoro in conformità alle disposizioni vigenti in materia;

          g) l'esistenza di attrezzature di lavoro alternative progettate per ridurre l'emissione di rumore;

          h) il prolungamento del periodo di esposizione al rumore oltre l'orario di lavoro normale, in locali di cui è responsabile;

          i) le informazioni raccolte dalla sorveglianza sanitaria, comprese, per quanto possibile, quelle reperibili nella letteratura scientifica;

          l) la disponibilità di dispositivi di protezione dell'udito con adeguate caratteristiche di attenuazione.

      2. Se, a seguito della valutazione di cui al comma 1, può fondatamente ritenersi che i valori inferiori di azione possono essere superati, il datore di lavoro misura i livelli di rumore cui i lavoratori sono esposti, i cui risultati sono riportati nel documento di valutazione.
      3. I metodi e le strumentazioni utilizzati devono essere adeguati alle caratteristiche del rumore da misurare, alla durata dell'esposizione e ai fattori ambientali. I metodi utilizzati possono includere la campionatura, purché sia rappresentativa dell'esposizione del lavoratore
      4. I metodi e le strumentazioni rispondenti alle norme di buona tecnica si considerano adeguati ai sensi del comma 3.
      5. Nell'applicare quanto previsto dal presente articolo, il datore di lavoro tiene conto delle imprecisioni delle misurazioni determinate secondo la prassi metrologica.
      6. La valutazione di cui al comma 1 individua le misure di prevenzione e protezione necessarie ai sensi degli articoli 139, 140, 141 e 142 ed è documentata in conformità all'articolo 7, comma 2.
      7. La valutazione e la misurazione di cui ai commi 1 e 2 sono programmate ed effettuate ad opportuni intervalli, da personale adeguatamente qualificato nell'ambito

 

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del servizio di prevenzione e protezione di cui all'articolo 14.
      8. Il datore di lavoro aggiorna periodicamente la valutazione dei rischi e, in particolare, in occasione di notevoli mutamenti che potrebbero averla resa superata o quando i risultati della sorveglianza sanitaria ne mostrino la necessità.

Art. 139.
(Misure di prevenzione e protezione).

      1. Fermo restando quanto previsto dall'articolo 6, il datore di lavoro elimina i rischi alla fonte o li riduce al minimo e, in ogni caso, a livelli non superiori ai valori limite di esposizione, mediante le seguenti misure:

          a) adozione di altri metodi di lavoro che implicano una minore esposizione al rumore;

          b) scelta di attrezzature di lavoro adeguate, tenuto conto del lavoro da svolgere, che emettano il minor rumore possibile, inclusa l'eventualità di rendere disponibili ai lavoratori attrezzature di lavoro conformi ai requisiti di cui al titolo III, il cui obiettivo o effetto è di limitare l'esposizione al rumore;

          c) progettazione della struttura dei luoghi e dei posti di lavoro;

          d) adeguate informazione e formazione sull'uso corretto delle attrezzature di lavoro in modo da ridurre al minimo l'esposizione dei lavoratori al rumore;

          e) adozione di misure tecniche per il contenimento:

              1) del rumore trasmesso per via aerea, quali schermature, involucri o rivestimenti realizzati con materiali fonoassorbenti;

              2) del rumore strutturale, quali sistemi di smorzamento o di isolamento;

          f) opportuni programmi di manutenzione delle attrezzature di lavoro, del luogo di lavoro e dei sistemi sul posto di lavoro;

 

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          g) riduzione del rumore mediante una migliore organizzazione del lavoro attraverso la limitazione della durata e dell'intensità dell'esposizione e l'adozione di orari di lavoro appropriati, con sufficienti periodi di riposo.

      2. Se a seguito della valutazione del rischio di cui all'articolo 138 risulta che i valori superiori di azione sono oltrepassati, il datore di lavoro elabora e applica un programma di misure tecniche e organizzative volte a ridurre l'esposizione al rumore, considerando in particolare le misure di cui al comma 1.
      3. I luoghi di lavoro dove i lavoratori possono essere esposti ad un rumore al di sopra dei valori superiori di azione sono indicati da appositi segnali. Tali aree sono inoltre delimitate e l'accesso alle stesse è limitato, ove ciò sia tecnicamente possibile e giustificato dal rischio di esposizione.
      4. Nel caso in cui, data la natura dell'attività, il lavoratore benefìci dell'utilizzo di locali di riposo messi a disposizione dal datore di lavoro, il rumore in tali locali è ridotto a un livello compatibile con il loro scopo e con le loro condizioni di utilizzo.

Art. 140.
(Uso dei DPI).

      1. Il datore di lavoro, qualora i rischi derivanti dal rumore non possano essere evitati con le misure di prevenzione e protezione di cui all'articolo 139, fornisce i DPI per l'udito conformi alle disposizioni contenute nel titolo V e alle seguenti condizioni:

          a) nel caso in cui l'esposizione al rumore superi i valori inferiori di azione il datore di lavoro mette a disposizione dei lavoratori DPI dell'udito;

          b) nel caso in cui l'esposizione al rumore sia pari o al di sopra dei valori superiori di azione rende obbligatorio l'uso dei DPI dell'udito da parte dei lavoratori;

 

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          c) sceglie DPI dell'udito che consentono di eliminare il rischio per l'udito o di ridurlo al minimo, previa consultazione dei lavoratori o dei loro rappresentanti;

          d) verifica l'efficacia dei DPI dell'udito.

      2. Il datore di lavoro tiene conto dell'attenuazione prodotta dai DPI dell'udito indossati dal lavoratore solo ai fini di valutare il rispetto dei valori limite di esposizione.

Art. 141.
(Misure per la limitazione dell'esposizione).

      1. Fermo restando l'obbligo del non superamento dei valori limite di esposizione, se, nonostante l'adozione delle misure prese in applicazione del presente capo, si individuano esposizioni superiori a tali valori, il datore di lavoro:

          a) adotta misure immediate per riportare l'esposizione al di sotto dei valori limite di esposizione;

          b) individua le cause dell'esposizione eccessiva;

          c) modifica le misure di protezione e di prevenzione per evitare che la situazione si ripeta.

Art. 142.
(Informazione e formazione dei lavoratori).

      1. Nell'ambito degli obblighi di cui agli articoli 28 e 29, il datore di lavoro garantisce che i lavoratori esposti a valori uguali o superiori ai valori inferiori di azione siano informati e formati in relazione ai rischi provenienti dall'esposizione al rumore, con particolare riferimento:

          a) alla natura dei rischi;

          b) alle misure adottate in applicazione del presente capo volte a eliminare o a ridurre al minimo il rischio derivante dal rumore, incluse le circostanze in cui si applicano dette misure;

 

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          c) ai valori limite di esposizione e ai valori di azione di cui all'articolo 137;

          d) ai risultati delle valutazioni e delle misurazioni del rumore effettuate in attuazione dell'articolo 138 insieme a una spiegazione del loro significato e dei rischi potenziali;

          e) all'uso corretto dei DPI dell'udito;

          f) all'utilità e al modo di individuare e di segnalare sintomi di danni all'udito;

          g) alle circostanze nelle quali i lavoratori hanno diritto a una sorveglianza sanitaria e all'obiettivo della stessa;

          h) alle procedure di lavoro sicure per ridurre al minimo l'esposizione al rumore.

Art. 143.
(Sorveglianza sanitaria).

      1. Il datore di lavoro sottopone alla sorveglianza sanitaria di cui all'articolo 23 i lavoratori la cui esposizione al rumore eccede i valori superiori di azione previsti dall'articolo 137.
      2. La sorveglianza sanitaria di cui al comma 1 è estesa ai lavoratori esposti a livelli superiori ai valori inferiori di azione, su loro richiesta.
      3. Nel caso in cui la sorveglianza sanitaria riveli, in un lavoratore, l'esistenza di anomalie imputabili ad esposizione a rumore, il medico competente ne informa il datore di lavoro.
      4. Nei casi di cui al comma 3 il datore di lavoro:

          a) riesamina la valutazione del rischio effettuata ai sensi dell'articolo 138;

          b) riesamina le misure volte a eliminare o a ridurre i rischi ai sensi degli articoli 139 e 140;

          c) tiene conto del parere del medico competente ai fini dell'attuazione delle misure necessarie per eliminare o per ridurre il rischio;

          d) prende le misure necessarie affinché sia riesaminato lo stato di salute di tutti gli altri lavoratori che hanno subìto un'esposizione simile.

 

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Art. 144.
(Deroghe).

      1. Il datore di lavoro può richiedere deroghe all'uso dei DPI e al rispetto del valore limite di esposizione, quando, per la natura del lavoro, l'utilizzazione di tali dispositivi potrebbe comportare rischi per la salute e sicurezza dei lavoratori maggiori rispetto a quanto accadrebbe senza la loro utilizzazione.
      2. La deroga è concessa, per un periodo massimo di quattro anni, dall'organo di vigilanza territorialmente competente che provvede anche a darne comunicazione, specificando le ragioni e le circostanze che hanno consentito la concessione della stessa, al Ministero del lavoro e della previdenza sociale.
      3. La concessione della deroga di cui al comma 2 è condizionata all'intensificazione della sorveglianza sanitaria e a condizioni che garantiscano, tenuto conto delle particolari circostanze, che i rischi derivanti siano ridotti al minimo.
      4. Il Ministero del lavoro e della previdenza sociale trasmette ogni quattro anni alla Commissione dell'Unione europea un prospetto globale e motivato delle deroghe concesse ai sensi del presente articolo.

Art. 145.
(Linee guida per i settori della musica e delle attività ricreative).

      1. Le regioni, sentite le parti sociali, entro due anni dalla data di entrata in vigore della presente legge, elaborano le linee guida per l'applicazione delle disposizioni del presente capo nei settori della musica e delle attività ricreative.

Art. 146.
(Decorrenza dell'efficacia per particolari settori).

      1. Per il settore della navigazione aerea e marittima l'obbligo del rispetto dei valori limite di esposizione previsti dall'articolo 137 acquista efficacia il 15 febbraio 2011.

 

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      2. Fermo restando quanto disposto dall'articolo 145, per i settori della musica e delle attività ricreative le disposizioni del presente capo acquistano efficacia il 15 febbraio 2008.

Capo III
PROTEZIONE DEI LAVORATORI DAI RISCHI DI ESPOSIZIONE A VIBRAZIONI

Art. 147.
(Campo di applicazione).

      1. Le disposizioni del presente capo costituiscono recepimento della direttiva 2002/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 giugno 2002, sulle prescrizioni minime di sicurezza e di salute relative all'esposizione dei lavoratori ai rischi derivanti dagli agenti fisici (vibrazioni).
      2. Il presente capo prescrive le misure per la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori che sono esposti o possono essere esposti a rischi derivanti da vibrazioni meccaniche.

Art. 148.
(Definizioni).

      1. Ai fini del presente capo, si intende per:

          a) vibrazioni trasmesse al sistema mano-braccio: le vibrazioni meccaniche che, se trasmesse al sistema mano-braccio nell'uomo, comportano un rischio per la salute e la sicurezza dei lavoratori, in particolare disturbi vascolari, osteoarticolari, neurologici o muscolari;

          b) vibrazioni trasmesse al corpo intero: le vibrazioni meccaniche che, se trasmesse al corpo intero, comportano rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori, in particolare lombalgie e traumi del rachide.

 

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Art. 149.
(Valori limite di esposizione e valori di azione).

      1. Per le vibrazioni trasmesse al sistema mano-braccio:

          a) il valore limite di esposizione giornaliero, normalizzato a un periodo di riferimento di 8 ore, è fissato a 5 m/s2;

          b) il valore d'azione giornaliero, normalizzato a un periodo di riferimento di 8 ore, che fa scattare l'azione è fissato a 2,5 m/s2.

      2. Per le vibrazioni trasmesse al corpo intero:

          a) il valore limite di esposizione giornaliero, normalizzato a un periodo di riferimento di 8 ore, è fissato a 1,15 m/s2;

          b) il valore d'azione giornaliero, normalizzato a un periodo di riferimento di 8 ore, è fissato a 0,5 m/s2.

Art. 150.
(Valutazione dei rischi).

      1. Nell'assolvere agli obblighi stabiliti dall'articolo 7, il datore di lavoro valuta e, se necessario, misura i livelli di vibrazioni meccaniche a cui i lavoratori sono esposti.
      2. L'esposizione dei lavoratori alle vibrazioni trasmesse al sistema mano-braccio è valutata o misurata in base alle disposizioni di cui all'allegato XV, parte A.
      3. L'esposizione dei lavoratori alle vibrazioni trasmesse al corpo intero è valutata o misurata in base alle disposizioni di cui all'allegato XV, parte B.
      4. Il livello di esposizione alle vibrazioni meccaniche può essere valutato mediante l'osservazione delle condizioni di lavoro specifiche e il riferimento ad appropriate informazioni sulla probabile entità delle vibrazioni per le attrezzature o i tipi di attrezzature in particolari condizioni di uso, incluse le informazioni fornite in materia dal costruttore delle attrezzature.

 

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Questa operazione va distinta dalla misurazione, che richiede l'impiego di attrezzature specifiche e di una metodologia appropriata.
      5. La valutazione e la misurazione di cui al comma 1 devono essere programmate ed effettuate a intervalli idonei da personale adeguatamente qualificato nell'ambito del servizio di cui all'articolo 14 e i relativi risultati devono essere riportati nel documento di cui all'articolo 7.
      6. Ai fini della valutazione di cui al comma 1, il datore di lavoro presta particolare attenzione ai seguenti elementi:

          a) il livello, il tipo e la durata dell'esposizione, ivi inclusa ogni esposizione a vibrazioni intermittenti o a urti ripetuti;

          b) i valori limite di esposizione e i valori di azione specificati nell'articolo 148;

          c) gli eventuali effetti sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori particolarmente sensibili al rischio;

          d) gli eventuali effetti indiretti sulla sicurezza dei lavoratori risultanti da interazioni tra le vibrazioni meccaniche e l'ambiente di lavoro o altre attrezzature;

          e) le informazioni fornite dal costruttore dell'attrezzatura di lavoro ai sensi delle direttive comunitarie vigenti in materia;

          f) l'esistenza di attrezzature alternative progettate per ridurre i livelli di esposizione alle vibrazioni meccaniche;

          g) il prolungamento del periodo di esposizione a vibrazioni trasmesse al corpo intero al di là delle ore lavorative, in locali di cui è responsabile;

          h) condizioni di lavoro particolari, come le basse temperature;

          i) informazioni raccolte dalla sorveglianza sanitaria, comprese, per quanto possibile, quelle reperibili nella letteratura scientifica.

      7. La valutazione dei rischi deve essere documentata conformemente all'articolo 7 e può includere la giustificazione che la

 

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natura e l'entità dei rischi connessi con le vibrazioni meccaniche rendono non necessaria una valutazione maggiormente dettagliata dei rischi.
      8. Il datore di lavoro aggiorna la valutazione dei rischi periodicamente, in particolare se vi sono stati notevoli mutamenti che potrebbero averla resa superata o quando i risultati della sorveglianza sanitaria ne mostrino la necessità.

Art. 151.
(Misure di prevenzione e protezione).

      1. Fermo restando quanto previsto dall'articolo 6, il datore di lavoro elimina i rischi alla fonte o li riduce al minimo e, in ogni caso, a livelli non superiori ai valori limite di esposizione di cui all'articolo 149.
      2. In base alla valutazione dei rischi di cui all'articolo 150, quando sono superati i valori di azione, il datore di lavoro elabora e applica un programma di misure tecniche od organizzative volte a ridurre al minimo l'esposizione e i rischi che ne conseguono, considerando in particolare:

          a) altri metodi di lavoro che richiedono una minore esposizione a vibrazioni meccaniche;

          b) la scelta di attrezzature di lavoro adeguate concepite nel rispetto dei princìpi ergonomici e che producono, tenuto conto del lavoro da svolgere, il minor livello possibile di vibrazioni;

          c) la fornitura di attrezzature accessorie per ridurre i rischi di lesioni provocate dalle vibrazioni, quali sedili che attenuano efficacemente le vibrazioni trasmesse al corpo intero e maniglie o guanti che attenuano la vibrazione trasmessa al sistema mano-braccio;

          d) adeguati programmi di manutenzione delle attrezzature di lavoro, del luogo di lavoro e dei sistemi sul luogo di lavoro;

          e) la progettazione e l'organizzazione dei luoghi e dei posti di lavoro;

 

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          f) adeguate informazione e formazione dei lavoratori sull'uso corretto e sicuro delle attrezzature di lavoro, in modo da ridurre al minimo la loro esposizione a vibrazioni meccaniche;

          g) la limitazione della durata e dell'intensità dell'esposizione;

          h) l'organizzazione di orari di lavoro appropriati, con adeguati periodi di riposo;

          i) la fornitura, ai lavoratori esposti, di indumenti per la protezione dal freddo e dall'umidità.

      3. Se, nonostante le misure adottate, il valore limite di esposizione è stato superato, il datore di lavoro prende misure immediate per riportare l'esposizione al di sotto di tale valore, individua le cause del superamento e adatta di conseguenza le misure di protezione e prevenzione per evitare un nuovo superamento.

Art. 152.
(Informazione e formazione dei lavoratori).

      1. Nell'ambito degli obblighi di cui agli articoli 28 e 29, il datore di lavoro garantisce che i lavoratori esposti a rischi derivanti da vibrazioni meccaniche sul luogo di lavoro ricevano informazioni e una formazione adeguata sulla base della valutazione dei rischi di cui all'articolo 150, con particolare riguardo:

          a) alle misure adottate volte a eliminare o a ridurre al minimo i rischi derivanti dalle vibrazioni meccaniche;

          b) ai valori limite di esposizione e ai valori di azione;

          c) ai risultati delle valutazioni e delle misurazioni delle vibrazioni meccaniche effettuate in attuazione dell'articolo 150 e alle potenziali lesioni derivanti dalle attrezzature di lavoro utilizzate;

          d) all'utilità e al modo di individuare e di segnalare sintomi di lesioni;

 

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          e) alle circostanze nelle quali i lavoratori hanno diritto a una sorveglianza sanitaria;

          f) alle procedure di lavoro sicure per ridurre al minimo l'esposizione a vibrazioni meccaniche.

Art. 153.
(Sorveglianza sanitaria).

      1. I lavoratori esposti a livelli di vibrazioni superiori ai valori di azione previsti dall'articolo 149 sono sottoposti alla sorveglianza sanitaria di cui all'articolo 23.
      2. Nel caso in cui la sorveglianza sanitaria riveli, in un lavoratore, l'esistenza di anomalie imputabili ad esposizione a vibrazioni, il medico competente ne informa il datore di lavoro.
      3. Nel caso di cui al comma 2 il datore di lavoro:

          a) sottopone a revisione la valutazione dei rischi effettuata ai sensi dell'articolo 150;

          b) sottopone a revisione le misure predisposte per eliminare o per ridurre i rischi;

          c) tiene conto del parere del medico competente ai fini dell'attuazione delle misure necessarie per eliminare o per ridurre il rischio;

          d) prende le misure necessarie affinché sia effettuata una visita medica straordinaria per tutti gli altri lavoratori che hanno subìto un'esposizione simile.

Art. 154.
(Cartelle sanitarie e di rischio).

      1. Il medico competente, per ciascuno dei lavoratori di cui all'articolo 153, provvede ad istituire e aggiornare una cartella sanitaria e di rischio, ai sensi di quanto previsto dall'articolo 24, comma 1, lettera c). Nella cartella sono, tra l'altro, riportati i valori di esposizione individuali comunicati dal datore di lavoro per il tramite del servizio di prevenzione e protezione.

 

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Art. 155.
(Deroghe).

      1. Nei settori della navigazione marittima e aerea, il datore di lavoro, in circostanze debitamente giustificate, può richiedere la deroga, limitatamente al rispetto dei valori limite di esposizione per il corpo intero, qualora, tenuto conto della tecnica e delle caratteristiche specifiche dei luoghi di lavoro, non sia possibile rispettare tale valore limite nonostante le misure tecniche e organizzative messe in atto.
      2. Nel caso di attività lavorative in cui l'esposizione di un lavoratore alle vibrazioni meccaniche è abitualmente inferiore ai valori di azione, ma varia sensibilmente da un momento all'altro e può occasionalmente superare il valore limite di esposizione, il datore di lavoro può richiedere la deroga al rispetto dei valori limite a condizione che il valore medio dell'esposizione calcolata su un periodo di 40 ore sia inferiore al valore limite di esposizione e si dimostri, con elementi probanti, che i rischi derivanti dal tipo di esposizione cui è sottoposto il lavoratore sono inferiori a quelli derivanti da un livello di esposizione corrispondente al valore limite.
      3. Le deroghe di cui ai commi 1 e 2 sono concesse, per un periodo massimo di quattro anni, dall'organo di vigilanza territorialmente competente che provvede anche a darne comunicazione, specificando le ragioni e le circostanze che hanno consentito la concessione delle stesse, al Ministero del lavoro e della previdenza sociale.
      4. La concessione delle deroghe di cui ai commi 1 e 2 è condizionata all'intensificazione della sorveglianza sanitaria.
      5. Il Ministero del lavoro e della previdenza sociale trasmette ogni quattro anni alla Commissione dell'Unione europea un prospetto globale e motivato delle deroghe concesse ai sensi del presente articolo.

Art. 156.
(Decorrenza dell'efficacia in particolari casi e settori).

      1. In caso di attrezzature di lavoro messe a disposizione dei lavoratori anteriormente

 

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al 6 luglio 2007 e che non permettono il rispetto dei valori limite di esposizione tenuto conto del progresso tecnico e delle misure organizzative messe in atto, l'obbligo del rispetto dei valori limite di esposizione di cui all'articolo 149 acquista efficacia il 6 luglio 2010.
      2. Per il settore agricolo e forestale l'obbligo del rispetto dei valori limite di esposizione di cui all'articolo 149 acquista efficacia il 6 luglio 2014.

TITOLO XII
CANTIERI TEMPORANEI O MOBILI

Art. 157.
(Campo di applicazione).

      1. Il presente titolo prescrive misure per la tutela della salute e per la sicurezza dei lavoratori nei cantieri temporanei o mobili, definiti ai sensi dell'articolo 158, fatte salve le disposizioni generali contenute nella presente legge.
      2. Le disposizioni del presente titolo non si applicano:

          a) ai lavori di prospezione, ricerca e coltivazione delle sostanze minerali;

          b) ai lavori svolti negli impianti connessi alle attività minerarie esistenti entro il perimetro dei permessi di ricerca, delle concessioni o delle autorizzazioni;

          c) ai lavori svolti negli impianti che costituiscono pertinenze della miniera ai sensi dell'articolo 23 del regio decreto 29 luglio 1927, n. 1443, anche se ubicati fuori del perimetro delle concessioni;

          d) ai lavori di frantumazione, vagliatura, squadratura e lizzatura dei prodotti delle cave e alle operazioni di caricamento di tali prodotti dai piazzali;

          e) alle attività di prospezione, ricerca, coltivazione e stoccaggio degli idrocarburi liquidi e gassosi nel territorio nazionale, nel mare territoriale e nella piattaforma continentale e nelle altre aree sottomarine comunque soggette ai poteri dello Stato;

 

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          f) ai lavori svolti in mare;

          g) alle attività svolte in studi teatrali, cinematografici, televisivi o in altri luoghi in cui si effettuino riprese, purché tali attività non implichino l'allestimento di un cantiere temporaneo o mobile.

      3. Le attività di cui al comma 2, lettera g), devono essere effettuate nel rispetto delle norme di buona tecnica, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 1956, n. 322, e successive modificazioni.

Art. 158.
(Definizioni).

      1. Ai fini del presente titolo, si intendono per:

          a) cantiere temporaneo o mobile, di seguito denominato «cantiere»: qualunque luogo in cui si effettuano lavori edili e di ingegneria civile di cui all'elenco riportato all'allegato XVI, parte A;

          b) committente: il soggetto per conto del quale l'intera opera viene realizzata, indipendentemente da eventuali frazionamenti della sua realizzazione. Nel caso di appalto di opera pubblica, il committente è il soggetto titolare del potere decisionale e di spesa relativo alla gestione dell'appalto;

          c) responsabile dei lavori: soggetto che può essere incaricato dal committente ai fini della progettazione o dell'esecuzione o del controllo dell'esecuzione dell'opera. Nel caso di appalto di opera pubblica, il responsabile dei lavori è il responsabile unico del procedimento ai sensi dell'articolo 10 del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e successive modificazioni;

          d) lavoratore autonomo: persona fisica la cui attività professionale concorre alla realizzazione dell'opera senza vincolo di subordinazione;

 

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          e) coordinatore in materia di sicurezza e di salute durante la progettazione dell'opera, di seguito denominato «coordinatore per la progettazione»: soggetto incaricato, dal committente o dal responsabile dei lavori, dell'esecuzione dei compiti di cui all'articolo 160;

          f) coordinatore in materia di sicurezza e di salute durante la realizzazione dell'opera, di seguito denominato «coordinatore per l'esecuzione dei lavori»: soggetto, diverso dal datore di lavoro dell'impresa esecutrice, incaricato, dal committente o dal responsabile dei lavori, dell'esecuzione dei compiti di cui all'articolo 161;

          g) uomini-giorno: entità presunta del cantiere rappresentata dalla somma delle giornate lavorative prestate dai lavoratori, anche autonomi, previste per la realizzazione dell'opera;

          h) piano operativo di sicurezza: il documento che il datore di lavoro dell'impresa esecutrice redige, in riferimento al singolo cantiere interessato, ai sensi dell'articolo 7.

Art. 159.
(Obblighi del committente o del responsabile dei lavori).

      1. Il committente o il responsabile dei lavori, nella fase di progettazione dell'opera, e in particolare al momento delle scelte tecniche, nell'esecuzione del progetto e nell'organizzazione delle operazioni di cantiere, si attiene ai princìpi e alle misure generali di tutela di cui all'articolo 6. Al fine di permettere la pianificazione dell'esecuzione in condizioni di sicurezza dei lavori o delle fasi di lavoro che si devono svolgere simultaneamente o successivamente tra loro, il committente o il responsabile dei lavori prevede nel progetto la durata di tali lavori o fasi di lavoro.
      2. Il committente o il responsabile dei lavori, nella fase della progettazione dell'opera, valuta i documenti di cui all'articolo 160, comma 1, lettere a) e b).

 

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      3. Nei cantieri in cui è prevista la presenza di più imprese, anche non contemporanea, il committente o il responsabile dei lavori, contestualmente all'affidamento dell'incarico di progettazione, designa il coordinatore per la progettazione in ognuno dei seguenti casi:

          a) nei cantieri la cui entità presunta è pari o superiore a duecento uomini-giorno;

          b) nei cantieri i cui lavori comportano i rischi particolari di cui all'allegato XVI, parte B.

      4. Nei casi di cui al comma 3, il committente o il responsabile dei lavori, prima dell'affidamento dei lavori, designa il coordinatore per l'esecuzione dei lavori, che deve essere in possesso dei requisiti di cui all'articolo 166.
      5. La disposizione di cui al comma 4 si applica anche caso in cui, dopo l'affidamento dei lavori ad un'unica impresa, l'esecuzione dei lavori o di parte di essi sia affidata a una o più imprese.
      6. Il committente o il responsabile dei lavori, qualora in possesso dei requisiti di cui all'articolo 166, può svolgere le funzioni sia di coordinatore per la progettazione sia di coordinatore per l'esecuzione dei lavori.
      7. Il committente o il responsabile dei lavori comunica alle imprese esecutrici e ai lavoratori autonomi i nominativi del coordinatore per la progettazione e del coordinatore per l'esecuzione dei lavori; tali nominativi sono indicati nel cartello di cantiere.
      8 Il committente o il responsabile dei lavori può sostituire in qualsiasi momento, anche personalmente se in possesso dei requisiti di cui all'articolo 166, i soggetti designati in attuazione dei commi 3 e 4 del presente articolo.
      9. Il committente o il responsabile dei lavori, anche nel caso di affidamento dei lavori ad un'unica impresa:

          a) verifica l'idoneità tecnico-professionale delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi in relazione ai lavori da

 

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affidare, anche attraverso l'iscrizione alla camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura;

          b) chiede alle imprese esecutrici una dichiarazione dell'organico medio annuo, distinto per qualifica, nonché una dichiarazione relativa al contratto collettivo stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative, applicato ai lavoratori dipendenti;

          c) chiede un certificato di regolarità contributiva. Tale certificato può essere rilasciato, oltre che dall'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) e dall'INAIL, per quanto di rispettiva competenza, anche dalle casse edili le quali stipulano un'apposita convenzione con i predetti Istituti al fine del rilascio di un documento unico di regolarità contributiva;

          d) trasmette all'amministrazione concedente, prima dell'inizio dei lavori oggetto della concessione edilizia o all'atto della presentazione della denuncia di inizio attività, il nominativo dell'impresa esecutrice dei lavori unitamente alla documentazione di cui alle lettere b) e c).

Art. 160.
(Obblighi del coordinatore per la progettazione).

      1. Durante la progettazione dell'opera e comunque prima della richiesta di presentazione delle offerte, il coordinatore per la progettazione:

          a) redige il piano di sicurezza e di coordinamento di cui all'articolo 168;

          b) predispone un fascicolo contenente le informazioni utili ai fini della prevenzione e della protezione dai rischi cui sono esposti i lavoratori, tenendo conto delle specifiche norme di buona tecnica. Le indicazioni di cui all'allegato XVI, parte C, si considerano norme di buona tecnica.

      2. Il fascicolo di cui al comma 1, lettera b), è preso in considerazione all'atto di

 

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eventuali lavori successivi sull'opera e non è predisposto nel caso di lavori di manutenzione ordinaria previsti dall'articolo 3, comma 1, lettera a), del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380.

Art. 161.
(Obblighi del coordinatore per l'esecuzione dei lavori).

      1. Durante la realizzazione dell'opera, il coordinatore per l'esecuzione dei lavori provvede a:

          a) verificare, con opportune azioni di coordinamento e di controllo, l'applicazione, da parte delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi, delle disposizioni loro pertinenti contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento di cui all'articolo 168 e la corretta applicazione delle relative procedure di lavoro;

          b) verificare l'idoneità del piano operativo di sicurezza, da considerare come piano complementare di dettaglio del piano di sicurezza e di coordinamento di cui all'articolo 168, assicurandone la coerenza con quest'ultimo, e adeguare il piano di sicurezza e di coordinamento e il fascicolo di cui all'articolo 160, comma 1, lettera b), in relazione all'evoluzione dei lavori ed alle eventuali modifiche intervenute, valutando le proposte delle imprese esecutrici dirette a migliorare la sicurezza in cantiere, nonché verificare che le imprese esecutrici adeguino, se necessario, i rispettivi piani operativi di sicurezza;

          c) organizzare tra i datori di lavoro, ivi compresi i lavoratori autonomi, la cooperazione e il coordinamento delle attività nonché la loro reciproca informazione;

          d) verificare l'attuazione di quanto previsto negli accordi tra le parti sociali al fine di realizzare il coordinamento tra i rappresentanti della sicurezza finalizzato al miglioramento della sicurezza in cantiere;

 

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          e) segnalare al committente o al responsabile dei lavori, previa contestazione scritta alle imprese e ai lavoratori autonomi interessati, le inosservanze alle disposizioni degli articoli 163, 164 e 165 e alle prescrizioni del piano di cui all'articolo 168 e proporre la sospensione dei lavori, l'allontanamento delle imprese o dei lavoratori autonomi dal cantiere, ovvero la risoluzione del contratto. Nel caso in cui il committente o il responsabile dei lavori non adotti alcun provvedimento in merito alla segnalazione, senza fornirne idonea motivazione, il coordinatore per l'esecuzione provvede a dare comunicazione dell'inadempienza all'azienda sanitaria locale territorialmente competente e alla direzione provinciale del lavoro;

          f) sospendere in caso di pericolo grave e imminente, direttamente riscontrato, le singole lavorazioni fino alla verifica degli avvenuti adeguamenti effettuati dalle imprese interessate.

      2. Nei casi di cui all'articolo 159, comma 5, il coordinatore per l'esecuzione, oltre a svolgere i compiti di cui al comma 1 del presente articolo, redige il piano di sicurezza e di coordinamento di cui all'articolo 168 e predispone il fascicolo, di cui all'articolo 160, comma 1, lettera b).

Art. 162.
(Responsabilità del committente e del responsabile dei lavori).

      1. Il committente è esonerato dalle responsabilità connesse all'adempimento degli obblighi limitatamente all'incarico conferito al responsabile dei lavori.
      2. La designazione del coordinatore per la progettazione e del coordinatore per l'esecuzione non esonera il committente o il responsabile dei lavori dalle responsabilità connesse alla verifica dell'adempimento degli obblighi di cui agli articoli 160, comma 1, e 161, comma 1, lettera a).

 

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Art. 163.
(Obblighi dei lavoratori autonomi).

      1. I lavoratori autonomi che esercitano direttamente la propria attività nei cantieri:

          a) utilizzano le attrezzature di lavoro in conformità alle disposizioni del titolo III;

          b) utilizzano i DPI conformemente a quanto previsto dal titolo V;

          c) si adeguano alle indicazioni fornite dal coordinatore per l'esecuzione dei lavori, ai fini della sicurezza.

Art. 164.
(Misure generali di tutela).

      1. I datori di lavoro delle imprese esecutrici, durante l'esecuzione dell'opera, osservano le misure generali di tutela di cui all'articolo 6, e curano, ciascuno per la parte di competenza, in particolare:

          a) il mantenimento del cantiere in condizioni ordinate e di soddisfacente salubrità;

          b) la scelta dell'ubicazione dei posti di lavoro tenendo conto delle condizioni di accesso a tali posti, definendo vie o zone di spostamento o di circolazione;

          c) le condizioni di movimentazione dei vari materiali;

          d) la manutenzione, il controllo prima dell'entrata in servizio e il controllo periodico degli impianti e dei DPI al fine di eliminare i difetti che possono pregiudicare la sicurezza e la salute dei lavoratori;

          e) la delimitazione e l'allestimento delle zone di stoccaggio e di deposito dei vari materiali, in particolare quando si tratta di materie e di sostanze pericolose;

          f) l'adeguamento, in funzione dell'evoluzione del cantiere, della durata effettiva

 

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da attribuire ai vari tipi di lavoro o fasi di lavoro;

          g) la cooperazione tra datori di lavoro e lavoratori autonomi;

          h) le interazioni con le attività che avvengono sul luogo, all'interno o in prossimità del cantiere.

Art. 165.
(Obblighi dei datori di lavoro).

      1. I datori di lavoro:

          a) adottano le misure conformi alle prescrizioni di cui all'allegato IV;

          b) curano le condizioni di rimozione dei materiali pericolosi, previo, se del caso, coordinamento con il committente o con il responsabile dei lavori;

          c) curano che lo stoccaggio e l'evacuazione dei detriti e delle macerie avvengano correttamente;

          d) redigono il piano operativo di sicurezza di cui all'articolo 158, comma 1, lettera h).

      2. L'accettazione da parte di ciascun datore di lavoro delle imprese esecutrici, anche nel caso in cui nel cantiere operi un'unica impresa, anche familiare o con meno di dieci addetti, del piano di sicurezza e di coordinamento di cui all'articolo 167 e la redazione del piano operativo di sicurezza costituiscono, limitatamente al singolo cantiere interessato, adempimento delle disposizioni di cui all'articolo 7, commi 1, 2 e 3, e all'articolo 10, comma 1, lettera b).

Art. 166.
(Requisiti professionali del coordinatore per la progettazione e del coordinatore per l'esecuzione dei lavori).

      1. Il coordinatore per la progettazione e il coordinatore per l'esecuzione dei lavori

 

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devono essere in possesso di uno dei seguenti requisiti:

          a) diploma di laurea in ingegneria, architettura, geologia, scienze agrarie o scienze forestali, nonché attestazione da parte di datori di lavoro o di committenti comprovante l'espletamento di attività lavorativa nel settore delle costruzioni per almeno un anno;

          b) diploma universitario in ingegneria o architettura nonché attestazione da parte di datori di lavoro o di committenti comprovante l'espletamento di attività lavorativa nel settore delle costruzioni per almeno due anni;

          c) diploma di geometra o perito industriale o perito agrario o agrotecnico nonché attestazione da parte di datori di lavoro o di committenti comprovante l'espletamento di attività lavorativa nel settore delle costruzioni per almeno tre anni.

      2. I soggetti di cui al comma 1 devono essere, altresì, in possesso di attestato di frequenza a specifico corso in materia di sicurezza organizzato dalle regioni, mediante le strutture tecniche operanti nel settore della prevenzione e della formazione professionale, o, in alternativa, dall'ISPESL, dall'INAIL, dall'Istituto italiano di medicina sociale, dai rispettivi ordini o collegi professionali, dalle università, dalle associazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori o dagli organismi paritetici istituiti nel settore dell'edilizia.
      3. Il contenuto e la durata dei corsi di cui al comma 2 devono rispettare almeno le prescrizioni di cui all'allegato XVI, parte D.
      4. L'attestato di cui al comma 2 non è richiesto per i dipendenti in servizio presso pubbliche amministrazioni che esplicano nell'ambito delle stesse amministrazioni le funzioni di coordinatore per la progettazione.
      5. L'attestato di cui al comma 2 non è richiesto per coloro che, non più in servizio, hanno svolto attività tecnica in materia di sicurezza nelle costruzioni, per almeno cinque anni, in qualità di pubblici ufficiali o di incaricati di pubblico servizio

 

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e per coloro che producono un certificato universitario attestante il superamento di uno o più esami del corso o diploma di laurea, equipollenti ai fini della preparazione conseguita con il corso di cui all'allegato XVI, parte D, o un'attestato di partecipazione a un corso di perfezionamento universitario con le medesime caratteristiche di equipollenza.
      6. Le spese connesse con l'espletamento dei corsi di cui al comma 2 sono poste a totale carico dei partecipanti.
      7. Le regioni determinano la misura degli oneri per il funzionamento dei corsi di cui al comma 2, organizzati da esse o dagli altri soggetti previsti dal medesimo comma 2, da porre a carico dei partecipanti.

Art. 167.
(Notifica preliminare).

      1. Il committente o il responsabile dei lavori, prima dell'inizio dei lavori, trasmette all'azienda sanitaria locale e alla direzione provinciale del lavoro territorialmente competenti la notifica preliminare contenente gli elementi di cui all'allegato XVI, parte E, nonché gli eventuali aggiornamenti nei seguenti casi:

          a) cantieri di cui all'articolo 159, comma 3;

          b) cantieri che, inizialmente non soggetti all'obbligo di notifica, ricadono nelle categorie di cui alla lettera a) per effetto di varianti sopravvenute in corso d'opera;

          c) cantieri in cui opera un'unica impresa la cui entità presunta di lavoro non è inferiore a duecento uomini-giorno.

      2. Copia della notifica deve essere affissa in maniera visibile presso il cantiere e custodita a disposizione dell'organo di vigilanza territorialmente competente ai sensi del comma 1.
      3. Gli enti bilaterali istituiti nel settore delle costruzioni hanno accesso ai dati relativi alle notifiche preliminari presso gli organi di vigilanza.

 

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Art. 168.
(Piano di sicurezza e di coordinamento).

      1. Il piano di sicurezza e di coordinamento contiene l'individuazione, l'analisi e la valutazione dei rischi, e le conseguenti procedure, gli apprestamenti e le attrezzature atti a garantire, per tutta la durata dei lavori, il rispetto delle norme per la prevenzione degli infortuni e la tutela della salute dei lavoratori, nonché la stima dei relativi costi che non sono soggetti al ribasso nelle offerte delle imprese esecutrici. Il piano contiene, altresì, le misure di prevenzione dei rischi risultanti dall'eventuale presenza simultanea o successiva di più imprese o dei lavoratori autonomi ed è redatto anche al fine di prevedere, quando ciò risulti necessario, l'utilizzazione di impianti comuni quali infrastrutture, mezzi logistici e di protezione collettiva. Il piano è costituito da una relazione tecnica e da prescrizioni correlate alla complessità dell'opera da realizzare ed alle eventuali fasi critiche del processo di costruzione. In particolare il piano contiene, in relazione alla tipologia del cantiere interessato, i seguenti elementi:

          a) modalità da seguire per la recinzione del cantiere, per gli accessi e per le segnalazioni;

          b) protezioni o misure di sicurezza contro i possibili rischi provenienti dall'ambiente esterno;

          c) servizi igienico-assistenziali;

          d) protezioni o misure di sicurezza connesse alla presenza nell'area del cantiere di linee aeree e di condutture sotterranee;

          e) viabilità principale del cantiere;

          f) impianti di alimentazione e reti principali di elettricità, acqua, gas ed energia di qualsiasi tipo;

          g) impianti di terra e di protezione contro le scariche atmosferiche;

 

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          h) misure generali di protezione contro il rischio di seppellimento da adottare negli scavi;

          i) misure generali da adottare contro il rischio di annegamento;

          l) misure generali di protezione da adottare contro il rischio di caduta dall'alto;

          m) misure per assicurare la salubrità dell'aria nei lavori in galleria;

          n) misure per assicurare la stabilità delle pareti e della volta nei lavori in galleria;

          o) misure generali di sicurezza da adottare nel caso di estese demolizioni o manutenzioni, ove le modalità tecniche di attuazione siano definite in fase di progetto;

          p) misure di sicurezza contro i possibili rischi di incendio o di esplosione connessi con lavorazioni e materiali pericolosi utilizzati in cantiere;

          q) disposizioni per l'attuazione di quanto previsto dall'articolo 170;

          r) disposizioni per l'attuazione di quanto previsto dall'articolo 161, comma 1, lettera c);

          s) valutazione, in relazione alla tipologia dei lavori, delle spese prevedibili per l'attuazione dei singoli elementi del piano;

          t) misure generali di protezione da adottare contro gli sbalzi eccessivi di temperatura.

      2. Il piano di sicurezza e di coordinamento è parte integrante del contratto di appalto.
      3. I datori di lavoro delle imprese esecutrici e i lavoratori autonomi sono tenuti ad attuare quanto previsto nel piano di sicurezza e di coordinamento e nel piano operativo di sicurezza.
      4. I datori di lavoro delle imprese esecutrici mettono a disposizione dei rappresentanti per la sicurezza copia del piano di sicurezza e di coordinamento e del piano operativo di sicurezza almeno dieci giorni prima dell'inizio dei lavori.

 

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      5. L'impresa che si aggiudica i lavori può presentare al coordinatore per l'esecuzione proposte di integrazione al piano di sicurezza e di coordinamento, ove ritenga di poter meglio garantire la sicurezza nel cantiere sulla base della propria esperienza. In nessun caso le eventuali integrazioni possono giustificare modifiche o adeguamenti dei prezzi pattuiti.
      6. Le disposizioni del presente articolo non si applicano ai lavori la cui esecuzione immediata è necessaria per prevenire incidenti imminenti o per organizzare urgenti misure di salvataggio.

Art. 169.
(Obbligo di trasmissione).

      1. Il committente o il responsabile dei lavori trasmette il piano di sicurezza e di coordinamento di cui all'articolo 168 a tutte le imprese invitate a presentare offerte per l'esecuzione dei lavori. In caso di appalto di opera pubblica si considera trasmissione la messa a disposizione del piano a tutti i concorrenti alla gara di appalto.
      2. Prima dell'inizio dei lavori l'impresa aggiudicataria trasmette il piano di cui al comma 1 alle imprese esecutrici e ai lavoratori autonomi.
      3. Prima dell'inizio dei rispettivi lavori ciascuna impresa esecutrice trasmette il proprio piano operativo di sicurezza al coordinatore per l'esecuzione.

Art. 170.
(Consultazione dei rappresentanti per la sicurezza).

      1. Prima dell'accettazione del piano di sicurezza e di coordinamento di cui all'articolo 168 e delle modifiche significative apportate allo stesso, il datore di lavoro di ciascuna impresa esecutrice consulta il rappresentante per la sicurezza e gli fornisce eventuali chiarimenti sul contenuto del piano. Il rappresentante per la sicurezza può formulare proposte al riguardo.

 

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Art. 171.
(Modalità di attuazione della valutazione del rumore).

      1. La valutazione del rischio dell'esposizione di un lavoratore al rumore di cui all'articolo 138 può essere effettuata facendo riferimento ai tempi di esposizione e ai livelli di rumore reperibili in banche dati di riconosciuta validità.
      2. Sul documento di valutazione di cui all'articolo 7, va riportata la fonte documentale cui si è fatto riferimento.
      3. Nel caso di lavoratori adibiti a lavorazioni e compiti che comportano una variazione notevole dell'esposizione quotidiana al rumore da una giornata lavorativa all'altra può essere fatto riferimento, ai fini dell'applicazione della normativa vigente, al valore dell'esposizione settimanale relativa alla settimana di presumibile maggiore esposizione nello specifico cantiere, calcolata in conformità a quanto previsto dall'articolo 137, comma 2.

Art. 172.
(Modalità attuative di particolari obblighi).

      1. Nei cantieri la cui durata presunta dei lavori è inferiore a duecento giorni lavorativi, l'adempimento di quanto previsto dall'articolo 170 costituisce assolvimento dell'obbligo di riunione, salvo motivata richiesta del rappresentante per la sicurezza.
      2. Nei cantieri la cui durata presunta dei lavori è inferiore a duecento giorni lavorativi, e ove sia prevista la sorveglianza sanitaria di cui all'articolo 23, la visita del medico competente agli ambienti di lavoro in cantieri aventi caratteristiche analoghe a quelli già visitati dallo stesso medico competente e gestiti dalle stesse imprese può essere sostituita o integrata, a giudizio del medesimo medico, con l'esame di piani di sicurezza relativi ai cantieri in cui svolgono la loro attività i lavoratori soggetti alla sua sorveglianza.
      3. Fermo restando l'articolo 29, i criteri e i contenuti per la formazione dei lavoratori

 

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e dei loro rappresentanti possono essere definiti dalle parti sociali in sede di contrattazione nazionale di categoria.
      4. I datori di lavoro, quando è previsto nei contratti di affidamento dei lavori che il committente o il responsabile dei lavori organizzi un apposito servizio di primo soccorso, antincendio ed evacuazione dei lavoratori, sono esonerati da quanto stabilito dal capo IV del titolo I.

Art. 173.
(Contenuti minimi dei piani di sicurezza).

      1. I contenuti minimi del piano di sicurezza e di coordinamento di cui all'articolo 168 e del piano operativo di sicurezza di cui all'articolo 158, comma 1, lettera h), della presente legge, sono individuati ai sensi del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 3 luglio 2003, n. 222, e successive modificazioni.

Art. 174.
(Lavori nei cassoni ad aria compressa).

      1. I lavori nei cassoni ad aria compressa devono essere effettuati nel rispetto delle norme di buona tecnica.
      2. Le disposizioni contenute nel decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 1956, n. 321, si considerano norme di buona tecnica.

TITOLO XIII
SANZIONI, ABROGAZIONI ED ENTRATA IN VIGORE

Art. 175.
(Contravvenzioni commesse dai datori di lavoro e dai dirigenti).

      1. Il datore di lavoro è punito con l'arresto da tre a sei mesi o con l'ammenda da euro 1.500 a euro 4.000 per la violazione degli articoli: 7, commi 1, 3 e 4;

 

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82; 94; 104, commi 1 e 4; 120, commi da 1 a 4; 138, commi 1, 6 e 8; 150; 151.
      2. Il datore di lavoro e il dirigente sono puniti:

          a) con l'arresto da tre a sei mesi o con l'ammenda da euro 1.500 a euro 4.000 per la violazione degli articoli: 7, comma 2, lettere b), c), f), g), h), i), l), p) e q); 19, commi 1 e 4; 22, comma 1; 29, commi 1, 2, 3, 4 e 5; 43, comma 1, lettere a), c), d), e) ed f); 44, comma 1; 47, commi 1, 2, 4 e 5; 48; 58; 59; 64, commi 3 e 4; 68, comma 1; 69; 71, commi 1 e 2; 76, comma 2; 77; 78; 79; 84, commi 1, 2, 4, 5, 6, 7, 10 e 11; 85; 86; 87, commi 1 e 4; 88, commi 1, 2, 3 e 6; 89, comma 2; 93; 95; 96; 97, commi 1 e 2; 100; 105, commi 1, 2 e 4; 106; 108; 109; 110; 111, commi da 1 a 4; 112; 113; 114; 115, commi 1, secondo periodo, e 2; 122, comma 1; 124; 125, commi 1 e 3; 138, commi 2, 3 e 7; 139, commi 1 e 2; 140, comma 1; 141; 142; 143; 152; 153, commi 1 e 3;

          b) con l'arresto da due a quattro mesi o con l'ammenda da euro 500 a euro 2.500 per la violazione degli articoli: 7, comma 2, lettere a), d), e), m), n) ed o); 28; 43, comma 1, lettera b); 47, commi 3 e 6; 49, commi 1, 2, 3 e 4; 50; 51; 52; 57; 61; 64, comma 1; 72; 84, commi 8 e 9; 87, comma 5; 107; 122, comma 2; 139, commi 3 e 4;

          c) con l'arresto fino a tre mesi o con l'ammenda da euro 250 a euro 1.000 per la violazione degli articoli: 55; 105, comma 3; 111, commi 5 e 7.

      3. Il datore di lavoro e il dirigente sono puniti con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 500 a euro 3.000 per la violazione degli articoli: 11; 18, comma 1; 47, commi 7 e 8.

Art. 176.
(Contravvenzioni commesse dai preposti).

      1. I preposti sono puniti con l'arresto fino a due mesi o con l'ammenda da euro 250 a euro 1.000 per la violazione degli

 

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articoli: 8; 43, comma 1, lettere c), d), e) ed f); 47, commi 4 e 5; 58; 64, comma 4.

Art. 177.
(Contravvenzioni commesse dai lavoratori e dai componenti dell'impresa familiare).

      1. I lavoratori sono puniti con l'arresto fino ad un mese o con l'ammenda da euro 200 a euro 600 per la violazione dell'articolo 9, comma 2, lettere b), c), d), e), f) e g).
      2. I componenti dell'impresa familiare sono punti con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 200 a euro 600 per la violazione dell'articolo 9, comma 3, lettera a).

Art. 178.
(Contravvenzioni commesse dai datori di lavoro committenti).

      1. I datori di lavoro committenti sono puniti:

          a) con l'arresto da tre a sei mesi o con l'ammenda da euro 1.500 a euro 4.000 per la violazione dell'articolo 10, commi 2 e 4;

          b) con l'arresto da due a quattro mesi o con l'ammenda da euro 500 a euro 2.500 per la violazione dell'articolo 10, comma 1, lettera b);

          c) con l'arresto fino a tre mesi o con l'ammenda da euro 250 a euro 1000 per la violazione dell'articolo 10, commi 1, lettera a) e 3.

Art. 179.
(Contravvenzioni commesse dai datori di lavoro appaltatori).

      1. I datori di lavoro appaltatori sono puniti con l'arresto da due a quattro mesi o con l'ammenda da euro 500 a euro 2.500 per la violazione dell'articolo 10, comma 2.

 

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Art. 180.
(Contravvenzioni commesse dai lavoratori autonomi).

      1. lavoratori autonomi sono puniti con l'arresto da due a quattro mesi o con l'ammenda da euro 500 a euro 2.500 per la violazione degli articoli: 10, comma 2; 163; 168, comma  3.
      2. I lavoratori autonomi sono punti con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 200 a euro 600 per la violazione dell'articolo 9, comma 3, lettera a).

Art. 181.
(Contravvenzioni commesse dai datori di lavoro distaccanti).

      1. I datori di lavoro distaccanti sono puniti con l'arresto da tre a sei mesi o con l'ammenda da euro 1.500 a euro 4.000 per la violazione dell'articolo 10, comma 5, primo periodo.

Art. 182.
(Contravvenzioni commesse dai datori di lavoro distaccatari).

      1. I datori di lavoro distaccatari sono puniti con l'arresto da tre a sei mesi o con l'ammenda da euro 1.500 a euro 4.000 per la violazione dell'articolo 10, comma 5, terzo e quarto periodo.

Art. 183.
(Contravvenzioni commesse dai progettisti).

      1. I progettisti sono puniti con l'arresto fino a tre mesi o con l'ammenda da euro 250 a euro 1.000 per la violazione dell'articolo 11.

Art. 184.
(Contravvenzioni commesse dai fabbricanti e dai fornitori).

      1. I fabbricanti e i fornitori sono puniti con l'arresto fino a tre mesi o con l'ammenda da euro 250 a euro 1.000 per la violazione dell'articolo 12.

 

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Art. 185.
(Contravvenzioni commesse dagli installatori).

      1. Gli installatori sono puniti con l'arresto fino a tre mesi o con l'ammenda da euro 250 a euro 1.000 per la violazione dell'articolo  13.

Art. 186.
(Contravvenzioni commesse dal medico competente).

      1. Il medico competente è punito:

          a) con l'arresto fino a due mesi o con l'ammenda da euro 500 a euro 3.000 per la violazione degli articoli: 24, comma 1, lettere a), b), c) e g); 88, comma 5; 89, comma 1; 115, comma 1, primo periodo; 143, comma 3; 153, comma 2; 154;

          b) con l'arresto fino ad un mese o con l'ammenda da euro 250 a euro 1.500 per la violazione dell'articolo 24, commi 1, lettere d), e) e h), e 2;

          c) con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 200 a euro 600 per la violazione dell'articolo 24, comma 1, lettere f) ed i).

Art. 187.
(Contravvenzioni commesse dai lavoratori).

      1. I lavoratori sono puniti con l'arresto fino ad un mese e con l'ammenda da euro 200 a euro 600 per la violazione degli articoli 9, comma 2, lettere da b) a h), e 125, comma 2.

Art. 188.
(Sanzioni relative agli obblighi dei committenti o dei responsabili dei lavori).

      1. Il committente o il responsabile dei lavori sono puniti:

          a) con l'arresto da tre a sei mesi o con l'ammenda da euro 1.500 euro 4.000 per la

 

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violazione degli articoli: 159, commi 1, secondo periodo, 3, 4 e 5; 162, comma 2;

          b) con l'arresto da due a quattro mesi o con l'ammenda da euro 500 a euro 2.500 per la violazione dell'articolo 159, comma 9, lettera a);

          c) con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 500 a euro 3.000 per la violazione degli articoli 167, comma 1, e 169, comma 1.

Art. 189.
(Contravvenzioni commesse dai coordinatori).

      1. Il coordinatore per la progettazione è punito con l'arresto da tre a sei mesi o con l'ammenda da euro 1.500 a euro 4.000 per la violazione dell'articolo 160, comma 1.
      2. Il coordinatore per l'esecuzione dei lavori è punito:

          a) con l'arresto da tre a sei mesi o con l'ammenda da euro 1.500 euro 4.000 per la violazione dell'articolo 161, commi 1, lettere a), b), c), e) e f), e 2;

          b) con l'arresto da due a quattro mesi o con l'ammenda da euro 500 a euro 2.500 per la violazione dell'articolo 161, comma 1, lettera d).

Art. 190.
(Sanzioni relative agli obblighi dei datori di lavoro, dei dirigenti e dei preposti).

      1. I datori di lavoro delle imprese esecutrici e, nell'ambito delle rispettive attribuzioni e competenze, i dirigenti e i preposti che dirigono o sovrintendono le attività delle imprese stesse, sono tenuti all'osservanza delle pertinenti disposizioni della presente legge.
      2. Il datore di lavoro è punito con l'arresto da due a quattro mesi o con l'ammenda da euro 1.000 a euro 2.500 per la violazione dell'articolo 170, comma 1, primo periodo.

 

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      3. Il datore di lavoro e il dirigente sono puniti:

          a) con l'arresto da tre a sei mesi o con l'ammenda da euro 1.500 euro 4.000 per la violazione degli articoli: 165, comma 1, lettera a); 168, comma 3;

          b) con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 500 a euro 3.000 per la violazione degli articoli: 168, comma 4; 169, commi 2 e 3.

      4. I preposti sono puniti con l'arresto sino a due mesi o con l'ammenda da euro 250 a euro 1.000 per la violazione degli articoli: 165, comma 1, lettera a); 168, comma 3.

Art. 191.
(Contravvenzioni commesse dai lavoratori autonomi).

      1. I lavoratori autonomi sono puniti con l'arresto fino ad un mese o con l'ammenda da euro 150 a euro 500 per la violazione degli articoli: 163; 168, comma 3.

Art. 192.
(Abrogazioni).

      1. A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge, fatte salve le norme di buona tecnica e di buone prassi, sono abrogati:

          a) l'articolo 4 della legge 19 gennaio 1955, n. 25;

          b) il decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1955, n. 547, e successive modificazioni, ad esclusione dei titoli II, III, IV, V e VI, recanti norme di buona tecnica e di buone prassi;

          c) il decreto del Presidente della Repubblica 7 gennaio 1956, n. 164, e successive modificazioni, ad esclusione dei capi II, III, IV, V, VI, VII, VIII e IX, recanti norme di buona tecnica e di buone prassi;

 

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          d) gli articoli 18, 19, 20 e 21 del decreto del Presidente della Repubblica 19 marzo 1956, n. 303, e successive modificazioni, e la tabella allegata;

          e) il decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 1956, n. 320, e successive modificazioni, ad esclusione dei capi II, III, IV, V, VI, VII, ad eccezione degli articoli 42 e 43, VIII e IX, recanti norme di buona tecnica e di buone prassi;

          f) il decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 1956, n. 321, e successive modificazioni, ad esclusione dei capi II, III, IV, V e VI, recanti norme di buona tecnica e di buone prassi;

          g) il decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 1956, n. 322, e successive modificazioni, ad esclusione dei capi II, III, IV e V, recanti norme di buona tecnica e di buone prassi;

          h) il decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 1956, n. 323, e successive modificazioni;

          i) il decreto del Ministro per il lavoro e la previdenza sociale 12 settembre 1958, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 244 del 9 ottobre 1958, e successive modificazioni;

          l) il decreto del Ministro per il lavoro e la previdenza sociale 22 dicembre 1958, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 23 del 29 gennaio 1959, e successive modificazioni;

          m) il decreto legislativo 15 agosto 1991, n. 277, e successive modificazioni;

          n) il decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e successive modificazioni;

          o) il decreto legislativo 14 agosto 1996, n. 493;

          p) il decreto legislativo 14 agosto 1996, n. 494, e successive modificazioni.

      2. Le disposizioni contenute nei titoli II e III del decreto del Presidente della Repubblica 19 marzo 1956, n. 302, sono considerate norme di buona tecnica e di buone prassi.

 

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Art. 193.
(Modifica all'articolo 4 della legge 12 marzo 1999, n. 68, in materia di computo della quota di riserva ai fini delle assunzioni obbligatorie).

      1. In considerazione delle particolari tipicità e rischiosità delle attività edili che si svolgono all'interno del cantiere, all'articolo 4, comma 1, della legge 12 marzo 1999, n. 68, dopo le parole: «i soci di cooperative di produzione e lavoro,» sono inserite le seguenti: «il personale di cantiere e gli addetti al trasporto del settore edile,».

Art. 194.
(Disposizione finanziaria).

      1. Dall'attuazione della presente legge non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

Art. 195.
(Entrata in vigore).

      1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della data della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

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Allegato I
(articolo 7, comma 2, lettera o))

REGISTRO DEGLI INFORTUNI

        1. Il registro degli infortuni deve essere conforme al modello contenuto nel presente allegato e deve riportare nella copertina, o in altra sua parte, le note esplicative.
        2. Il registro degli infortuni deve essere intestato all'azienda alla quale si riferisce, legato e numerato in ogni pagina.
        3. Il registro degli infortuni deve essere tenuto senza alcuno spazio in bianco; le scritturazioni devono essere fatte con inchiostro indelebile; non sono consentite abrasioni e le eventuali rettifiche o correzioni devono essere eseguite in modo che il testo sostituito sia leggibile.
        4. Il registro degli infortuni deve essere costantemente tenuto aggiornato a cura del datore di lavoro.

Note esplicative.

a) Alla colonna 6.

        L'indicazione del reparto può essere omessa nelle aziende che non sono organizzate su distinti reparti.

        La qualifica professionale o mestiere deve essere indicata in rapporto alle mansioni normalmente espletate dal lavoratore.

b) Alla colonna 7.

        La descrizione sommaria dell'infortunio deve comprendere la natura del lavoro svolto al momento dell'evento, il modo in cui è avvenuto, le cause che lo hanno provocato e le circostanze che vi hanno concorso.

 

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c) Alla colonna 8.

        La natura e la sede della lesione devono essere annotate in base alle indicazioni diagnostiche contenute nel certificato medico.

d) Alla colonna 9.

        Le conseguenze dell'infortunio devono essere indicate nelle rispettive sottocolonne corrispondenti alle conseguenze dell'infortunio previste dalla legge sull'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, e precisamente:

            1) inabilità temporanea: quando l'infortunio comporta un'assenza di almeno un giorno escluso quello dell'evento;

            2) inabilità permanente: quando l'infortunio diminuisce in tutto o in parte, ma essenzialmente e per tutta la vita, l'attitudine al lavoro.

        La registrazione delle conseguenze degli infortuni deve essere effettuata in seguito alla comunicazione degli esiti degli infortuni stessi fatta dall'istituto assicuratore per i lavoratori assoggettati alla legge assicurativa.
          Qualora trattasi di lavoratori non soggetti all'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, deve essere registrato il contenuto del referto medico rilasciato all'infortunato.

            3) morte.

e) Alla colonna 10.

        I giorni di assenza per inabilità temporanea devono essere computati in base alle giornate di calendario comprese fra il primo giorno di assenza e quello precedente la data di ripresa del lavoro o la data in cui il lavoratore avrebbe dovuto riprendere il lavoro. Devono perciò essere inclusi i giorni di franchigia, le domeniche e i giorni festivi.

f) Alla colonna 11.

        Il grado percentuale di inabilità permanente deve essere registrato in base alla definizione dell'infortunio fatta dall'istituto assicuratore.
          Qualora trattasi di lavoratori non soggetti all'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, la registrazione deve essere effettuata in base alla tabella delle valutazioni del grado percentuale di inabilità permanente annessa alla legge sull'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni.

 

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Allegato II
(articolo 7, comma 6, e articolo 17, comma 1)

CASI IN CUI IL DOCUMENTO DI VALUTAZIONE DEI RISCHI PUÒ ESSERE REDATTO IN FORMA SEMPLIFICATA E IN CUI È CONSENTITO LO SVOLGIMENTO DIRETTO DA PARTE DEL DATORE DI LAVORO DEI COMPITI DI PREVENZIONE E PROTEZIONE DAI RISCHI

1. Aziende artigiane e industriali (1) fino a   50 addetti
2. Aziende agricole e zootecniche fino a   10 addetti (2)
3. Aziende della pesca fino a   20 addetti
4. Altre aziende fino a 200 addetti

Note.
        (1) Esclusi le aziende industriali soggette all'obbligo di notifica di cui all'articolo 6, comma 1, del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334, e successive modificazioni, le centrali termoelettriche, gli impianti e le installazioni di cui agli articoli 7, 28 e 33 del decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 230, e successive modificazioni, le aziende estrattive e altre attività minerarie, le aziende per la fabbricazione e il deposito separato di esplosivi, polveri e munizioni, le strutture di ricovero e cura sia pubbliche sia private.
        (2) Addetti a tempo indeterminato.

 

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Allegato III
(articolo 42, comma 1)

PRESCRIZIONI MINIME DI SICUREZZA E DI SALUTE PER I LUOGHI DI LAVORO

1. Stabilità e solidità

        Gli edifici che ospitano i luoghi di lavoro devono essere stabili e possedere una solidità che corrisponda al loro tipo d'impiego.

2. Impianto elettrico

        L'impianto elettrico deve essere concepito e realizzato in modo da non costituire un pericolo d'incendio e di esplosione e far sì che le persone siano protette in modo adeguato dai rischi di infortunio che possono essere causati da contatti diretti o indiretti.
        La concezione, la realizzazione e la scelta del materiale e dei dispositivi di protezione devono tener conto della tensione, dei condizionamenti esterni e della competenza delle persone aventi accesso a parti dell'impianto.

3. Vie e uscite di emergenza

        3.1. Le vie e le uscite di emergenza devono rimanere sgombre e sboccare il più rapidamente possibile all'aperto o in una zona di sicurezza.
        3.2. In caso di pericolo tutti i posti di lavoro devono poter essere evacuati rapidamente e in piena sicurezza da parte dei lavoratori.
        3.3. Il numero, la distribuzione e le dimensioni delle vie e delle uscite di emergenza dipendono dall'uso, dall'attrezzatura e dalle dimensioni dei luoghi di lavoro, nonché dal numero massimo di persone che possono essere presenti in tali luoghi.
        3.4. Le porte di emergenza devono aprirsi verso l'esterno.
        Le porte di emergenza non devono essere chiuse, in modo da poter essere aperte facilmente e immediatamente da parte di qualsiasi persona che abbia bisogno di utilizzarle in caso di emergenza.
        Le porte scorrevoli e le porte a bussola che costituiscono specificamente porte di emergenza sono vietate.
        3.5. Le vie e uscite specifiche di emergenza devono essere oggetto di una segnaletica conforme al titolo VI.
        Tale segnaletica deve essere apposta nei luoghi appropriati ed essere durevole.

 

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        3.6. Le porte di emergenza non devono essere chiuse a chiave. Le vie e le uscite di emergenza, nonché le vie di circolazione e le porte che vi danno accesso non devono essere ostruite da oggetti, in modo da poter essere utilizzate in ogni momento senza impedimenti.
        3.7. Le vie e le uscite di emergenza che richiedono un'illuminazione devono essere dotate di un'illuminazione di sicurezza di intensità sufficiente nei casi di guasto dell'impianto elettrico.

4. Rilevazione e lotta antincendio

        4.1. A seconda delle dimensioni e dell'uso degli edifici, delle attrezzature presenti, delle caratteristiche fisiche e chimiche delle sostanze presenti, nonché del numero massimo di persone che possono essere presenti, i luoghi di lavoro devono essere dotati di dispositivi adeguati per combattere l'incendio e, se del caso, di rilevatori di incendio e di sistemi di allarme.
        4.2. I dispositivi non automatici di lotta antincendio devono essere facilmente accessibili e utilizzabili.
        Essi devono essere oggetto di una segnaletica conforme alla direttiva 92/58/CEE del Consiglio, del 24 giugno 1992.
        Tale segnaletica deve essere apposta nei luoghi appropriati ed essere durevole.

5. Aerazione dei luoghi di lavoro chiusi

        5.1. Nei luoghi di lavoro chiusi è necessario far sì che, tenendo conto dei metodi di lavoro e degli sforzi fisici ai quali sono sottoposti i lavoratori, essi dispongano di aria salubre in quantità sufficiente.
        Se viene utilizzato un impianto di aerazione, esso deve essere sempre mantenuto funzionante.
        Ogni eventuale guasto deve essere segnalato da un sistema di controllo, quando ciò sia necessario per salvaguardare la salute dei lavoratori.
        5.2. Se sono utilizzati impianti di condizionamento dell'aria o di ventilazione meccanica, essi devono funzionare in modo che i lavoratori non siano esposti a correnti d'aria fastidiose.
        Qualsiasi sedimento o sporcizia che potrebbe comportare un pericolo immediato per la salute dei lavoratori dovuto all'inquinamento dell'aria respirata deve essere eliminato rapidamente.
        5.3. Se i lavoratori devono penetrare in luoghi, quali pozzi, fogne, camini, fosse, gallerie, e in generale ambienti o recipienti, in cui l'atmosfera può contenere sostanze tossiche o nocive o avere un tenore insufficiente di ossigeno o essere infiammabile, prima dell'accesso si deve controllare l'atmosfera oppure risanare l'atmosfera in modo certo mediante ventilazione o altre misure idonee. Quando possono esservi dubbi sulla pericolosità dell'atmosfera, occorre prevedere procedure adeguate per la particolare attività, ivi compresi la vigilanza e l'assistenza dall'esterno nonché l'impiego di idonei dispositivi di

 

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protezione individuale (articolo 25 del decreto del Presidente della Repubblica 19 marzo 1956, n. 303).

6. Temperatura dei locali

        6.1. La temperatura nei locali di lavoro deve essere adeguata all'organismo umano durante il tempo di lavoro, tenuto conto dei metodi di lavoro applicati e degli sforzi fisici imposti ai lavoratori.
        6.2. La temperatura dei locali di riposo, dei locali per il personale di sorveglianza, dei servizi igienico-assistenziali, delle mense e dei locali di primo soccorso deve essere conforme alla destinazione specifica di tali locali.
        6.3. Le finestre, i lucernari e le pareti vetrate devono permettere di evitare un soleggiamento eccessivo dei luoghi di lavoro, tenendo conto del tipo di attività e della natura del luogo di lavoro.

7. Illuminazione naturale e artificiale dei locali

        7.1. I locali di lavoro devono disporre, nella misura del possibile, di sufficiente luce naturale ed essere dotati di dispositivi che consentano un'illuminazione artificiale adeguata per salvaguardare la sicurezza e la salute dei lavoratori.
        7.2. Gli impianti di illuminazione dei locali di lavoro e delle vie di circolazione devono essere installati in modo che il tipo di illuminazione previsto non rappresenti un rischio di infortunio per i lavoratori.
        7.3. I luoghi di lavoro nei quali i lavoratori sono particolarmente esposti a rischi in caso di guasto dell'illuminazione artificiale devono disporre di un'illuminazione di sicurezza di sufficiente intensità.

8. Pavimenti, muri, soffitti e tetti dei locali

        8.1. I pavimenti dei locali di lavoro devono essere esenti da protuberanze, cavità o piani inclinati pericolosi; devono essere fissi, stabili e antisdrucciolevoli. I locali di lavoro in cui sono installati posti di lavoro devono essere provvisti di un isolamento termico sufficiente, tenuto conto del tipo di impresa e dell'attività fisica dei lavoratori.
        8.2. Le superfici dei pavimenti, dei muri e dei soffitti nei locali di lavoro devono essere tali da poter essere pulite e deterse per ottenere condizioni adeguate d'igiene. La pulizia va effettuata, per quanto possibile, al di fuori dell'orario di lavoro e in modo da ridurre il sollevamento della polvere, oppure mediante aspiratori (articoli 7 e 15 del citato decreto del Presidente della Repubblica 19 marzo 1956, n. 303, e successive modificazioni).
        8.3. Le pareti trasparenti o traslucide, in particolare le pareti completamente vetrate, nei locali o nelle vicinanze dei posti di lavoro e delle vie di circolazione devono essere chiaramente segnalate e costituite da materiali di sicurezza ovvero essere separate dai citati

 

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posti di lavoro e dalle vie di circolazione, in modo tale che i lavoratori non possano entrare in contatto con le pareti né essere feriti qualora esse vadano in frantumi.
        8.4. L'accesso ai tetti costituiti da materiali non sufficientemente resistenti può essere autorizzato soltanto se sono fornite attrezzature che permettano di eseguire il lavoro in tutta sicurezza.

9. Finestre e lucernari dei locali

        9.1. Le finestre, i lucernari e i dispositivi di ventilazione devono poter essere aperti, chiusi, regolati e fissati dai lavoratori in tutta sicurezza. Quando sono aperti, essi non devono essere posizionati in modo da costituire un pericolo per i lavoratori.
        9.2. Le finestre e i lucernari devono essere concepiti congiuntamente con l'attrezzatura o dotati di dispositivi che consentano la loro pulitura senza rischi per i lavoratori che effettuano tale lavoro, nonché per i lavoratori presenti nell'edificio e intorno ad esso.

10. Porte e portoni

        10.1. La posizione, il numero, i materiali di realizzazione e le dimensioni delle porte e dei portoni sono determinati dalla natura e dall'uso dei locali o degli spazi di lavoro.
        10.2. Sulle porte trasparenti deve essere apposto un segno indicativo all'altezza degli occhi.
        10.3. Le porte e i portoni a battente devono essere trasparenti o essere muniti di pannelli trasparenti.
        10.4. Se le superfici trasparenti o traslucide di porte e di portoni non sono costituite da materiali di sicurezza e vi è il rischio che i lavoratori possano essere feriti se una porta o un portone va in frantumi, tali superfici devono essere protette contro lo sfondamento.
        10.5. Le porte scorrevoli devono disporre di un sistema di sicurezza che impedisca loro di uscire dalle guide e di cadere.
        10.6. Le porte e i portoni che si aprono verso l'alto devono disporre di un sistema di sicurezza che impedisca loro di ricadere.
        10.7. Le porte situate sul percorso delle vie di emergenza devono essere contrassegnate in maniera appropriata.
        Esse devono poter essere aperte ad ogni momento dall'interno senza aiuto speciale.
        Quando i luoghi di lavoro sono occupati, le porte devono poter essere aperte.
        10.8. Immediatamente accanto ai portoni destinati essenzialmente alla circolazione dei veicoli devono esistere, a meno che il passaggio dei pedoni sia sicuro, porte per la circolazione dei pedoni che devono essere segnalate in modo visibile ed essere sgombre in permanenza.
        10.9. Le porte e i portoni meccanici devono funzionare senza rischi di infortuni per i lavoratori.
        Devono essere muniti di dispositivi di arresto di emergenza facilmente identificabili e accessibili e poter essere aperti anche

 

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manualmente, salvo che si aprano automaticamente in caso di mancanza di corrente.

11. Vie di circolazione - zone di pericolo

        11.1. Le vie di circolazione, comprese scale, scale fisse e banchine e rampe di carico, devono essere situate e calcolate in modo tale che i pedoni o i veicoli possano utilizzarle facilmente in piena sicurezza e conformemente alla loro destinazione e che i lavoratori operanti nelle vicinanze di queste vie di circolazione non corrano alcun rischio.
        11.2. Il calcolo delle dimensioni delle vie di circolazione per persone e per merci deve essere basato sul numero potenziale di utenti e sul tipo di impresa.
        Qualora sulle vie di circolazione siano utilizzati mezzi di trasporto, deve essere prevista per i pedoni una distanza di sicurezza sufficiente.
        11.3. Le vie di circolazione destinate ai veicoli devono passare ad una distanza sufficiente da porte, portoni, passaggi per pedoni, corridoi e scale.
        11.4. Nella misura in cui l'uso e l'attrezzatura dei locali lo esigano per garantire la protezione dei lavoratori, il tracciato delle vie di circolazione deve essere evidenziato.
        11.5. Se i luoghi di lavoro comportano zone a rischio in funzione della natura del lavoro e presentano rischi di cadute dei lavoratori o rischi di cadute di oggetti, tali luoghi devono essere dotati, ove possibile, di dispositivi per impedire che i lavoratori non autorizzati possano accedere a dette zone.
        Devono essere prese misure appropriate per proteggere i lavoratori autorizzati ad accedere alle zone a rischio.
        Le zone a rischio devono essere segnalate in modo chiaramente visibile.

12. Misure specifiche per le scale e i marciapiedi mobili

        Le scale e i marciapiedi mobili devono funzionare in piena sicurezza.
        Devono essere muniti dei necessari dispositivi di sicurezza.
        Devono possedere dispositivi di arresto di emergenza facilmente identificabili e accessibili.

13. Banchine e rampe di carico

        13.1. Le banchine e rampe di carico devono essere adeguate alle dimensioni dei carichi trasportati.
        13.2. Le banchine di carico devono disporre di almeno un'uscita.
        Ove sia tecnicamente possibile, le banchine di carico che superano una certa lunghezza devono disporre di un'uscita a ciascuna estremità.

 

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        13.3. Le rampe di carico devono offrire, per quanto possibile, una sicurezza tale da evitare che i lavoratori possano cadere.

14.  Dimensioni e volume d'aria nei locali, spazio per la libertà di movimento sul posto di lavoro

        14.1. I locali di lavoro devono avere una superficie, un'altezza e un volume d'aria tali da permettere ai lavoratori di eseguire il lavoro senza rischi per la loro sicurezza, salute e benessere.
        14.2. Le dimensioni della superficie libera senza mobili del posto di lavoro devono essere calcolate in modo tale che il personale disponga di sufficiente libertà di movimento per le sue attività.
        Se tale criterio non può essere rispettato per motivi relativi al posto di lavoro, il lavoratore deve poter disporre nelle vicinanze del suo posto di lavoro di un altro spazio libero sufficiente.

15.  Locali di riposo e di refezione

        15.1. Quando la sicurezza e la salute dei lavoratori, segnatamente a causa del tipo di attività, lo richiedono, i lavoratori devono poter disporre di un locale di riposo di refezione facilmente accessibile.
        La disposizione non si applica quando il personale lavora in uffici o in analoghi locali di lavoro che offrono equivalenti possibilità di riposo durante la pausa.
        15.2. I locali di riposo e di refezione devono avere dimensioni sufficienti ed essere dotati di un numero di tavoli e di sedili con schienale in funzione del numero dei lavoratori.
        15.3. Nei locali di riposo e di refezione si devono adottare misure adeguate per la protezione dei non fumatori contro gli inconvenienti del fumo.
        15.4. Quando il tempo di lavoro è interrotto regolarmente e frequentemente e non esistono locali di riposo, devono essere messi a disposizione del personale altri locali affinché questi possa soggiornarvi durante l'interruzione del lavoro nel caso in cui la sua sicurezza o salute lo esiga.
        In tali locali è opportuno prevedere misure adeguate per la protezione dei non fumatori contro gli inconvenienti del fumo.

16. Donne incinte e madri che allattano

        Le donne incinte e le madri che allattano devono avere la possibilità di riposarsi in posizione distesa in condizioni appropriate.

17. Servizi igienico-assistenziali

        17.1. Acqua

        Nei luoghi di lavoro deve essere messa a disposizione dei lavoratori acqua potabile in quantità sufficiente.

 

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        17.2. Spogliatoi e armadi per il vestiario

        17.2.1. Spogliatoi appropriati devono essere messi a disposizione dei lavoratori quando questi devono indossare indumenti di lavoro speciali e non si possa loro chiedere, per ragioni di salute o di decenza, di cambiarsi in un altro locale.
        Gli spogliatoi devono essere facilmente accessibili, avere una capacità sufficiente ed essere muniti di sedili.
        17.2.2. Gli spogliatoi devono avere dimensioni sufficienti ed essere dotati di attrezzature che consentano a ciascun lavoratore di chiudere a chiave i propri indumenti durante il tempo di lavoro.
        Ove le circostanze lo richiedano (ad esempio, sostanze pericolose, umidità, sporcizia), gli armadi per gli indumenti da lavoro devono essere separati da quelli per gli indumenti privati.
        17.2.3. Spogliatoi separati o un'utilizzazione separata degli stessi devono essere previsti per gli uomini e per le donne.
        17.2.4. Qualora gli spogliatoi non risultino necessari ai sensi del punto 17.2.1, primo capoverso, ciascun lavoratore deve poter disporre di uno spazio per riporre i propri indumenti.

        17.3. Docce

        17.3.1. Docce sufficienti e appropriate devono essere messe a disposizione dei lavoratori quando il tipo di attività o la salubrità lo esigano.
        Devono essere previsti locali per le docce separati per uomini e donne o un'utilizzazione separata degli stessi.
        17.3.2. I locali delle docce devono avere dimensioni sufficienti per permetterne l'uso a ciascun lavoratore senza impacci e in condizioni appropriate di igiene.
        Le docce devono essere dotate di acqua corrente calda e fredda.
        17.3.3. Le docce e gli spogliatoi devono facilmente comunicare tra loro.

        17.4. Gabinetti e lavabi

        I lavoratori devono disporre in prossimità dei loro posti di lavoro, dei locali di riposo, degli spogliatoi e delle docce di un numero sufficiente di gabinetti e di lavabi con acqua corrente calda, se necessario.
        Per uomini e donne devono essere previsti gabinetti separati o un'utilizzazione separata degli stessi.

18. Locali adibiti al primo soccorso

        18.1. Qualora l'importanza dei locali di lavoro, il tipo di attività in essi svolta a la frequenza degli infortuni lo richiedano, occorre prevedere uno o più locali adibiti al primo soccorso.

 

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        18.2. I locali adibiti al primo soccorso devono essere dotati di apparecchi e di materiale di primo soccorso indispensabili ed essere facilmente accessibili con barelle.
        Essi devono essere oggetto di una segnaletica conforme al titolo VI.
        18.3. Il materiale di primo soccorso deve inoltre essere disponibile in tutti i luoghi in cui le condizioni di lavoro lo richiedano.
        Esso deve essere oggetto di una segnaletica appropriata e deve essere facilmente accessibile.

19. Lavoratori disabili

        I luoghi di lavoro devono essere strutturati tenendo conto, se del caso, di eventuali lavoratori disabili.
        Tale obbligo vige in particolare per le porte, le vie di circolazione, le scale, le docce, i lavatoi, i gabinetti e i posti di lavoro utilizzati od occupati direttamente da lavoratori disabili.

20. Luoghi di lavoro esterni (disposizioni particolari)

        20.1. I posti di lavoro, le vie di circolazione e altri luoghi o impianti all'aperto utilizzati od occupati dai lavoratori durante le loro attività devono essere concepiti in modo tale che la circolazione dei pedoni e dei veicoli possa avvenire in modo sicuro.
        I punti 11,12 e 13 sono altresì applicabili alle vie di circolazione principali sul terreno dell'impresa (vie di circolazione che portano a posti di lavoro fissi), alle vie di circolazione utilizzate per la regolare manutenzione e sorveglianza degli impianti dell'impresa, nonché alle banchine di carico.
        Il punto 11 si applica per analogia ai luoghi di lavoro esterni.
        20.2. I luoghi di lavoro all'aperto devono essere opportunamente illuminati con luce artificiale quando la luce del giorno non è sufficiente.
        20.3. Quando i lavoratori occupano posti di lavoro all'aperto, questi posti devono essere strutturati, per quanto possibile, in modo tale che i lavoratori:

            a) siano protetti contro gli agenti atmosferici e, se necessario, contro la caduta di oggetti;
            b) non siano esposti a livelli sonori nocivi o ad agenti esterni nocivi (ad esempio, gas, vapori, polveri);

            c) possano abbandonare rapidamente il posto di lavoro in caso di pericolo o possano essere soccorsi rapidamente;

            d) non possano scivolare o cadere.

 

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Allegato IV
(articolo 42, comma 1)

PRESCRIZIONI MINIME DI SICUREZZA E DI SALUTE PER I CANTIERI

Osservazioni preliminari

        Gli obblighi previsti dal presente allegato si applicano ogni qualvolta le caratteristiche del cantiere o dell'attività, le circostanze o un rischio lo richiedano.
        Ai fini del presente allegato, il termine «locali» include le baracche.


Parte A

PRESCRIZIONI MINIME DI CARATTERE GENERALE PER I LUOGHI DI LAVORO SUI CANTIERI

1. Stabilità e solidità

        1.1. I materiali, le attrezzature e in generale ogni elemento che durante uno spostamento possa pregiudicare la sicurezza e la salute dei lavoratori devono essere stabilizzati in modo adeguato e sicuro.
        1.2. L'accesso a qualsiasi superficie costituita da materiali che non offrono una resistenza sufficiente è autorizzato soltanto se sono disponibili attrezzature o mezzi adeguati per poter realizzare il lavoro in modo sicuro.

2. Impianto di distribuzione di energia

        2.1. Gli impianti di distribuzione di energia devono essere concepiti, realizzati e utilizzati in modo da non costituire un pericolo d'incendio o di esplosione e da proteggere in maniera adeguata le persone contro i rischi di folgorazione per contatti diretti o indiretti.
        2.2. La progettazione, la realizzazione e la scelta delle attrezzature e dei dispositivi di protezione devono tener conto del tipo e della potenza dell'energia distribuita, delle condizioni di influenze esterne e della competenza delle persone che hanno accesso a parti dell'impianto.

 

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3. Vie e uscite di emergenza

        3.1. Le vie e le uscite di emergenza devono restare sgombre e sboccare il più direttamente possibile in una zona di sicurezza.
        3.2. In caso di pericolo tutti i posti di lavoro devono poter essere evacuati rapidamente e in condizioni di massima sicurezza da parte dei lavoratori.
        3.3. Il numero, la distribuzione e le dimensioni delle vie e delle uscite di emergenza dipendono dall'impiego, dall'attrezzatura e dalle dimensioni del cantiere e dei locali, nonché dal numero massimo di persone che possono esservi presenti.
        3.4. Le vie e le uscite specifiche di emergenza devono essere oggetto di una segnaletica conforme al titolo VI. La segnaletica deve essere sufficientemente resistente ed essere apposta in luoghi appropriati.
        3.5. Le vie e le uscite di emergenza, nonché le vie di circolazione e le porte che vi danno accesso non devono essere ostruite da oggetti in modo che possano essere utilizzate senza intralci ad ogni momento.
        3.6. Le vie e le uscite di emergenza che necessitano di illuminazione devono essere dotate di una illuminazione di emergenza di intensità sufficiente in caso di guasto all'impianto.

4. Rilevamento e lotta antincendio

        4.1. A seconda delle caratteristiche del cantiere, delle dimensioni e dell'uso dei locali, delle attrezzature presenti, delle caratteristiche fisiche e chimiche delle sostanze o dei materiali presenti, nonché del numero massimo di persone che possono essere presenti, deve essere previsto un numero sufficiente di dispositivi adeguati antincendio e, se necessario, di rilevatori di incendio e di sistemi di allarme.
        4.2. Tali dispositivi di lotta antincendio, rilevatori di incendio e sistemi di allarme devono essere regolarmente verificati e mantenuti in efficienza.
        A intervalli regolari devono essere svolti prove ed esercizi appropriati.
        4.3. I dispositivi non automatici di lotta contro l'incendio devono essere facilmente accessibili e manovrabili. Essi devono essere oggetto di una segnaletica conforme al titolo VI. La segnaletica deve essere sufficientemente resistente ed essere apposta in luoghi appropriati.

5. Aerazione

        5.1. Tenuto conto dei metodi di lavoro e delle sollecitazioni fisiche imposte ai lavoratori, si deve far sì che questi ultimi dispongano di aria salubre in quantità sufficiente.
        5.2. Qualora venga impiegato un impianto di aerazione, esso deve essere mantenuto in condizione di funzionare e di non esporre i lavoratori a correnti d'aria nocive per la loro salute.

 

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        5.3. Un sistema di controllo deve segnalare ogni guasto quando ciò risulti necessario per la salute dei lavoratori.

6. Esposizione a rischi particolari

        6.1. Se dei lavoratori devono penetrare in una zona in cui l'atmosfera può contenere sostanze tossiche o nocive o avere un tenore insufficiente di ossigeno o essere infiammabile, tale atmosfera deve essere controllata e devono essere prese le misure adeguate per prevenire ogni pericolo.
        6.2. Un lavoratore non può in nessun caso essere esposto ad un'atmosfera chiusa a grave rischio.
        Egli deve almeno essere sorvegliato di continuo dall'esterno e devono essere attuate tutte le precauzioni opportune per poterlo soccorrere in modo efficace ed immediato.

7. Temperatura

        Durante il lavoro la temperatura per l'organismo umano deve essere adeguata, tenuto conto dei metodi di lavoro applicati e delle sollecitazioni fisiche imposte ai lavoratori.

8.  Illuminazione naturale e artificiale dei posti di lavoro, dei locali e delle vie di circolazione sul cantiere

        8.1. I posti di lavoro, i locali e le vie di circolazione sul cantiere devono per quanto possibile disporre di luce naturale sufficiente ed essere illuminati in maniera adeguata e sufficiente con luce artificiale di notte e quando la luce naturale è insufficiente; se del caso, vanno utilizzate fonti di luce portatili protette contro gli urti.
        Il colore utilizzato per l'illuminazione artificiale non può alterare o influenzare la percezione dei segnali o dei cartelli stradali.
        8.2. Gli impianti di illuminazione dei locali, dei posti di lavoro e delle vie di circolazione devono essere disposti in modo tale che il tipo di illuminazione previsto non presenti rischi di infortunio per i lavoratori.
        8.3. I locali, i posti di lavoro e le vie di circolazione in cui i lavoratori sono particolarmente esposti a rischi in caso di guasto dell'illuminazione artificiale devono disporre di una illuminazione di emergenza di sufficiente intensità.

9. Porte e portoni

        9.1. Le porte scorrevoli devono essere dotate di un sistema di sicurezza che ne eviti la fuoriuscita dalle guide e la caduta.
        9.2. Le porte ed i portoni che si aprono verso l'alto devono essere dotati di un sistema di sicurezza che impedisca loro di ricadere.

 

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        9.3. Le porte situate sul tracciato delle vie di emergenza devono essere contrassegnate in modo appropriato.
        9.4. Nelle immediate vicinanze dei portoni destinati essenzialmente alla circolazione dei veicoli devono essere previste, a meno che il passaggio sia sicuro per i pedoni, porte per la circolazione dei pedoni, le quali devono essere segnalate in modo ben visibile e rimanere sgombre in permanenza.
        9.5. Le porte e i portoni meccanici devono funzionare senza rischio d'infortunio per i lavoratori.
        Essi devono disporre di dispositivi di blocco di emergenza facilmente identificabili ed accessibili e devono poter essere aperti manualmente, a meno che non si aprano automaticamente in caso di interruzione di energia.

10. Vie di circolazione - Zone di pericolo

        10.1. Le vie di circolazione, comprese le scale, le scale fisse e le banchine e le rampe di carico, devono essere calcolate, ubicate, sistemate e rese praticabili in modo che possano essere facilmente utilizzate in piena sicurezza e conformemente alla loro destinazione e che i lavoratori operanti nelle vicinanze di queste vie di circolazione non corrano alcun rischio.
        10.2. Le dimensioni delle vie che servono alla circolazione di persone e di merci, comprese quelle in cui avvengono operazioni di carico o scarico, devono essere previste per il numero potenziale di utilizzatori e per il tipo di attività.
        Quando sulle vie di circolazione vengono utilizzati mezzi di trasporto si deve prevedere una distanza di sicurezza sufficiente o mezzi di protezione adeguati per gli altri utenti del luogo. Tali vie devono essere chiaramente segnalate, regolarmente verificate e si deve provvedere alla loro manutenzione.
        10.3. Le vie di circolazione destinate ai veicoli devono passare a una distanza sufficiente dalle porte, portoni, passaggi per pedoni, corridoi e scale.
        10.4. Se il cantiere comporta zone di accesso limitato, tali zone devono essere dotate di dispositivi che evitino che i non addetti ai lavori vi possano accedere.
        Adeguate misure devono essere adottate per proteggere i lavoratori che sono autorizzati a penetrare nelle zone di pericolo.
        Le zone di pericolo devono essere segnalate in maniera ben visibile.

11. Banchine e rampe di carico

        11.1. Le banchine e le rampe di carico devono essere adeguate in funzione delle dimensioni dei carichi da trasportare.
        11.2. Le banchine di carico devono avere almeno una uscita.
        11.3. Le rampe di carico devono offrire una sicurezza tale che i lavoratori non possano cadere.

 

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12. Spazio per la libertà di movimento nel posto di lavoro

        La superficie del posto di lavoro deve essere dimensionata in modo tale che i lavoratori dispongano di sufficiente libertà di movimento per le loro attività, tenuto conto di qualsiasi attrezzatura o materiale necessari presenti.

13. Primo soccorso

        13.1. Spetta al datore di lavoro garantire che in ogni momento possa essere attuato un primo soccorso, con personale che abbia la formazione adeguata.
        Devono essere adottate misure per assicurare l'evacuazione per cure mediche dei lavoratori vittime di incidenti o di un malessere improvviso.
        13.2. Quando le dimensioni del cantiere o i tipi di attività lo richiedano, devono essere previsti uno o più locali destinati al primo soccorso.
        13.3. I locali destinati al primo soccorso devono essere dotati di impianti e di attrezzature di primo soccorso indispensabili ed essere facilmente accessibili con barelle. Essi devono essere oggetto di una segnaletica conforme al titolo VI.
        13.4. Attrezzature di pronto soccorso devono essere disponibili altresì in tutti i luoghi in cui lo richiedano le condizioni di lavoro. Esse devono essere oggetto di una segnaletica appropriata e devono essere facilmente accessibili.
        Una segnaletica chiaramente visibile deve indicare l'indirizzo e il numero di telefono del servizio locale di emergenza.

14. Servizi igienico-assistenziali

        14.1. Spogliatoi e armadi per gli abiti
        14.1.1. Spogliatoi adeguati devono essere messi a disposizione dei lavoratori quando essi devono indossare indumenti speciali di lavoro e, per motivi di salute o di decenza, non si può chiedere loro di cambiarsi in un altro luogo.
        Gli spogliatoi devono essere facilmente accessibili, avere una capacità sufficiente ed essere dotati di sedie.
        14.1.2. Gli spogliatoi devono essere di dimensioni sufficienti e disporre di dispositivi che consentano a ciascun lavoratore di far asciugare, se necessario, i suoi indumenti di lavoro, nonché i suoi abiti ed effetti personali e chiuderli a chiave.
        Qualora le circostanze lo richiedano (ad esempio, sostanze pericolose, umidità, sporcizia), gli indumenti di lavoro devono poter essere riposti separatamente dagli abiti e dagli effetti personali.
        14.1.3. Spogliatoi separati o un'utilizzazione separata degli spogliatoi devono essere previsti per gli uomini e per le donne.

 

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        14.1.4. Quando gli spogliatoi non sono necessari ai sensi del punto 14.1.1, primo capoverso, ogni lavoratore deve disporre di uno spazio in cui riporre sotto chiave i suoi abiti ed effetti personali.

        14.2. Docce

        14.2.1. Docce sufficienti ed appropriate devono essere messe a disposizione dei lavoratori quando il tipo di attività o la salubrità lo richiedano. Devono essere previsti locali per le docce separati per uomini e donne o un'utilizzazione separata degli stessi.
        14.2.2. I locali delle docce devono avere dimensioni sufficienti per permetterne l'uso a ciascun lavoratore senza impacci e in condizioni appropriate di igiene. Le docce devono essere dotate di acqua corrente calda e fredda.
        14.2.3. Le docce e gli spogliatoi devono facilmente comunicare tra loro.

        14.3. Gabinetti e lavabi

        14.3.1. I lavoratori devono disporre in prossimità dei loro posti di lavoro, dei locali di riposo, degli spogliatoi e delle docce di un numero sufficiente di gabinetti e di lavabi con acqua corrente calda, se necessario.
        14.3.2 Per uomini e donne devono essere previsti gabinetti separati o un'utilizzazione separata degli stessi.

15. Locali di riposo e di soggiorno

        15.1. Quando la sicurezza o la salute dei lavori lo richiedano, in particolare a causa del tipo di attività o del numero di lavoratori e della lontananza del cantiere da luoghi abitati, i lavoratori devono poter disporre di locali di riposo e di soggiorno facilmente accessibili.
        15.2. I locali di riposo e di soggiorno devono essere di dimensioni sufficienti ed essere dotati di un numero di tavoli e di sedie a schienale che tenga conto del numero di lavoratori.
        15.3. Qualora tali locali non esistano, altri spazi devono essere messi a disposizione del personale affinché possa trattenervisi durante l'interruzione del lavoro.
        15.4. I locali di soggiorno fissi, a meno che non siano utilizzati soltanto a titolo eccezionale, devono comportare servizi igienici in numero sufficiente, una sala per i pasti e una sala di riposo.
        Essi devono essere dotati di letti, armadi, tavoli e sedie a schienale in base al numero di lavoratori ed essere adibiti all'uso previsto tenendo eventualmente conto della presenza dei lavoratori di sesso maschile e femminile.
        15.5. Nei locali di riposo e di soggiorno si devono adottare misure appropriate di protezione dei non fumatori contro la molestia dovuta al consumo di tabacco.

 

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16. Donne incinte e madri che allattano

        Le donne incinte e le madri che allattano devono avere la possibilità di riposarsi in posizione distesa in condizioni appropriate.

17. Lavoratori disabili

        I luoghi di lavoro devono essere strutturati in funzione, se del caso, dei lavoratori disabili.
        Tale obbligo si applica in particolare alle porte, alle vie di comunicazione, alle scale, alle docce, ai lavandini, ai gabinetti e ai posti di lavoro utilizzati od occupati direttamente da lavoratori disabili.

18. Disposizioni varie

        18.1. L'accesso e il perimetro del cantiere devono essere segnalati in modo da essere chiaramente visibili e individuabili.
        18.2. I lavoratori devono disporre sul cantiere di acqua potabile ed eventualmente di un'altra bevanda appropriata non alcolica in quantità sufficiente nei locali occupati, nonché nelle vicinanze dei posti di lavoro.
        18.3. I lavoratori devono disporre:

            a) di attrezzature per prendere i loro pasti in condizioni soddisfacenti;

            b) all'occorrenza di attrezzature per preparare i loro pasti in condizioni soddisfacenti.


Parte B

PRESCRIZIONI MINIME SPECIFICHE PER I POSTI DI LAVORO NEI CANTIERI

Osservazione preliminare

        Quando è richiesto da situazioni particolari, la classificazione delle prescrizioni minime in due sezioni, di seguito descritte, non deve essere considerata tassativa.


Sezione I

Posti di lavoro nei cantieri all'interno dei locali

1. Stabilità e solidità

        I locali devono presentare una struttura e una stabilità adeguate al tipo di impiego.

 

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2. Porte di emergenza

        2.1. Le porte di emergenza devono aprirsi verso l'esterno.
        2.2. Le porte di emergenza non devono essere chiuse in modo tale da non poter essere aperte facilmente e immediatamente da ogni persona che abbia bisogno di utilizzarle in caso di emergenza.
        2.3 Le porte scorrevoli e le porte a bussola sono vietate come porte di emergenza.

3. Aerazione

        3.1. Qualora vengano impiegati impianti di condizionamento d'aria o di ventilazione meccanica, essi devono funzionare in modo tale che i lavoratori non vengano esposti a correnti d'aria moleste.
        3.2. Ogni deposito e accumulo di sporcizia che possono comportare immediatamente un rischio per la salute dei lavoratori a causa dell'inquinamento dell'aria respirata devono essere eliminati rapidamente.

4. Temperatura

        4.1. La temperatura dei locali di riposo, dei locali per il personale in servizio permanente, dei gabinetti, delle mense e dei locali di primo soccorso deve soddisfare alla destinazione specifica di tali locali.
        4.2. Le finestre, i lucernari e le pareti vetrate devono consentire di evitare un eccessivo soleggiamento, tenuto conto del tipo di lavoro e dell'uso del locale.

5. Illuminazione naturale e artificiale

        I luoghi di lavoro devono disporre, nella misura del possibile, di sufficiente luce naturale ed essere dotati di dispositivi che consentano un'adeguata illuminazione artificiale per tutelare la sicurezza e la salute dei lavoratori.

6. Pavimenti, pareti e soffitti dei locali

        6.1. I pavimenti dei locali non devono presentare protuberanze, cavità o piani inclinati pericolosi; essi devono essere fissi, stabili e antisdrucciolevoli.
        6.2. Le superfici dei pavimenti, delle pareti e dei soffitti nei locali devono essere tali da poter essere pulite e intonacate per ottenere condizioni appropriate di igiene.
        6.3. Le pareti trasparenti o traslucide, in particolare le pareti interamente vetrate nei locali o nei pressi dei posti di lavoro e delle vie di circolazione devono essere chiaramente segnalate ed essere costituite da materiali di sicurezza ovvero essere separate dai citati

 

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posti di lavoro e vie di circolazione, in modo tale che i lavoratori non possano entrare in contatto con le pareti stesse, né essere feriti qualora vadano in frantumi.

7. Finestre e lucernari dei locali

        7.1. Le finestre, i lucernari e i dispositivi di ventilazione devono poter essere aperti, chiusi, regolati e fissati dai lavoratori in maniera sicura.
        Quando sono aperti, essi non devono essere posizionati in modo da costituire un pericolo per i lavoratori.
        7.2. Le finestre e i lucernari devono essere progettati in maniera congiunta con le attrezzature o essere dotati di dispositivi, al fine di evitare rischi per i lavoratori che effettuano tale lavoro e per i lavoratori presenti.

8. Porte e portoni

        8.1. La posizione, il numero, i materiali impiegati e le dimensioni delle porte e dei portoni sono determinati dalla natura e dall'uso dei locali.
        8.2. Un segnale deve essere apposto ad altezza d'uomo sulle porte trasparenti.
        8.3. Le porte ed i portoni a vento devono essere trasparenti o essere dotati di pannelli trasparenti.
        8.4. Quando le superfici trasparenti o traslucide delle porte e dei portoni sono costituite da materiale di sicurezza e quando vi è il rischio che i lavoratori possano essere feriti se una porta o un portone va in frantumi, queste superfici devono essere protette contro lo sfondamento.

9. Vie di circolazione

        Quando l'uso e l'attrezzatura dei locali lo richiedano per assicurare la protezione dei lavoratori, il tracciato delle vie di circolazione deve essere messo in evidenza.

10. Misure specifiche per le scale e i marciapiedi mobili

        La scale e i marciapiedi mobili devono funzionare in modo sicuro.
        Essi devono essere dotati dei necessari dispositivi di sicurezza.
        Essi devono essere dotati di dispositivi di arresto di emergenza facilmente identificabili e accessibili.

11. Dimensione e volume d'aria dei locali

        I locali di lavoro devono avere una superficie e un'altezza che consentano ai lavoratori di eseguire il loro lavoro senza rischio per la loro sicurezza, salute e benessere.

 

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Sezione II

Posti di lavoro nei cantieri all'esterno dei locali

1. Stabilità e solidità

        1.1. I posti di lavoro mobili o fissi situati in elevazione o in profondità devono essere solidi e stabili, tenendo conto:

        ma) del numero di lavoratori che li occupano;

            b) dei carichi massimi che essi possono essere chiamati a sopportare e della loro ripartizione;

            c) delle influenze esterne che essi possono subire.

        Qualora il supporto e gli altri componenti di tali posti di lavoro non presentino una stabilità intrinseca, si deve assicurare la loro stabilità con mezzi di fissaggio appropriati e sicuri per evitare ogni spostamento intempestivo o involontario dell'intero posto di lavoro o di parti di esso.

        1.2. Verifica

        La stabilità e la solidità devono essere verificate in maniera appropriata e in particolar modo dopo una eventuale modifica dell'altezza o della profondità del posto di lavoro.

2. Impianti di distribuzione di energia

        2.1. Gli impianti di distribuzione di energia del cantiere, in particolare quelli soggetti ad influenze esterne, devono essere regolarmente verificati e sottoposti a manutenzione.
        2.2. Gli impianti esistenti prima dell'inizio del cantiere devono essere identificati, verificati e chiaramente segnalati.
        2.3. Le eventuali linee elettriche aeree devono essere, per quanto possibile, deviate al di fuori dell'area del cantiere o messe fuori tensione.
        Se ciò non è possibile, si devono prevedere barriere o avvertenze affinché i veicoli e gli impianti vengano mantenuti a distanza.
        Adeguati avvertimenti e una protezione sospesa devono essere previsti nel caso in cui veicoli del cantiere passino sotto le linee.

3. Influenze atmosferiche

        I lavoratori devono essere protetti contro le influenze atmosferiche che possono compromettere la loro sicurezza e salute.

 

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4. Caduta di oggetti

        I lavoratori devono essere protetti contro la caduta di oggetti, con mezzi collettivi ogniqualvolta ciò sia tecnicamente possibile.
        I materiali e le attrezzature devono essere disposti o accatastati in modo tale da evitarne il crollo o il ribaltamento.
        Se necessario, si devono prevedere passaggi coperti sul cantiere o rendere impossibile l'accesso alle zone pericolose.

5. Scavi, pozzi, lavori sotterranei, gallerie, sterri

        5.1. Si devono prendere adeguate precauzioni nel caso di scavi, pozzi, lavori sotterranei o gallerie:

            a) mediante puntellatura o sostegno a scarpa adeguati;

            b) per prevenire i pericoli relativi alla caduta di una persona, di materiali o di oggetti, o all'irruzione di acque;

            c) per provvedere a fornire una ventilazione sufficiente in tutti i posti di lavoro, mantenendo un'atmosfera respirabile che non sia pericolosa o nociva per la salute;

            d) per consentire ai lavoratori di mettersi al sicuro in caso d'incendio o di irruzione di acque o di materiali.

        5.2. Prima dell'inizio dello sterro, si devono prendere delle misure per individuare e ridurre al minimo i pericoli derivanti dalla presenza di cavi sotterranei e altri sistemi di distribuzione.
        5.3. Si devono prevedere vie sicure per penetrare nelle zone degli scavi ed uscirne.
        5.4. I cumuli di materiali di sterro, i materiali e i veicoli in movimento devono essere tenuti a distanza dai luoghi di scavo. Si devono costruire, all'occorrenza, adeguate barriere.

6. Lavori di demolizione

        Quando la demolizione di un edificio o di una struttura può presentare un pericolo:

            a) devono essere adottate precauzioni, metodi e procedure adeguate;

            b) i lavori devono essere progettati e intrapresi soltanto sotto la sorveglianza di una persona competente.

7. Paratoie e cassoni

        7.1. Paratoie e cassoni devono essere:

            a) ben costruiti, con materiali appropriati e solidi dotati di resistenza sufficiente;

 

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            b) provvisti dell'attrezzatura adeguata per consentire ai lavoratori di ripararsi in caso di irruzione d'acqua e di materiali.

        7.2. La costruzione, la sistemazione, la trasformazione o lo smantellamento di una paratoia o di un cassone devono essere effettuati soltanto sotto la sorveglianza di una persona competente.
        7.3. Tutte le paratoie e i cassoni devono essere ispezionati ad intervalli regolari da una persona competente.

8. Lavori sui tetti

        8.1. In caso di necessità per evitare un rischio o quando l'altezza o l'inclinazione superano i valori fissati dall'Unione europea, devono essere prese disposizioni collettive preventive per evitare la caduta dei lavoratori, degli attrezzi o di altri oggetti o materiali.
        8.2. Quando i lavoratori devono lavorare su un tetto o in prossimità di esso o di qualsiasi altra superficie fatta di materiali fragili, attraverso i quali è possibile cadere, devono essere prese misure preventive per evitare che inavvertitamente i lavoratori camminino sulla superficie di materiale fragile o cadano a terra.

 

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Allegato V
(articolo 46, comma 2)

PRESCRIZIONI MINIME DI SICUREZZA PER LE ATTREZZATURE DI LAVORO

1.  Osservazione generale.

      Le prescrizioni di cui al presente allegato si applicano allorché esiste, per l'attrezzatura di lavoro considerata, un rischio corrispondente.

2. Prescrizioni minime generali applicabili alle attrezzature di lavoro

        2.1. I dispositivi di comando di un'attrezzatura di lavoro aventi un'incidenza sulla sicurezza devono essere chiaramente visibili, individuabili ed eventualmente contrassegnati da una marcatura adatta.
        I dispositivi di comando devono essere ubicati al di fuori delle zone pericolose, eccettuati, se necessario, taluni dispositivi di comando, e disposti in modo che la loro manovra non possa causare rischi supplementari. Essi non devono comportare rischi derivanti da una manovra accidentale.
        Se necessario, dal posto di comando principale, l'operatore deve essere in grado di accertarsi dell'assenza di persone nelle zone pericolose. Se ciò non dovesse essere possibile, qualsiasi messa in moto deve essere preceduta automaticamente da un segnale di avvertimento sonoro e/o visivo. La persona esposta deve avere il tempo e/o i mezzi di sottrarsi rapidamente ad eventuali rischi causati dalla messa in moto e/o dall'arresto dell'attrezzatura di lavoro.
         I sistemi di comando devono essere sicuri ed essere scelti tenendo conto dei guasti, dei disturbi e delle sollecitazioni prevedibili nell'ambito dell'uso progettato.
        2.2. La messa in moto di un'attrezzatura deve poter essere effettuata soltanto mediante un'azione volontaria su un organo di comando concepito a tal fine.
        Lo stesso vale:

            a) per la rimessa in moto dopo un arresto, indipendentemente dalla sua origine;

            b) per il comando di una modifica rilevante delle condizioni di funzionamento (ad esempio, velocità, pressione eccetera), salvo che questa rimessa in moto o modifica di velocità non presenti nessun pericolo per il lavoratore esposto.

 

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        La rimessa in moto o la modifica delle condizioni di funzionamento risultanti dalla normale sequenza di un ciclo automatico è esclusa dalla presente disposizione.
        2.3. Ogni attrezzatura di lavoro deve essere dotata di un dispositivo di comando che ne permetta l'arresto generale in condizioni di sicurezza.
        Ogni postazione di lavoro deve essere dotata di un dispositivo di comando che consenta di arrestare, in funzione dei rischi esistenti, tutta l'attrezzatura di lavoro, oppure soltanto una parte di essa, in modo che l'attrezzatura si trovi in condizioni di sicurezza. L'ordine di arresto dell'attrezzatura di lavoro deve essere prioritario rispetto agli ordini di messa in moto. Ottenuto l'arresto dell'attrezzatura di lavoro, o dei suoi elementi pericolosi, l'alimentazione degli azionatori deve essere interrotta.
        2.4. Se ciò è appropriato e funzionale rispetto ai pericoli dell'attrezzatura di lavoro e del tempo di arresto normale, un'attrezzatura di lavoro deve essere munita di un dispositivo di arresto di emergenza.
        2.5. Un'attrezzatura di lavoro che presenti pericoli causati da cadute o da proiezione di oggetti deve essere munita di dispositivi appropriati di sicurezza, corrispondenti a tali pericoli.
        Un'attrezzatura di lavoro che comporti pericoli dovuti ad emanazioni di gas, vapori o liquidi, ovvero ad emissioni di polvere, deve essere munita di appropriati dispositivi di ritenuta e/o di estrazione vicino alla fonte corrispondente a tali pericoli.
        2.6. Qualora ciò risulti necessario ai fini della sicurezza o della salute dei lavoratori, le attrezzature di lavoro ed i loro elementi devono essere resi stabili mediante fissazione o con altri mezzi.
        2.7. Nel caso in cui esistano rischi di spaccatura o di rottura di elementi mobili di un'attrezzatura di lavoro, tali da provocare seri pericoli per la sicurezza o la salute dei lavoratori, devono essere prese le misure di protezione appropriate.
        2.8. Se gli elementi mobili di un'attrezzatura di lavoro presentano rischi di contatto meccanico che possono causare incidenti, essi devono essere essere dotati di protezioni o di sistemi protettivi che impediscano l'accesso alle zone pericolose o che arrestino le manovre pericolose prima di accedere alle zone in questione.
        Le protezioni ed i sistemi protettivi:

            a) devono essere di costruzione robusta;

            b) non devono provocare rischi supplementari;

            c) non devono essere facilmente elusi o resi inefficaci;

            d) devono essere situati ad una sufficiente distanza dalla zona pericolosa;

            e) non devono limitare più del necessario l'osservazione del ciclo di lavoro;

            f) devono permettere gli interventi indispensabili per l'installazione e/o la sostituzione degli attrezzi, nonché per i lavori di manutenzione, limitando però l'accesso unicamente al settore dove

 

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deve essere effettuato il lavoro e, se possibile, senza che sia necessario smontare le protezioni o il sistema protettivo.

        2.9. Le zone ed i punti di lavoro o di manutenzione di un'attrezzatura di lavoro devono essere opportunamente illuminati in funzione dei lavori da effettuare.
        2.10. Le parti di un'attrezzatura di lavoro a temperatura elevata o molto bassa devono, se si rivela opportuno, essere protette contro i rischi di contatti o di prossimità a danno dei lavoratori.
        2.11. I dispositivi di allarme dell'attrezzatura di lavoro devono essere ben visibili e comprensibili senza possibilità di errore.
        2.12. L'attrezzatura di lavoro non può essere utilizzata per operazioni e secondo condizioni per le quali non è adatta.
        2.13. Le operazioni di manutenzione devono poter essere effettuate quando l'attrezzatura di lavoro è ferma. Se ciò non è possibile, misure di protezione appropriate devono poter essere prese per l'esecuzione di queste operazioni oppure esse devono poter essere effettuate al di fuori delle zone pericolose.
        Per ciascuna attrezzatura di lavoro per la quale sia fornito un libretto di manutenzione occorre prevedere l'aggiornamento di tale libretto.
        2.14. Ogni attrezzatura di lavoro deve essere munita di dispositivi chiaramente identificabili che consentano di isolarla da ciascuna delle sue fonti di energia.
        La riapertura dell'alimentazione presuppone l'assenza di pericolo per i lavoratori interessati.
        2.15. L'attrezzatura di lavoro deve recare gli avvertimenti e le segnalazioni indispensabili a garantire la sicurezza dei lavoratori.
        2.16. Per effettuare le operazioni di produzione, di regolazione e di manutenzione delle attrezzature di lavoro, i lavoratori devono poter accedere in condizioni di sicurezza a tutte le zone interessate.
        2.17. Tutte le attrezzature di lavoro devono essere adatte a proteggere i lavoratori contro i rischi d'incendio o di surriscaldamento dell'attrezzatura stessa, di emanazioni di gas, polveri, liquidi, vapori o altre sostanze prodotte, usate o depositate nell'attrezzatura di lavoro.
        2.18. Tutte le attrezzature di lavoro devono essere adatte a prevenire i rischi di esplosione dell'attrezzatura stessa e di sostanze prodotte, usate o depositate nell'attrezzatura di lavoro.
        2.19. Tutte le attrezzature di lavoro devono essere adatte a proteggere i lavoratori esposti contro i rischi di un contatto diretto o indiretto con la corrente elettrica.

3.  Prescrizioni minime supplementari applicabili ad attrezzature di lavoro specifiche

        3.1. Prescrizioni minime applicabili alle attrezzature di lavoro mobili, semoventi o no.
        3.1.1. Le attrezzature di lavoro con lavoratore a bordo devono essere strutturate in modo tale da ridurre i rischi per il lavoratore durante lo spostamento.

 

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        Deve essere previsto anche il rischio che il lavoratore venga a contatto con le ruote o i cingoli o vi finisca intrappolato.
        3.1.2. Qualora il bloccaggio intempestivo degli elementi di trasmissione d'energia accoppiabili tra un'attrezzatura di lavoro mobile e i suoi accessori e/o traini possa provocare rischi specifici, questa attrezzatura di lavoro deve essere attrezzata o sistemata in modo tale da impedire il bloccaggio degli elementi di trasmissione d'energia.
        Nel caso in cui tale bloccaggio non possa essere impedito, deve essere presa ogni precauzione possibile per evitare conseguenze pregiudizievoli per i lavoratori.
        3.1.3. Se gli organi di trasmissione di energia accoppiabili tra attrezzature di lavoro mobili rischiano di sporcarsi e di rovinarsi strisciando al suolo si devono prevedere possibilità di fissaggio.
        3.1.4. Le attrezzature di lavoro mobili con lavoratore a bordo devono limitare, nelle condizioni di utilizzazione reali, i rischi derivanti da un ribaltamento dell'attrezzatura di lavoro:

            a) mediante una struttura di protezione che impedisca all'attrezzatura di ribaltarsi di più di un quarto di giro;

            b) ovvero mediante una struttura che garantisca uno spazio sufficiente attorno al lavoratore o ai lavoratori trasportati a bordo qualora il movimento possa continuare oltre un quarto di giro;

            c) ovvero da qualsiasi altro dispositivo di portata equivalente.

        Queste strutture di protezione possono essere integrate all'attrezzatura di lavoro.
        Queste strutture di protezione non sono obbligatorie se l'attrezzatura di lavoro è stabilizzata durante tutto il periodo d'uso, oppure se l'attrezzatura di lavoro è concepita in modo da escludere qualsiasi ribaltamento della stessa.
        Se sussiste il pericolo che il lavoratore trasportato a bordo, in caso di ribaltamento, rimanga schiacciato tra le parti dell'attrezzatura di lavoro e il suolo, deve essere installato un sistema di ritenzione del lavoratore o dei lavoratori trasportati.
        3.1.5. I carrelli elevatori su cui prendono posto uno o più lavoratori devono essere sistemati o attrezzati in modo da limitarne i rischi di ribaltamento, ad esempio:

            a) istallando una cabina per il conducente;

            b) mediante una struttura atta ad impedire il ribaltamento del carrello elevatore;

            c) mediante una struttura concepita in modo tale da lasciare, in caso di ribaltamento del carrello elevatore, uno spazio sufficiente tra il suolo e talune parti del carrello stesso per il lavoratore a bordo;

            d) mediante una struttura che trattenga il lavoratore sul sedile del posto di guida per evitare che, in caso di ribaltamento del carrello elevatore, esso possa essere intrappolato da parte del carrello stesso.

 

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        3.1.6. Le attrezzature di lavoro mobili semoventi il cui spostamento può comportare rischi per le persone devono soddisfare le seguenti condizioni:

            a) esse devono essere dotate dei mezzi necessari per evitare la messa in moto non autorizzata;

            b) esse devono essere dotate dei mezzi appropriati che consentano di ridurre al minimo le conseguenze di un'eventuale collisione in caso di movimento simultaneo di più attrezzature di lavoro circolanti su rotaia;

            c) esse devono essere dotate di un dispositivo che consenta la frenatura e l'arresto; qualora considerazioni di sicurezza l'impongano, un dispositivo di emergenza con comandi facilmente accessibili o automatici deve consentire la frenatura e l'arresto in caso di guasto del dispositivo principale;

            d) quando il campo di visione diretto del conducente è insufficiente per garantire la sicurezza, esse devono essere dotate di dispositivi ausiliari per migliorare la visibilità;

            e) le attrezzature di lavoro per le quali è previsto un'uso notturno o in luoghi bui devono incorporare un dispositivo di illuminazione adeguato al lavoro da svolgere e garantire sufficiente sicurezza ai lavoratori;

            f) le attrezzature di lavoro che comportano, di per sé o a causa dei loro traini e/o carichi, un rischio di incendio suscettibile di mettere in pericolo i lavoratori, devono essere dotate di appropriati dispositivi antincendio a meno che tali dispositivi non si trovino già ad una distanza sufficientemente ravvicinata sul luogo in cui esse sono usate;

            g) le attrezzature di lavoro telecomandate devono arrestarsi automaticamente se escono dal campo di controllo;

            h) le attrezzature di lavoro telecomandate che, usate in condizioni normali, possono comportare rischi di urto o di intrappolamento dei lavoratori, devono essere dotate di dispositivi di protezione contro tali rischi, e meno che non siano installati altri dispositivi per controllare il rischio di urto.

        3.2. Prescrizioni minime applicabili alle attrezzature di lavoro adibite al sollevamento di carichi.
        3.2.1. Se le attrezzature di lavoro adibite al sollevamento di carichi sono installate stabilmente, se ne deve assicurare la solidità e la stabilità durante l'uso tenendo in considerazione innanzi tutto i carichi da sollevare e le sollecitazioni che agiscono sui punti di sospensione o di ancoraggio alle strutture.
        3.2.2. Le macchine adibite al sollevamento di carichi devono recare un'indicazione chiaramente visibile del loro carico nominale e, all'occorrenza, una targa di carico indicante il carico nominale di ogni singola configurazione della macchina.

 

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        Gli accessori di sollevamento devono essere marcati in modo da poterne identificare le caratteristiche essenziali ai fini di un'utilizzazione sicura.
        Se l'attrezzatura di lavoro non è destinata al sollevamento di persone, una segnalazione in tal senso deve esservi apposta in modo visibile onde non ingenerare alcuna possibilità di confusione.
        3.2.3. Le attrezzature di lavoro installate stabilmente devono essere disposte in modo tale da ridurre il rischio che i carichi:

            a) urtino le persone;

            b) in modo involontario derivino pericolosamente o precipitino in caduta libera;

            c) siano sganciati involontariamente.

        3.2.4. Le macchine per il sollevamento o per lo spostamento di persone devono essere di natura tale:

            a) da evitare i rischi di caduta dall'abitacolo, se esiste, per mezzo di dispositivi appropriati;

            b) da evitare per l'utilizzatore qualsiasi rischio di caduta fuori dell'abitacolo, se esiste;

            c) da escludere qualsiasi rischio di schiacciamento, di intrappolamento oppure di urto dell'utilizzatore, in particolare i rischi dovuti a collisione accidentale;

            d) da garantire che i lavoratori bloccati in caso di incidente nell'abitacolo non siano esposti ad alcun pericolo e possano essere liberati.

        Qualora, per ragioni inerenti al cantiere e al dislivello da superare, i rischi di cui alla lettera a) non possano essere evitati per mezzo di un dispositivo particolare, deve essere installato un cavo con coefficiente di sicurezza rinforzato e il suo buono stato deve essere verificato ad ogni giornata di lavoro.

 

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Allegato VI
(articolo 47, comma 4, lettera b))

DISPOSIZIONI CONCERNENTI L'USO DELLE ATTREZZATURE DI LAVORO

Osservazione preliminare.

        Le disposizioni del presente allegato si applicano allorché esiste, per l'attrezzatura di lavoro considerata, un rischio corrispondente.

1. Disposizioni generali applicabili a tutte le attrezzature di lavoro

        1.1. Le attrezzature di lavoro devono essere installate, disposte e usate in maniera tale da ridurre i rischi per i loro utilizzatori e per le altre persone, ad esempio facendo in modo che vi sia sufficiente spazio disponibile tra i loro elementi mobili e gli elementi fissi o mobili circostanti e che tutte le energie e sostanze utilizzate o prodotte possano essere addotte e/o estratte in modo sicuro.
        1.2. Le operazioni di montaggio e di smontaggio delle attrezzature di lavoro devono essere realizzate in modo sicuro, in particolare rispettando le eventuali istruzioni d'uso del fabbricante.
        1.3. Le attrezzature di lavoro che, durante il loro uso, possono essere colpite dai fulmini devono essere protette mediante dispositivi o appropriate misure antifulmine.

2.  Disposizioni concernenti l'uso di attrezzature di lavoro, mobili, semoventi o no

        2.1. La conduzione di attrezzature di lavoro semoventi è riservata ai lavoratori che hanno ricevuto un'adeguata formazione per la guida di tali attrezzature di lavoro.
        2.2. Se un'attrezzatura di lavoro manovra in una zona di lavoro, devono essere stabilite e rispettate apposite regole di circolazione.
        2.3. Si devono prendere misure organizzative atte a evitare che lavoratori a piedi si trovino nella zona di attività di attrezzature semoventi. Qualora la presenza di lavoratori a piedi sia necessaria per la buona esecuzione dei lavori, si devono prendere misure appropriate per evitare che essi siano feriti dalle attrezzature.
        2.4. L'accompagnamento di lavoratori su attrezzature di lavoro mobili mosse meccanicamente è autorizzato esclusivamente su posti sicuri predisposti a tal fine. Se si devono effettuare dei lavori durante lo spostamento, la velocità dell'attrezzatura deve, all'occorrenza, essere adeguata.

 

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        2.5. Le attrezzature di lavoro mobili dotate di un motore a combustione possono essere utilizzate nelle zona di lavoro soltanto qualora sia assicurata una quantità sufficiente di aria senza rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori.

3.  Disposizioni concernenti l'uso di attrezzature di lavoro che servono a sollevare carichi

        3.1. Disposizioni generali.

        3.1.1. Le attrezzature di lavoro smontabili o mobili che servono a sollevare carichi devono essere utilizzate in modo tale da garantire la stabilità dell'attrezzatura di lavoro durante il suo impiego, in tutte le condizioni prevedibili e tenendo conto della natura del suolo.
        3.1.2. Il sollevamento di persone è permesso soltanto con attrezzature di lavoro e accessori previsti a tal fine.
        In casi eccezionali, possono essere utilizzate per il sollevamento di persone attrezzature non previste a tal fine a condizione che siano state prese adeguate misure in materia di sicurezza, conformemente a disposizioni di buona tecnica che prevedono il controllo appropriato dei mezzi impiegati e la registrazione di tale controllo. Qualora siano presenti lavoratori a bordo dell'attrezzatura di lavoro adibita al sollevamento di carichi, il posto di comando deve essere occupato in permanenza. I lavoratori sollevati devono disporre di un mezzo di comunicazione sicuro con il posto di comando. Devono essere prese le opportune misure per assicurare la loro evacuazione in caso di pericolo.
        3.1.3. Devono essere prese misure per impedire che i lavoratori sostino sotto i carichi sospesi, salvo che ciò sia richiesto per il buon funzionamento dei lavori.
        Non è consentito far passare i carichi al di sopra di luoghi di lavoro non protetti abitualmente occupati dai lavoratori. In tale ipotesi, qualora non sia possibile in altro modo il corretto svolgimento del lavoro, si devono definire ed applicare procedure appropriate.
        3.1.4. Gli accessori di sollevamento devono essere scelti in funzione dei carichi da movimentare, dei punti di presa, del dispositivo di aggancio, delle condizioni atmosferiche nonché tenendo conto del modo e della configurazione dell'imbracatura. Le combinazioni di più accessori di sollevamento devono essere contrassegnate in modo chiaro onde consentire all'utilizzatore di conoscerne le caratteristiche qualora esse non siano scomposte dopo l'uso.
        3.1.5. Gli accessori di sollevamento devono essere depositati in modo tale da non essere danneggiati o deteriorati.
        3.2. Attrezzature di lavoro che servono al sollevamento di carichi non guidati.
        3.2.1. Quando due o più attrezzature di lavoro che servono al sollevamento di carichi non guidati sono installate o montate in un

 

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luogo di lavoro di modo che i loro raggi d'azione si intersecano, è necessario prendere misure appropriate per evitare la collisione tra i carichi e/o elementi delle attrezzature di lavoro stesse.
        3.2.2. Nel caso di utilizzazione di attrezzature di lavoro mobili che servono al sollevamento di carichi non guidati, si devono prendere misure onde evitare l'inclinarsi, il ribaltamento e, se del caso, lo spostamento e lo scivolamento dell'attrezzatura di lavoro. Si deve verificare la buona esecuzione di tali misure.
        3.2.3. Se l'operatore di un'attrezzatura di lavoro che serve al sollevamento di carichi non guidati non può osservare l'intera traiettoria del carico né direttamente né per mezzo di dispositivi ausiliari in grado di fornire le informazioni utili, deve essere designato un capomanovra in comunicazione con lui per guidarlo e devono essere prese misure organizzative per evitare collisioni del carico suscettibili di mettere in pericolo i lavoratori.
        3.2.4. I lavori devono essere organizzati in modo tale che, quando un lavoratore aggancia o sgancia manualmente un carico, tali operazioni possano svolgersi con la massima sicurezza e, in particolare, che il lavoratore ne conservi il controllo diretto o indiretto.
        3.2.5. Tutte le operazioni di sollevamento devono essere correttamente progettate nonché adeguatamente controllate ed eseguite al fine di tutelare la sicurezza dei lavoratori.
        In particolare, quando un carico deve essere sollevato simultaneamente da due o più attrezzature di lavoro che servono al sollevamento di carichi non guidati, si deve stabilire e applicare una procedura d'uso per garantire il buon coordinamento degli operatori.
        3.2.6. Qualora attrezzature di lavoro che servono al sollevamento di carichi non guidati non possano trattenere i carichi in caso di interruzione parziale o totale dell'alimentazione di energia, si devono prendere misure appropriate per evitare di esporre i lavoratori ai rischi relativi.
        I carichi sospesi non devono rimanere senza sorveglianza salvo il caso in cui l'accesso alla zona di pericolo sia precluso e il carico sia stato agganciato e sistemato con la massima sicurezza.
        3.2.7. L'utilizzazione all'aria aperta di attrezzature di lavoro che servono al sollevamento di carichi non guidati deve essere sospesa allorché le condizioni meteorologiche si degradano ad un punto tale da mettere in pericolo la sicurezza di funzionamento esponendo così i lavoratori a rischi. Si devono adottare adeguate misure di protezione per evitare di esporre i lavoratori ai rischi relativi e in particolare misure che impediscano il ribaltamento dell'attrezzatura di lavoro.

4.  Disposizioni concernenti l'uso di intelaiature, armature ed elementi prefabbricati pesanti

        4.1. Le intelaiature metalliche o di cemento e i loro elementi, le armature, gli elementi prefabbricati o i sostegni temporanei e i puntellamenti devono essere montati e smontati soltanto sotto la sorveglianza di una persona competente.

 

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        4.2. Devono essere previste le precauzioni atte a proteggere i lavoratori dai pericoli derivanti dalla fragilità o dall'instabilità temporanea di una struttura.
        4.3. Le armature, i sostegni temporanei e i puntellamenti devono essere concepiti e calcolati, montati e mantenuti in modo da poter sopportare senza rischi le sollecitazioni che possono esse loro imposte.
 

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Allegato VII
(articolo 47, comma 6)

MODALITÀ DI CONTROLLO E VERIFICA PER IMPIANTI E ATTREZZATURE DI LAVORO NON REGOLAMENTATI DA DISPOSIZIONI PARTICOLARI

Impianto/attrezzatura Intervento/periodicità Soggetto obbligato Soggetto incaricato
Scale aeree ad inclinazione variabile verifica periodica annuale datore di lavoro A.S.L.
ponti mobili sviluppati su carro verifica periodica annuale datore di lavoro A.S.L.
ponti sospesi muniti di argano verifica periodica annuale datore di lavoro A.S.L.
idroestrattori centrifughi
(con diametro esterno del paniere >50 cm)
verifica periodica almeno annuale datore di lavoro A.S.L.
funi e catene di impianti ed apparecchi di sollevamento e di trazione verifica trimestrale datore di lavoro personale specializzato
gru e apparecchi di sollevamento di portata >200 kg verifica annuale datore di lavoro A.S.L.
organi di trazione, di attacco e dispositivi di sicurezza dei piani inclinati verifica mensile datore di lavoro personale specializzato
macchine e attrezzature per la lavorazione di esplosivi revisioni e pulizie periodiche, secondo disposizioni aziendali datore di lavoro personale specializzato
elementi di ponteggio revisione prima del reimpiego datore di lavoro personale specializzato
ponteggi metallici fissi revisione periodica ed occasionale datore di lavoro responsabile di cantiere
argani dei ponti sospesi verifica biennale datore di lavoro A.S.L.
funi dei ponti sospesi verifica trimestrale datore di lavoro personale specializzato
armature degli scavi sorveglianza particolare controllo giornaliero datore di lavoro personale specializzato
freni dei locomotori controllo continuo datore di lavoro personale specializzato
micce - velocità di combustione controllo periodico datore di lavoro personale specializzato
materiali recuperati da costruzioni sceniche revisione datore di lavoro personale pratico
opere sceniche revisione accurata datore di lavoro personale pratico
riflettori e batterie di accumulatori mobili verifica sistematica datore di lavoro personale esperto
teleferiche private collaudo di primo impianto visita tecnica periodica almeno quinquennale esercente/datore di lavoro professionista iscritto in albo Min. trasporti
elevatori trasferibili verifica periodica trimestrale/annuale costruttore - utilizzatore - datore di lavoro personale abilitato
ponteggi sospesi motorizzati verifica periodica biennale utilizzatore - datore di lavoro Direzione prov.le lavoro
funi dei ponteggi sospesi motorizzati verifica trimestrale utilizzatore - datore di lavoro personale specializzato
 

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Allegato VIII
(articolo 48, comma 2)

DISPOSIZIONI RELATIVE ALL'USO DELLE ATTREZZATURE DI LAVORO MESSE A DISPOSIZIONE PER L'ESECUZIONE DI LAVORI TEMPORANEI IN QUOTA

1. Disposizioni generali

        1.1. La scelta del tipo più idoneo di sistema di accesso ai posti di lavoro temporanei in quota deve essere fatta in rapporto alla frequenza di circolazione, al dislivello e alla durata dell'impiego. Il sistema di accesso adottato deve consentire l'evacuazione in caso di pericolo imminente. Il passaggio da un sistema di accesso a piattaforme, impalcati, passerelle e viceversa non deve comportare rischi ulteriori di caduta.
        1.2. L'impiego di una scala a pioli quale posto di lavoro in quota deve essere limitato ai casi in cui, tenuto conto dell'articolo 48, comma 1, e del punto 1.1, l'impiego di altre attrezzature di lavoro più sicure non risulti giustificato a causa del limitato livello di rischio e a motivo della breve durata di impiego oppure delle caratteristiche esistenti dei siti che il datore di lavoro non può modificare.
        1.3. L'impiego di sistemi di accesso e di posizionamento mediante funi è ammesso soltanto in circostanze in cui, secondo la valutazione del rischio, risulta che il lavoro può essere effettuato in condizioni di sicurezza e l'impiego di un'altra attrezzatura di lavoro più sicura non è giustificato. Tenendo conto della valutazione dei rischi e in particolare in funzione della durata dei lavori e dei vincoli di carattere ergonomico, deve essere previsto un sedile munito di appositi accessori.
        1.4. In funzione del tipo di attrezzature di lavoro adottate in base ai punti precedenti devono essere individuate le misure atte a minimizzare i rischi per i lavoratori insiti nelle attrezzature in questione. Se del caso, deve essere prevista l'installazione di dispositivi di protezione contro le cadute. Tali dispositivi devono presentare una configurazione ed una resistenza tali da evitare o da arrestare le cadute da luoghi di lavoro in quota e da prevenire, per quanto possibile, eventuali lesioni dei lavoratori. I dispositivi di protezione collettiva contro le cadute possono presentare interruzioni soltanto nei punti in cui sono presenti scale a pioli o a gradini.
        1.5. Quando l'esecuzione di un lavoro di natura particolare richiede l'eliminazione temporanea di un dispositivo di protezione collettiva contro le cadute, devono essere adottate misure di sicurezza equivalenti ed efficaci. Il lavoro non può essere eseguito senza l'adozione preliminare di tali misure. Una volta terminato definitivamente o temporaneamente detto lavoro di natura particolare, i

 

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dispositivi di protezione collettiva contro le cadute devono essere ripristinati.
        1.6. I lavori temporanei in quota possono essere effettuati soltanto se le condizioni meteorologiche non mettono in pericolo la sicurezza e la salute dei lavoratori.

2.  Disposizioni specifiche relative all'impiego delle scale a pioli

        2.1. Le scale a pioli devono avere una resistenza sufficiente ed essere correttamente sottoposte a manutenzione. Le scale a pioli devono essere sistemate in modo da garantire la loro stabilità durante l'impiego. Le scale a pioli portatili devono poggiare su un supporto stabile, resistente, di dimensioni adeguate e immobile, affinché i pioli restino in posizione orizzontale. Le scale a pioli sospese devono essere agganciate in modo sicuro e, ad eccezione delle scale a funi, in maniera tale da evitare spostamenti e qualsiasi movimento di oscillazione.
        2.2. Lo scivolamento del piede delle scale a pioli portatili, durante il loro uso, deve essere impedito o con fissaggio della parte superiore o inferiore dei montanti o con qualsiasi dispositivo antiscivolo o ricorrendo a qualsiasi altra soluzione di efficacia equivalente. Le scale a pioli usate per l'accesso devono essere tali da sporgere a sufficienza oltre il livello di accesso, a meno che altri dispositivi permettano una presa sicura. Le scale a pioli composte da più elementi innestabili o a sfilo devono essere utilizzate in modo che sia garantito il fermo reciproco dei vari elementi. Le scale a pioli mobili devono essere fissate stabilmente prima che vi si possa accedere.
        2.3. Le scale a pioli devono essere utilizzate in modo da consentire ai lavoratori di disporre in qualsiasi momento di un appoggio e di una presa sicuri. In particolare il trasporto a mano di pesi su una scala a pioli non deve precludere una presa sicura.

3.  Disposizioni specifiche relative all'impiego dei ponteggi

        3.1. Qualora la relazione di calcolo del ponteggio scelto non sia disponibile o le configurazioni strutturali previste non siano da essa contemplate, si deve procedere ad un calcolo di resistenza e di stabilità, tranne nel caso in cui l'assemblaggio del ponteggio rispetti gli schemi-tipo dell'autorizzazione ministeriale di cui all'articolo 50.
        3.2. In funzione della complessità del ponteggio scelto, il personale competente deve redigere un piano di montaggio, uso e smontaggio. Tale piano può assumere la forma di un piano di applicazione generalizzata integrato da progetti particolareggiati per gli elementi speciali costituenti il ponteggio.
        3.3. Occorre evitare il rischio di scivolamento degli elementi di appoggio di un ponteggio o tramite fissaggio su una superficie di appoggio o con un dispositivo antiscivolo oppure con qualsiasi altra soluzione di efficacia equivalente e le superfici portanti devono avere una capacità sufficiente. La stabilità del ponteggio deve essere

 

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garantita. Dispositivi appropriati devono impedire lo spostamento involontario dei ponteggi su ruote durante l'esecuzione dei lavori in quota.
        3.4. Le dimensioni, la forma e la disposizione degli impalcati di un ponteggio devono essere idonee alla natura del lavoro da eseguire, nonché adeguate ai carichi da sopportare e consentire un'esecuzione dei lavori e una circolazione sicure. Gli impalcati dei ponteggi devono essere montati in modo che gli elementi componenti non possano spostarsi durante il normale uso. Nessuno spazio vuoto pericoloso deve essere presente fra gli elementi che costituiscono gli impalcati e i dispositivi verticali di protezione collettiva contro le cadute.
        3.5. Qualora alcune parti di un ponteggio non siano pronte per l'uso, in particolare durante le operazioni di montaggio, smontaggio o trasformazione, queste parti devono essere debitamente evidenziate ricorrendo alla segnaletica di avvertimento di pericolo generico di cui al titolo VI e devono essere debitamente delimitate con elementi materiali che impediscono l'accesso alla zona di pericolo.
        3.6. I ponteggi devono essere montati, smontati o radicalmente modificati soltanto sotto la sorveglianza di un preposto e da lavoratori che hanno ricevuto una formazione adeguata e mirata alle operazioni previste, rivolta a rischi specifici, in particolare in materia di:

            a) comprensione del piano di montaggio, smontaggio o trasformazione del ponteggio in questione;

            b) sicurezza durante le operazioni di montaggio, smontaggio o trasformazione del ponteggio in questione;

            c) misure di prevenzione dei rischi di caduta di persone o di oggetti;

            d) misure di sicurezza in caso di cambiamento delle condizioni meteorologiche pregiudizievoli alla sicurezza del ponteggio in questione;

            e) condizioni di carico ammissibile;

            f) qualsiasi altro rischio che le suddette operazioni di montaggio, smontaggio o trasformazione possono comportare.

        Il preposto addetto alla sorveglianza e i lavoratori interessati devono avere a disposizione il piano di montaggio, uso e smontaggio di cui al punto 3.2, comprese eventuali istruzioni ivi contenute.

4.  Disposizioni specifiche concernenti l'impiego di sistemi di accesso e di posizionamento mediante funi

        4.1. L'impiego di sistemi di accesso e di posizionamento mediante funi deve avvenire alle seguenti condizioni:

            a) il sistema deve comprendere almeno due funi ancorate separatamente, una per l'accesso, la discesa e il sostegno (fune di lavoro) e l'altra con funzione di dispositivo ausiliario (fune di

 

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sicurezza). In circostanze eccezionali in cui, tenuto conto della valutazione dei rischi, l'uso di una seconda fune renderebbe il lavoro più pericoloso, può essere ammesso l'uso di un'unica fune a condizione che siano state adottate misure adeguate per garantire la sicurezza ai sensi del punto 4.2;

            b) i lavoratori devono essere dotati e fare uso di un'adeguata imbracatura di sostegno che li colleghi alla fune di sicurezza;

            c) la fune di lavoro deve essere munita di meccanismi sicuri di ascesa e discesa e deve essere dotata di un sistema autobloccante volto a evitare la caduta nel caso in cui l'utilizzatore perda il controllo dei propri movimenti. La fune di sicurezza deve essere munita di un dispositivo mobile contro le cadute che segue gli spostamenti del lavoratore;

            d) gli attrezzi e gli altri accessori che devono essere utilizzati dai lavoratori devono essere agganciati alla loro imbracatura di sostegno o al sedile o ad altro strumento idoneo;

            e) i lavori devono essere programmati e sorvegliati in modo adeguato onde poter immediatamente soccorrere il lavoratore in caso di necessità;

            f) i lavoratori interessati devono ricevere una formazione adeguata e mirata in relazione alle operazioni previste, in particolare in materia di procedure di salvataggio.

        4.2. In circostanze eccezionali in cui, tenuto conto della valutazione dei rischi, l'uso di una seconda fune renderebbe il lavoro più pericoloso, può essere ammesso l'uso di un'unica fune a condizione che siano state adottate misure adeguate per garantire la sicurezza conformemente alle legislazioni e/o pratiche nazionali.

 

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Allegato X
(articolo 68, comma 1)

PRESCRIZIONI PER LA SEGNALETICA DI SICUREZZA

Parte A
PRESCRIZIONI GENERALI PER LA SEGNALETICA DI SICUREZZA

1.  Considerazioni preliminari

        1.1. La segnaletica di sicurezza deve essere conforme ai requisiti specifici che figurano nel presente allegato.
        1.2. Il presente allegato stabilisce tali requisiti, descrive le diverse utilizzazioni delle segnaletiche di sicurezza ed enuncia norme generali sull'intercambiabilità o complementarietà di tali segnaletiche.
        1.3. Le segnaletiche di sicurezza devono essere utilizzate solo per trasmettere il messaggio o l'informazione precisati all'articolo 67.

2.  Modi di segnalazione

        2.1. Segnalazione permanente
        2.1.1. La segnaletica che si riferisce a un divieto, un avvertimento o un obbligo ed altresì quella che serve ad indicare l'ubicazione e ad identificare i mezzi di salvataggio o di pronto soccorso deve essere di tipo permanente e costituita da cartelli.
        La segnaletica destinata ad indicare l'ubicazione e ad identificare i materiali e le attrezzature antincendio deve essere di tipo permanente e costituita da cartelli o da un colore di sicurezza.
        2.1.2. La segnaletica su contenitori e tubazioni deve essere del tipo previsto nella parte C.
        2.1.3. La segnaletica per i rischi di urto contro ostacoli e di caduta delle persone deve essere di tipo permanente e costituita da un colore di sicurezza o da cartelli.
        2.1.4. La segnaletica delle vie di circolazione deve essere di tipo permanente e costituita da un colore di sicurezza.

        2.2. Segnalazione occasionale
        2.2.1. La segnaletica di pericoli, la chiamata di persone per un'azione specifica e lo sgombero urgente delle persone devono essere fatti in modo occasionale e, tenuto conto del principio dell'intercambiabilità e complementarità previsto al paragrafo 3, per mezzo di segnali luminosi, acustici o di comunicazioni verbali.

 

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        2.2.2. La guida delle persone che effettuano manovre implicanti un rischio o un pericolo deve essere fatta in modo occasionale per mezzo di segnali gestuali o comunicazioni verbali.

3.  Intercambiabilità e complementarità della segnaletica

        3.1. A parità di efficacia e a condizione che si provveda ad una azione specifica di informazione e formazione al riguardo, è ammessa libertà di scelta fra: un colore di sicurezza o un cartello, per segnalare un rischio di inciampo o caduta con dislivello; segnali luminosi, segnali acustici o comunicazione verbale; segnali gestuali o comunicazione verbale.
        3.2. Determinate modalità di segnalazione possono essere utilizzate insieme, nelle combinazioni specificate di seguito: segnali luminosi e segnali acustici; segnali luminosi e comunicazione verbale; segnali gestuali e comunicazione verbale.

4.  Colori di sicurezza

        4.1. Le indicazioni della tabella che segue si applicano a tutte le segnalazioni per le quali è previsto l'uso di un colore di sicurezza.

5.

        L'efficacia della segnaletica non deve essere compromessa da:

        5.1. presenza di altra segnaletica o di altra fonte emittente dello stesso tipo che turbino la visibilità o l'udibilità; ciò comporta, in particolare, la necessità di:
        5.1.1. evitare di disporre un numero eccessivo di cartelli troppo vicini gli uni agli altri;

 

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        5.1.2. non utilizzare contemporaneamente due segnali luminosi che possano confondersi;
        5.1.3. non utilizzare un segnale luminoso nelle vicinanze di un'altra emissione luminosa poco distinta;
        5.1.4. non utilizzare contemporaneamente due segnali sonori;
        5.1.5. non utilizzare un segnale sonoro se il rumore di fondo è troppo intenso;
        5.2. cattiva progettazione, numero insufficiente, ubicazione irrazionale, cattivo stato o cattivo funzionamento dei mezzi o dei dispositivi di segnalazione.

6.

        I mezzi e i dispositivi segnaletici devono, a seconda dei casi, essere regolarmente puliti, sottoposti a manutenzione, controllati e riparati e, se necessario, sostituiti, affinché conservino le loro proprietà intrinseche o di funzionamento.

7.

        Il numero e l'ubicazione dei mezzi o dei dispositivi segnaletici da sistemare è in funzione dell'entità dei rischi, dei pericoli o delle dimensioni dell'area da coprire.

8.

        Per i segnali il cui funzionamento richiede una fonte di energia, deve essere garantita un'alimentazione di emergenza nell'eventualità di un'interruzione di tale energia, tranne nel caso in cui il rischio venga meno con l'interruzione stessa.

9.

        Un segnale luminoso o sonoro indica, con il suo avviamento, l'inizio di un'azione che si richiede di effettuare; esso deve avere una durata pari a quella richiesta dall'azione.
        I segnali luminosi o acustici devono essere reinseriti immediatamente dopo ogni utilizzazione.

10.

        Le segnalazioni luminose ed acustiche devono essere sottoposte ad una verifica del buon funzionamento e dell'efficacia reale prima di essere messe in servizio e, in seguito, con periodicità sufficiente.

11.

        Qualora i lavoratori interessati presentino limitazioni delle capacità uditive o visive, eventualmente a causa dell'uso di mezzi di protezione personale, devono essere adottate adeguate misure supplementari o sostitutive.

 

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12.

        Le zone, i locali o gli spazi utilizzati per il deposito di quantitativi notevoli di sostanze o preparati pericolosi devono essere segnalati con un cartello di avvertimento appropriato, conformemente al punto 3.2 della parte B o indicati conformemente alla parte C, punto 1, tranne nel caso in cui l'etichettatura dei diversi imballaggi o recipienti stessi sia sufficiente a tale scopo.

 

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Parte B
PRESCRIZIONI GENERALI PER I CARTELLI SEGNALETICI

1.  Caratteristiche intrinseche

        1.1. Forma e colori dei cartelli da impiegare sono definiti al punto 3, in funzione del loro oggetto specifico (cartelli di divieto, di avvertimento, di prescrizione, di salvataggio e per le attrezzature antincendio).
        1.2. I pittogrammi devono essere il più possibile semplici, con omissione dei particolari di difficile comprensione.
        1.3. I pittogrammi utilizzati potranno differire leggermente dalle figure riportate al punto 3 o presentare rispetto ad esse un maggior numero di particolari, purch   il significato sia equivalente e non sia reso equivoco da alcuno degli adattamenti o delle modifiche apportati.
        1.4. I cartelli devono essere costituiti di materiale il più possibile resistente agli urti, alle intemperie ed alle aggressioni dei fattori ambientali.
        1.5. Le dimensioni e le proprietà colorimetriche e fotometriche dei cartelli devono essere tali da garantirne una buona visibilità e comprensione.
        1.5.1. Per le dimensioni si raccomanda di osservare la seguente formula:

            A> L2/2000

        Ove A rappresenta la superficie del cartello espressa in m2 ed L è la distanza, misurata in metri, alla quale il cartello deve essere ancora riconoscibile. La formula è applicabile fino ad una distanza di circa 50 metri.
        1.5.2. Per le caratteristiche cromatiche e fotometriche dei materiali si rinvia alla normativa di buona tecnica dell'UNI.

2.  Condizioni d'impiego

        2.1. I cartelli vanno sistemati tenendo conto di eventuali ostacoli, ad un'altezza e in una posizione appropriate rispetto all'angolo di visuale, all'ingresso alla zona interessata in caso di rischio generico ovvero nelle immediate adiacenze di un rischio specifico o dell'oggetto che s'intende segnalare e in un posto bene illuminato e facilmente accessibile e visibile.
        Ferme restando le disposizioni della presente legge, in caso di cattiva illuminazione naturale è opportuno utilizzare colori fosforescenti, materiali riflettenti o illuminazione artificiale.
        2.2. Il cartello va rimosso quando non sussiste più la situazione che ne giustificava la presenza.

 

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3.  Cartelli da utilizzare

        3.1 Cartelli di divieto.

        Caratteristiche intrinseche:

            a) forma rotonda;

            b) pittogramma nero su fondo bianco; bordo e banda (verso il basso da sinistra a destra lungo il simbolo, con un inclinazione di 45o) rossi (il rosso deve coprire almeno il 35 per cento della superficie del cartello).

        3.2 Cartelli di avvertimento.

        Caratteristiche intrinseche:

            a) forma triangolare;

            b) pittogramma nero su fondo, bordo nero (il giallo deve coprire almeno il 50 per cento della superficie del cartello).

 

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(1)  In assenza di un controllo specifico per alta temperatura.

        3.3 Cartelli di prescrizione.

        Caratteristiche intrinseche:

            a) forma rotonda;

            b) pittogramma bianco su fondo azzurro (l'azzurro deve coprire almeno il 50 per cento della superficie del cartello).

 

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        3.4 Cartelli di salvataggio.

        Caratteristiche intrinseche:

            a) forma quadrata o rettangolare;

            b) pittogramma bianco su fondo verde (il verde deve coprire almeno il 50 per cento della superficie del cartello).

 

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        3.5 Cartelli per le attrezzature antincendio.

        Caratteristiche intrinseche:

            a) forma quadrata o rettangolare;

            b) pittogramma bianco su fondo rosso (il rosso deve coprire almeno il 50 per cento della superficie del cartello).

 

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Parte C
PRESCRIZIONI PER LA SEGNALETICA DEI CONTENITORI E DELLE TUBAZIONI

        1. I recipienti utilizzati sui luoghi di lavoro e contenenti sostanze o preparati pericolosi di cui ai decreti legislativi 3 febbraio 1997, n. 52, e 14 marzo 2003, n. 65, e successive modificazioni, i recipienti utilizzati per il magazzinaggio di tali sostanze o preparati pericolosi nonch   le tubazioni visibili che servono a contenere o a trasportare dette sostanze o preparati pericolosi vanno muniti dell'etichettatura (pittogramma o simbolo sul colore di fondo) prevista dalle disposizioni citate.

        Il primo capoverso non si applica ai recipienti utilizzati sui luoghi di lavoro per una breve durata nè a quelli il cui contenuto cambia frequentemente, a condizione che si prendano provvedimenti alternativi idonei, in particolare azioni di informazione o di formazione, che garantiscano un livello identico di protezione.

        L'etichettatura di cui al primo capoverso puo' essere:

            a) sostituita da cartelli di avvertimento previsti dalla parte B che riportino lo stesso pittogramma o simbolo;

            b) completata da ulteriori informazioni, quali il nome o la formula della sostanza o del preparato pericoloso, e da dettagli sui rischi connessi;

            c) completata o sostituita, per quanto riguarda il trasporto di recipienti sul luogo di lavoro, da cartelli utilizzati a livello comunitario per il trasporto di sostanze o preparati pericolosi.

        2. La segnaletica di cui al punto 1 deve essere applicata come segue:

            a) sul lato visibile o sui lati visibili;

            b) in forma rigida, autoadesiva o verniciata.

        3. All'etichettatura di cui al punto 1 si applicano, se del caso, i criteri in materia di caratteristiche intrinseche previsti alla parte B, punto 1.4, e le condizioni di impiego previste alla parte B, punto 2, riguardanti i cartelli di segnalazione.
        4. L'etichettatura utilizzata sulle tubazioni deve essere applicata, fatti salvi i punti 1, 2 e 3, in modo visibile vicino ai punti che presentano maggiore pericolo, quali valvole e punti di raccordo, e deve comparire ripetute volte.
        5. Le aree, i locali o i settori utilizzati per il deposito di sostanze o preparati pericolosi in quantità ingenti devono essere segnalati con un cartello di avvertimento appropriato scelto tra quelli elencati alla

 

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parte B, punto 3.2, o essere identificati conformemente alla parte B, punto 1, a meno che l'etichettattuta dei vari imballaggi o recipienti sia sufficiente a tale scopo, in funzione della parte B, punto 1.5, relativo alle dimensioni.
        Il deposito di un certo quantitativo di sostanze o preparati pericolosi può essere indicato con il cartello di avvertimento «pericolo generico».
        I cartelli o l'etichettatura di cui al presente punto devono essere applicati, secondo il caso, nei pressi dell'area di magazzinaggio o sulla porta di accesso al locale di magazzinaggio.
 

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Parte D
PRESCRIZIONI PER LA SEGNALETICA DESTINATA AD IDENTIFICARE E AD INDICARE L'UBICAZIONE DELLE ATTREZZATURE ANTINCENDIO

1.  Premessa.

        Il presente allegato si applica alle attrezzature destinate in via esclusiva alla lotta antincendio.

2.

        Le attrezzature antincendio devono essere identificate mediante apposita colorazione ed un cartello indicante la loro ubicazione o mediante colorazione delle posizioni in cui sono sistemate o degli accessi a tali posizioni.

3.

        Il colore d'identificazione di tali attrezzature è il rosso.
        La superficie in rosso deve avere ampiezza sufficiente per consentire un'agevole identificazione.

4.

        I cartelli descritti alla parte B, punto 3.5., devono essere utilizzati per indicare l'ubicazione delle attrezzature in questione.

 

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Parte E
PRESCRIZIONI PER LA SEGNALAZIONE DI OSTACOLI E DI PUNTI DI PERICOLO E PER LA SEGNALAZIONE DELLE VIE DI CIRCOLAZIONE

1.  Segnalazione di ostacoli e di punti di pericolo

        1.1. Per segnalare i rischi di urto contro ostacoli, di cadute di oggetti e di caduta da parte delle persone entro il perimetro delle aree edificate dell'impresa cui i lavoratori hanno accesso nel corso del lavoro, si usa il giallo alternato al nero ovvero il rosso alternato al bianco.
        1.2. Le dimensioni della segnalazione devono essere commisurate alle dimensioni dell'ostacolo o del punto pericoloso che s'intende segnalare.
        1.3. Le sbarre gialle e nere ovvero rosse e bianche devono avere un'inclinazione di circa 45o e dimensioni più o meno uguali fra loro.
        1.4. Esempio:

2.  Segnalazione delle vie di circolazione

        2.1. Qualora l'uso e l'attrezzatura dei locali lo rendano necessario per la tutela dei lavoratori, le vie di circolazione dei veicoli devono essere chiaramente segnalate con strisce continue di colore ben visibile, preferibilmente bianco o giallo, in rapporto al colore del pavimento.
        2.2. L'ubicazione delle strisce deve tenere conto delle distanze di sicurezza necessarie tra i veicoli che possono circolare e tutto ciò che può trovarsi nelle loro vicinanze nonch   tra i pedoni e i veicoli.
        2.3. Le vie permanenti situate all'esterno nelle zone edificate devono essere parimenti segnalate, nella misura in cui ciò si renda necessario, a meno che non siano provviste di barriere o di una pavimentazione appropriate.

 

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Parte F
PRESCRIZIONI PER I SEGNALI LUMINOSI

1. Proprietà intrinseche

        1.1. La luce emessa da un segnale deve produrre un contrasto luminoso adeguato al suo ambiente, in rapporto alle condizioni d'impiego previste, senza provocare abbagliamento per intensità eccessiva o cattiva visibilità per intensità insufficiente.
        1.2. La superficie luminosa emettitrice del segnale può essere di colore uniforme o recare un simbolo su un fondo determinato.
        1.3. Il colore uniforme deve corrispondere alla tabella dei significati dei colori riportata alla parte A, punto 4.
        1.4. Quando il segnale reca un simbolo, quest'ultimo deve rispettare, per analogia, le regole ad esso applicabili, riportate alla parte B.

2. Regole particolari d'impiego

        2.1. Se un dispositivo può emettere un segnale continuo e uno intermittente, il segnale intermittente è impiegato per indicare, rispetto a quello continuo, un livello più elevato di pericolo o una maggiore urgenza dell'intervento o dell'azione richiesta od imposta.
        La durata di ciascun lampo e la frequenza dei lampeggiamenti di un segnale luminoso devono essere calcolate in modo da garantire una buona percezione del messaggio, e da evitare confusioni sia con differenti segnali luminosi che con un segnale luminoso continuo.
        2.2. Se al posto o ad integrazione di un segnale acustico si utilizza un segnale luminoso intermittente, il codice del segnale deve essere identico.
        2.3. Un dispositivo destinato ad emettere un segnale luminoso utilizzabile in caso di pericolo grave deve essere munito di comandi speciali o di lampada ausiliaria.

 

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Parte G
PRESCRIZIONI PER I SEGNALI ACUSTICI

1. Proprietà intrinseche

        1.1. Un segnale acustico deve:

            a) avere un livello sonoro nettamente superiore al rumore di fondo, in modo da essere udibile, senza tuttavia essere eccessivo o doloroso;

            b) essere facilmente riconoscibile in rapporto particolarmente alla durata degli impulsi e alla separazione fra impulsi e serie di impulsi, e distinguersi nettamente da un altro segnale acustico e dai rumori di fondo.

        1.2. Nei casi in cui un dispositivo può emettere un segnale acustico con frequenza costante e variabile, la frequenza variabile deve essere impiegata per segnalare, in rapporto alla frequenza costante, un livello più elevato di pericolo o una maggiore urgenza dell'intervento o dell'azione sollecitata o prescritta.

2. Codice da usare

        Il suono di un segnale di sgombero deve essere continuo.

 

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Parte H
PRESCRIZIONI PER LA COMUNICAZIONE VERBALE

1. Proprietà intrinseche

        1.1. La comunicazione verbale s'instaura fra un parlante o un emettitore e uno o più ascoltatori, in forma di testi brevi, di frasi, di gruppi di parole o di parole isolate, eventualmente in codice.
        1.2. I messaggi verbali devono essere il più possibile brevi, semplici e chiari; la capacità verbale del parlante e le facoltà uditive di chi ascolta devono essere sufficienti per garantire una comunicazione verbale sicura.
        1.3. La comunicazione verbale può essere diretta (impiego della voce umana) o indiretta (voce umana o sintesi vocale diffusa da un mezzo appropriato).

2. Regole particolari d'impiego

        2.1. Le persone interessate devono conoscere bene il linguaggio utilizzato per essere in grado di pronunciare e di comprendere correttamente il messaggio verbale e adottare, in funzione di esso, un comportamento adeguato ai fini della sicurezza e della salute.
        2.2. Se la comunicazione verbale è impiegata in sostituzione o ad integrazione dei segnali gestuali, si deve far uso di parole chiave, come:

-via:   per indicare che si è assunta la direzione dell'operazione
-alt:  per interrompere o terminare un movimento
-ferma:   per arrestare le operazioni
-solleva:   per far salire un carico
-abbassa:   per far scendere un carico
-avanti:   (se necessario, questi ordini sono coordinati con codici gestuali corrispondenti);
-indietro:
-a destra:
-a sinsitra:
-attenzione:   per ordinare un alt o un arresto d'urgenza
-presto:   per accelerare un movimento per motivi di sicurezza

 

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Parte I
PRESCRIZIONI PER I SEGNALI GESTUALI

1. Proprietà.

        Un segnale gestuale deve essere preciso, semplice, ampio, facile da eseguire e da comprendere e nettamente distinto da un altro segnale gestuale.
        L'impiego contemporaneo delle due braccia deve essere fatto in modo simmetrico e per un singolo segnale gestuale.
        I gesti impiegati, nel rispetto delle caratteristiche sopra indicate, possono variare leggermente o essere più particolareggiati rispetto alle figurazioni riportate al punto 3, purch   il significato e la comprensione siano per lo meno equivalenti.

2. Regole particolari d'impiego

        2.1. La persona che emette i segnali, denominata «segnalatore», impartisce, per mezzo di segnali gestuali, le istruzioni di manovra al destinatario dei segnali, denominato «operatore».
        2.2. Il segnalatore deve essere in condizioni di seguire con gli occhi la totalità delle manovre, senza essere esposto a rischi a causa di esse.
        2.3. Il segnalatore deve rivolgere la propria attenzione esclusivamente al comando delle manovre e alla sicurezza dei lavoratori che si trovano nelle vicinanze.
        2.4. Se non sono soddisfatte le condizioni di cui al punto 2.2, si devono prevedere uno o più segnalatori ausiliari.
        2.5. Quando l'operatore non può eseguire con le dovute garanzie di sicurezza gli ordini ricevuti, deve sospendere la manovra in corso e chiedere nuove istruzioni.
        2.6. Accessori della segnalazione gestuale.
        Il segnalatore deve essere individuato agevolmente dall'operatore.
        Il segnalatore deve indossare o impugnare uno o più elementi di riconoscimento adatti, come giubbotto, casco, manicotti, bracciali, palette.
        Gli elementi di riconoscimento sono di colore vivo, preferibilmente unico, e riservato esclusivamente al segnalatore.

 

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3. Gesti convenzionali da utilizzare

Premessa.

        La serie dei gesti convenzionali che si riporta di seguito non pregiudica la possibilità di impiego di altri sistemi di codici applicabili a livello comunitario, in particolare in certi settori nei quali si usino le stesse manovre

 

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Allegato XI
(articolo 71, comma 2)

MOVIMENTAZIONE MANUALE DEI CARICHI ELEMENTI DI RIFERIMENTO

1. Caratteristiche del carico

        La movimentazione manuale di un carico può costituire un rischio tra l'altro dorso-lombare nei casi seguenti:

            a) il carico è troppo pesante o troppo grande (kg 30);

            b) è ingombrante o difficile da afferrare;

            c) è in equilibrio instabile o il suo contenuto rischia di spostarsi;

            d) è collocato in una posizione tale per cui deve essere tenuto o maneggiato ad una certa distanza dal tronco o con una torsione o inclinazione del tronco;

            e) può, a motivo della struttura esterna e/o della consistenza, comportare lesioni per il lavoratore, in particolare in caso di urto.

2. Sforzo fisico richiesto

        Lo sforzo fisico può presentare un rischio tra l'altro dorso-lombare nei seguenti casi:

            a) è eccessivo;

            b) può essere effettuato soltanto con un movimento di torsione del tronco;

            c) può comportare un movimento brusco del carico;

            d) è compiuto con il corpo in posizione instabile.

3. Caratteristiche dell'ambiente di lavoro

        Le caratteristiche dell'ambiente di lavoro possono aumentare le possibilità di rischio tra l'altro dorso-lombare nei seguenti casi:

            a) lo spazio libero, in particolare verticale, è insufficiente per lo svolgimento dell'attività richiesta;

            b) il pavimento è ineguale, quindi presenta rischi di inciampo o di scivolamento per le scarpe calzate dal lavoratore;

 

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            c) il posto o l'ambiente di lavoro non consentono al lavoratore la movimentazione manuale di carichi a un'altezza di sicurezza o in buona posizione;

            d) il pavimento o il piano di lavoro presenta dislivelli che implicano la manipolazione del carico a livelli diversi;

            e) il pavimento o il punto di appoggio sono instabili;

            f) la temperatura, l'umidità o la circolazione dell'aria sono inadeguate.

4. Esigenze connesse all'attività

        L'attività può comportare un rischio tra l'altro dorso-lombare se comporta una o più delle seguenti esigenze:

            a) sforzi fisici che sollecitano in particolare la colonna vertebrale, troppo frequenti o troppo prolungati;

            b) periodo di riposo fisiologico o di recupero insufficiente;

            c) distanze troppo grandi di sollevamento, di abbassamento o di trasporto;

            d) un ritmo imposto da un processo che non può essere modulato dal lavoratore.

5. Fattori individuali di rischio

        Il lavoratore può correre un rischio nei seguenti casi:

            a) inadeguatezza fisica a svolgere il compito in questione;

            b) inadeguatezza di indumenti, calzature o altri effetti personali portati dal lavoratore;

            c) insufficienza o inadeguatezza delle conoscenze o della formazione.

 

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Allegato XII
(articolo 75 comma 1)

REQUISITI MINIMI

Osservazione preliminare.

        Gli obblighi previsti dal presente allegato si applicano al fine di realizzare gli obiettivi del titolo VIII e qualora gli elementi esistano sul posto di lavoro e non contrastino con le esigenze o caratteristiche intrinseche della mansione.

1. Attrezzature

a) Osservazione generale.

        L'utilizzazione in sé dell'attrezzatura non deve essere fonte di rischio per i lavoratori.

b) Schermo.

        I caratteri sullo schermo devono avere una buona definizione e una forma chiara, una grandezza sufficiente e vi deve essere uno spazio adeguato tra i caratteri e le linee.
        L'immagine sullo schermo deve essere stabile; esente da sfarfallamento o da altre forme d'instabilità.
        La brillanza e/o il contrasto tra i caratteri e lo sfondo dello schermo devono essere facilmente regolabili da parte dell'utilizzatore del videoterminale e facilmente adattabili alle condizioni ambientali.
        Lo schermo deve essere orientabile ed inclinabile liberamente e facilmente per adeguarsi alle esigenze dell'utilizzatore.
        È possibile utilizzare un sostegno separato per lo schermo o un piano regolabile.
        Lo schermo non deve avere riflessi e riverberi che possano causare molestia all'utilizzatore.

c) Tastiera.

        La tastiera deve essere inclinabile e dissociata dallo schermo per consentire al lavoratore di assumere una posizione confortevole e tale da non provocare l'affaticamento delle braccia o delle mani.
        Lo spazio davanti alla tastiera deve essere sufficiente onde consentire un appoggio per le mani e le braccia dell'utilizzatore.
        La tastiera deve avere una superficie opaca onde evitare i riflessi.

 

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        La disposizione della tastiera e le caratteristiche dei tasti devono tendere ad agevolare l'uso della tastiera stessa.
        I simboli dei tasti devono presentare sufficiente contrasto ed essere leggibili dalla normale posizione di lavoro.

d) Piano di lavoro.

        Il piano di lavoro deve avere una superficie poco riflettente, essere di dimensioni sufficienti e permettere una disposizione flessibile dello schermo, della tastiera, dei documenti e del materiale accessorio.
        Il supporto per i documenti deve essere stabile e regolabile e deve essere collocato in modo tale da ridurre al massimo i movimenti fastidiosi della testa e degli occhi.
        È necessario uno spazio sufficiente che permetta ai lavoratori una posizione comoda.

e) Sedile di lavoro.

        Il sedile di lavoro deve essere stabile, permettere all'utilizzatore una certa libertà di movimento ed una posizione comoda.
        I sedili devono avere altezza regolabile.
        Il loro schienale deve essere regolabile in altezza e in inclinazione.
        Un poggiapiedi è messo a disposizione di coloro che lo desiderino.

2. Ambiente

a) Spazio.

        Il posto di lavoro deve essere ben dimensionato e allestito in modo che vi sia spazio sufficiente per permettere cambiamenti di posizione e di movimenti operativi.

b) Illuminazione.

        L'illuminazione generale ovvero l'illuminazione specifica (lampade da tavolo) devono garantire un'illuminazione sufficiente e un contrasto appropriato tra lo schermo e l'ambiente, tenuto conto delle caratteristiche del lavoro e delle esigenze visive dell'utilizzatore.
        Fastidiosi abbagliamenti e riflessi sullo schermo o su altre attrezzature devono essere evitati strutturando l'arredamento del locale e del posto di lavoro in funzione dell'ubicazione delle fonti di luce artificiale e delle loro caratteristiche tecniche.

c) Riflessi e abbagliamenti.

        I posti di lavoro devono essere sistemati in modo che le fonti luminose quali le finestre e le altre aperture, le pareti trasparenti o traslucide, nonché le attrezzature e le pareti di colore chiaro non producano riflessi sullo schermo.

 

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        Le finestre devono essere munite di un opportuno dispositivo di copertura regolabile per attenuare la luce diurna che illumina il posto di lavoro.

d) Rumore.

        Il rumore emesso dalle attrezzature appartenenti al posto di lavoro deve essere preso in considerazione al momento della sistemazione del posto, in particolare al fine di non perturbare l'attenzione e la comunicazione verbale.

e) Calore.

        Le attrezzature appartenenti al posto di lavoro non devono produrre un eccesso di calore che possa essere fonte di disturbo per i lavoratori.

f) Radiazioni.

        Tutte le radiazioni, eccezion fatta per la parte visibile dello spettro elettromagnetico, devono essere ridotte a livelli trascurabili dal punto di vista della tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori.

g) Umidità.

        Si deve fare in modo di ottenere e di mantenere un'umidità soddisfacente.

3. Interfaccia elaboratore/uomo

        All'atto dell'elaborazione, della scelta, dell'acquisto del software, o allorché questo viene modificato, come anche nel definire le mansioni che implicano l'utilizzazione di unità videoterminali, il datore di lavoro tiene conto dei seguenti fattori:

            a) il software deve essere adeguato alla mansione da svolgere;

            b) il software deve essere di facile uso e, se del caso, adattabile al livello di conoscenza e di esperienza dell'utilizzatore; nessun dispositivo o controllo quantitativo o qualitativo può essere utilizzato all'insaputa dei lavoratori;

            c) i sistemi devono fornire ai lavoratori delle indicazione sul loro svolgimento;

            d) i sistemi devono fornire l'informazione di un formato e a un ritmo adeguato agli operatori;

            e) i princìpi dell'ergonomia devono essere applicati in particolare all'elaborazione dell'informazione da parte dell'uomo.

 

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Allegato XIII

Parte A
(articolo 81, comma 1, lettera c), numero 2))

ELENCO DI SISTEMI, PREPARATI E PROCEDIMENTI

        1. Produzione di auramina.
        2. Lavori che espongono agli idrocarburi policiclici aromatici presenti nella fuliggine, nel catrame o nella pece di carbone.
        3. Lavori che espongono alle polveri, fumi e nebbie prodotti durante il raffinamento del nichel a temperature elevate.
        4. Processo agli acidi forti nella fabbricazione di alcool isopropilico.
        5. Il lavoro comportante l'esposizione a polvere di legno duro   (1).

        (1) Un elenco di tipi di legno duro figura nel volume 62 delle monografie sulla valutazione dei rischi cancerogeni per la salute umana «Wood Dust and Formaldehyde» pubblicato dal Centro internazionale di ricerca sul cancro, Lione 1995.

 

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Parte B
(articolo 81, comma 1, lettera f))

VALORI LIMITE DI ESPOSIZIONE PROFESSIONALE

 

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Parte C
(articolo 81, comma 1, lettera g))

VALORI LIMITE BIOLOGICI OBBLIGATORI E PROCEDURE DI SORVEGLIANZA SANITARIA

Piombo e suoi composti ionici.

        1. Il monitoraggio biologico comprende la misurazione del livello di piombo nel sangue (PbB) con l'ausilio della spettroscopia ad assorbimento atomico o di un metodo che dia risultati equivalenti. Il valore limite biologico è il seguente:

            60 μg Pb/100 ml di sangue. Per le lavoratrici in età fertile il riscontro di valori di piombemia superiori a 40 microgrammi di piombo per 100 millilitri di sangue comporta, comunque, l'allontanamento dall'esposizione.

        2. La sorveglianza sanitaria si effettua quando:

            l'esposizione a una concentrazione di piombo nell'aria, espressa come media ponderata nel tempo calcolata su 40 ore alla settimana, è superiore a 0,075 mg/m3;

            nei singoli lavoratori è riscontrato un contenuto di piombo nel sangue superiore a 40 μg Pb/l00 ml di sangue.

Parte D
(articolo 84, comma 5)

METODICHE PER LA MISURAZIONE DI AGENTI CHIMICI PERICOLOSI

UNI EN 481: 1994 Atmosfera nell'ambiente di lavoro. Definizione delle frazioni granulometriche per la misurazione delle particelle aerodisperse.
UNI EN 482: 1998 Atmosfera nell'ambiente di lavoro. Requisiti generali per le prestazioni dei procedimenti di misurazione degli agenti chimici.
UNI EN 689: 1997 Atmosfera nell'ambiente di lavoro. Guida alla valutazione dell'esposizione per inalazione a composti chimici ai fini del confronto con i valori limite e strategia di misurazione.
UNI EN 838: 1998 Atmosfera nell'ambiente di lavoro. Campionatori diffusivi per la determinazione di gas e vapori. Requisiti e metodi di prova.

 

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UNI EN 1076: 1999  Atmosfera nell'ambiente di lavoro. Tubi di assorbimento mediante pompaggio per la determinazione di gas e vapori. Requisiti e metodi di prova.
UNI EN 1231: 1999 Atmosfera nell'ambiente di lavoro. Sistemi di misurazione di breve durata con tubo di rivelazione. Requisiti e metodi di prova.
UNI EN 1232: 1999 Atmosfera nell'ambiente di lavoro. Pompe per il campionamento personale di agenti chimici. Requisiti e metodi di prova.
UNI EN 1540: 2001 Atmosfera nell'ambiente di lavoro. Terminologia.
UNI EN 12919: 2001 Atmosfera nell'ambiente di lavoro. Pompe per il campionamento di agenti chimici con portate maggiori di 5l/min. Requisiti e metodi di prova.

Parte E
(articolo 87, comma 1)

AGENTI CHIMICI VIETATI

Agenti chimici
N.
EINECS(1)
N.
CAS(2)
Nome dell'agente Limite
di concentrazione
per l'esenzione
202-080-4 91-59-8 2-naftilammina e suoi sali 0,1% in peso
202-177-1 92-67-1 4-amminodifenile e suoi sali 0,1% in peso
202-199-1 91-87-5 benzidina e suoi sali 0,1% in peso
202-204-7 91-93-3 4-nitrodifenile 0,1% in peso
  (1) EINECS: European Inventory of Existing Commercial Chemical Substance
  (2) CAS: Chemical Abstracts Service

 

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Parte F
(articolo 97, comma 1)

RIPARTIZIONE DELLE AREE IN CUI POSSONO FORMARSI ATMOSFERE ESPLOSIVE

Osservazione preliminare

        Il sistema di classificazione che segue si applica alle aree in cui vengono adottati provvedimenti di protezione in applicazione degli articoli 93, 94, 97 e 98.

1. Aree in cui possono formarsi atmosfere esplosive

        Un'area in cui può formarsi un'atmosfera esplosiva in quantità tali da richiedere particolari provvedimenti di protezione per tutelare la sicurezza e la salute dei lavoratori interessati è considerata area esposta a rischio di esplosione ai sensi del titolo IX, capo II.
        Un'area in cui non è da prevedere il formarsi di un'atmosfera esplosiva in quantità tali da richiedere particolari provvedimenti di protezione è da considerare area non esposta a rischio di esplosione ai sensi del titolo IX, capo II.
        Le sostanze infiammabili e combustibili sono da considerare come sostanze che possono formare un'atmosfera esplosiva a meno che l'esame delle loro caratteristiche non abbia evidenziato che esse, in miscela con l'aria, non sono in grado di propagare autonomamente un'esplosione.

2. Classificazione delle aree a rischio di esplosione

        Le aree a rischio di esplosione sono ripartite in zone in base alla frequenza e alla durata della presenza di atmosfere esplosive.
        Il livello dei provvedimenti da adottare in conformità alla parte G, sezione 1, è determinato da tale classificazione.

Zona 0

        Area in cui è presente in permanenza o per lunghi periodi o frequentemente un'atmosfera esplosiva consistente in una miscela di aria e di sostanze infiammabili sotto forma di gas, vapore o nebbia.

Zona 1

        Area in cui la formazione di un'atmosfera esplosiva, consistente in una miscela di aria e di sostanze infiammabili sotto forma di gas,

 

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vapori o nebbia, è probabile che avvenga occasionalmente durante le normali attività.

Zona 2

        Area in cui durante le normali attività non è probabile la formazione di un'atmosfera esplosiva consistente in una miscela di aria e di sostanze infiammabili sotto forma di gas, vapore o nebbia o, qualora si verifichi, sia unicamente di breve durata.

Zona 20

        Area in cui è presente in permanenza o per lunghi periodi o frequentemente un'atmosfera esplosiva sotto forma di nube di polvere combustibile nell'aria.

Zona 21

        Area in cui la formazione di un'atmosfera esplosiva sotto forma di nube di polvere combustibile nell'aria è probabile che avvenga occasionalmente durante le normali attività.

Zona 22

        Area in cui durante le normali attività non è probabile la formazione di un'atmosfera esplosiva sotto forma di nube di polvere combustibile o, qualora si verifichi, sia unicamente di breve durata.

Note:

        1. Strati, depositi o cumuli di polvere combustibile sono considerati come qualsiasi altra fonte che possa formare un'atmosfera esplosiva.
        2. Per «normali attività» si intende la situazione in cui gli impianti sono utilizzati entro i parametri progettuali.
        Per la classificazione delle aree si può fare riferimento alle norme tecniche armonizzate relative ai settori specifici, tra le quali:

            EN 60079-10 (CEI 31-30) per atmosfere esplosive in presenza di gas;

            EN 50281-3 per atmosfere esplosive in presenza di polveri combustibili.

 

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Parte G
(articolo 97, comma 2)

Sezione 1
PRESCRIZIONI MINIME PER IL MIGLIORAMENTO DELLA PROTEZIONE DELLA SICUREZZA E DELLA SALUTE DEI LAVORATORI CHE POSSONO ESSERE ESPOSTI AL RISCHIO DI ATMOSFERE ESPLOSIVE

Osservazione preliminare

        Le prescrizioni di cui alla presente parte si applicano:

            a) alle aree classificate come pericolose in conformità alla parte F, in tutti i casi in cui lo richiedano le caratteristiche dei luoghi di lavoro, dei posti di lavoro, delle attrezzature o delle sostanze impiegate ovvero i pericoli derivanti dalle attività correlate al rischio di atmosfere esplosive;

            b) ad attrezzature in aree non esposte a rischio di esplosione che sono necessarie o contribuiscono al funzionamento delle attrezzature che si trovano nelle aree a rischio di esplosione.

1. Provvedimenti organizzativi

1.1. Formazione professionale dei lavoratori.

        Il datore di lavoro provvede ad una sufficiente e adeguata formazione in materia di protezione dalle esplosioni dei lavoratori impegnati in luoghi dove possono formarsi atmosfere esplosive.

1.2. Istruzioni scritte e autorizzazione al lavoro.

        Ove stabilito dal documento sulla protezione contro le esplosioni:

            a) il lavoro nelle aree a rischio si effettua secondo le istruzioni scritte impartite dal datore di lavoro;

            b) è applicato un sistema di autorizzazioni al lavoro per le attività pericolose e per le attività che possono diventare pericolose quando interferiscono con altre operazioni di lavoro.

        Le autorizzazioni al lavoro sono rilasciate prima dell'inizio dei lavori da una persona abilitata a farlo.

 

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2. Misure di protezione contro le esplosioni

        2.1. Fughe ed emissioni, intenzionali o casuali, di gas, vapori, nebbie o polveri combustibili che possano dar luogo a rischi di esplosioni sono opportunamente deviate o rimosse verso un luogo sicuro o, se ciò non è realizzabile, i citati elementi sono contenuti in modo sicuro o resi adeguatamente sicuri con altri metodi appropriati.

        2.2. Qualora l'atmosfera esplosiva contenga più tipi di gas, vapori, nebbie o polveri infiammabili o combustibili, le misure di protezione devono essere programmate per il massimo pericolo possibile.

        2.3. Per la prevenzione dei rischi di accensione, conformemente all'articolo 93, si tiene conto anche delle scariche elettrostatiche che provengono dai lavoratori o dall'ambiente di lavoro che agiscono come elementi portatori di carica o generatori di carica. I lavoratori sono dotati di adeguati indumenti di lavoro fabbricati con materiali che non producono scariche elettrostatiche che possano causare l'accensione di atmosfere esplosive.

        2.4. Impianti, attrezzature, sistemi di protezione e tutti i loro dispositivi di collegamento sono posti in servizio soltanto se dal documento sulla protezione contro le esplosioni risulta che possono essere utilizzati senza rischio in un'atmosfera esplosiva. Ciò vale anche per attrezzature di lavoro e relativi dispositivi di collegamento che non sono apparecchi o sistemi di protezione ai sensi del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 marzo 1998, n.126, qualora possano rappresentare un pericolo di accensione unicamente per il fatto di essere incorporati in un impianto. Devono essere adottate le misure necessarie per evitare il rischio di confusione tra i dispositivi di collegamento.

        2.5. Si devono prendere tutte le misure necessarie per garantire che le attrezzature di lavoro con i loro dispositivi di collegamento a disposizione dei lavoratori, nonché la struttura del luogo di lavoro siano state progettate, costruite, montate, installate, tenute in efficienza e utilizzate in modo tale da ridurre al minimo i rischi di esplosione e, se questa dovesse verificarsi, si possa controllarne o ridurne al minimo la propagazione all'interno del luogo di lavoro e dell'attrezzatura. Per tali luoghi di lavoro si adottano le misure necessarie per ridurre al minimo gli effetti sanitari di una esplosione sui lavoratori.

        2.6. Se del caso, i lavoratori sono avvertiti con dispositivi ottici e acustici e allontanati prima che le condizioni per un'esplosione siano raggiunte.

        2.7. Ove stabilito dal documento sulla protezione contro le esplosioni, sono forniti e mantenuti in servizio sistemi di evacuazione per garantire che in caso di pericolo i lavoratori possano allontanarsi rapidamente e in modo sicuro dai luoghi pericolosi.

        2.8. Anteriormente all'utilizzazione per la prima volta di luoghi di lavoro che comprendono aree in cui possano formarsi atmosfere

 

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esplosive, è verificata la sicurezza dell'intero impianto per quanto riguarda le esplosioni. Tutte le condizioni necessarie a garantire protezione contro le esplosioni sono mantenute.
        La verifica del mantenimento di tali condizioni è effettuata da persone che, per la loro esperienza e formazione professionale, sono competenti nel campo della protezione contro le esplosioni.

        2.9. Qualora risulti necessario dalla valutazione del rischio:

            a) deve essere possibile, quando un'interruzione di energia elettrica può dar luogo a rischi supplementari, assicurare la continuità del funzionamento in sicurezza degli apparecchi e dei sistemi di protezione, indipendentemente dal resto dell'impianto in caso della predetta interruzione;

            b) gli apparecchi e sistemi di protezione a funzionamento automatico che si discostano dalle condizioni di funzionamento previste devono poter essere disinseriti manualmente, purché ciò non comprometta la sicurezza. Questo tipo di interventi deve essere eseguito solo da personale competente;

            c) in caso di arresto di emergenza, l'energia accumulata deve essere dissipata nel modo più rapido e sicuro possibile o isolata in modo da non costituire più una fonte di pericolo.

        2.10. Nel caso di impiego di esplosivi è consentito, nella zona 0 o zona 20 solo l'uso di esplosivi di sicurezza antigrisutosi, dichiarati tali dal fabbricante e classificati nell'elenco di cui al decreto del Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato 21 aprile 1979, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 127 del 10 maggio 1979, e successive modificazioni.
        L'accensione delle mine deve essere fatta elettricamente dall'esterno.
        Tutto il personale deve essere fatto uscire dal sotterraneo durante la fase di accensione delle mine.

        2.11. Qualora venga rilevata in qualsiasi luogo sotterraneo una concentrazione di gas infiammabile o esplodente superiore all'1 per cento in volume rispetto all'aria, con tendenza all'aumento, e non sia possibile, mediante la ventilazione o con altri mezzi idonei, evitare l'aumento della percentuale dei gas oltre il limite indicato, tutto il personale deve essere fatto sollecitamente uscire dal sotterraneo.
        Analogo provvedimento deve essere adottato in caso di irruzione massiva di gas.

        2.12. Qualora non sia possibile assicurare le condizioni di sicurezza previste dal punto 2.11. possono essere eseguiti in sotterraneo solo i lavori strettamente necessari per bonificare l'ambiente dal gas e quelli indispensabili e indifferibili per ripristinare la stabilità delle armature degli scavi.
        Tali lavori devono essere affidati a personale esperto numericamente limitato, provvisto dei necessari mezzi di protezione, comprendenti

 

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in ogni caso l'autoprotettore, i quali non devono essere prelevati dalla dotazione per le squadre di salvataggio.

Sezione 2
CRITERI PER LA SCELTA DEGLI APPARECCHI E DEI SISTEMI DI PROTEZIONE

        Qualora il documento sulla protezione contro le esplosioni basato sulla valutazione del rischio non preveda altrimenti, in tutte le aree in cui possono formarsi atmosfere esplosive sono impiegati apparecchi e sistemi di protezione conformi alle categorie previste dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 marzo 1998, n. 126.
        In particolare, in tali aree sono impiegate le seguenti categorie di apparecchi, purché adatti, a seconda dei casi, a gas, vapori o nebbie e/o polveri:

            a) nella zona 0 o nella zona 20, apparecchi di categoria 1;

            b) nella zona 1 o nella zona 21, apparecchi di categoria 1 o di categoria 2;

            c) nella zona 2 o nella zona 22, apparecchi di categoria 1, 2 o 3.

 

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Allegato XIV

AGENTI BIOLOGICI

Parte A
(articolo 119, comma 2)

ELENCO DEGLI AGENTI BIOLOGICI CLASSIFICATI

        1. Sono inclusi nella classificazione unicamente gli agenti di cui è noto che possono provocare malattie infettive in soggetti umani.
        I rischi tossici ovvero allergenici eventualmente presenti sono indicati a fianco di ciascun agente in apposita colonna.
        Non sono stati presi in considerazione gli agenti patogeni di animali e piante di cui è noto che non hanno effetto sull'uomo.
        In sede di compilazione di questo primo elenco di agenti biologici classificati non si è tenuto conto dei microrganismi geneticamente modificati.
        2. La classificazione degli agenti biologici si basa sull'effetto esercitato dagli stessi su lavoratori sani.
        Essa non tiene conto dei particolari effetti sui lavoratori la cui sensibilità potrebbe essere modificata da altre cause quali malattia preesistente, uso di medicinali, immunità compromessa, stato di gravidanza o allattamento, fattori dei quali è tenuto conto nella sorveglianza sanitaria di cui all'articolo 129.
        3. Gli agenti biologici che non sono stati inclusi nei gruppi 2, 3, 4 dell'elenco non sono implicitamente inseriti nel gruppo 1.
        Per gli agenti di cui è nota per numerose specie la patogenicità per l'uomo, l'elenco comprende le specie più frequentemente implicate nelle malattie, mentre un riferimento di carattere più generale indica che altre specie appartenenti allo stesso genere possono avere effetti sulla salute dell'uomo.
        Quando un intero genere è menzionato nell'elenco degli agenti biologici è implicito che i ceppi e le specie definiti non patogeni sono esclusi dalla classificazione.
        4. Quando un ceppo è attenuato o ha perso geni notoriamente virulenti, il contenimento richiesto dalla classificazione del ceppo parentale non è necessariamente applicato a meno che la valutazione del rischio da esso rappresentato sul luogo di lavoro non lo richieda.
        5. Tutti i virus che sono già stati isolati nell'uomo e che ancora non figurano nel presente allegato devono essere considerati come appartenenti almeno al gruppo due, a meno che sia provato che non possono provocare malattie nell'uomo.
        6. Taluni agenti classificati nel gruppo tre ed indicati con doppio asterisco (**) nell'elenco allegato possono comportare un rischio di infezione limitato perché normalmente non sono veicolati dall'aria.

 

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Nel caso di particolari attività comportanti l'utilizzazione dei suddetti agenti, in relazione al tipo di operazione effettuata e dei quantitativi impiegati può risultare sufficiente, per attuare le misure di cui ai punti 2 e 13 della parte C e ai punti 2, 3 e 5 della parte D, assicurare i livelli di contenimento ivi previsti per gli agenti del gruppo 2.
        7. Le misure di contenimento che derivano dalla classificazione dei parassiti si applicano unicamente agli stadi del ciclo dei parassiti che possono essere infettivi per l'uomo.
        8. L'elenco contiene indicazioni che individuano gli agenti biologici che possono provocare reazioni allergiche o tossiche, quelli per i quali è disponibile un vaccino efficace e quelli per i quali è opportuno conservare per almeno dieci anni l'elenco dei lavoratori che hanno operato in attività con rischio di esposizione a tali agenti.

        Tali indicazioni sono:

            A: possibili effetti allergici;

            D: l'elenco dei lavoratori che hanno operato con tali agenti deve essere conservato per almeno dieci anni dalla cessazione dell'ultima attività comportante rischio di esposizione;

            T: produzione di tossine;

            V: vaccino efficace disponibile.

 

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Parte B
(articolo 120, comma 5)

SPECIFICHE PER PROCESSI INDUSTRIALI

 

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Parte C
(articolo 120, comma 6)

ELENCO ESPLICATIVO DI ATTIVITÀ LAVORATIVE CHE POSSONO COMPORTARE LA PRESENZA DI AGENTI BIOLOGICI

        1. Attività in industrie alimentari.
        2. Attività nell'agricoltura.
        3. Attività nelle quali vi è contatto con animali e/o con prodotti di origine animale.
        4. Attività nei servizi sanitari, comprese le unità di isolamento e di post mortem.
        5. Attività nei laboratori clinici, veterinari e diagnostici, esclusi i laboratori di diagnosi microbiologica.
        6. Attività in impianti di smaltimento rifiuti e di raccolta di rifiuti speciali potenzialmente infetti.
        7. Attività negli impianti per la depurazione delle acque di scarico.

 

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Parte D
(articolo 127, comma 3)

SPECIFICHE SULLE MISURE DI CONTENIMENTO E SUI LIVELLI DI CONTENIMENTO

 

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Allegato XV

Parte A
(articolo 150, comma 2)

VIBRAZIONI TRASMESSE AL SISTEMA MANO-BRACCIO

1. Valutazione dell'esposizione

        La valutazione del livello di esposizione alle vibrazioni trasmesse al sistema mano-braccio si basa principalmente sul calcolo del valore dell'esposizione giornaliera normalizzato a un periodo di riferimento di 8 ore, A (8), calcolato come radice quadrata della somma dei quadrati (valore totale) dei valori quadratici medi delle accelerazioni ponderate in frequenza, determinati sui tre assi ortogonali (ahwx, ahwy, ahwz) conformemente ai capitoli 4 e 5 e all'allegato A della norma ISO 5349-1 (2001).
        La valutazione del livello di esposizione può essere effettuata sulla base di una stima fondata sulle informazioni relative al livello di emissione delle attrezzature di lavoro utilizzate, fornite dai fabbricanti, e sull'osservazione delle specifiche pratiche di lavoro, oppure attraverso una misurazione. Come elementi di riferimento possono essere utilizzate anche le banche dati dell'ISPESL e delle regioni contenenti i livelli di esposizione professionale alle vibrazioni.

2. Misurazione

        Qualora si proceda alla misurazione:

            a) i metodi utilizzati possono includere la campionatura, purché sia rappresentativa dell'esposizione di un lavoratore alle vibrazioni meccaniche considerate; i metodi e le apparecchiature utilizzati devono essere adattati alle particolari caratteristiche delle vibrazioni meccaniche da misurare, ai fattori ambientali e alle caratteristiche dell'apparecchio di misurazione, conformemente alla norma ISO 5349-2 (2001);

            b) nel caso di attrezzature che devono essere tenute con entrambe le mani, la misurazione è eseguita su ogni mano. L'esposizione è determinata facendo riferimento al più alto dei due valori; deve essere inoltre fornita l'informazione relativa all'altra mano.

3. Interferenze

        Le disposizioni dell'articolo 150, comma 6, lettera d), si applicano in particolare nei casi in cui le vibrazioni meccaniche ostacolano il corretto uso manuale dei comandi o la lettura degli indicatori.

 

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4. Rischi indiretti

        Le disposizioni dell'articolo 150, comma 6, lettera d), si applicano in particolare nei casi in cui le vibrazioni meccaniche incidono sulla stabilità delle strutture o sulla buona tenuta delle giunzioni.

5. Attrezzature di protezione individuale

        Attrezzature di protezione individuale contro le vibrazioni trasmesse al sistema mano-braccio possono contribuire al programma di misure di cui all'articolo 151, comma 2.

Parte B
(articolo 150, comma 3)

VIBRAZIONI TRASMESSE AL CORPO INTERO

1. Valutazione dell'esposizione

        La valutazione del livello di esposizione alle vibrazioni si basa sul calcolo dell'esposizione giornaliera A (8) espressa come l'accelerazione continua equivalente su 8 ore, calcolata come il più alto dei valori quadratici medi o il più alto dei valori della dose di vibrazioni (VDV) delle accelerazioni ponderate in frequenza, determinati sui tre assi ortogonali (1,4awx, 1,4awy, awz per un lavoratore seduto o in piedi), conformemente ai capitoli 5, 6 e 7, all'allegato A e all'allegato B della norma ISO 2631-1 (1997).
        La valutazione del livello di esposizione può essere effettuata sulla base di una stima fondata sulle informazioni relative al livello di emissione delle attrezzature di lavoro utilizzate, fornite dai fabbricanti, e sull'osservazione delle specifiche pratiche di lavoro, oppure attraverso una misurazione. Come elementi di riferimento possono essere utilizzate anche le banche dati dell'ISPESL e delle regioni contenenti i livelli di esposizione professionale alle vibrazioni
        Per quanto riguarda la navigazione marittima, si prendono in considerazione solo le vibrazioni di frequenza superiore a 1 Hz.

2. Misurazione

        Qualora si proceda alla misurazione, i metodi utilizzati possono includere la campionatura, purché sia rappresentativa dell'esposizione di un lavoratore alle vibrazioni meccaniche considerate. I metodi utilizzati devono essere adeguati alle particolari caratteristiche delle vibrazioni meccaniche da misurare, ai fattori ambientali e alle

 

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caratteristiche dell'apparecchio di misurazione. I metodi rispondenti a norme di buona tecnica si considerano adeguati a quanto richiesto dal presente punto.

3. Interferenze

        Le disposizioni dell'articolo 150, comma 6, lettera d), si applicano in particolare nei casi in cui le vibrazioni meccaniche ostacolano il corretto uso manuale dei comandi o la lettura degli indicatori.

4. Rischi indiretti

        Le disposizioni dell'articolo 150, comma 6, lettera d), si applicano in particolare nei casi in cui le vibrazioni meccaniche incidono sulla stabilità delle strutture o sulla buona tenuta delle giunzioni.

5. Prolungamento dell'esposizione

        Le disposizioni dell'articolo 150, comma 6, lettera g), si applicano in particolare nei casi in cui, data la natura dell'attività svolta, un lavoratore utilizza locali di riposo e ricreazione messi a disposizione dal datore di lavoro; tranne nei casi di forza maggiore, l'esposizione del corpo intero alle vibrazioni in tali locali deve essere ridotta a un livello compatibile con le funzioni e condizioni di utilizzazione di tali locali.

 

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Allegato XVI

CANTIERI TEMPORANEI O MOBILI

Parte A
(articolo 158, comma 1, lettera a))

ELENCO DEI LAVORI EDILI O DI INGEGNERIA CIVILE

        1. I lavori di costruzione, manutenzione, riparazione, demolizione, conservazione, risanamento, ristrutturazione o equipaggiamento, la trasformazione, il rinnovamento o lo smantellamento di opere fisse, permanenti o temporanee, in muratura, in cemento armato, in metallo, in legno o in altri materiali, comprese le linee elettriche, le parti strutturali degli impianti elettrici, le opere stradali, ferroviarie, idrauliche, marittime, idroelettriche e, solo per la parte che comporta lavori edili o di ingegneria civile, le opere di bonifica, di sistemazione forestale e di sterro.
        2. Sono, inoltre, lavori di costruzione edile o di ingegneria civile gli scavi, e il montaggio e lo smontaggio di elementi prefabbricati utilizzati per i lavori edili o di ingegneria civile.

Parte B
(articolo 159, comma 3, lettera b))

ELENCO DEI LAVORI COMPORTANTI RISCHI PARTICOLARI PER LA SICUREZZA E LA SALUTE DEI LAVORATORI

        1. Lavori che espongono i lavoratori a rischi di seppellimento o di sprofondamento a profondità superiore a mt 1,5 o di caduta dall'alto da altezza superiore a mt 2, se particolarmente aggravati dalla natura dell'attività o dei procedimenti attuati oppure dalle condizioni ambientali del posto di lavoro o dell'opera.
        2. Lavori che espongono i lavoratori a sostanze chimiche o biologiche che presentano rischi particolari per la sicurezza e la salute dei lavoratori oppure comportano un'esigenza legale di sorveglianza sanitaria.
        3. Lavori con radiazioni ionizzanti che esigono la designazione di zone controllate o sorvegliate, quali definite dalla normativa vigente in materia di protezione dei lavoratori dalle radiazioni ionizzanti.
        4. Lavori in prossimità di linee elettriche aeree a conduttori nudi in tensione.
        5. Lavori che espongono a un rischio di annegamento.
        6. Lavori in pozzi, sterri sotterranei e gallerie.
        7. Lavori subacquei con respiratori.

 

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        8. Lavori in cassoni ad aria compressa.
        9. Lavori comportanti l'impiego di esplosivi.
        10. Lavori di montaggio o di smontaggio di elementi prefabbricati pesanti.

Parte C
(articolo 160, comma 1, lettera b))

FASCICOLO CON LE CARATTERISTICHE DELL'OPERA

I. Introduzione

        Il fascicolo, predisposto la prima volta a cura del coordinatore per la progettazione, è eventualmente modificato nella fase esecutiva in funzione dell'evoluzione dei lavori ed è aggiornato a cura del committente a seguito delle modifiche intervenute in un'opera nel corso della sua esistenza. Per interventi su opere esistenti già dotate di fascicolo e che richiedono la designazione dei coordinatori, l'aggiornamento del fascicolo è predisposto a cura del coordinatore per la progettazione.
        Per le opere previste dal codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e successive modificazioni, il fascicolo tiene conto del piano di manutenzione dell'opera e delle sue parti, previsto dall'articolo 40 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 21 dicembre 1999, n. 554.
        Il fascicolo accompagna l'opera per tutta la sua durata di vita.

II. Contenuti

        Il fascicolo comprende tre capitoli:

            CAPITOLO I - la descrizione sintetica dell'opera e l'indicazione dei soggetti coinvolti (scheda I).

                CAPITOLO II - l'individuazione dei rischi, delle misure preventive e protettive in dotazione dell'opera e di quelle ausiliarie, per gli interventi successivi prevedibili sull'opera, quali le manutenzioni ordinarie e straordinarie, nonché per gli altri interventi successivi già previsti o programmati (schede II-1, II-2 e II-3).

        Le misure preventive e protettive in dotazione dell'opera sono le misure preventive e protettive incorporate nell'opera o a servizio della stessa, per la tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori incaricati di eseguire i lavori successivi sull'opera.
        Le misure preventive e protettive ausiliarie sono, invece, le altre misure preventive e protettive la cui adozione è richiesta ai datori di

 

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lavoro delle imprese esecutrici e ai lavoratori autonomi incaricati di eseguire i lavori successivi sull'opera.
        Al fine di definire le misure preventive e protettive in dotazione dell'opera e quelle ausiliarie, devono essere presi in considerazione almeno i seguenti elementi:

            a) accessi ai luoghi di lavoro;

            b) sicurezza dei luoghi di lavoro;

            c) impianti di alimentazione e di scarico;

            d) approvvigionamento e movimentazione materiali;

            e) approvvigionamento e movimentazione attrezzature;

            f) igiene sul lavoro;

            g) interferenze e protezione dei terzi.

        Il fascicolo fornisce, inoltre, le informazioni sulle misure preventive e protettive in dotazione dell'opera, necessarie per pianificarne la realizzazione in condizioni di sicurezza, nonché le informazioni riguardanti le modalità operative da adottare per:

            a) utilizzare le stesse in completa sicurezza;

            b) mantenerle in piena funzionalità nel tempo, individuandone in particolare le verifiche, gli interventi manutentivi necessari e la loro periodicità.

        CAPITOLO III - i riferimenti alla documentazione di supporto esistente (schede III-1, III-2 e III-3).

 

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CAPITOLO I
Modalità per la descrizione dell'opera e l'individuazione dei soggetti interessati.

        1. Per la realizzazione di questa parte di fascicolo è utilizzata come riferimento la successiva scheda I, che è sottoscritta dal soggetto responsabile della sua compilazione.

 

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CAPITOLO II
Individuazione dei rischi, delle misure preventive e protettive in dotazione dell'opera e di quelle ausiliarie.

        1. Per la realizzazione di questa parte di fascicolo sono utilizzate come riferimento le successive schede, che sono sottoscritte dal soggetto responsabile della sua compilazione.

        2.1 La scheda II-1 è redatta per ciascuna tipologia di lavori prevedibile, prevista o programmata sull'opera, descrive i rischi individuati e, sulla base dell'analisi di ciascun punto critico (accessi ai luoghi di lavoro, sicurezza dei luoghi di lavoro eccetera), indica le misure preventive e protettive in dotazione dell'opera e quelle ausiliarie. Tale scheda è corredata, quando necessario, con tavole allegate, contenenti le informazioni utili per la miglior comprensione

 

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delle misure preventive e protettive in dotazione dell'opera e indicanti le scelte progettuali effettuate allo scopo, come la portanza e la resistenza di solai e di strutture, nonché il percorso e l'ubicazione di impianti e di sottoservizi; qualora la complessità dell'opera lo richieda, le suddette tavole sono corredate da immagini, foto o altri documenti utili ad illustrare le soluzioni individuate.
        2.2 La scheda II-2 è identica alla scheda II-1 ed è utilizzata per adeguare il fascicolo in fase di esecuzione dei lavori e ogniqualvolta sia necessario a seguito delle modifiche intervenute in un'opera nel corso della sua esistenza. Tale scheda sostituisce la scheda II-1, la quale è comunque conservata fino all'ultimazione dei lavori.
        2.3 La scheda II-3 indica, per ciascuna misura preventiva e protettiva in dotazione dell'opera, le informazioni necessarie per pianificarne la realizzazione in condizioni di sicurezza, nonché per consentire il loro utilizzo in completa sicurezza e permettere al committente il controllo della loro efficienza.
 

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CAPITOLO III
Indicazioni per la definizione dei riferimenti della documentazione di supporto esistente.

        1. All'interno del fascicolo sono indicate le informazioni utili al reperimento dei documenti tecnici dell'opera che risultano di particolare utilità ai fini della sicurezza, per ogni intervento successivo sull'opera, siano essi elaborati progettuali, indagini specifiche o semplici informazioni; tali documenti riguardano:

            a) il contesto in cui è collocata;

            b) la struttura architettonica e statica;

            c) gli impianti installati.

        2. Qualora l'opera sia in possesso di uno specifico libretto di manutenzione contenente i documenti di cui al punto 1 ad esso si rimanda per i riferimenti di cui al citato punto 1.
        3. Per la realizzazione di questa parte di fascicolo sono utilizzate come riferimento le successive schede, che sono sottoscritte dal soggetto responsabile della sua compilazione.

 

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Parte D
(articolo 166, comma 3)

CORSO DI FORMAZIONE PER LA SICUREZZA DEL LAVORO NEL SETTORE EDILE

        1. Durata del corso: 120 ore.
        2. Argomenti:

            a) la legislazione vigente in materia di sicurezza e salute sul luogo di lavoro;

            b) malattie professionali;

            c) statistiche sulle violazioni delle norme nei cantieri;

            d) analisi dei rischi;

            e) norme di buona tecnica e criteri per l'organizzazione dei cantieri e l'effettuazione dei lavori in sicurezza (uso delle macchine, dei DPI, ponteggi e opere provvisionali);

            f) metodologie per l'elaborazione di piani di sicurezza e coordinamento.

Parte E
(articolo 167, comma 1)

CONTENUTO DELLA NOTIFICA PRELIMINARE

        1. Data della comunicazione.
        2. Indirizzo del cantiere.
        3. Committente (nome e indirizzo).
        4. Natura dell'opera.
        5. Responsabile dei lavori (nome e indirizzo).
        6. Coordinatore per quanto riguarda la sicurezza e la salute durante la progettazione dell'opera (nome e indirizzo).
        7. Coordinatore per quanto riguarda la sicurezza e la salute durante la realizzazione dell'opera (nome e indirizzo).
        8. Data presunta d'inizio dei lavori in cantiere.
        9. Durata presunta dei lavori in cantiere.
        10. Numero massimo presunto dei lavoratori sul cantiere.
        11. Numero previsto di imprese e di lavoratori autonomi sul cantiere.
        12. Identificazione delle imprese già selezionate.
        13. Ammontare complessivo presunto dei lavori.    


Frontespizio Relazione Progetto di Legge Allegato
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