Frontespizio Relazione Progetto di Legge

Nascondi n. pagina

Stampa

PDL 2447

XV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 2447



 

Pag. 1

PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati

NANNICINI, AMENDOLA, BRANDOLINI, BURCHIELLARO, CECCUZZI, CREMA, CRISAFULLI, CRISCI, DE BIASI, DEL MESE, GIANNI FARINA, FEDI, FILIPPESCHI, FINCATO, FOGLIARDI, CINZIA MARIA FONTANA, GHIZZONI, INCOSTANTE, JANNONE, LO MONTE, LULLI, LUONGO, MANTINI, MARGIOTTA, MIGLIOLI, MORRONE, NACCARATO, NARDUCCI, RAZZI, ROTONDO, RUGGERI, SAMPERI, TUCCI, TURCO, VELO, VENTURA, VICO, VILLARI

Disposizioni in materia di responsabilità amministrativa e sui giudizi ad essa relativi

Presentata il 27 marzo 2007


      

torna su
Onorevoli Colleghi! - La presente proposta di legge tende a meglio definire l'ambito della giurisdizione della Corte dei conti in materia di responsabilità amministrativa nonché a fornire garanzie a regole certe del relativo giudizio, onde escludere che ambito, regole e garanzie siano definiti dallo stesso giudice, secondo l'opportunità del caso singolo, avvalendosi delle più disparate interpretazioni.
      Tale compito definitorio, certamente spettante al legislatore secondo il disposto dell'articolo 103, secondo comma, della Costituzione, risponde anche alla necessità di adeguare la giurisdizione di responsabilità amministrativa alle attuali norme sull'azione amministrativa, la cui evoluzione, iniziata negli anni '90, tanto poco si concilia con la giurisdizione della Corte dei conti da costringere quest'ultima a una progressiva eliminazione dei presupposti storici della propria giurisdizione per includervi, con grande travaglio interpretativo che non giova alla certezza del diritto, ipotesi per l'innanzi escluse (come ad esempio quella dei danni cagionati da enti pubblici economici e da società partecipate da enti pubblici) e, più in generale,
 

Pag. 2

fattispecie oggi totalmente regolate dal diritto civile, contraddicendo così alle stesse ragioni di specializzazione che determinarono il mantenimento di questo giudice speciale in deroga al principio dell'unità della giurisdizione. È d'altra parte evidente che un'attività regolata da norme di diritto privato, comune o speciale poco importa, non si presta a un riscontro giudiziale di regolarità formale del singolo atto rispetto alle regole che ne disciplinano l'adozione, ma richiede una valutazione sulla bontà delle scelte di autonomia privata, negoziale e imprenditoriale, operate al fine di conseguire un risultato comunque utile nel complessivo quadro delle strategie istituzionali dell'ente pubblico. Sicché un giudizio strutturato per la valutazione di singoli atti o segmenti di attività espone al rischio di paralizzare ogni iniziativa dell'agente quando si tratti di sostituire al provvedimento, caratterizzato dalla tipicità della forma e degli effetti, l'atto negoziale o contrattuale, caratterizzato viceversa dall'atipicità di forma e di effetti, con il risultato che la minaccia incombente dell'azione giudiziaria specializzata in modelli pubblicistici rischia di bloccare la stessa evoluzione dell'azione amministrativa per moduli privatistici.
      Giova ricordare, a maggiore chiarimento di quanto esposto, che all'attuale formulazione dell'articolo 103, secondo comma, della Costituzione, l'Assemblea costituente pervenne a seguito di un lungo dibattito fra le contrastanti opinioni di chi, come Calamandrei, riteneva doversi far luogo a una rigida applicazione del principio di unità della giurisdizione e, come corollario, alla trasformazione di tutte le giurisdizioni speciali esistenti in sezioni specializzate dal giudice ordinario, e di chi, viceversa, come Mortati, affermava che l'unità della giurisdizione si imponesse nella sola materia penale e nelle controversie civili fra privati, nel mentre al principio stesso dovesse derogarsi per tutte le giurisdizioni speciali, esistenti e future, operanti in materie diverse. A seguito del dibattito, riportato nei verbali dell'Assemblea costituente CCXCIX del 21 novembre 1947, prevalse la tesi intermedia, proposta da Conti, Reale, Perassi e Fabbri e illustrata da Leone, per la quale, esclusa in ogni caso la possibilità di costituire nuovi giudici speciali, tutte le giurisdizioni speciali esistenti, fatta eccezione per le sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato e per la Corte dei conti «in sede di giurisdizione contabile», avrebbero dovuto essere sottoposte a un processo di revisione entro un certo termine dall'entrata in vigore della Costituzione.
      È quell'emendamento che introdusse nel testo dell'articolo 95 della Costituzione la formula, poi sostanzialmente trasferita nel secondo comma dell'articolo 103 della medesima Carta, con la quale si riconobbe la giurisdizione della Corte dei conti «in materia di contabilità pubblica ed in altre materie specialmente indicate dalla legge».
      Se l'espressione «materia di contabilità pubblica», aggiunta all'altra «materie specialmente indicate dalla legge», poteva avere un significato definitorio della giurisdizione della Corte di conti in un momento storico nel quale non si era ancora affermata la distinzione fra «giudizio di conto» e «giudizio di responsabilità», ritenendosi anzi che il primo costituisse presupposto del secondo non solo con riferimento ai «contabili» ma anche con riferimento agli amministratori, il passaggio a un giudizio di responsabilità amministrativa affrancato dal giudizio di conto ha segnato l'inizio di un'evoluzione legislativa e giurisprudenziale tale da ricomprendere nella giurisdizione della Corte dei conti ogni giudizio di danno «erariale» realizzatosi all'interno della cosiddetta «finanza pubblica allargata».
      Infatti mentre il legislatore, nell'esercizio del potere interpositorio di cui al citato articolo 103 della Costituzione, ha incluso nella giurisdizione della Corte dei conti tutti i giudizi di responsabilità nei confronti di amministratori e dipendenti dei comuni, delle regioni e degli altri enti locali in senso ampio per danni causati anche ad enti diversi da quelli di appartenenza, talvolta imponendo limiti di giudizio rivelatisi poi evanescenti, una giurisprudenza pretoria della Corte dei conti,
 

Pag. 3

sostenuta anche dalla Corte di cassazione, ha autonomamente completato il quadro soggettivo e oggettivo della propria giurisdizione attraverso una interpretazione che è, ed è stata, espansiva delle norme di «contabilità pubblica» e contemporaneamente riduttiva dei limiti sia originari sia di quelli successivamente imposti dal legislatore, invadendo così l'ambito legislativo dell'interpositio.
      Ne è così derivato: da un lato, l'estensione del giudizio di responsabilità ad ogni soggetto pubblico o privato svolgente, anche in assenza di un rapporto di impiego o di servizio, attività di qualsiasi tipo comunque «funzionalizzata» al perseguimento di interessi pubblici mediante l'utilizzazione di risorse pubbliche; dall'altro, l'attenuazione o l'eliminazione del limite costituito dal rapporto di impiego o di servizio, del limite prescrizionale, del limite costituito dall'insindacabilità delle scelte discrezionali, del limite della colpa grave, del limite costituito dalla necessaria valutazione degli aspetti comunque vantaggiosi del comportamento dannoso (con ciò reintroducendo sostanzialmente una responsabilità formale), e via enumerando.
      E ciò è avvenuto nonostante che l'irrefrenabile tendenza del giudice contabile ad ampliare la propria giurisdizione sulla base dell'asserita presenza nell'articolo 103 della Costituzione di una riserva di giurisdizione costituzionalmente garantita a favore del giudice speciale nella materia della «contabilità pubblica» e sull'assenza in tale norma di un rinvio alla necessità di una specificazione legislativa della materia stessa sia stata contrastata dalla stessa giurisprudenza della Corte costituzionale. La Corte, infatti, rileva la natura eccezionale di tale giurisdizione rispetto a quella del giudice ordinario e l'attuale impossibilità di definire oggettivamente la materia «contabilità pubblica», ha individuato nella necessaria «interpositio legislatoris», il limite funzionale delle attribuzioni giudicanti della Corte dei conti (sentenza della Corte costituzionale 30 dicembre 1987, n. 641).
      La stessa Corte costituzionale, rilevando per inciso che il giudice ordinario assicura una migliore regolarità di giudizio «sia per la sussistenza di tre gradi di giurisdizione sia per la struttura del sistema istruttorio e probatorio, sia, infine, per la maggiore idoneità del giudice ordinario alla cura di interessi concernenti rapporti di natura paritaria, attribuiti alla sua competenza», dà ragione del fatto che la sottrazione al giudice ordinario della giurisdizione in materia di danni cagionati ad enti pubblici deve ritenersi eccezionale e circoscritta entro i limiti stabiliti dal legislatore. Ed è questo appunto lo scopo essenziale della presente proposta di legge.
      L'altro scopo, non meno essenziale, è quello di potenziare l'azione di responsabilità tanto nel versante dell'azione civile quanto nel versante dell'azione contabile, introducendo nell'un caso e nell'altro l'intervento sostitutorio del procuratore regionale e dell'ente danneggiato, oltre che la possibilità di intervento, per entrambi, nei giudizi intrapresi dall'altra parte.
      Tutto ciò ha il senso non solo di evitare duplicazione di giudizi e contrasto di giudicati, ma soprattutto di non negare né alla procura né all'ente danneggiato la possibilità di intervento autonomo anche quando l'uno dissenta dalle conclusioni, favorevoli o sfavorevoli all'azione, alle quali l'altro è pervenuto, o dall'impostazione data, dall'uno o dall'altro, all'azione intrapresa.
      Questo ampliamento dei poteri sia del procuratore regionale che dell'ente danneggiato neutralizza, d'altra parte, ogni eventuale sospetto di permissivismo che possa strumentalmente intravedersi nell'attribuzione al giudice ordinario di tutte quelle controversie nelle quali non avrebbe in realtà alcun senso optare per la giurisdizione del giudice speciale secondo l'insegnamento della Corte costituzionale. La quale, in effetti, anche in occasione dell'esame di costituzionalità della legge di trasformazione dell'Azienda delle poste in ente pubblico economico, ha confermato che l'interpositio del legislatore ai sensi dell'articolo 103, secondo comma, della Costituzione, richiede un'attenta valutazione sia degli aspetti procedimentali
 

Pag. 4

del giudizio, sia della disciplina sostanziale della responsabilità e ha conseguentemente ritenuto che costituiva puntuale applicazione del canone di razionalità dell'ordinamento l'esclusione dalla giurisdizione della Corte dei conti delle azioni di responsabilità dei dipendenti di un ente strutturato per agire nelle forme del diritto privato (ordinanza della Corte costituzionale 22 luglio 1998, n. 307). Il richiamo poi, nella stessa sentenza, all'articolo 409, n. 4), del codice di procedura civile, dà ragione del fatto che, quando esistono presso il giudice ordinario azioni specifiche e certamente appropriate, sarebbe del tutto incoerente preferirgli il giudice speciale in relazione alla circostanza, inidonea a qualificare altrimenti l'attività di diritto privato, dell'impiego di risorse pubbliche.
      È il caso, fra l'altro, dell'azione prevista dall'articolo 2392 del codice civile in ordine alla quale risulta arduo ipotizzare un efficace coordinamento fra un'azione pubblica ed un'azione privata separatamente svolte nei confronti degli stessi soggetti, e cioè nei confronti degli stessi amministratori della società.
      Premesso tutto ciò e passando all'esame dei singoli articoli della presente proposta di legge, si evidenzia quanto segue.
      L'articolo 1 definisce l'ambito di applicazione della legge.
      Ne resta esclusa la materia disciplinata dalla legge 8 luglio 1986, n. 349, essendo preferibile che ogni intervento di natura processuale nella materia stessa si coordini con una revisione sostanziale della legge stessa, rischiandosi altrimenti di introdurre, anziché elementi di razionalizzazione, elementi di ulteriore confusione.
      L'articolo 2, in funzione del successivo riparto della giurisdizione fra Corte dei conti e giudice ordinario per i danni cagionati agli enti di cui all'articolo 1, detta la definizione degli agenti interni e degli agenti esterni.
      Si è specificato che il rapporto di servizio, per poter qualificare l'agente come interno, debba essere tale da rendere lo stesso organo dell'ente per il quale agisce al fine di escludere per il futuro ogni attenuazione di tale requisito da parte della Corte dei conti. La stessa Corte, in effetti, tende oggi a ritenere che tale rapporto sussista anche in caso di mera funzionalizzazione dell'attività alla realizzazione dei compiti istituzionali dell'ente e quindi anche dell'attività svolta da quei soggetti qui definiti come agenti esterni: cioè, in sintesi, tutti quei soggetti, estranei all'organizzazione degli enti pubblici, che operano con propria organizzazione in regime di autonomia patrimoniale e imprenditoriale o in regime libero-professionale.
      Si tratta di una definizione che non ha alcuna pretesa scientifica (la funzione della legge non è quella di fare teoria) ma ha lo scopo pratico di distinguere, nel modo più chiaro possibile, ciò che si vuole da ciò che non si vuole. Onde evitare, peraltro, che questa distinzione si blocchi su interpretazioni restrittive che renderebbero la vita della norma estremamente precaria, l'enumerazione delle ipotesi incluse nella lettera b) del comma 1 dell'articolo 2 in commento si conclude con una formula legittimante l'interpretazione analogica.
      L'articolo 3 regola la giurisdizione della Corte dei conti e del giudice ordinario per il danno causato da agenti interni.
      La giurisdizione, qualificata in entrambi i casi come esclusiva per eliminare ogni ipotesi di concorrenza fra azione civile e azione pubblica, è ripartita in modo che alla Corte dei conti appartengano le azioni risarcitorie per i danni causati da violazione di obblighi di servizio (altro elemento ingiustificatamente attenuato dalla Corte dei conti), con la specificazione che deve trattarsi di violazioni di obblighi sanciti da norme di diritto pubblico configuranti l'esercizio di poteri pubblici. Ogni altra azione e, in specie, quelle connesse alla violazione di obblighi sanciti da norme di diritto privato, comune e speciale, nonché le azioni di rivalsa dell'ente nei confronti del dipendente, sono attribuite dal giudice ordinario. La ragione risiede nel fatto che, quando viene in considerazione non l'esercizio di pubblici poteri ma l'esercizio di
 

Pag. 5

poteri e di facoltà regolati da norme civilistiche, non sussiste alcuna giustificazione per derogare alla giurisdizione del giudice ordinario.
      All'interno della giurisdizione ordinaria è poi armonicamente disposta l'attribuzione al giudice del lavoro della competenza a giudicare del danno arrecato dal pubblico dipendente legato all'ente pubblico da un rapporto di lavoro contrattualizzato.
      La riaffermata necessità di un rapporto di servizio che attribuisca all'agente la qualità di organo spiega la previsione di cui al comma 3 dell'articolo 3, secondo la quale il danno causato a un ente diverso da quello con il quale intercorre tale rapporto è attratto nella giurisdizione della Corte dei conti solo nel caso in cui l'evento produttivo di danno si sia verificato nel corso di procedimenti complessi, giacché in tal caso l'interesse di ciascuno dei partecipanti al procedimento realizza anche l'interesse degli altri partecipanti, onde appare sufficiente il rapporto di servizio intercorrente con uno degli enti partecipanti a realizzare il presupposto di tale giurisdizione. Negli altri casi non v'è ragione di distinguere il danno causato ad altri enti pubblici dal danno a terzi che legittima l'azione di rivalsa nei confronti di chi ha causato il danno, secondo le regole comuni del rapporto organico.
      L'articolo 4 attribuisce alla giurisdizione esclusiva del giudice ordinario le azioni di risarcimento del danno causato da agenti esterni. Trattasi, secondo la definizione contenuta nell'articolo 2, di tutte le ipotesi nelle quali, per legge, provvedimento o contratto, le attività affidate a un soggetto estraneo all'organizzazione degli enti di cui all'articolo 1 sono svolte dall'affidatario, con propria organizzazione e in regime di autonomia patrimoniale e imprenditoriale o in regime libero professionale anche quando utilizzano beni e risorse pubblici. Vi rientrano, così, gli enti pubblici non economici, le società per azioni a partecipazione pubblica, i concessionari di beni pubblici, nonché i soggetti che svolgono attività di esecuzione o di gestione di contratti e concessioni di lavori pubblici e di forniture di beni e di servizi (con piena equiparazione del concessionario all'appaltatore giacché entrambi, da un lato, non svolgono funzioni e, dall'altro, ricevono il prezzo dell'opera e del servizio forniti) nonché attività di progettazione, direzione dei lavori e collaudazione (con piena equiparazione del progettista al direttore dei lavori e al collaudatore, che elimina una volta per tutte l'illogica distinzione fra le varie figure professionali operata dalla giurisprudenza confondendo fra poteri di rappresentanza del mandatario e poteri pubblici).
      In tali casi le azioni risarcitorie sono quelle ordinarie e appartengono perciò naturaliter alla giurisdizione esclusiva del giudice ordinario, che vi provvede secondo le norme codicistiche, salvo quanto espressamente stabilito dai successivi articoli.
      La giurisdizione del giudice ordinario sulle azioni di rivalsa ha lo scopo di aprire la possibilità di definire l'azione stessa all'interno del medesimo giudizio di responsabilità esperito dal terzo nei confronti dell'amministrazione. Ciò almeno quando della responsabilità dell'amministrazione sia chiamato a giudicare lo stesso giudice ordinario.
      Nel diverso caso in cui la giurisdizione sulla responsabilità dell'amministrazione appartenga al giudice amministrativo, l'attribuzione dell'azione di rivalsa al giudice ordinario è dettata dalla prudenza che consiglia di riservare a questo giudice il vaglio sull'operato dell'altro giudice speciale conservato dall'articolo 103 della Costituzione.
      L'articolo 5 conferma, al comma 1, la personalità della responsabilità e la sua limitazione al dolo o alla colpa grave ove gli agenti siano organi degli enti di cui all'articolo 3. Tale limitazione, che vale ad individuate il quantum di responsabilità che si presume a carico dell'organizzazione della quale l'agente fa parte, non può estendersi alle ipotesi disciplinate dall'articolo 4 per il semplice fatto che i soggetti ivi indicati sono esterni all'organizzazione pubblica e si avvalgono di
 

Pag. 6

un'organizzazione propria, della cui efficienza assumono la responsabilità secondo le norme di diritto comune e speciale.
      Le ipotesi di esenzione da colpa grave, elencate dal comma 2 con formula aperta, valgono, viceversa, in tutti i casi nei quali tale grado di colpa sia richiesto dall'ordinamento per determinare una responsabilità per danno.
      Il comma 3 stabilisce che l'onere della prova del dolo e della colpa grave sia a carico del proponente l'azione di risarcimento. L'opportunità di tale norma è suggerita dal fatto che, allo stato, la procura regionale si limita ad affermare il grado di colpa sufficiente ad instaurare il giudizio, demandando al giudice l'effettiva graduazione della colpa stessa, in violazione delle regole del giusto processo e in particolare delle regole sul contraddittorio.
      L'articolo 6 ribadisce, al comma 1, il divieto di sindacare nel merito le scelte discrezionali ed estende l'insindacabilità agli atti di indirizzo politico e gestionale, alle scelte di autonomia privata negoziale o contrattuale e alle scelte di autonomia imprenditoriale. Vi si precisa, peraltro, che appartengono al merito quelle valutazioni sostanzialmente surrogatorie delle scelte stesse operate sulla base del rapporto tra obiettivi e costi sostenuti. Questa precisazione ha lo scopo di reagire ad interpretazioni fondate su una opinabile, per non dire erronea, lettura dell'articolo 1 della legge n. 241 del 1990, come modificato dalla legge n. 15 del 2005, che, elevando a criterio di legalità dell'azione amministrativa i princìpi di economicità ed efficienza stabiliti dall'articolo 97 della Costituzione, condurrebbero a distruggere la stessa nozione di discrezionalità. Interpretazioni che sono dichiaratamente funzionali a introdurre un pericoloso controllo cosiddetto «forte» (ma in realtà invasivo) del giudice, cui sarebbe consentito, d'un colpo, sindacare ab interno ed ex post le scelte operate dall'amministrazione sotto i profili assorbenti dell'economicità e dell'efficacia delle stesse: ciò che è evidentemente intollerabile in ogni giudizio di responsabilità che ambisca ad essere giusto.
      Il comma 2 dispone l'insindacabilità delle transazioni sul danno.
      Il comma 3 conferma la non esercitabilità dell'azione di danno per la mancata copertura minima del costo dei servizi quale corollario dell'insindacabilità della manovra tariffaria e l'insindacabilità delle transazioni in materia di pubblico impiego contrattualizzato.
      L'articolo 7 definisce al comma 1 il fatto dannoso escludendo, anche espressamente, la risarcibilità del danno non patrimoniale, il quale, se è di difficile configurazione per la persona fisica, lo è a maggior ragione per l'ente pubblico, tanto che al riguardo circolano le interpretazioni più varie e le più tortuose applicazioni giurisprudenziali. Ipotizzare, infatti, la rilevanza di un danno non patrimoniale per l'ente pubblico equivale a fornire un'immagine destabilizzante dell'ente stesso, la cui capacità di azione futura non può d'altra parte postularsi influenzabile dall'azione dannosa ricevuta senza incorrere nel rischio di introdurre una nuova ipotesi di responsabilità formale (si pensi all'ultimo approdo cui sono pervenute dottrina e giurisprudenza rappresentando il danno non patrimoniale come danno «esistenziale» per l'ente pubblico: ciò che non solo è «finto» ma anche sbagliato). Il comma 2 indirizza il giudice verso una valutazione non isolata del singolo episodio dannoso, in armonia con i princìpi della responsabilità di risultato propria degli agenti interni. Il comma 3 esclude il danno in re ipsa, oggi individuato dalla giurisprudenza nella stessa violazione delle norme di contabilità pubblica, e fissa le regole della prova.
      L'articolo 8 detta una norma anch'essa destinata ad operare in ogni giudizio di responsabilità per la quantificazione del danno risarcibile, dirigendo il risarcimento anche verso una valutazione della personalità dell'agente e delle conseguenze che una condanna eccessiva potrebbe avere sulla sua condizione di vita futura. D'altra parte una condanna eccessiva difficilmente è eseguibile, laddove l'eseguibilità della condanna costituisce la misura dell'equità della stessa. I commi 2 e 3 ripetono,
 

Pag. 7

semplificandole, regole note che sono estese peraltro a tutte le azioni di danno causato agli enti di cui all'articolo 1.
      La volontà espressa dall'articolo è quella di valorizzare, attraverso la personalizzazione della condanna al risarcimento, l'aspetto virtuoso della funzione sanzionatoria che questo istituto già esprime anche in ambito civilistico, seppure in modo più attenuato rispetto al giudizio contabile. E ciò, sia chiaro, non già per la diversità in ciascuno di questi ambiti del diritto al risarcimento, ma per la diversità dei soggetti fra i quali intercorre il rapporto risarcitorio.
      L'opportunità della norma appare evidente laddove si consideri in primo luogo che se l'apporto esterno del privato è indispensabile all'azione amministrativa, tale apporto non deve essere frenato o sviato dal timore di risarcimenti sproporzionati, come si verifica oggi quando la singola azione dannosa viene giudicata isolandola dal contesto delle prestazioni complessivamente rese dal responsabile e dal comportamento eventualmente tenuto dallo stesso per attenuarne le conseguenze dannose.
      In secondo luogo, ma non secondariamente, deve considerarsi che, diversamente da quanto di norma accade nei rapporti fra privati, sia la quantificazione del danno subìto dall'amministrazione sia l'apporto della stessa nella causazione del danno o nell'aggravamento delle sue conseguenze è tutt'altro che agevole, anche nel caso in cui l'intensità della colpa sia stata a tale effetto graduata dallo stesso legislatore. Sicché la personalizzazione proposta rappresenta, per un verso, la specificazione del potere riduttivo riconosciuto al giudice contabile e, per un altro verso, un particolare svolgimento del potere di liquidazione equitativa del danno non esattamente quantificabile previsto dallo stesso codice civile.
      L'articolo 9 regola la prescrizione del diritto al risarcimento del danno, argomento sul quale si rinvengono, nella giurisprudenza della Corte dei conti, più indirizzi interpretativi fra loro contrastanti sia per quanto attiene all'individuazione del dies a quo, sia per quanto attiene all'individuazione degli atti interruttivi.
      L'intento della norma è quello di imporre regole uniformi tratte dal codice civile e di privilegiare un inizio dell'azione di danno più vicina al verificarsi del fatto dannoso, anche stabilendo a tale fine che la prescrizione è interrotta solo dalla proposizione di tale azione (comma 2).
      Il termine di prescrizione è di norma quinquennale, salvo termini più brevi stabiliti dal codice civile, e decorre dal compimento del fatto che ha dato origine al danno. È annuale e decorrente dalla pubblicazione della sentenza esecutiva che ha accolto la domanda proposta dal terzo danneggiato per l'azione di rivalsa (comma 3).
      Il comma 4 amplia una previsione già contenuta nella normativa vigente; riducendo anche in tale caso il termine di prescrizione a un anno.
      L'articolo 10 detta regole processuali del tutto nuove dirette a consentire sia l'intervento (con tutti i poteri della parte) del procuratore regionale nei giudizi intrapresi dall'ente danneggiato di fronte al giudice ordinario, sia l'iniziativa del giudizio da parte dello stesso procuratore regionale nel caso in cui l'ente danneggiato ritenga di non iniziare l'azione.
      L'articolo 11 è sostanzialmente speculare all'articolo 10, dettando regole per consentire all'ente danneggiato sia di intervenire, con tutti i poteri della parte, nei giudizi intrapresi dal procuratore regionale dinnanzi alla Corte dei conti, sia di assumere egli stesso l'iniziativa dell'azione quando il procuratore regionale ritenga di archiviare il contesto.
      L'articolo 12 integra la disciplina delle spese di giustizia previste dal testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115.
      L'articolo 13 stabilisce un autonomo regime per l'esecutorietà delle sentenze rese nella materia oggetto della presente proposta di legge. Regime giustificato dalla peculiarità delle sentenze stesse e dall'improponibilità sostanziale di un'azione di recupero esercitata dalla parte economicamente più «forte» e comunque economicamente
 

Pag. 8

meno esposta sulla base di una sentenza provvisoriamente esecutiva. D'altra parte, già oggi l'impugnazione della sentenza di primo grado di fronte alle sezioni riunite d'appello della Corte dei conti sospende ex lege l'esecuzione della stessa.
      L'articolo 14 disciplina in modo più organico e garantista la condanna alle spese di lite escludendo, in caso di rigetto della domanda risarcitoria, la loro compensazione e indirizzando il giudice, ordinario e speciale, verso una liquidazione equa delle stesse.
      Resta il diritto al rimborso da parte dell'ente di appartenenza delle altre spese di difesa sostenute ma eventualmente non liquidate dal giudice.
      L'articolo 15 modifica l'ultima parte del comma 1 dell'articolo 5 del decreto-legge 15 novembre 1993, n. 453, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 gennaio 1994, n. 19, come sostituito dal decreto-legge 23 ottobre 1996, n. 543, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 dicembre 1996, n. 639, per collegarlo all'articolo 11, comma 4, della presente proposta di legge, e introduce dopo lo stesso comma due ulteriori commi volti: l'uno a meglio disciplinare l'istituto dell'archiviazione, che nella normativa vigente ha confini assolutamente incerti, anche in relazione agli effetti della decadenza del procuratore regionale dall'azione di danno per violazione dei termini stabiliti dal comma 1 del vigente articolo 5; l'altro a introdurre nel giudizio di responsabilità l'istituto del patteggiamento, la cui opportunità appare evidente anche in considerazione dello scarso successo dell'esecuzione delle sentenze di condanna (gli importi recuperati non superano nel loro complesso il 3 per cento di quelli per i quali vi è stata condanna).
      L'articolo 16 affronta un tema particolarmente delicato che affonda le sue radici nelle ragioni per le quali l'Assemblea costituente decise di sottoporre le decisioni della Corte dei conti e del Consiglio di Stato al sindacato della Corte di cassazione per i soli motivi inerenti alla giurisdizione (articolo 111, ottavo comma, della Costituzione).
      Le ragioni di tale diverso trattamento delle sentenze di questi due giudici speciali rispetto alle sentenze del giudice ordinario e degli altri giudici speciali soggetti a revisione, furono ricondotte non solo alla tradizione normativa (legge 31 marzo 1877, n. 3761, nel frattempo maldestramente trasfusa nel nuovo codice di procedura civile) ma anche alla specializzazione occorrente per la decisione delle controversie attribuite alle suddette due giurisdizioni dall'ordinamento precostituzionale e in parte da quello conservato dai Costituenti; specializzazione che nell'opinione degli stessi avrebbe escluso ogni sindacato sull'interpretazione delle leggi data da tali giurisdizioni da parte del giudice ordinario perché privo della «preparazione», «della forma mentis», «delle attitudini necessarie» per interpretare certe disposizioni di legge e applicarle a «certi rapporti determinati» (Mortati e, analogamente, Leone e Ruini, in verbali dell'Assemblea costituente CCCVIII del 27 novembre 1947).
      Questa giustificazione, che non ha mai convinto alcuno giacché il sindacato della Cassazione non investe il fatto ma il giudizio sul fatto e che, del resto, è contraddetta dall'articolo 113, terzo comma, della Costituzione, ha ormai perduto ogni concreto significato specialmente in relazione ai giudizi di risarcimento del danno.
      Il fatto che sia finora mancata un'attenta riflessione su ciò che il citato ottavo comma dell'articolo 111 della Costituzione, che fa parte della sezione II del titolo IV intitolata «Norme sulla giurisdizione» non giustifica affatto la lettura riduttiva, datane dalla giurisprudenza con riferimento alla antica legge sui conflitti (citata legge 31 marzo 1877, n. 3761), nel senso di norma posta ad esclusiva tutela della sfera di competenza propria di ciascuna giurisdizione (cosiddetto «limite esterno della giurisdizione»). Basta considerare, per convincersene, che la tutela delle singole sfere di giurisdizione è posta a garanzia non già delle prerogative del giudice ma dei fondamentali diritti diazione e difesa.
 

Pag. 9

Pertanto non ha senso alcuno distinguere (in quest'ottica che è certamente diversa da quella sui conflitti ma più aderente al testo costituzionale) fra limiti interni e limiti esterni. In realtà quando un giudizio non rispetta le regole imposte dalla Costituzione non può dirsi espressione di funzione giurisdizionale. E dunque non si vede perché ogni relativa questione non debba essere sottoposta al giudizio delle sezioni unite della Corte di cassazione sub specie di rifiuto di giurisdizione, come del resto accade per i conflitti negativi.
      Ciò è stato del resto recentemente ritenuto dalla stessa Corte di cassazione (ordinanza 13 giugno 2006, n. 13660) che ha ricondotto all'articolo 362, primo comma, del codice di procedura civile, e quindi alla cognizione della Corte regolatrice, non solo la violazione dei cosiddetti «limiti esterni della giurisdizione» (la cui definizione è affidata al legislatore ordinario) ma anche la violazione dei limiti interni che sono imposti a tutela dei diritti fondamentali garantiti dagli articoli 24 e 111 della Costituzione e che ugualmente trovano il loro necessario svolgimento nella legge ordinaria.
      Sicché una norma che sugelli tale interpretazione appare (oltreché consentita) utile e opportuna.
      L'articolo 17 prevede le occorrenti abrogazioni.
      L'articolo 18 reca l'entrata in vigore della legge.
 

Pag. 10


torna su
PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Oggetto).

      1. La presente legge disciplina le azioni di risarcimento del danno cagionato allo Stato, alle regioni, agli enti locali e agli altri enti pubblici dai loro agenti, interni ed esterni.
      2. È esclusa dall'ambito di applicazione della presente legge la materia dei danni ambientali disciplinata dalla legge 8 luglio 1986, n. 349, e successive modificazioni.

Art. 2.
(Enti interni ed esterni).

      1. Ai fini della presente legge si definiscono:

          a) agenti interni: i dipendenti e gli amministratori dello Stato, delle regioni, degli enti locali e degli altri enti pubblici non economici, nonché ogni altro soggetto in rapporto organico di servizio con gli enti stessi;

          b) agenti esterni: le persone fisiche e le persone giuridiche pubbliche e private, anche totalmente partecipate dagli enti di cui alla lettera a), le quali per legge, provvedimento o contratto, agendo con propria organizzazione e in regime di autonomia patrimoniale e imprenditoriale o in regime libero-professionale, svolgono attività comportanti l'utilizzazione di risorse finanziarie pubbliche o di beni pubblici, nonché le seguenti attività:

              1) esecuzione e gestione di contratti e concessioni per l'esecuzione di lavori pubblici;

 

Pag. 11

              2) progettazione, direzione e collaudazione di lavori pubblici;

              3) esecuzione e gestione di contratti e concessioni per la fornitura di beni e di servizi o per l'erogazione di servizi pubblici;

              4) ogni altra attività analoga a quelle indicate ai numeri 1), 2) e 3).

Art. 3.
(Danno cagionato da agenti interni).

      1. La Corte dei conti decide con giurisdizione esclusiva sulle azioni per il risarcimento del danno patrimoniale direttamente cagionato agli enti di rispettiva appartenenza dagli agenti interni in conseguenza della violazione degli obblighi ai quali i medesimi sono tenuti nello svolgimento di attività regolate da norme di diritto pubblico configuranti l'esercizio di funzioni o di poteri pubblici, escluse le attività di gestione dei rapporti derivanti da accordi e da contratti e quelle implicanti scelte di autonomia negoziale o imprenditoriale. Appartengono inoltre alla giurisdizione esclusiva della Corte dei conti le azioni nei confronti di coloro che hanno causato la prescrizione del diritto al risarcimento del danno ai sensi dell'articolo 9, comma 3.
      2. Nel solo caso di attività svolte nell'ambito di procedimenti coinvolgenti l'interesse di più enti pubblici, la Corte dei conti giudica, ai sensi del comma 1, anche della responsabilità per danno cagionato ai medesimi enti pubblici, diversi da quello di appartenenza, partecipanti al procedimento.
      3. Le azioni per il risarcimento del danno cagionato dai soggetti di cui al comma 1 del presente articolo all'ente pubblico di appartenenza, non attribuite alla giurisdizione della Corte dei conti ai sensi dei commi 1 e 2 del medesimo articolo, appartengono alla giurisdizione esclusiva del giudice ordinario, comprese le azioni di rivalsa previste dall'articolo 22 del testo unico di cui al decreto del

 

Pag. 12

Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3, come modificato dall'articolo 17 della presente legge.
      4. Le azioni di cui al comma 3 del presente articolo, se intraprese nei confronti di soggetti con i quali intercorrono i rapporti di impiego previsti dall'articolo 2, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, appartengono alla competenza del giudice del lavoro.

Art. 4.
(Danno cagionato da agenti esterni).

      1. Il giudice ordinario decide, con giurisdizione esclusiva, sulle azioni per il risarcimento del danno causato agli enti di cui all'articolo 1 dagli agenti esterni in violazione degli obblighi che agli stessi fanno carico per legge, provvedimento o contratto. Nelle azioni di cui al primo periodo sono altresì comprese le azioni per il risarcimento dei danni causati dagli amministratori, dai sindaci revisori o da figure analoghe delle società a partecipazione pubblica e degli enti pubblici economici.
      2. Il giudice applica le norme sostanziali e processuali stabilite, in relazione ad ogni singola fattispecie dannosa, dal codice civile e dal codice di procedura civile, fatto salvo quanto stabilito dalla presente legge.

Art. 5.
(Elemento soggettivo).

      1. La responsabilità degli agenti è personale. Per gli agenti interni la responsabilità è limitata ai fatti o alle omissioni commessi con dolo o colpa grave.
      2. La colpa grave è in ogni caso esclusa dalle seguenti circostanze:

          a) l'aver agito senza che l'evento dannoso fosse prevedibile, ovvero per evitare il pericolo di un danno maggiore di quello arrecato, ovvero per assicurare all'ente o alla collettività amministrata un

 

Pag. 13

vantaggio, anche futuro, pari o superiore al danno patrimoniale arrecato;

          b) l'aver agito sulla base di disposizioni derivanti da fonte interna o esterna all'organizzazione di appartenenza, di interpretazione controversa, controvertibile o comunque incerta;

          c) l'aver agito sulla base di interpretazioni giurisprudenziali consolidate;

          d) l'aver agito sulla base di un ordine la cui esecuzione era obbligatoria, salva la responsabilità di chi ha impartito l'ordine stesso;

          e) l'avere altri soggetti, interni o esterni all'organizzazione di appartenenza, concorso in maniera determinante con la propria azione od omissione alla causazione del fatto dannoso;

          f) l'avere in buona fede approvato, autorizzato o consentito, in qualità di titolare o di componente di un organo politico anche di indiretta derivazione elettiva, atti che rientrano nella competenza propria degli uffici amministrativi o tecnici dell'ente di appartenenza;

          g) ogni altra circostanza analoga a quelle previste dalle lettere da a) a f).

      3. La sussistenza del dolo o della colpa grave deve essere provata da chi propone l'azione di risarcimento del danno.

Art. 6.
(Limiti alla sindacabilità).

      1. Non sono sindacabili nel merito gli atti di indirizzo politico e gestionale, le scelte discrezionali, le scelte di autonomia privata negoziale o contrattuale o le scelte di autonomia imprenditoriale. Attiene al merito ogni valutazione surrogatoria delle scelte stesse operata sulla base del rapporto fra obiettivi e costi sostenuti.
      2. È altresì insindacabile la decisione di transigere la vertenza.
      3. Restano fermi i disposti dell'articolo 3, comma 2-ter, del decreto-legge 23 ottobre

 

Pag. 14

1996, n. 543, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 dicembre 1996, n. 639, e dell'articolo 66, comma 8, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.

Art. 7.
(Fatto dannoso).

      1. È dannoso il fatto, commissivo od omissivo, che ingiustamente cagiona agli enti di cui all'articolo 1 una diminuzione diretta, certa, attuale, concreta ed effettiva della consistenza economica del loro patrimonio. Non è risarcibile il danno non patrimoniale.
      2. L'incidenza dannosa sul patrimonio degli enti di cui all'articolo 1 del fatto commesso dagli agenti interni è valutata in rapporto ai risultati raggiunti dall'apparato organizzativo nella gestione complessiva delle attività proprie dell'ente di appartenenza, considerando sia le interrelazioni fra i diversi settori di attività, sia i contenuti degli atti programmatici e di indirizzo politico adottati dagli organi di derivazione elettiva, diretta o indiretta, dell'ente medesimo.
      3. Il danno non si presume. La prova del danno, della sua dipendenza causale e dell'apporto di ciascun partecipante alla sua produzione deve essere fornita da chi propone l'azione di risarcimento.

Art. 8.
(Quantificazione del risarcimento).

      1. Fermo restando il potere riduttivo, nei giudizi di cui agli articoli 3 e 4 della presente legge il risarcimento del danno dovuto all'ente danneggiato è determinato ai sensi delle disposizioni di cui agli articoli 1223, 1225, 1226 e 1227 del codice civile, tenuto conto dei vantaggi, anche non patrimoniali, comunque conseguiti dall'ente o dalla comunità amministrata, anche se gli stessi trovano nel fatto dannoso soltanto causa indiretta e occasionale. Il giudice tiene conto dell'intensità della colpa, dell'entità delle conseguenze che ne

 

Pag. 15

sono derivate, della qualità delle prestazioni e dei servizi resi dal presunto responsabile prima e dopo il fatto dal quale è derivato il danno e delle conseguenze della condanna sulla capacità reddituale dello stesso anche in rapporto all'esigenza di consentirgli il mantenimento di una decorosa vita di relazione.
      2. Se il fatto dannoso è causato da più persone, il giudice, valutate le singole responsabilità, condanna ciascuno per la parte che vi ha preso. I soli concorrenti che hanno conseguito un illecito arricchimento o che hanno agito con dolo sono responsabili solidalmente.
      3. Il debito da condanna si trasmette agli eredi nel solo caso di indebito arricchimento conseguito dagli stessi.

Art. 9.
(Prescrizione).

      1. Fatti salvi i più brevi termini stabiliti per particolari materie dal codice civile e dai commi 3 e 4 del presente articolo, il diritto al risarcimento del danno si prescrive in cinque anni.
      2. La prescrizione decorre dal momento nel quale l'agente ha compiuto od omesso il fatto che ha causato il danno ed è interrotta solo dalla notifica di uno degli atti indicati dai commi primo e secondo dell'articolo 2943 del codice civile o dalla proposizione del giudizio arbitrale ai sensi del quarto comma del medesimo articolo 2943.
      3. L'azione di rivalsa di cui al comma 3 dell'articolo 3 si prescrive in un anno dalla data di pubblicazione della sentenza esecutiva che ha accolto la domanda di risarcimento del danno proposta dal terzo danneggiato.
      4. Qualora la prescrizione del diritto al risarcimento sia maturata a causa di omissione o di ritardo nella denuncia al procuratore regionale del fatto che ha originato il danno ovvero da ritardata od omessa proposizione dell'azione di rivalsa di cui al comma 3, rispondono del relativo danno coloro che erano tenuti rispettivamente

 

Pag. 16

a provvedere tempestivamente alla denuncia o a deliberare l'azione di rivalsa e a conferire il relativo mandato. In entrambi i casi l'azione si prescrive in un anno dalla data in cui il procuratore regionale riceve notizia del fatto che ha determinato la prescrizione del diritto.

Art. 10.
(Azione davanti al giudice ordinario).

      1. L'azione di risarcimento davanti al giudice ordinario per i danni subiti dai soggetti di cui all'articolo 1 è proposta dall'ente danneggiato ai sensi del codice di procedura civile.
      2. L'atto introduttivo del giudizio è notificato anche al procuratore regionale affinché questo possa intervenire secondo le modalità stabilite dagli articoli 267 e 268 del codice di procedura civile.
      3. Se la notifica di cui al comma 2 è omessa o non vi è la prova che il destinatario l'abbia ricevuta, il giudice ordina alla cancelleria la trasmissione degli atti al procuratore regionale per consentirgli di intervenire all'udienza fissata per l'inizio o per la prosecuzione del giudizio.
      4. Il procuratore regionale che interviene nel giudizio ha tutti i poteri spettanti alle parti, ivi compreso quello di impugnare le sentenze.
      5. Se il procuratore regionale che interviene all'udienza di precisazione delle conclusioni non si limita ad aderire alle conclusioni di una delle parti ma prende proprie conclusioni, produce documenti o deduce prove, il giudice rinvia con ordinanza la causa ad altra udienza dando termine alle parti per la produzione di documenti e di memorie difensivi e istruttori.
      6. L'ente danneggiato quando ritiene di non proporre l'azione deve darne tempestiva comunicazione al procuratore regionale mettendo a disposizione dello stesso le risultanze dell'istruttoria eseguita. Il procuratore regionale può in tale caso provvedere egli stesso alla notifica dell'atto introduttivo del giudizio, dandone comunicazione

 

Pag. 17

all'ente danneggiato che può intervenire ai sensi dell'articolo 105, secondo comma, del codice di procedura civile.
      7. Tutte le comunicazioni e le notificazioni al procuratore regionale previste dal presente articolo devono essere presentate all'ufficio del medesimo procuratore.

Art. 11.
(Azione davanti alla Corte dei conti).

      1. L'azione di risarcimento dinanzi alla Corte dei conti per i danni subiti dai soggetti di cui all'articolo 1 della presente legge è proposta dal procuratore regionale ai sensi dell'articolo 43 del regolamento di cui al regio decreto 13 agosto 1933, n. 1038, e all'articolo 5, comma 1, del decreto-legge 15 novembre 1993, n. 453, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 gennaio 1994, n. 19, come da ultimo modificato dall'articolo 15 della presente legge.
      2. L'atto introduttivo del giudizio è notificato anche all'ente danneggiato affinché possa intervenire nel giudizio. Se la notifica è omessa o non vi è la prova che l'ente danneggiato l'abbia ricevuta, il presidente della sezione ordina alla cancelleria la trasmissione degli atti all'ente danneggiato per consentirgli di intervenire.
      3. L'ente danneggiato interviene nel giudizio con tutti i poteri spettanti alle parti, ivi compreso il potere di impugnare le sentenze. Se l'ente danneggiato interviene e non si limita ad aderire alle conclusioni di una delle parti ma prende proprie conclusioni, produce documenti o deduce prove, il presidente della sezione rinvia con ordinanza la causa ad altra udienza, dando termine alle parti per la produzione di documenti e di memorie difensivi e istruttori.
      4. Quando il procuratore regionale non esercita l'azione nei termini stabiliti dall'articolo 5, commi 1 e 1-ter, del decreto-legge 15 novembre 1993, n. 453, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 gennaio 1994, n. 19, come da ultimo modificato

 

Pag. 18

dall'articolo 15 della presente legge, prima di disporre l'archiviazione deve darne notizia all'ente danneggiato, il quale, nei successivi centoventi giorni, può istituire il giudizio a propria istanza, mediante atto di citazione del presunto responsabile a comparire dinanzi alla competente sezione della Corte dei conti. L'istanza e la citazione hanno i contenuti stabiliti dall'articolo 45 del regolamento di cui al regio decreto 13 agosto 1933, n. 1038. Sull'istanza provvede il presidente della sezione ai sensi dell'articolo 46 del citato regolamento di cui al regio decreto n. 1038 del 1933. Il procuratore regionale, avvisato della citazione dalla cancelleria della sezione, deve intervenire nel giudizio all'udienza stabilita e prendere le proprie conclusioni.

Art. 12.
(Spese di giustizia).

      1. In tutti i giudizi disciplinati dalla presente legge per gli atti e le attività processuali che fanno carico all'ente danneggiato e al procuratore regionale le spese relative sono prenotate a debito o anticipate dall'erario nei limiti e con le modalità stabiliti dalle norme generali e speciali relative al giudizio contabile e ai processi in cui è parte l'amministrazione pubblica stabilite dal testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, e successive modificazioni.
      2. L'ente danneggiato, sia che agisca sia che intervenga in giudizio, è ammesso alla prenotazione a debito e alle anticipazioni previste dagli articoli 158 e 159 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115.

Art. 13.
(Esecutorietà delle sentenze).

      1. Le sentenze emesse nei giudizi previsti dalla presente legge diventano esecutive

 

Pag. 19

solo a seguito del loro passaggio in cosa giudicata formale ai sensi dell'articolo 324 del codice di procedura civile.

Art. 14.
(Condanna alle spese).

      1. Il giudice, ordinario e contabile, quando accoglie la domanda di risarcimento del danno, se non ravvisa giusti motivi di compensazione, condanna il soccombente a rimborsare le spese prenotate a debito o anticipate dall'erario ai sensi dell'articolo 12, liquidando le stesse assieme alle altre spese e agli onorari relativi alla difesa dell'ente danneggiato che non sono ritenuti superflui od eccessivi.
      2. Fatto salvo il disposto dell'articolo 96 del codice di procedura civile, il giudice, ordinario e contabile, quando respinge, per qualsiasi ragione e con qualsiasi formula, la domanda di risarcimento del danno, determina l'importo dovuto alla parte vincitrice per spese anticipate e onorari di difesa senza far luogo a compensazione delle stesse fra le parti. Il giudice, valutata la posizione assunta dal procuratore regionale e dall'ente danneggiato rispetto all'azione dall'uno o dall'altro proposta, stabilisce se il pagamento dell'importo liquidato a favore della parte vincitrice debba essere effettuato dall'erario o dall'ente danneggiato o da entrambi per quota percentuale. Nella determinazione degli onorari il giudice applica di regola quelli medi della tariffa dei diritti ed onorari di avvocato in vigore al momento della sentenza, tenuto conto anche dell'eventuale attività di assistenza nella fase pregiudiziale regolata dall'articolo 5, comma 1, del decreto-legge 15 novembre 1993, n. 453, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 gennaio 1994, n. 19, come da ultimo modificato dall'articolo 15 della presente legge. Quando tuttavia vi sia manifesta sproporzione fra l'importo determinato ai sensi del periodo precedente e l'impegno richiesto al difensore in relazione alle questioni trattate e alla posizione processuale del proprio assistito, il giudice può maggiorare l'importo stesso

 

Pag. 20

anche oltre il massimo della tariffa ovvero ridurlo al di sotto del minimo.
      3. Sulle spese e sugli onorari del giudizio di cassazione decide il giudice cui la causa è rinviata. Se il giudizio di cassazione è senza rinvio decide la stessa Corte di cassazione.
      4. In ogni caso di giudicato di rigetto dell'azione di danno è fatto salvo il diritto della parte vincitrice a ottenere dall'ente di appartenenza il rimborso delle maggiori spese di difesa effettivamente sostenute rispetto a quelle liquidate dal giudice.
      5. Fuori dai casi previsti dall'articolo 96 del codice di procedura civile, la condanna alle spese subita dall'ente danneggiato non dà luogo a risarcimento a carico di coloro che hanno deliberato l'azione.

Art. 15.
(Modifiche all'articolo 5 del decreto-legge 15 novembre 1993, n. 453, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 gennaio 1994, n. 19).

      1. Al quinto periodo del comma 1 dell'articolo 5 del decreto-legge 15 novembre 1993, n. 453, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 gennaio 1994, n. 19, e successive modificazioni, le parole da: «la mancata autorizzazione» sino alla fine del comma, sono sostituite dalle seguenti: «la mancata autorizzazione obbliga il procuratore regionale ad emettere l'atto di citazione entro i successivi quarantacinque giorni ovvero a disporre l'archiviazione entro il medesimo termine».
      2. Dopo il comma 1 dell'articolo 5 del decreto-legge 15 novembre 1993, n. 453, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 gennaio 1994, n. 19, come da ultimo modificato dal comma 1 del presente articolo, sono inseriti i seguenti:

      «1-bis. La mancata emissione dell'atto di citazione nel termine ordinario o prorogato o rinnovato ai sensi del comma 1 determina l'inammissibilità dell'invito a depositare deduzioni nuovamente rivolto dal procuratore regionale allo stesso presunto responsabile che si fondi sugli

 

Pag. 21

stessi fatti e circostanze contenuti nel precedente invito.
      1-ter. Il procuratore regionale e il presunto responsabile del danno possono proporre, anche in corso di giudizio, che l'entità del risarcimento dovuto sia stabilita nella misura fra di loro concordata, con idonee garanzie di pronta esecuzione da parte del presunto responsabile. La proposta è sottoposta, ad istanza del procuratore regionale, alla sezione giurisdizionale della Corte dei conti la quale, sentiti in camera di consiglio le parti e l'ente danneggiato, se ritiene corretta la valutazione giuridica del fatto e congrui l'importo del risarcimento e le garanzie di pronta esecuzione offerte dal presunto responsabile, emette sentenza non appellabile di condanna per l'importo proposto enunciando nel dispositivo che vi è stata concorde richiesta delle parti e impartendo le modalità di esecuzione della sentenza stessa. La sezione se rigetta l'istanza provvede con ordinanza; con la stessa ordinanza dispone la prosecuzione del giudizio nelle forme di rito ovvero, se non è stato ancora emesso l'atto di citazione in giudizio, invita il procuratore regionale ad emetterlo entro i successivi quarantacinque giorni o a disporre l'archiviazione entro il medesimo termine».

Art. 16.
(Modifica all'articolo 362 del codice di procedura civile).

      1. Dopo il primo comma dell'articolo 362 del codice di procedura civile è inserito il seguente:

      «Attengono altresì alla giurisdizione della Corte di cassazione i motivi di violazione delle norme che, in relazione a ciascun giudice, circoscrivono l'ambito della stessa giurisdizione e ne garantiscono l'attuazione mediante il giusto processo e la giusta tutela sia dei diritti e degli interessi legittimi fatti valere in giudizio sia del diritto di difesa in ogni stato e grado di giudizio».

 

Pag. 22

Art. 17.
(Abrogazioni).

      1. Sono abrogate le seguenti norme:

          a) gli articoli 52 e 71 del testo unico di cui al regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214;

          b) l'articolo 22, secondo comma, del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3;

          c) l'articolo 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, come modificato dal decreto-legge 23 ottobre 1996, n. 543, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 dicembre 1996, n. 639;

          d) l'articolo 1, comma 5-ter, del decreto-legge 15 novembre 1993, n. 453, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 gennaio 1994, n. 19, e successive modificazioni;

          e) l'articolo 18 del decreto-legge 25 marzo 1997, n. 67, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 maggio 1997, n. 135;

          f) l'articolo 10-bis, comma 10, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248.

Art. 18.
(Entrata in vigore).

      1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.


Frontespizio Relazione Progetto di Legge
torna su