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PDL 3268

XV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 3268



 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati

BUEMI, TUCCI, BOATO, BARANI, FRIGATO, CARTA

Norme in materia di organizzazione e di trasparenza dell'attività dei partiti politici

Presentata il 22 novembre 2007


      

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Onorevoli Colleghi! - Il tema riguardante la disciplina giuridica dei partiti politici è antico ma sempre attuale e rappresenta senza dubbio un aspetto vitale per una moderna democrazia pluralista. Dal consolidamento dello Stato costituzionale fino al sorgere degli ordinamenti democratici contemporanei, infatti, i partiti politici hanno progressivamente assunto la fisionomia di istituzioni capaci di esercitare una crescente influenza sul funzionamento degli organi costituzionali sino ad essere, attualmente, i reali detentori del potere politico nella vita dello Stato. Se si ripercorrono i lavori preparatori dell'articolo 49 della Costituzione («Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale»), emergono con assoluta chiarezza due differenti posizioni: quella che, nei fatti, ha condotto alla collocazione della norma sui partiti politici nella parte dedicata ai diritti dei cittadini invece che in quella, più consona, relativa all'organizzazione costituzionale dello Stato, con l'attenzione puntata esclusivamente sul momento associativo nella disciplina del partito politico; l'altra posizione, più critica nei confronti del vecchio regime parlamentare ottocentesco e decisa, con il costante richiamo alla pluralità dei partiti politici, a mettere in evidenza il rifiuto dell'esperienza del partito unico del regime fascista, puntava la sua attenzione sul profilo istituzionale della problematica dei partiti politici. Nel corso del dibattito si affermò esplicitamente che i partiti politici costituiscono «la base dello Stato democratico» (Mortati), ovvero che essi danno «una forma di rappresentanza organica alla volontà popolare nelle democrazie moderne» (Saragat). Sulla scia di questa seconda corrente di pensiero fu prospettata l'ipotesi - respinta prima ancora di essere seriamente discussa - di
 

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aggiungere, nell'articolo della Costituzione riguardante i partiti politici, un comma in cui fosse esplicitamente affermato l'obbligo di previsione della regolamentazione giuridica dei partiti politici e della pubblicità delle fonti di finanziamento degli stessi. Se i relativi emendamenti fossero stati approvati, si sarebbe introdotta una norma ritenuta «consona a tutto lo spirito della Costituzione», come ebbe a dichiarare l'onorevole Costantino Mortati. Ma così non fu anche e soprattutto in considerazione del momento storico che si stava vivendo. Il risultato finale fu quello di un articolo, l'articolo 49, fin troppo essenziale nella sua formulazione costituzionale, scarsamente analitico e privo di strumentari giuridici.
      A prevalere, infatti, nella scelta dei Costituenti italiani fu una soluzione che se da un lato, si fondava sul riconoscimento costituzionale dei partiti politici quale essenziale strumento di raccordo fra i cittadini e le istituzioni, funzionale come già detto al superamento delle basi individualistiche della rappresentanza su cui poggiava il regime parlamentare ottocentesco, dall'altro lato ne circoscrisse la legalizzazione a un ambito che garantisse al massimo la libertà di associazione degli stessi partiti. Occorreva garantire che i partiti politici avessero un ampio spazio d'azione nel sistema politico, affinché si consentisse per il loro tramite alla società di «farsi Stato», per dirla con un'espressione famosa. La democraticità di un sistema politico è garantita dall'esistenza di un pluralismo di partiti politici e dalla loro competizione. Di qui il rifiuto di soluzioni che implicassero una sorta di incorporazione dei partiti politici nello «Stato apparato» e di forme di controllo statale sugli stessi. Di qui anche la scelta, conseguente, di non determinare un obbligo giuridico per il tramite del quale si potesse venire a fondare anche una democrazia «nei» partiti politici; ovvero, non vi fu una previsione costituzionale né legislativa con cui imporre una disciplina interna dei partiti politici fondata su regole democratiche stabilite da statuti. E la stessa nozione costituzionale del «concorso con metodo democratico» di cui all'articolo 49, piuttosto che riferita anche all'attività interna dei partiti politici, venne ad essere prevalentemente intesa come garanzia di un necessario pluralismo politico esterno, concretizzatosi nella possibilità per ogni formazione politica di partecipare al gioco elettorale nel rispetto dell'eguaglianza delle opportunità.
      Negli anni che seguirono l'entrata in vigore della Costituzione si assiste al consolidarsi di un atteggiamento smaccatamente diffidente verso qualsiasi forma di regolazione legislativa dei partiti politici o verso forme di controllo pubblico; e questo in nome di un'ottica garantista che riteneva la democraticità del sistema partitico, intesa come loro libertà d'azione, meglio tutelata da una norma «a fattispecie aperta» come l'articolo 49. A rafforzare questa impostazione intervenne la tesi della concezione strettamente privatistica del partito politico, inteso quale associazione non riconosciuta di diritto privato e in quanto tale dotata della massima libertà. Come tutte le posizioni forti anche quella appena descritta non fu esente da critiche e da contestazioni: si parlò di «partitocrazia» (Maranini) e di «autocrazia di partito» (Perticone), in termini di denuncia della mancanza di regole democratiche all'interno dei partiti politici. Siamo agli inizi degli anni sessanta, dominati dalla consapevolezza critica delle disfunzioni che i partiti politici hanno prodotto nel tessuto istituzionale a causa del loro predominio in ogni settore della vita pubblica; si paventa il venire meno della fondamentale vocazione dei partiti politici a svolgere funzioni di mediazione e di rappresentanza tra l'apparato statale e il pluralismo sociale. È forte l'esigenza di un adeguamento del «sistema partito» all'evoluzione della società civile; in quest'ottica si giunge a un potenziamento degli apparati (in termini di maggiori finanziamenti eccetera) al fine di renderli più ricettivi alle istanze che provengono dalla società, e ad una spinta all'evoluzione della loro struttura interna affinché i processi decisionali rispecchino le varie componenti.
 

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      Il dibattito degli anni settanta parte da queste ultime considerazioni per approdare ai primi interventi legislativi volti a garantire il finanziamento pubblico ai partiti politici; non fu però operato il salto e, per evitare la tanto tenuta «burocratizzazione» conseguente alla sottoposizione a regole giuridiche, i partiti politici non furono riconosciuti giuridicamente. Pertanto, il criterio che stava a fondamento delle scelte legislative sulla contribuzione economica statale era quello di finanziare i partiti politici senza riconoscerli, anziché riconoscerli per finanziarli; il tutto per garantirne il naturale dinamismo nell'ambito del sistema politico.
      Gli anni novanta sono caratterizzati da una radicale ridefinizione del quadro politico italiano conseguente alle vicende giudiziarie di «Tangentopoli» e alla modifica del sistema elettorale in senso semi-maggioritario; a ciò si aggiunga il manifestarsi di ripetute forme di disaffezione politica della cittadinanza manifestatesi con il crescente astensionismo elettorale da un lato e con le numerose richieste di referendum in funzione antipartitica dall'altro.
      Gli ultimi anni hanno visto l'emergere di un fenomeno politico-istituzionale piuttosto anomalo che è stato efficacemente definito della «partitocrazia senza partiti»; e cioè la presenza di un sistema di apparati che si caratterizzano per essere strutture asservite al loro leader politico, partiti «personali» che nulla hanno in comune, in termini organizzativi e ideologici, con i partiti politici di un tempo.
      Oggi, dopo le numerose vicende che hanno e che stanno ancora accompagnando, in positivo e in negativo, la storia dei partiti politici nell'Italia repubblicana, occorre tornare ad affrontare il problema di una regolamentazione giuridica degli stessi in modo da restituire ad essi la funzione che è loro propria e che appare fondamentale in una democrazia pluralista: il raccordo fra i cittadini e le istituzioni. Si tratta di subordinare i partiti politici a regole certe e trasparenti, rendendo pubblici i loro statuti oltre che i loro bilanci e dando più potere ai loro iscritti ed elettori.
      In un sistema ormai profondamente in crisi, disciplinare giuridicamente i partiti politici oltre che al rilancio della funzione costituzionale e sociale degli stessi potrebbe anche contribuire alla stabilizzazione dell'assetto politico italiano.
      Si ricorda, incidentalmente, che la Commissione parlamentare per le riforme costituzionali del 1983, presieduta dal senatore Aldo Bozzi, aveva approvato un nuovo testo dell'articolo 49 della Costituzione così formulato: «Tutti i cittadini hanno diritto ad associarsi liberamente in partiti per concorrere con strutture e metodi democratici a determinare la politica nazionale. La legge disciplina il finanziamento dei partiti, con riguardo alle loro organizzazioni centrali e periferiche e prevede le procedure atte ad assicurare la trasparenza ed il pubblico controllo del loro stato patrimoniale e delle loro fonti di finanziamento. La legge detta altresì disposizioni dirette a garantire la partecipazione degli iscritti a tutte le fasi di formazione della volontà politica dei partiti, compresa la designazione dei candidati alle elezioni, il rispetto delle norme statutarie, la tutela delle minoranze». Si trattava di una proposta valida e precisa, ma che non trovò - al pari delle altre proposte di riforma formulate in quella sede - nessun seguito; e nemmeno venne ripresa successivamente in sede parlamentare.
      Il cosiddetto «metodo democratico» costituisce oggi l'unico limite all'azione esterna dei partiti politici e può comportare la repressione dell'attività condotta con metodi antidemocratici. Tale metodo è anche un limite rispetto all'attività esterna e si riflette sull'organizzazione stessa dei partiti politici, in quanto funzionalmente collegata con l'attività esterna. Esso intende evitare che sia per i mezzi adoperati, sia per le finalità perseguite, l'attività possa essere indirizzata in modo da compromettere o da attentare ai valori fondamentali di democrazia garantiti dalla Costituzione.
      Tuttavia, anche se l'espressione «con metodo democratico» è stata interpretata nel senso appena esposto, non sembra che questa norma obblighi i partiti politici ad
 

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adottare al loro interno una struttura democratica che garantisca a tutti gli associati una uguale partecipazione all'attività di partito. Il rispetto del metodo democratico comporta l'obbligatorietà del controllo sui partiti politici da parte dello Stato: il nostro ordinamento, in proposito, non prevede una legislazione organica e l'unica forma di controllo, peraltro indiretta, è costituita dal finanziamento pubblico.
      Premesso che sarebbe auspicabile un intervento di revisione del dettato costituzionale di cui all'articolo 138, non facile da realizzare ma nemmeno impossibile come dimostrano le recenti modifiche costituzionali sul voto degli italiani all'estero, sul giusto processo e sulla riforma regionale, una strada alternativa dovrebbe partire da una nuova interpretazione dell'articolo 49.
      Il cosiddetto «metodo democratico» andrebbe riferito ai soli rapporti tra i partiti politici nell'ambito di una competizione ispirata al pluralismo politico. Di qui, allora, la necessità di esplicitare nella norma costituzionale il «diritto dei partiti», quasi a voler ridare maggiore forza e dignità ai partiti politici costituzionalizzandoli, salvo poi riservare alla legge il compito di disciplinarli ulteriormente.
      La presente proposta di legge si inserisce proprio in questo ambito, là dove prevede che i partiti politici, al fine di usufruire dei rimborsi per le spese elettorali e di ogni altro beneficio normativo, si debbano dotare di uno statuto approvato con atto pubblico, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, recante l'indicazione degli organi del partito e della loro composizione, nonché le procedure e le forme di garanzia per le minoranze, i diritti e i doveri degli iscritti e le modalità di selezione dei candidati alle elezioni. L'obbligo di pubblicità degli statuti, cui è subordinato l'accesso ai finanziamenti pubblici, costituisce sicuramente un avanzamento rispetto all'arbitrio che ha sempre caratterizzato il diritto dei partiti politici, solo temperato da crescenti interventi giurisdizionali.
      La presente proposta di legge è, in ultima analisi, il tentativo di dare una risposta organica all'esigenza di collocare il partito politico nel giusto ruolo nel nostro ordinamento costituzionale, definendone natura giuridica, regole di vita interna, procedure per la scelta dei candidati e trasparenza dei bilanci. Si tratta di una proposta di legge che merita di essere attentamente discussa, specialmente tra i costituzionalisti, e che merita di essere degnamente presa in considerazione, specialmente tra quanti credono che sia giunta l'ora che si faccia (anche) in Italia una legge sui partiti politici.
 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Definizione).

      1. I partiti politici sono associazioni di uomini e di donne costituite al fine di concorrere a determinare la politica nazionale, regionale e locale, sulla base del più ampio metodo democratico e attraverso la partecipazione libera e continua dei cittadini alla vita pubblica.

Art. 2.
(Natura giuridica).

      1. I partiti politici sono associazioni riconosciute dotate di personalità giuridica ai sensi dell'articolo 1 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 febbraio 2000, n. 361.
      2. All'atto della costituzione del partito politico, i soci fondatori ne depositano il nome, il simbolo, lo statuto e il progetto.

Art. 3.
(Statuto).

      1. Ogni partito politico è tenuto ad approvare il proprio statuto per atto pubblico entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge.
      2. Lo statuto e le sue eventuali modifiche sono pubblicati nella Gazzetta Ufficiale, rispettivamente, entro un mese dalla data di iscrizione del partito politico nel registro delle persone giuridiche, istituito ai sensi dell'articolo 1 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 febbraio 2000, n. 361, ed entro un mese dalla data di approvazione delle modifiche stesse.

 

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      3. Allo statuto del partito politico è allegato, anche in forma grafica, il simbolo, che con il nome costituisce elemento essenziale di riconoscimento del partito stesso.

Art. 4.
(Accesso alle forme di finanziamento pubblico).

      1. La pubblicazione di cui al comma 2 dell'articolo 3 della presente legge è condizione per accedere ai rimborsi delle spese per le consultazioni elettorali e referendarie nonché alle agevolazioni di cui alla legge 3 giugno 1999, n. 157, e successive modificazioni, ivi compresi i contributi pubblici concessi alle imprese editrici di quotidiani e di periodici anche telematici o alle imprese radiofoniche che risultano essere anche organi di partito, previsti dalla legislazione vigente in materia.

Art. 5.
(Contenuto dello statuto).

      1. In attuazione del metodo democratico di cui all'articolo 49 della Costituzione, lo statuto di ogni partito politico deve contenere, a pena di invalidità dello stesso, precise indicazioni su:

          a) gli organi dirigenti, le loro competenze e le modalità della loro elezione da parte dell'assemblea generale degli iscritti;

          b) la composizione e le modalità di convocazione dell'assemblea generale degli iscritti;

          c) le modalità di partecipazione al voto di ciascun iscritto in modo libero ed eguale, nonché l'effettiva segretezza del voto, ove richiesto;

          d) le procedure richieste per l'approvazione degli atti che impegnano la linea politica del partito politico;

 

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          e) i diritti e i doveri degli iscritti, e i relativi organi di garanzia;

          f) i criteri atti a garantire il pluralismo interno e la partecipazione delle minoranze a tutti gli organi collegiali nonché alle risorse finanziarie di cui all'articolo 4, in misura corrispondente alla consistenza delle minoranze medesime;

          g) le norme atte a evitare che un sesso prevalga sull'altro nella composizione degli organismi dirigenti, negli organi di garanzia, nonché nelle candidature alle elezioni;

          h) la temporaneità degli incarichi di partito e il numero limitato di mandati nella stessa carica;

          i) l'incompatibilità tra la partecipazione ad organi esecutivi del partito politico e la titolarità di cariche istituzionali e amministrative;

          l) le misure disciplinari che possono essere adottate nei confronti degli iscritti, gli organi competenti ad assumerle e le procedure di ricorso previste;

          m) le modalità di selezione delle candidature da presentare per l'elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia, del Parlamento nazionale, dei consigli regionali, provinciali e comunali, nonché per le cariche di sindaco, di presidente della provincia e di presidente della regione.

      2. Le risorse di cui all'articolo 4 sono ripartite in proporzione tra gli organi centrali e le articolazioni territoriali del partito politico, in modo da garantire il pluralismo interno nell'accesso alle risorse disponibili.

Art. 6.
(Tutela giurisdizionale dell'iscritto).

      1. È diritto irrinunciabile dell'iscritto a un partito politico ricorrere al giudice per violazioni alle disposizioni della presente legge, dello statuto, di delibere degli organi

 

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collegiali del partito politico o avverso qualunque atto o comportamento che costituisca compressione, limitazione o violazione del metodo democratico di cui all'articolo 49 della Costituzione.
      2. Il diritto alla tutela giurisdizionale previsto dal comma 1 non può essere vietato o limitato dallo statuto del partito politico né il suo esercizio può costituire in alcun modo elemento a carico dell'iscritto del medesimo partito tale da limitare o da ostacolare l'esercizio di altre facoltà o diritti di cui è titolare in quanto iscritto.

Art. 7.
(Redazione del bilancio).

      1. Ogni partito politico ha l'obbligo di redigere e di comunicare ai propri iscritti un rendiconto economico, predisposto in base ai criteri di redazione del bilancio previsti dagli articoli 2423 e seguenti del codice civile, che le associazioni riconosciute sono tenute a depositare annualmente presso il registro delle persone giuridiche, istituito ai sensi dell'articolo 1 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 febbraio 2000, n. 361.
      2. È altresì previsto a carico di ogni partito politico un obbligo di pubblicazione del bilancio approvato su almeno un quotidiano a diffusione nazionale.

Art. 8.
(Norma di rinvio).

      1. Per quanto non espressamente previsto dallo statuto, ai partiti politici si applicano le disposizioni del codice civile e le norme di legge vigenti in materia.


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